martedì 30 luglio 2013

R.P. Valentino Steccanella d.C.d.G.: Due morali a fronte (I).

 
 
 
La Civiltà Cattolica anno XLVI, serie XVI, vol. I, Roma 1895 pag. 271-285.

R.P. Valentino Steccanella d.C.d.G.

DUE MORALI A FRONTE

Il nostro cortese lettore sarà naturalmente voglioso di conoscere coteste due morali a fronte. Glielo diciamo subito. L'una è una giovane, che sotto i modi più raffinati lascia trasparire dal volto un non sappiamo che di selvaggio e di torbido da non rimanerne punto sicuro chi la considera. L'altra è una matrona maestosa e grave nei suoi portamenti, sulla cui fronte, tuttochè d'anni antica, pure verdeggia una freschezza così serena e così pura di ogni ruga da mettere di sè grande fidanza in chi le si accosta. Sono esse due ostinate rivali. Quella freme, minaccia sterminio e morte; e questa impavida sembra, che i fremiti le siano
E le minaccie una sonora ciancia,
Un lieve insulto di villana auretta
D'abbronzato guerriero su la guancia [1].
Tali si mostrano a fronte a fronte la morale dell'utilitarismo e dell'evoluzionismo seguita dalla scuola classica industriale e la morale della Chiesa osservata dai cattolici. In più articoli abbiamo confutati i sistemi della scuola suddetta; ora metteremo a faccia a faccia la teorica e la pratica di ambedue e vedremo di quanto la seconda vinca nella giostra la prima, benchè sia derisa e reietta dalla balda ed orgogliosa rivale.

I.

Studiamo in primo luogo le note caratteristiche della morale seguita dalla scuola citata, detta per istrazio scientifica, che burbanzosa si oppone alla morale professata dalla Chiesa cattolica. Da queste apparirà, se ella sia o no essenzialmente vera o falsa. Eccovele senz'altro in compendio. Cotesta morale è:
1.° L'effetto di un lavoro dell'uomo individuo. Difatti il capo della scuola fisiocratica ci dice: Volete conoscere le leggi della morale? Studiatele nelle leggi fisiche della natura e ne avrete un'ampia lezione. Non occorre cotesto studio, suggerisce il capo scuola della classica Adamo Smith, sono moralmente buone quelle azioni, che ci sono simpatiche, e perciò da imitarsi; per converso sono ree le antipatiche, e perciò da fuggirsi. A che, ci predica G. B. Say, pigliarsi la noia di apprendere la morale della teologia? Essa è del tutto inutile. Trattate nel mondo: là come in grande mercato si fa smercio della morale. Indi collo Smith grida la croce addosso a coloro, che consigliano di mettere l'educazione in mano dei preti. Osservate e sperimentate, ci ripete il De Molinari. Dalla osservazione e dalla esperienza fioriscono morale e diritto, e via di questo metro. In somma, secondo cotesti ed altri maestri l'uomo individuo deve formarsi tutto da sè la propria morale e seguirla nelle sue azioni.
2.° È morale sopravvegnente od avveniticcia all'uomo. Imperocchè, ognuno a spese del proprio studio dovendosi formare il suo codice delle leggi morali o coll'uno, o coll'altro dei mezzi su citati, ne consegue evidentemente, che cotal morale non rampolli dal principio intrinseco della propria coscienza, ma da fatti estrinseci, onde a mano a mano l'occhio osservatore dell'individuo la ricava. È simile a gioiello e ad ornamento, che si compera a contanti ritratti da piccoli risparmi per addobbarne la persona.
3.° È una forma di morale ad libitum. Niuno ignora quanto di forza abbiano le passioni nell'uomo. Supponete, che valga in costui la passione del piacere. Egli naturalmente si formerà una morale tutta in acconcio della sua rea tendenza. Dite altrettanto di chi fosse vinto dall'amore della pecunia, e di chi invece fosse tratto dall'ambizione. Osservate il vasaio: la forma, che sceglie, è appunto quella, che gli è più utile.
4.° È morale senza forza: non avendo alcun sostegno, che la regga, è come campata in aria. È proprio della legge, niuno lo ignora, che venga proclamata e sancita da un'autorità superiore, la quale leghi le volontà e ne esiga la osservanza. Ora nel caso nostro da quale autorità dipende la legge morale? Da quella dell'individuo, il quale come se l'è data, così può torsela od annullarla in quel modo, che chi ha il diritto o l'autorità d'imporre la legge, ha pur quello di abrogarla.
In conclusione cotesta morale scientifica non è una, non è stabile, non è comune a tutti gli uomini: essa è molteplice, variabile secondo i tempi, secondo i luoghi, secondo gl'individui, senza sostegno, senza possa. Tali sono le sue note caratteristiche. Il che porta seco la impossibilità di formare qualechessia codice di leggi morali. Cercate a vostro bell'agio, non lo troverete possibile in niuna guisa. Lo troverete tale negli individui? No: perchè ognuno come può foggiarsi, così può annientare la morale, che si è foggiata secondo il proprio capriccio. Lo troverete nella società? Neppure, perchè la morale sociale è un vivo riverbero della morale individuale del popolo, che nel presente supposto non ne professa alcuna stabilmente.
A questa medesima conclusione è venuta la sociologia moderna della quale ora si sono fatti discepoli gli addetti alla scuola classica di pubblica economia. Citiamo qui in pruova due riputati professori nostrali. Primo sia il Boccardo. Ecco come egli pone la questione.
«È l'attitudine in virtù della quale l'uomo discerne il bene dal male, una potenza istintiva ed innata posta in noi da un creatore, una facoltà, che ci consente di pronunciare giudizi assoluti indipendentemente e contro le ragioni dell'interesse e delle passioni? Oppure è dessa una facoltà acquisita come tutte le altre facoltà organiche dipendenti dall'uso di certe funzioni, divenuta istinto per trasmissione ereditaria, suscettibile di gradi e di educazione? La prima di queste sentenze è stata professata da Platone a Kant, da Cicerone a Buckle. Il mondo intellettuale, dice quest'ultimo, si perfeziona, ma il mondo morale non cammina; nessuna cosa ha mai subito minori cambiamenti di quei grandi dogmi, che compongono il sistema etico, fare il bene altrui; sacrificare al prossimo il proprio volere, frenare le passioni, onorare i maggiori....  — Ma un più accurato studio del grave problema ci addita quanto siano prive di fondamento coteste asserzioni, mostrandoci come il preteso oracolo soprannaturale ed arcano che ci parla nel senso morale e nella coscienza siasi venuto formando sotto l'influsso di cause agevoli a determinarsi; come esso ben lungi dall'essere assoluto ed invariabile muti coi tempi e coi paesi, colle razze e colla civiltà; come in sostanza la legge di evoluzione, che governa il dinamismo fisico e l'intellettuale, regni non meno sovrana del dinamismo morale [2].» Così il dotto professore. Il secondo sia il prof. R. Schiattarella, il quale, favellando della origine del diritto favella così: «La esperienza di tutti i secoli è là per attestarci, che il diritto nasce nel tempo, si effettua nel tempo, cammina col tempo, si sviluppa cioè coll'uomo, con i popoli, con la umanità, adattandosi a tutti i loro bisogni, e si differenzia con l'età, i gradi di coltura, i costumi, con tutto l'organismo fisico, intellettuale e morale degli individui e delle nazioni [3].» In somma è «il prodotto di una evoluzione più o meno lenta, ma sempre progressiva.» Fin qui il sig. professore. Cosicchè da ambidue gli autori di cotesti testi citati appare secondo le loro opinioni: la morale e il diritto essere cosa variabile più che la luna, perchè sempre l'una e l'altro pronti a variare secondo il capriccio umano.

II.

Tale si è la teorica scientifica della morale e del diritto qui descritta. Alla quale noi opponiamo di tratto il noto argomento adoperato dal Bossuet contro la Riforma, e prima di lui da Tertulliano contro qualunque errore ed è il seguente: «Tu sei varia; dunque sei falsa.» Cotesta morale e cotesto diritto scientifico, essendo di lor natura variabili, non possono essere in niun modo veri. Imperocchè la verità essendo immutabile, per essa non vi ha diversità di tempo, di luogo, di società, d'individui. Essa raggia sempre di pura luce ed i suoi principii, folgoreggiando sempre ad un modo, rimangono pure immutabili. Possono bensì venire offuscati dalla passione o dalla ignoranza, ma in sè stessi non mutano mai. Nel supposto della scienza moderna la umanità andrebbe sempre in cerca dei veri principii morali senza mai rinvenirli, divenuta balocco di un mobile e falso bagliore che cangia senza posa. Mostruoso assurdo, che contraddice alla somma sapienza ordinatrice dell'uomo.
Così argomentate? si ripiglia dai difensori di cotale scienza. Voi usate un linguaggio da medio evo, il cui tempo è passato. La scienza ormai si beffa delle sue semplicità. — Lo sappiamo: si credono essi inespugnabili fondati sull'argomento della induzione. Ma non si accorgono, o fingono di non accorgersi, che la loro induzione si affoga nelle ipotesi senza potere conchiudere alcun che di probabile. Tenendoci al sodo ci si permetta una domanda: stimate voi, che l'uomo sia opera di Dio creatore, o no? Intorno a questo punto non sono pienamente d'accordo: altri dubitano, ed altri negano. I primi rispondono: «Noi non abbiamo in dispregio la tradizione, che pone la creazione dell'uomo, ma non osiamo affermarla. Giacchè la origine della specie umana è cinta da sì folte tenebre, che niuna scienza varrà probabilmente mai a dissiparle [4].» Ebbene; dopo cotesta aperta confessione, che fanno, come argomentano? Non badando nè punto, nè poco al dubbio, in cui sono circa il principio dell'uomo, tirano innanzi con franco piè, come se gli uomini fossero spuntati quai funghi dal suolo. Indi te li presentano, in istato selvaggio o animalesco, e poi che è, che non è, dopo lunghi anni di un lento sviluppo te li fanno comparire nobilitati del dono della coscienza, del diritto e del dovere, creato in essi dalla osservazione e dalla esperienza.
Cotesti evoluzionisti si pensano, che la logica sia variabile, come la loro morale ed il loro diritto. Non è così: ella è inesorabile nelle sue conchiusioni. Essi non si avveggono, che il loro modo di argomentare 1.° è illogico: imperocchè posto in dubbio, se l'uomo sia stato creato, o no, non lice in buona logica favellare e conchiudere, come se non fosse stato creato. Da un fatto dubbio non può derivare un argomento valido e molto meno una conseguenza certa. 2.° è irrazionale: giacchè o gli uomini fino dal primo loro apparire aveano il senso morale, come voi dite, o no; se l'aveano, perchè non ne germogliarono subito i principii della moralità? Se non l'aveano era impossibile che spuntassero per opera della osservazione e della esperienza, in quella guisa che da un suolo mancante di radici o di semi, benchè irrorato, non è possibile che spunti alcun virgulto o fil d'erba; 3.° è contro il fatto. La esperienza ci dice, che i primi dettami della coscienza morale sono comuni a tutti gli uomini e di ciò si ha la prova nei barbari stessi, in cui paiono spenti. Giacchè alla parola del missionario rifulgono, qual bragia semispenta si ravviva e splende al soffio dell'uomo. Or come potrebbe ciò accadere, se i principii predicati e da loro percepiti non corrispondessero all'intima loro coscienza, indipendenti da qualunque osservazione ed esperienza estrinseca?

III.

I secondi, negata l'opera del creatore, dicono e sostengono, che la coscienza coi suoi dettami non è una facoltà naturale dell'uomo, ma una facoltà acquisita alla maniera di altre facoltà organiche, e perciò di sua natura variabile siccome cosa avveniticcia. Essi muovono dal principio, che fra l'attività della vita animalesca e l'attività della vita intellettiva corra il solo divario di grado e che quindi nel fatto sieno della medesima natura. E siccome gli animali sono governati nelle loro azioni dalle sensazioni cagionate dagli oggetti estrinseci in rapporto col loro istinto; così l'uomo nel suo operare intelligente è condotto o retto dalle sensazioni venute ab estrinseco in quanto che si riferiscono alla facoltà morale da lui acquisita, divenuta istinto. Così affermano. Difatti eccovi la genesi dell'etica umana secondo il loro sistema, quale ci vien data in compendio dal prof. Boccardo:
«Le predisposizioni organiche preparano le facoltà, che debbono esercitare il senso morale (acquisito). Le necessità create dalle condizioni dell'ambiente mettono in azione coteste facoltà. La utilità sociale da una parte suscita ed informa la pubblica opinione, dalla quale sono giudicate le azioni, mentre dall'altra la simpatia infonde nelle azioni lo spirito animatore. Le repressioni legali, religiose e le discipline educative imprimono colle loro sanzioni l'indirizzo alla coscienza e generano ed evolvono le nozioni del dovere. Ma al di sopra di questi fattori domina e campeggia l'eredità, mercè della quale la costante ripetizione di un atto trasforma in istinto, in azione automatica una tendenza dapprima occasionale ed accidentale [5].» La conseguenza di questa genesi è la soluzione in senso affermativo della seconda parte della quistione qui su proposta. Imperocchè tutti i fattori di cotesta genesi dal primo all'ultimo essendo di loro natura variabili, secondo gl'individui, secondo i tempi, secondo i luoghi, secondo le società, debbono essere variabili anche gli istinti ingenerati coi loro dettami etici o morali.
Giova in prima osservare, che la genesi recata è un impasto di più sistemi. Vi è una grossa manata di utilitarismo del Quesnay; vi è un buon pugno di simpatia di A. Smith; vi è un largo pizzico di utilitarismo e di materialismo del Say, ed è coronato il tutto dalla fulgida aureola dell'evoluzionismo e del trasformismo.
Secondo cotesta scienza si afferma, che tra l'animale e l'uomo vi è la differenza di grado, come tra il meno il più. Noi, attenendoci strettamente al nostro argomento dell'etica, affermiamo per l'opposto, che nel divario o nella differenza, che corre tra l'attività animalesca e l'attività intellettiva dell'uomo, non vi ha una semplice differenza di grado, ma di natura. Si considerino di grazia gli atti che filano da coteste due attività. Al primo sguardo voi vi avvedete, che essi sono essenzialmente diversi: giacchè quei della prima rispondono alle percezioni dei sensi, nè si levano più su di un sol capello, quelli invece dell'altra si sollevano sul mondo sensitivo, astraggono, spiritualizzano ed universaleggiano e indi ragionando conchiudono indipendentemente dai sensi. Breve: l'oggetto dell'attività animalesca è il particolare, quello della attività intellettiva è l'universale. Or gli atti seguendo l'essere, ne consegue che l'attività animalesca sia di origine essenzialmente diversa da quella dell'attività intellettiva, e che perciò non vi abbia solo diversità di grado, ma di sostanza tra le due attività, ossia che fra l'animale e l'uomo vi abbia differenza di natura. Eppure l'evoluzionista si dà il vanto «di avere dimostrato con tutto il massimo rigore scientifico, che non esiste l'abisso immaginato tra il mondo intellettuale dell'uomo, ed il mondo reale di tutta la restante natura.» Di maniera che ormai sia divenuto postulato della sociologia, «che i fenomeni della intelligenza se presentano nell'uomo il loro più completo sviluppo, appartengono però in gradi differenti alle specie animali inferiori, arrivando nell'uomo civile alla loro più alta espressione in virtù di quelle leggi generali della concorrenza vitale della cernita e della eredità, che imperano su tutto il mondo vivente [6].» Ed affinchè tu non tenga in piccolo conto cosiffatta cernita, cosiffatta eredità, ti fa sapere, che alla natura è costato il faticosissimo lavorìo di evoluzioni e di trasformazioni di migliaia di anni. A questo prezzo essa alla perfine giunse all'acquisto di un filo di luce intellettuale, ma confessa in pari tempo «che non è possibile dire il punto» in cui è accaduto cotanto fenomeno di tramutazione. O qui sì Dante, a fronte di metamorfosi così mirabili seriamente affermate, canterebbe berteggiando:
Taccia Lucano ormai là dove tocca
Del misero Sabello e di Nassidio
E attenda ad udir quel che or si scocca.
Taccia di Cadmo e di Aretusa Ovidio:
Che se quello in serpente e questa in fonte
Converte poetando, io non l'invidio [7].
In vero non sono gli evoluzionisti da invidiare per la stupenda idea della trasformazione dell'animale in uomo. La loro scienza batte del capo in un massiccio assurdo. Modificate in cento maniere un minerale; è egli possibile, che divenga un vegetale, un fiore, un fil d'erba? Nè punto, nè poco per la semplice ragione, che l'attività del minerale non è l'attività del vegetale. Nel supposto contrario si avrebbe, che l'essere vegetale possa germinare dal non essere vegetale, e che il non essere vegetale, cioè il minerale, dia al mondo l'essere vegetale. Il che si riduce al marchiano assurdo, che l'essere abbia vita dal non essere. Si applichi questo discorso all'animale in confronto dell'uomo: se l'essere uomo, ossia l'essere intellettivo, spirituale spuntasse comechessia dall'essere animale per forza di trasmutazioni, ti si presenterebbe un essere intellettivo spirituale figliato da un essere corporeo non intellettivo, che è quanto dire l'essere dal non essere. Contro di cotesto stupendo fenomeno in evoluzionismo fanno strepitoso richiamo il principio d'identità, il principio di contraddizione, il principio di causalità. La nobile dottrina dell'evoluzionismo, non altrimenti che la derisa alchimia, si argomenta di trarre l'oro dallo zolfo e l'argento dal mercurio, come in un suo discorso dicea e provava un dottissimo naturalista [8]. Ed eccovi colla dottrina della impossibile ed assurda trasformazione dell'essere animale a grado a grado nell'essere umano cader ruinata quella pure, che afferma i principii etici, onde si governa l'uomo, essere opera dell'ambiente, di una immaginata eredità o di qualsiasi altro agente estrinseco. No: essi hanno la loro radice nella virtù intellettiva umana, e secondo essi ogni individuo liberamente si governa nel suo operare, mentre l'animale è governato dal proprio istinto [9].

IV.

Sia come voi dite, ripigliano gli evoluzionisti, ma il vostro discorso non suffraga punto la vostra opinione, che i dettami della morale scaturiscano da una intrinseca facoltà. Difatti non vedete, come i principii di moralità seguiti siano stati diversi e siano tali anche al presente secondo i popoli, gl'individui, le società ed altre circostanze? Se avessero la loro scaturigine ab intrinseco, sarebbero osservati egualmente in tutto il mondo. — I signori evoluzionisti hanno bensì studiato profondamente tutte le razze animalesche, ma non hanno fatto altrettanto rispetto all'uomo. Qui ci si affacciano due quistioni. È egli possibile fare acquisto della facoltà morale? E se non è possibile, come si spiega la diversità dei principii morali oppostaci dagli evoluzionisti?
Dilucidiamole. Per ciò, che spetta alla prima, una facoltà si può considerare sotto due rispetti: o subiettivamente, vale a dire in quanto esiste nell'uomo, ovvero oggettivamente, vale a dire, in quanto si riferisce all'oggetto in rapporto colla medesima. Esiste cotale facoltà di fatto nell'uomo? Bene. Non esiste? È impossibile l'acquisto. Quel matematico, che insegna ai suoi alunni la propria scienza, che si propone egli in cosiffatto lavoro? Non altro che questo, cioè, che i suoi discepoli apprendano i teoremi della matematica e si formino di essi un capitale scientifico in capo. Or il verbo apprendere suppone, che negli alunni esista una facoltà fornita di tale virtù che valga ad apprendere od afferrare ed appropriarsi l'insegnamento del professore. Fate che non esista cotesta facoltà in essi. Il povero matematico canterebbe ai sordi in perpetuo. L'uomo così nell'ordine fisico, come nell'ordine intellettivo, non ha la potenza di creare, ma soltanto quella di modificare la materia, e di esplicare coll'insegnamento della scienza la facoltà o la virtù conoscitiva dell'uomo. Si applichi questo discorso al caso della facoltà morale. Le leggi e gli educatori suppongono, e debbono necessariamente supporre, che nell'uomo esista la facoltà morale o la coscienza del bene e del male capace di apprendere e di ampliare il proprio conoscimento della scienza in quistione. Giacchè se non esistesse, mancando nei legislatori e negli educatori la potenza creatrice, le loro leggi e i loro insegnamenti sarebbero parole gittate al vento. — Passiamo alla seconda quistione. L'uomo tende naturalmente al bene ed alla felicità da conseguirsi per mezzo della giustizia e della onestà, o coll'esercizio della virtù, che torna ad un medesimo, come abbiamo dimostrato altrove. Ma l'uomo è libero, e quindi accade, che adescato da cieche passioni devii da coteste norme regolatrici delle sue azioni, correndo dietro al bagliore di un falso bene. E siccome difatto egli se ne diparte con moto più o meno lontano e sotto cento e più rispetti; così abbiamo i fenomeni delle molteplici maniere di falsati principii morali, quali si veggono nel mondo.
Non intendiamo di negare, che la educazione, la legge, l'esempio e le opinioni, che hanno corso nelle società, non operino sugli animi coi loro influssi secondo la loro buona o rea qualità morale. Sì: operano, ma non a modo di cause producenti nell'uomo un istinto od una facoltà morale necessitante. Se vi è gente al mondo, in cui per la ripetizione d'innumerevoli atti e di una crescente eredità di secoli sarebbesi dovuto formare un istinto ferreo, o facoltà indomita di morale imbestiata, sono per fermo i selvaggi. Ebbene fate, che la parola del missionario predichi loro i dettami di giustizia e di onestà; voi li vedrete scuotersi come da un profondo letargo, comprenderli, e vergognando del proprio imbrutimento, conformarvi il loro operare. Donde cotesto mirabile tramutamento? Non dal timore per la potenza del missionario, che non ne ha punto; ma dalla coscienza, che ridestatasi alla voce del missionario risponde in essi, qual fibra toccata, ai dettami di giustizia e di onestà predicati. Le tribù dei Piedi-neri, dei Cuori di lesine, dei Corvi e di altrettali, che terribili ai bianchi scorazzavano, non molti anni fa, a modo di bestie, nelle selve dei monti rocciosi, oggi rendono testimonianza alla verità del nostro asserto. Indi è lecito conchiudere, che la facoltà morale, o la coscienza non è facoltà acquisita, ma intrinseca e naturale all'uomo; che l'istinto necessitante è una favola; e che l'uomo ha l'uso della libertà in sua mano in modo da poterlo volgere a suo grado contro ciò che affermano gli evoluzionisti.

V.

A cosiffatta loro teorica circa la morale risponde a capello la pratica. Il primo postulato della pratica evoluzionista si è un totale sbandeggiamento di Dio dal mondo. A qual pro un Deus ex machina? «I progressi delle scienze avvezzano la mente a spiegare l'ordine dell'Universo senza dovervi ricorrere, e l'intelletto comincia a dire per bocca dei pensatori con Laplace: Je n'ai pas besoin de cette hypothèse [10].» Ondechè la provvidenza ordinatrice e reggitrice dell'uomo e degli esseri, che lo circondano, «può ancora essere un dogma religioso, ma non ha più posto nel dominio scientifico e pratico [11].» Tutto al più «lo Spencer, ed esplicitamente l'insigne suo discepolo Fiske, avendo provato, che al disopra del finito conoscibile vi è un infinito inconoscibile, questo potrà formare l'oggetto di una aspirazione religiosa per l'anima umana [12].» La conclusione si è alla fine non esserci più bisogno di Dio, e potersi concedere, che si metta tra gl'ideali incogniti, a cui l'anima umana possa devotamente aspirare quanto le aggrada. L'ateismo non potrebbe essere più smaccato!
Posto il principio dell'ateismo insegnato dalla evoluzione, qual'è la condizione pratica dell'uomo individuo? Quella del disordine! Tolto Dio, manca all'uomo il fine degno di lui, e senza fine non vi è ordine. Di che, in mezzo ad un mondo di esseri tutti ordinatissimi nei loro movimenti e nelle loro operazioni, l'uomo solo sarebbe nell'assurda condizione di essere non ordinato. — Direte forse, che egli è ordinato alla felicità, a cui tende? Ma tolto Dio sommo bene, in cui solo ogni desio è sazio, la felicità cercata dall'uomo non può essere altra da quella che danno le cose materiali che lo circondano. Or coteste cose essendo tutte di un ordine sostanzialmente a lui inferiore, eccovi la conseguenza: avrete l'essere di ordine superiore ordinato a quello di ordine inferiore. Qual disordine più spiccato di questo? — Voi asserite che da più fonti estrinseci rampollano nell'uomo le regole di morale: altre fino dal nascere gli vengono in retaggio dai suoi maggiori, di altre gli è cortese l'ambiente, e non poche gli sono innestate dalla educazione o da quale che siasi altra causa. Sia come voi dite. In questo supposto o egli non può disciorsene, ed è necessitato alla sommessione, e in tal caso la sua libertà ne sarebbe ita; ovvero dite, che egli rimane libero, ed allora il suo capriccio diviene la norma del suo operare. Or il capriccio non dice ordine, ma disordine.
No: l'uomo non è disordinato: il vostro sistema lo rende tale con alta offesa della natura. Egli nasce, ed eccovi spuntare in lui e nei genitori diritti e doveri mutui, alla cui osservanza stimola e forte inchina la stessa natura. Ma egli ha pure la necessità per la sua propria educazione e per soddisfare ai suoi bisogni di vivere in consorzio con altri uomini, ed eccovi da cotesta necessaria convivenza germogliare altri mutui diritti ed altri mutui doveri. Toglietegli Dio, ed il disordine è la sua condizione. A chi dovrà render conto della osservanza di cotesti suoi obblighi? A nessuno. Esso dipenderà dal suo libito disordinato. Vi sono le leggi penali, soggiungete. Bene: in questa supposizione, sapete a chi sarebbe simile l'uomo? A quella bestia da soma, che, mostrandosi restia alla voce del suo padrone, vi è soggettata a suon di busse. Peggiore disordine di questo non si può immaginare. Insomma la condizione dell'uomo individuo, offertaci dalla evoluzione, sotto quale si voglia guardatura venga osservata, è il disordine in petto e persona, e per ciò intrinsecamente irrazionale.
Così rispetto all'uomo considerato come essere individuo. Nè la bisogna va meglio studiato in società. L'uomo, che non volge l'occhio al cielo e a Dio, lo volge alla terra, lo volge ai beni che essa offre e si adopera con tutto lo sforzo dell'anima a ritrarne per sè il più grande utile, che gli venga fatto. E perciò in una società di evoluzionisti, forniti di una coscienza ad libitum, il giuoco dei singoli sarà quello di arraffarne in suo vantaggio la maggior massa possibile. Di che il più schietto egoismo vi dominerà sovrano, avente a sostegno e a difesa il principio seguito, qual legge universale dagli economisti della evoluzione, cioè, economia di forza e concorrenza [13]. Principio, che si traduce in questo volgare: guadagnar molto e spendere poco, vincere della mano i rivali e, se venga fatto, schiacciarli. Indi le soverchierie usate in più modi a danno degli operai, indi i frequenti inganni nelle produzioni, indi le molteplici frodi su i mercati, indi tanti altri malanni finanziarii, che essendo cogniti è qui inutile farne la enumerazione. In forza di questo giuoco accade, che le ricchezze si accumulino in mano dei più destri, dei più furbi, dei più forti in capitali e che, essendo limitate le loro fonti, moltissimi ne rimangano digiuni e condannati per giunta ad una continua fatica per guadagnarsi la vita. Con quale occhio cotesti guarderanno l'abbondanza, il lusso dei fortunati? Lo dimandate? Con quello di tanti cani affamati, i quali si arruffano e ringhiano contro i compagni, che più validi e più pronti si sono impadroniti dell'osso desiderato. A poco a poco le ire si accendono e s'infiammano nei loro petti, ed avete il socialismo, il nichilismo, l'anarchismo e da questo i Ravachol, i Vaillant, i Caserio quai precursori di più terribili guai.
Al fosco lume di questi fatti vengano ora gli Spencer, i Fiske ed altrettali scrittori di evoluzionismo, e ci dicano pure e ripetano, che «il progresso sociale consiste nell'organizzare e consolidare nelle succedentesi generazioni le esperienze di utilità per guisa da determinare un continuo perfezionamento dell'intuito morale,» mercè la cui opera e quella della eredità morale si avrà «il progressivo affievolirsi dell'egoismo ed il progressivo svilupparsi della opposta qualità, che Comte e Littrè hanno chiamato altruismo [14].» Noi per risposta additeremo gl'indizii di cotesto altruismo in quell'odio accanito delle classi povere contro la doviziosa, odio minacciante alla società la ruina estrema. Che se questo non è accaduto, si dee sapere grado e grazia, sapete a chi? A quella vecchia morale del buon Dio, che è dagli evoluzionisti a nome della scienza schernita e reietta, la cui credenza per buona sorte campeggia ancora in mezzo alle nostre popolazioni. Del cui valore individuale e sociale parleremo, a Dio piacendo, in un altro articolo.
[CONTINUA]


Di fatto in America come al sud così anche al nord, i missionari cattolici trovarono popolazioni bensì selvagge e dedite all'idolatria, ma anche assai disponibili a convertirsi alla vera religione ed a riformare i loro costumi; si veda ad es. la testimonianza del padre Lacombe O.M.I., apostolo tra i Piedi Neri.
Tuttavia le forze anticristiane non rimasero inattive; si legge infatti già negli Annali della Propagazione della Fede del 1871:
«Il P. Lacombe termina la sua lettera con alcune lagrimevoli riflessioni intorno la funesta influenza che sopra i paesani produce il commercio dei bianchi. Costoro, colla pretensione di recar loro la civiltà non recano il più delle volte a questi poverelli, fuorchè un’aggiunta di vizj, ed istrumenti per servirli. Coll’insaziabile loro cupidigia, esauriscono le produzioni del paese, e costringono le famiglie, prima a ritirarsi, poi a morire d’inopia. I vecchi fra i selvaggi van di continuo ripetendo, che oggi sono più miseri, che le guerre sono più micidiali, che gli animali loro diminuiscono in modo spaventevole, per effetto della necessità in cui si trovano di pagare con pellicce gli strumenti che sono ad essi venduti. L’inverno scorso, nello spazio di quattro mesi, tra il posto di Carlton ed il Forte della Montagna (distanza di 550 miglia), più di trentamila bufoli sono stati uccisi, e più della metà erano femmine, le sole, le cui pelli siano valutate, quali pellicce.
«Poichè le cose sono giunte a questo punto, continua il P. Lacombe, che torna impossibile d’attraversare il moto che conduce forestieri in mezzo a’ selvaggi, piacesse al cielo, che gl’Indiani ottenessero dalle autorità dei luoghi una protezione particolare. Il mio parere, ch’io do, non come incontestabile, ma come quello d’un missionario, il quale passò lunghi anni coi popoli di cui difende la causa, ed il quale conosce i loro costumi, la maniera di vivere ed il carattere; il mio parere è, che non si dovrebbe permettere se non ad una sola compagnia di mercanti, di trattare con essi, e di lasciare d’altronde piena libertà ai missionarj. Io dico, che i nostri selvaggi dell’America del Norte non sono atti a ricevere un intero incivilimento, quale almeno l’intendono coloro, i quali l’offrono ad essi, fuori della vera religione. Il selvaggio, nelle condizioni d’esistenza in cui sta, è capace di conoscere il vero Dio, i dogmi e la morale della religione cristiana, che per altro è la sola vera civiltà. Ma, il ripeto ancora, nell’ordine puramente umano, non è capace se non di mezza civiltà, ed inoltre conviene che la riceva da quelli che guidati non sono da veruna combinazione commerciale, ma unicamente dall’interesse dell’umanità.» N.d.R.

NOTE:

[1] Monti, Bassv. v., C. 3.
[2] L'animale e l'uomo. Fondamenti dottrinali e metodici della moderna sociologia nelle sue relazioni colle scienze biologiche, economiche e statistiche. Saggio filosofico del professore Gerolamo Boccardo senatore V. vol. VII, p. 1, Ser. 3. Biblioteca dell'Econ. p. LXXXIV.
[3] La filosofia positiva e gli ultimi economisti inglesi, P. II, Sez. II, p. 169.
[4] L'origine de l'espèce humaine est enveloppée de nuages que la science ne parviendra probablement jamais à dissiper... Le système de la création, qui s'appuie d'ailleurs sur les traditions religieuses de tous les peuples semble donc destiné à demeurer seul debout. Journal des Economistes, livr. dec. 1894, art. 1.
[5] Disc. cit.
[6] Discorso citato.
[7] Inferno, c. XXV.
[8] Cf. Ultima critica di Ausonio Franchi, P. III n. 645 e segg.
[9] Vedi la genesi dei principii morali nella Civ. Catt. quad. 1060 pagine 418 e segg.
[10] Discorso cit. pag. LXXV.
[11] Loc. cit. pag. XLVII.
[12] Loc. cit. pag. LXXVI.
[13] Cf. De Molinari, Notions fondamentales d'économie politique. ch. I.
[14] Discorso cit. pag. LXXXIX.