R.P. Giovanni Perrone d.C.d.G.
Da: L'idea cristiana della Chiesa avverata nel Cattolicismo, Genova 1862, pag. 129-150.
CAPO VI.
G. C. volle la Chiesa sua eminentemente monarchica come re.
L'Uomo-Dio fu, com'è, vero re e re supremo del cielo e della terra quali naturale figlio di Dio per la divina incarnazione. La sua monarchia sola è rigorosamente universale ed eterna. Le sacre Scritture in cento luoghi ve lo denominano, e gli attribuiscono un regno su tutto l'universo non mai perituro per tutti i secoli. Lo fanno arbitro supremo dei re della terra e delle monarchie tutte delle quali egli dispone con pieno potere a bene e gloria del regno suo, che è la Chiesa.Diamo anche di questo vero una qualche pruova. Lasciando il vaticinio di Giacobbe nel quale si promette il Messia denominato Scilò che secondo più ebraizzanti, e la versione greca alessandrina significa quello a cui è riservato il regno [1] e per cui dagli ebrei medesimi vien chiamato il Re Messia [2]; re viene spesse volte chiamato nei Salmi; per esempio nel Salmo II dove in persona di Cristo si dice: — Ma io da lui sono stato costituito re sopra Sionne — così in tutto il Salmo XLIV, nel Salmo LXXI e altrove. Come pure Geremia di lui predisse: — Io susciterò a Davidde un Germe giusto, e regnerà come re e sarà sapiente [3] — così Zaccaria: — Ecco che viene a te il tuo re giusto e salvatore [4] — Non altrimenti nel nuovo Testamento troviamo, essere stato decorato il divin Redentore di questo titolo, ed ora venne chiamato Re de' Giudei [5] — ora Re d'Israele [6] — Cristo stesso confessò a Pilato che era re [7] — Si attribuisce eziandio questo titolo là ove parlando del giudizio estremo afferma che — Allora il Re dirà a quei che saranno alla sua destra [8]. —
Nè solo il titolo, ma il potere che a tal regia dignità si addice, il regno, l'ampiezza e la perpetuità di questo regno le Scritture a Cristo attribuiscono. Dopo le riferite parole del Salmo II si prosiegue: — Chiedimi, e io ti darò in tuo retaggio le genti, e in tuo dominio gli ultimi confini del mondo [9] — Daniele poi così di questo regno pronunzia: — Ma nel tempo di quei reami farà sorgere il Dio del Cielo un regno, che non sarà disciolto in eterno: e il regno di lui non passerà ad altra nazione... ed esso sarà immobile in eterno [10] — E poco appresso soggiunge: — Io stava osservando nella visione notturna, ed ecco colle nubi del Cielo venire come figliuolo dell'uomo, ed ei si avanzò fino all'antico de' giorni: e lo presentarono al cospetto di lui. Ed ei gli diede potestà, onore e regno: e tutti i popoli, tribù e lingue a lui serviranno: la potestà di lui è potestà eterna, che non gli sarà tolta, e il regno di lui è incorruttibile [11] — Conforme a questi vaticinii l'angelo annunziator della Vergine, disse che il regno del nascituro figliuolo non avrà fine giammai [12]. Cristo finalmente dopo il glorioso suo risorgimento disse ai suoi apostoli: — A me è stata data ogni potestà in cielo ed in terra [13]. — Quindi nella divina Apocalisse vien detto — Principe dei re della terra [14] — sulla cui veste, e sul cui fianco sta scritto — Re de' regi e signore di quei che imperano [15]. —
Egli è adunque fuor di ogni contestazione, che Cristo sia vero re, e re supremo su tutto l'universo in perpetuo. Noi qui non ci faremo a ricercare intorno alla natura di questo regno, cioè se non solo sia spirituale ma eziandio temporale. Questione che poco rilieva al nostro intento e intorno alla quale si sono occupati sommi teologi [16]; come pure dell'altra questione no[n] ci occuperemo, se questa dignità di re a lui competa come Dio, ovvero in quanto è uomo; noi la abbiamo tolta di mezzo con dire essere egli re supremo come Dio-Uomo, e però in ragione di sua persona umanata, come Dio-Uomo. Niun negherà che sotto questo rispetto abbia egli siccome re supremo ed eterno ogni potere in qualunque ordine di cose.
Tuttavia suo regno in peculiar modo è la Chiesa qual egli regge e governa qual supremo monarca, provede, difende, e al quale fa convergere come a lui piace gli umani eventi. Quivi egli è il solo re, indipendente, assoluto. Volendo egli pertanto perpetuare sè stesso nella sua Chiesa, qual manifestamento e compimento assieme di sua incarnazione, quindi è che egli la volle costituire sotto la forma monarchica in cui un solo fosse dotato del poter supremo, e dal quale tutti senza eccezione dipendessero, ed al quale tutti ubbidissero in tutto che si attiene al bene delle anime pel quale l'ha istituita. Volle che quest'uno reggesse e governasse questa sua Chiesa visibile, o regno che vogliam chiamarlo, come suo vicario e rappresentante. A questo fine lo munì di ampiissimi poteri, di quella eccelsissima autorità che a sostenere le veci dell'Uomo-Dio si richieggono.
Nel sottrarsi G. C. colla sua corporale presenza da questo suo regno, o Chiesa visibile la provide per conseguente nella persona di questo suo vicario di un capo visibile per prolungare in tal guisa la presenza sua visibile nel mondo fino agli ultimi giorni. Or tale scelta cadde sopra s. Pietro, e su tutti i legittimi successori suoi finchè durerà questo suo regno sopra la terra. Per ciò a Pietro e nella persona di lui a tutta la futura serie di quei che gli dovrebbero succedere, conferì la supremazia su tutta la Chiesa con quelle solenni parole: — Beato sei tu Simone figlio di Giona: perchè non la carne e il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio, che è ne' cieli. E io dico a te, che tu sei, Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno non avran forza contro di lei. E a te io darò le chiavi del regno de' cieli: e qualunque cosa avrai legato sopra la terra, sarà legata anche nei cieli: e qualunque cosa avrai sciolta sopra la terra, sarà sciolta anche ne' cieli [17]. — Ora è ad osservarsi, come Cristo spieghi il mistero ascoso nel nome di Pietro, significando come si notò da s. Cirillo e dagli altri Padri tutti, che sopra di lui, come sopra fermissima e saldissima pietra avrebbe innalzata la sua Chiesa. Inoltre per il simbolo delle chiavi aperto espose e dichiarò la suprema autorità e potestà di governare, com'era ricevuto presso tutte le nazioni dell'antichità, e ne abbiamo un documento presso Isaia, il quale volendo significare il supremo potere che Dio avrebbe conferito ad Eliacim coll'innalzarlo al sommo pontificato si servì di questo simbolo delle chiavi poste sui di lui omeri quale insegna di sua investitura, come allora era costume, con dire: — E porrò sull'omero di lui la chiave della casa di David, e aprirà, nè altri potrà chiudere, e chiuderà, nè altri potrà aprire [18] — Queste ultime parole disvelano il valore del simbolo, che è la potestà suprema ed assoluta di esso pontefice. Ond'è che di Cristo pontefice della nuova legge, si dice nell'Apocalisse che egli — ha la chiave di David, e apre e nessuno chiude, chiude e nessuno apre [19]. —
Siccome poi Cristo al nome e alla dignità di re congiunse in sè la sollecitudine e la denominazione di pastore, come egli stesso in più luoghi si appella dicendo: io sono il buon pastore, che do la mia vita per le mie pecorelle, così al suo vicario in cui egli continuar voleva a governare e pascere il suo gregge, commise sotto l'emblema o tipo di pastore l'uffizio e l'autorità di governare la Chiesa sua. Imperocchè dopo di averlo richiesto per ben tre volte, se egli lo amasse, a ciascuna risposta affermativa gli disse: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle [20], ossia pasci e governa con suprema potestà tutto il mio gregge, cioè tutta la Chiesa mia; non già solo questa o quella parte, ma la Chiesa universale, la quale si costituisce da tutti i greggi particolari o parziali coi loro rispettivi pastori. L'autorità pertanto di Pietro e però de' suoi successori si stende non solo sopra i fedeli, ma eziandio sui pastori loro perchè a Pietro subordinati, o tolti ad uno ad uno, ovvero tutti assieme, tanto dispersi quanto riuniti, poichè in qualsivoglia modo son sempre quel grande e intiero ovile commesso con suprema potestà a Pietro, perchè il regga e governi.
Potrei avvalorar questo vero colle testimonianze e coi fatti di tutta l'antichità ecclesiastica, dappoichè i Padri tutti all'unisono convengono in affermare che a Pietro venne commesso il governo di tutta la Chiesa di G. C. Dotti ed eruditi autori han fatto tesoro a dovizia di queste testimonianze [21]. Non essendo nostro scopo di dare in questa trattazione un'opera di Teologia, ci contenteremo a saggio di recarne l'una o l'altra. S. Cipriano — Pietro, scrive, al quale il Signore commise il pascere e difendere le sue pecorelle, sopra cui pose e fondò la Chiesa [22] — e così altrove più volte lo stesso ripete e inculca. È notissimo il testo di s. Ireneo anteriore a Cipriano col quale dimostra la necessità, che correa tutti indistintamente di essere in comunione e sommissione al successore di Pietro, che vogliono appartenere alla Chiesa di G. C. [23]. S. Gio. Crisostomo esponendo questo tratto di Vangelo che abbiam tra le mani, dà la ragione perchè il Salvatore, tralasciati gli altri apostoli che erano seco lui, indirizzasse al solo Pietro questo discorso del pascere il suo gregge, ed è perchè Pietro era l'esimio tra gli apostoli, la bocca de' discepoli, e capo di quel ceto; volle inoltre commettere ad esso la prefettura dei fratelli, cioè dagli apostoli; e ad una difficoltà che si propone: perchè dunque Giacomo prese il trono, ossia la sede di Gerosolima? Risponde: — che Pietro è stato costituito da Cristo non già dottore di questa sede, ma di tutto il mondo [24] — Dice poi essere stato Pietro costituito dottore di tutto il mondo alludendo alla parola pascere che qui ha forza d'insegnare, e d'insegnare con autorità.
Rispetto poi ai fatti, son questi luminosissimi, poichè se si studia con attenzione la storia ecclesiastica, si conoscerà agevolmente come il pontificato romano, qual cattedra di Pietro permanente, ne sia come l'anima e il centro dal quale il tutto dimane e ad esso si converge. Non vi ha evento alquanto importante e rimarchevole che non si leghi con quella sede. Da essa tutto dipende o in un modo o nell'altro. La fondazione delle sedi principali, le convocazioni dei concilii, la loro presidenza e confermazione, e quindi l'autorità. La condanna delle eresie e degli errori, le appellazioni da tutte le Chiese sparse nell'universo; l'apostolato presso tutte le nazioni infedeli, e altrettali avvenimenti. Cominciando da s. Clemente romano che esercita il suo primato sulla Chiesa di Corinto, vivente tuttora s. Giovanni evangelista, fino a' nostri dì, una sempre è la catena dei fatti che si legano, e si inanellano gli uni dopo gli altri con questa cattedra principale, come la denominavano i santi Ireneo e Cipriano. Veggiamo come negli stessi concilii ecumenici ad una voce i vescovi esclamano: Pietro ha parlato per la bocca di Leone, per quella di Agatone, e così degli altri. Tanto è vero che questa somma autorità di Pietro è stata mai sempre considerata come vivente nella persona dei suoi successori, altramente dar ragione non si potria di questa continuata azione di supremo potere nei vescovi di Roma.
Come poi ottimamente si associno nella persona del divin Salvatore e in quella del suo vicario la dignità di re e l'autorità ed uffizio di pastore si ha non meno dalla Scrittura della quale è originalmente questo concetto dell'uso promiscuo delle voci di re e di pastore a significare l'autorità suprema nel reggimento de' popoli, ma ancora dell'antichità profana. Nella Bibbia è frequente questo scambio, o meglio, accoppiamento di titolo e di autorità di re e di pastore. Essendo venute le israelitiche tribù di comune consenso a sottomettersi allo scettro di David in Hebron, dissero al medesimo: — Il Signore ha detto a te: Tu sarai pastore del popolo mio d'Israele, e tu sarai condottiero d'Israele [25] — E allorchè si sollevarono le dieci tribù contro Roboamo si servirono di queste espressioni: — Torna alle tue tende, o Israele, e tu o David pasci (ossia governa) la tua casa [26] — Nelle quali parole è aperto l'uso scambievole del pascere e del governare, del pastore e del re. E di Cristo predisse Dio pel profeta Ezechiele: — E susciterò ad esse l'unico pastore che le governi, Davidde mio servo: egli le pascerà, ed io sarò il loro pastore. Ed io il Signore sarò loro Dio e il mio servo Davidde sarà principe in mezzo di esse [27] — Lo stesso divin Redentore è denominato il principe de' pastori [28] — Tralascio per brevità di ben molti altri luoghi della Scrittura nella quale torna spesso in campo la medesima idea.
Per simil modo troviamo nell'antichità profana, specialmente presso i Greci, che comune era ai monarchi la denominazione di re e di pastori. Quindi fu osservato da Filone, che in Omero quelli stessi si chiamano re de' popoli e pastori de' popoli [29]. Clemente Alessandrino poi nei suoi Stromati scrive: — essere la scienza pastorizia una cotal previa esercitazione del regno, qualor abbia alcuno ad essere preposto al mansuetissimo gregge degli uomini, come è una preparazione dell'arte bellica l'esercizio del cacciare [30] — perchè secondo l'avviso degli antichi saggi, quegli che è valente nell'arte pastorizia può addivenire un ottimo re [31].
Ripigliamo ora il filo del nostro discorso all'intento propostoci. Cristo è re, monarca supremo, e supremo pastore il quale non ha competente [= rivale, N.d.R.] di alcuna sorta, ma regge, governa con piena indipendenza il regno da sè costituito che è la Chiesa sua, pasce con suprema potestà qual sommo pastore l'intiero suo gregge. Ora per essere egli salito al cielo, non perciò ha tralasciato, o tralascia di governare il regno suo, come non ha tralasciato di pascere tutta la sua greggia. Se non che in quanto spetta alla direzione e andamento delle cose, e indirizzo degli umani eventi, all'interno lavoro nell'anime e nei cuori de' suoi sudditi e figli coi doni della sua grazia, delle sue ispirazioni, il fa da sè invisibilmente, essendo questo un lavoro arcano tra Dio e l'anima di ciascuno. Ma per quel che concerne l'amministrazione e il reggimento della visibile sua Chiesa o del visibile suo regno il fa per mezzo del suo vicario, che ha lasciato qual sommo pontefice, qual monarca supremo e qual supremo pastore investito del suo potere medesimo per adempiere quanto era necessario, utile ed espediente al buon andamento e governo di questo suo regno, o di questa sua Chiesa. Or questi, come abbiam veduto, altro non è che il principe degli apostoli s. Pietro e chi ad esso per divina sua disposizione a mano a mano succede, cioè il vescovo di Roma, il pontefice romano.
S. Pietro adunque è il legittimo successore di lui, fa le veci, sostiene la persona di G. C. supremo re, supremo pontefice, supremo pastore. Nè qui, ancora sta il tutto; giusta la idea fondamentale della istituzione della Chiesa, la quale è un allungamento e manifestazione della divina incarnazione, e però della visibile presenza di lei sopra la terra, è a conchiuderne che Cristo stesso per mezzo del suo visibile vicario regge, amministra e governa la Chiesa sua, la regge e governa con autorità suprema, universale, indipendente, personale.
Da questo principio inconcusso è necessario inferirne primo: Che è in verità eminentemente monarchica la Chiesa di G. C. perchè un solo n'è il monarca sovrano che è G. C. stesso e per lui ed in lui visibilmente è tale il suo vicario il romano pontefice. Secondo, che questo potere monarchico è tutto personale, nè comune o esteso a qualsivoglia altro quasi partecipe della medesima autorità. Terzo, che niuno o preso da sè, o collettivamente potrà giammai pretendere al diritto di contrabilanciare l'autorità del supremo pontificato, e chiamare a giuridica disamina gli atti di lui, molto meno derogarvi menomamente. Quarto, che tutta la giurisdizione che compete a' vescovi da questa autorità suprema immediatamente come da sua fonte dimana ne' suoi varii gradi. Quinto, che la Chiesa tutta in quanto la si considera come dal sommo pontefice distinta è ad esso soggetta e subordinata, e per conseguente molto più qualunque parte di lei sia ieratica sia laicale. Sesto per ultimo, che tutte le doti e prerogative delle quali è la Chiesa fregiata le ha, le possiede e ne fruisce mediante il sommo pontificato, ossia per l'adesione strettissima o intimo nesso colla sede apostolica, o colla persona del romano pontefice.
Cadono, pel medesimo principio quai paradossi escogitati dalla ostilità verso di questo seggio pontificio non solo i ritrovati degli eretici per annullare questa suprema autorità costituita dall'Uomo-Dio, ma inoltre gli errori e le opinioni più o meno tendenti ad attenuare, ad alterare la natura e il concetto di questa autorità medesima. Tal è quello di Richerio e suoi aderenti i quali vollero che l'autorità suprema della Chiesa come in suo soggetto risiedesse nel popolo fedele, o al più nel ceto episcopale dal quale poi pervenga al romano pontefice. Tale è ancora quell'opinamento de' Giansenisti e de' Febbroniani i quali pretesero, che il pontefice non fosse che un capo ministeriale ossia istrumento del quale la Chiesa si serva per gli atti di autorità. Non altrimenti debba dirsi di coloro i quali non dubitarono di affermare non essere la costituzione della Chiesa puramente monarchica, ma temperata di aristocrazia, tanto che il pontefice debba nelle sue determinazioni dipendere dal consenso de' vescovi, perchè sian valevoli ed abbian forza di stringere, e legar le coscienze a un dipresso come si fa nei governi rappresentativi o costituzionali. Tale è il sentir di quelli che vorrebbero che il pontefice fosse soggetto ai concilii ecumenici, perchè il concilio superiore è al Papa. No, nulla di questo può per verun conto ammettersi come quello, che di un tratto difformerebbe, e poco men che al niente ridurrebbe una così augusta instituzione, questa viva immagine dell'Uomo-Dio, che qual monarca sempre vivente nel suo vicario vi esercita la suprema autorità nel proprio regno. È questo un voler togliere la corona dal sommo divino imperante, spogliarlo del suo diadema e della sua porpora per metterla sul proprio capo, e vestir sè stessi delle supreme divise. Orribile sacrilegio cui invano si adoprano di ammantare sotto il pretesto di vane sottigliezze, di contorte interpretazioni bibliche, e di equivoche testimonianze di alcuni Padri, o di alcuni fatti isolati.
Vogliono cotestoro che il testo che trovasi in s. Matteo e da noi poc'anzi riferito, si abbia ad intendere o di tutti gli apostoli in comune, perchè Pietro in comun nome parlò nel confessare la divinità di G., C., ovvero che per Pietro si abbia da intendere lo stesso Cristo, pietra angolar della Chiesa, o infine che Cristo sulla fede e non già sulla persona di Pietro abbia innalzata la Chiesa sua.
Vani commenti, che si dileguano alla sola lettura del testo qual giace. Come? Il Signore apertamente affermò essere Pietro beato, perchè a lui, e a lui solo revelavit tibi, avea il divin Padre rivelata quella verità, e si avrà a dire, che la rivelasse a tutti indistintamente per inferirne che Pietro avea qual mero organo degli altri discepoli professata la divinità del Cristo, e però che Cristo su tutti indistintamente avesse posto l'edificio della sua Chiesa con pari autorità? Questi è un andare a ritroso della evangelica narrazione.
Così per Pietro o pietra si avrà proprio ad intendere lo stesso Cristo contro tutte le regole ermeneutiche, ed eziandio della struttura del discorso che nol pate. Ma se per pietra s'intenda Cristo, a chi egli avrebbe conferite le chiavi del regno de' cieli, ossia della sua Chiesa? A sè stesso? E pure il Signore disse aperto Tibi dabo claves, e notisi come Cristo promise queste chiavi a Pietro qual sequela della edificazione di sua Chiesa su di esso Pietro, ciò che espresse per la particella congiuntiva et affine di connettere questa insegna della suprema potestà colla costruzione del suo edifizio su Pietro.
Infine pel costoro divisamento, Cristo avrìa edificata la sua Chiesa sulla fede di sua divinità. Ma su qual fede, astratta, ovvero in concreto, cioè in quanto è stata da Pietro confessata?
Penso che niuna persona di senno vorrà contendere, che Cristo volesse edificare la sua Chiesa visibile sopra un fondamento invisibile, qual sarebbe la fede astratta della sua divinità, ciò che non consente la metafora dell'edificare; adunque su Pietro in quanto professò quest'altissima verità della divina natura in G. C. e la naturale sua figliazione, è stata edificata la Chiesa dal Salvatore; quegli proprio al quale consegnò le chiavi del regno de' Cieli, che per fermo non è la fede astratta.
Nè vale che qualche Padre abbia senza detrimento del senso letterale insinuata od anche adottata l'una o l'altra delle accennate esposizioni. Per esempio s. Agostino, il quale per Pietro intese Cristo; ovvero s. Girolamo, che affermò aver Pietro parlato in nome degli apostoli, o infine parecchi Padri nel quarto secolo peculiarmente hanno tenuto che su la fede della divinità abbia Cristo fondata la sua Chiesa.
Imperocchè s. Agostino ed altri con lui per Pietra intesero Cristo per dinotare d'onde trasse la sua fermezza e solidità la pietra secondaria che è Pietro su cui il Salvatore aveva innalzata la sua Chiesa, la quale per ciò che fondata su Pietro munito della saldezza di Cristo stesso, non mai sarebbe crollata. Anzi questa medesima esposizione conferma a maraviglia quanto noi abbiam detto del vivere continuamente Cristo nella persona di Pietro per cui regge e governa qual sommo monarca e pontefice la Chiesa sua. Tutta la forza di Pietro e de' suoi successori è in Cristo e per Cristo.
Così, che s. Pietro abbia parlato in nome dei suoi colleghi come con altri vuol s. Girolamo non offre difficoltà veruna, purchè con ciò s'intenda salva la verità della rivelazione ad esso lui fatta dal Padre, alla quale diedero la lor piena adesione gli apostoli tutti interrogati da Cristo, e non già qual organo o interprete del sentimento degli apostoli.
Che poi parecchi Padri del quarto secolo abbiano affermato che la Chiesa sia stata fondata sulla fede, o sulla confessione della divinità del Salvatore, ha questo da intendersi, in quanto che per questa fede da Pietro professata Cristo sopra di lui edificò la sua Chiesa. Ciò stava a cuore in quei Padri i quali nella controversia ariana accusavano quegli eretici come quelli che negando la divinità di Cristo toglievano e scalzavano il fondamento sul quale Cristo aveva edificata la Chiesa. Nel resto che non cadesse giammai in capo od a questi [od a] qualch'altro de' Padri i quali oltre la intelligenza naturale del testo evangelico diedero qualche altra interpretazione secondaria, il negare, o anche sol menomamente recar detrimento al primato di Pietro e de' suoi successori lo si fa manifesto dai loro principii altamente professati. S. Girolamo a cagion d'esempio scrive: — So che su quella cattedra (cioè di Pietro) è stata edificata la Chiesa [32] — e altrove: — Perciò, scrive, tra' dodici uno si elegge, affinchè costituito un capo si tolga ogni occasione di scisma [33] — Così s. Agostino nelle disputazioni ch'egli ebbe coi Donatisti e coi Pelagiani costantemente si riferisce alla cattedra di Pietro qual centro dell'unità cattolica, e parlando di questa sede di Pietro, dice: — Essa è la pietra quale non vincono le superbe porte d'inferno [34] — Nella quali parole è tolta ogni ambiguità circa la mente di s. Agostino sulla voce pietra, se per essa s'intenda Cristo o s. Pietro nel testo evangelico. Ella è poi cosa di fatto, che quanti esposero la voce pietra della fede, o della confessione di fede fatta dal santo apostolo Pietro, quasi su di essa Cristo avesse fondata la Chiesa sua, tutti ad uno, niuno eccettuato, aderirono alla persona di Pietro, ed ai successori suoi come quegli su cui è stata edificata la Chiesa, ed alla sede romana qual fondamento permanente della Chiesa, qual capo di essa, e qual centro di unità. E intanto diedero questa interpretazione non già ad escludere la persona di Pietro, ma sibbene per dimostrare la necessità, che a tutti corre di professare la fede medesima con Pietro e colla cattedra di Pietro qualor vogliano appartenere alla Chiesa di G. C. [35].
I fatti pertanto più luminosi di tutta l'antichità cristiana costituiscono il commentario genuino delle parole di Cristo, e sventano tutti i cavilli che si sieno giammai formati o possano formarsi su l'una o su l'altra parola affine di snervare in qualche modo la forza, che hanno in dimostrare la somma autorità di s. Pietro e de' successori suoi nella Chiesa di Dio. Fatti che provano nel loro complesso ad evidenza, che la Chiesa tutta ha sempre mai veduto nella sede apostolica di Roma, perchè sede di Pietro, la pietra immobile su cui G. C. ha edificata la sua Chiesa; ha sempre riconosciuta la sua dipendenza da Pietro che continua a vivere nei suoi legittimi successori; ha sempre ricorso alla fede di Pietro ognor vigente su questa sede; ha tolte a sinonime le voci di Chiesa romana e di Chiesa cattolica; ha sempre mai tenuta e professata come necessaria la comunione con questa sede per far parte dell'unica vera Chiesa di G. C.; ha inoltre riconosciuto che tutte le doti, e proprietà delle quali essa fruisce ed è in possesso, le gode e le possiede mediante l'unione con questa cattedra medesima [36].
Se adunque la forma monarchica di qualsiasi governo o società consiste nell'unità del sommo imperante, e questo indipendente ed assoluto, coll'aver Cristo conferito la somma dell'autorità e del potere nella sua Chiesa al solo Pietro, e in esso a tutti i suoi successori, ne conseguita essere la forma governativa della Chiesa eminentemente monarchica. Ciò poi si conferma a maraviglia qualora noi risaliamo alla idea fondamentale dell'avere il Dio Verbo incarnato voluto che la Chiesa da sè instituita fosse la continuazione e prolungazione della visibile sua apparita sopra la terra, ed una continua manifestazione della sua incarnazione. Egli seguita a far la visibile manifestazione di sè per mezzo della Chiesa, che è il suo corpo mistico, qual egli anima e regge. Ma egli è re e monarca supremo; chi de' cristiani metterà questo vero in questione? Se egli pertanto seguita a vivere e regnare misticamente in questo suo regno, vi vive e regna in re, e in monarca supremo, solo e indipendente. Se non che egli nella propria persona si è reso a noi invisibile dopo la sua salita al cielo, ne viene questa sua qualità di re e di pastore protratta in terra e rappresentata, o sia fatta visibile se non per Pietro e per chi a lui in questo protraimento e rappresentanza o manifestazione succede. Adunque forza è conchiuderne, che Pietro e chi gli succede, che regge, governa e pasce la Chiesa in luogo di lui, e ne fa continuamente le veci sia il solo monarca e pastore supremo dotato della stessa autorità e potere quale all'uopo si ricerca.
E affinchè non paia al tutto nuovo questo nostro modo di vedere, ci piace consolidarlo coll'autorità del Magno Leone. Questo santo e dotto pontefice comincia a stabilire, che l'apostolo Pietro seguita a tener le redini del governo della Chiesa a sè commesso vivendo negli eredi di sua dignità. In seguito afferma, che ha con Cristo comune la denominazione, perchè con esso e per esso opera; finalmente che quanto si fa da' successori suoi tutto è opera e merito del medesimo, perchè continua a vivere in essi. Ecco le sue parole: — Mantiensi adunque ferma la disposizione della verità, ed il beato Pietro perseverando nella ricevuta saldezza della pietra, non abbandonò il commessogli governo della Chiesa. Imperocchè per tal modo a preferenza degli altri tutti è stato ordinato, che mentre dicesi Pietra, mentre vien chiamato fondamento, mentre è [c]ostituito portinaro del regno de' cieli, mentre si prepone arbitro delle cose da sciogliersi e da legarsi con sentenza de' suoi giudizii ratificata ne' cieli, quale società ad esso toccasse con Cristo, l'apprendemmo per gli stessi misteri di sue denominazioni: il quale ora più pienamente e con maggior forza adempie quanto a lui fu commesso, ed eseguisce tutte le parti degli uffizii e delle cure in esso e con esso per cui è stato glorificato. Se pertanto da noi alcunchè rettamente si fa e rettamente si statuisce, se alcuna cosa per le quotidiane preghiere dalla divina misericordia si ottiene, all'opera ed al merito si deve ascrivere di colui nella cui sede vive il suo potere, e soprasta l'autorità [37]. E altrove ragionando della saldezza di Pietro scrive: — Volle che questi assunto in consorzio d'individua unità fosse nominato ciò che era egli medesimo dicendo: Tu sei Pietro e su questa pietra io porrò l'edifizio della Chiesa mia: affinchè l'edifizio del tempio eterno, per maraviglioso dono della grazia di Dio, consistesse nella solidità di Pietro; corroborando con tal fermezza la Chiesa sua per modo che nè assaltar la potesse l'umana temerità, nè prevalessero contro lei la porte d'inferno. Non di meno questa sacrosanta fermezza di cotesta pietra, stabilita, come abbiam detto da Dio che l'edificò, con troppo empia presunzione agogna di violare chiunque tenta di diminuirne il potere col secondare le proprie passioni, e col non seguire quanto ricevette dai maggiori [38]. —
Ed ecco come Cristo per Pietro vivente ognora ne' successori suoi qual pietra, qual fondamento, qual capo della Chiesa governa e regge questa sua Chiesa, nella quale egli perciò prolunga la sua esistenza, fa pruova di sua virtù, e dà di sè stesso una perpetua e non mai interrotta manifestazione. E che per conseguente volle che la Chiesa sua nella forma del governo fosse eminentemente monarchica, perchè egli stesso seguita nel suo vicario qual sommo re, monarca e pastore a reggerla, pascerla e governarla.
Scilò, ebr. שִׁילֹה, cfr. Genesi XLIX, 10.
10. (Matth. 2. 6. Joan. 1. 45.) non auferetur sceptrum de Juda, & dux de femore eius, donec veniat, qui mittendus est, & ipse erit expectatio gentium. — 10. Lo scettro non sarà tolto da Giuda, e il condottiere della stirpe di lui, fino a tanto che venga colui, che dee esser mandato, ed ei sarà l'espettazione delle nazioni.
Vers. 10. Lo scettro non sarà tolto da Giuda ... fino a tanto che venga colui, che dee essere mandato. Che in queste parole si contenga una certissima predizione del Messia, e un'epoca infallibile di sua venuta, consta dalla tradizione non solamente della Chiesa cristiana, ma anche della Sinagoga.
Tutte le parafrasi caldaiche convengono nel senso di questa profezia; e i più celebri Rabbini non solo antichi, ma anche i moderni.
Noi vedremo la tribù di Giuda godere una speciale preminenza sopra le altre tribù, prima che fosse re in Israele. Vedi Num. X. 14., XI 3., VII. 12., Josue XVI. 1., Jud. 1. 2. Da Davidde fino alla cattività di Babilonia tutti i re di Gerusalemme furono della stirpe di Giuda. Nel tempo della cattività troviamo dei giudici della medesima stirpe. Dan. XIII. 4. Dopo il ritorno di Babilonia questa tribù ebbe tal predominio, che diede il nome a tutta la nazione degli Ebrei; e i suoi ottimati ebbero autorità superiore nel sinedrio, magistrato supremo, il quale, benchè con autorità limitata da' Romani, governò la nazione fino agli ultimi tempi. Se i Maccabei, che erano della tribù di Levi, governarono un tempo, e se i capi del sinedrio furono talora della stessa tribù, la potestà, che ebbero questi, venne in essi trasfusa dalla tribù di Giuda; la quale non perdè perciò il suo impero, come nol perde, un popolo libero, che si elegga de' consoli e de' rettori di altra nazione, i quali coll'autorità ricevuta da lui lo governino. � anche da osservare, che dopo il ritorno dalla cattività i miseri avanzi dell'altre tribù si unirono e si incorporarono con Giuda, e fecero con esso un sol popolo. Così in Giuda rimase lo scettro fino alla venuta del Siloh, o, come traduce il Caldeo, fino alla venuta del Messia, a cui il regno appartiene. Da Gesù Cristo in poi Giuda non ha più nè stato, nè scettro, nè autorità, e non è più un popolo. Gesù nato di quella tribù fonda il suo nuovo regno, in cui raduna i Giudei fedeli, e le nazioni, le quali lo adorano come loro re e loro Dio. Egli è il vero Siloh, cioè il Messo, o sia Ambasciadore spedito da Dio con autorità suprema, e a questo suo titolo alludesi in moltissimi luoghi dell'Evangelio, e di tutto il nuovo testamento. Vedi Joan. IX. 7, ec.
Ed ei sarà l'espettazione delle nazioni. Le nazioni correranno a lui, come se tutte lo avessero aspettato, e desiderato. Alcuni traducono l'Ebreo: a lui ubbidiranno le genti: altri: a lui si congregheranno, e si aduneranno le genti: così in Aggeo, cap. II. 8., il Messia dicesi il desiderato da tutte le nazioni.
Il Pentateuco o sia i cinque libri di Mosè secondo la Volgata, tradotti e commentati da Mons. Antonio Martini, tomo I, Torino 1776 pag. 278.
NOTE:
[1] Gen., XLIX, vers. 10.[2] Cf. Petav., lib. XII, De Incarnat., c. 15.
[3] Jerem. XXIII, 15.
[4] Zach. IX, 9.
[5] Luc. XXIII, 12.
[6] Marc. XV, 32. Matth. — XXVII, 42.
[7] Jo. XVIII, 57.
[8] Matth. XXV, 34.
[9] V, 8.
[10] Dan. V, 44.
[11] Dan. VII, 13, 14.
[12] Luc. I, 33.
[13] Matth. ult.
[14] Apoc. I, 5.
[15] Ib. XIX, 16.
[16] Ved. Greg. De Valent., Comment Theolog. tom. IV, disp. I, q. 22, punct. 6. Petav., De Incarnat., lib. XII, c. 14.
[17] Matth. XVI, 17, 19.
[18] Is. XXII, 22.
[19] Apoc. III, 7.
[20] Jo. XXI, 16, 17.
[21] Bellarm., De Rom. Pont. — Ballerin., De vi et rat. Primatus, etc.
[22] Petrus cui oves suas Dominus pascendas tuendasque commendat, super quem posuit et fundavit Ecclesiam. — Lib. De habit. Virgin., pag. 176, ed. Maur.
[23] Ad hanc ecclesiam propter potentiorem principalitatem, necesse est omnem convenire ecclesiam, hoc est, eos qui sunt undique fideles. — Cont. Haeres, lib. III, cap. III, n. 2. Sul qual testo vedasi il Massuet., diss. III, De Irenaei doctrina., art. IV, n. 32.
[24] Quid si quis dixerit: cur ergo Jacobus Jerosolymorum thronum accepit? Respondebo: Petrum non throni hujus, sed totius orbis doctorem a Christo statutum fuisse. — Hom. LXXXVIII, n. 1.
[25] II. Reg. V, 2. — I. Paral. XI, 2.|
[26] 2. Paral. X, 16.
[27] Ezech. XXXIV, 23, 24.
[28] I. Pet. V, 4.
[29] Lib. Quod omnis probus sit liber., p. 869. — Certe Homerus reges solet vocare pastores populi — e di nuovo lib. De Joseph., pag. 526. — Et hoc est, opinor, cur poetae reges vocant pastores populi. Nam qui summus est in arte pecuaria, facile bonus rex evadet, pulcherrimo gregi hominum praepositus. —
[30] I. Strom., p.. 345. — Ei enim, qui mansuetissimo hominum gregi est praefuturus, est praexercitatio ovium pascendarum scientia: sicut iis, qui sunt natura bellicosi, venatura. —
[31] Ivi, pag. 351.
[32] Super illam petram aedificatam Ecclesiam scio. — Ep. XV. ad Damas., ed. Vallart, n. 57.
[33] Propterea inter duodecim unus eligitur, ut capite constituto, schismatis tollatur occasio. — Lib. I, in Jovin., n. 26.
[34] Ipsa (Petri sedes) est petra, quam non vincunt superbae inferorum portae —. In Psalm. contra partem Donati.
[35] Ved. Petr. Ballerin., De vi et ratione, 2, cap. XII, § 1.
[36] Ved. gli autori cit. ed inoltre il Muzzarelli, Del buon uso della logica, opuscolo III. Primato ed infallibilità del Papa; Roskovany, De Primatu Rom. Pontificis, Augustae.Vindel. 1834, par. I, § 17, segg.; e il nostro Tratt. De Locis Theol., sect. posterior De Rom. Pontif., cap. I. De Petri primatu, ove trovansi copiose testimonianze tratte dai Padri e dall'antichità cristiana.
[37] Serm. III, De Natali ipsis III, cap. 3, edit. Ballerin.
— Manet ergo dispositio veritatis et beatus Petrus in accepta fortitudine petrae perseverans, suscepta Ecclesiae gubernacula non reliquit. Sic enim prae ceteris est ordinatus, ut dum Petra dicitur, dum fundamentum pronuntiatur, dum regni Caelorum janitor constituitur, dum ligandorum solvendorumque arbiter, mansura etiam in caelis judiciorum suorum definitione, praeficitur, qualis ipsi cum Christo esset societas, per ipsa appellationum ejus mysteria nosceremus. Qui nunc plenius et potentius ea, quae sibi commissa sunt, peragit, et omnes partes officiorum atque curarum in ipso et cum ipso, per quem est glorificatus, exequitur. Si quid itaque a nobis recte agitur, recteque decernitur, si quid a misericordia Dei quotidianis supplicationibus obtinetur; illius est operum atque meritorum, cujus in sede sua vivit potestas, et excellit auctoritas. —
[38] Epist. X, Ad episc. per provinc. Viennens. Const. c. 1. — Hunc enim in consortium individuae unitatis assumptum, id quod ipse erat, voluit nominari, dicendo: Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam: ut aeterni templi aedificatio, mirabili munere gratiae Dei, in Petri soliditate consisteret; hac Ecclesiam suam firmitate corroborans ut illam nec humana temeritas possat appetere, nec portae contra illam inferi praevalerent. Verum hanc petrae istius sacratissimam firmitatem, Deo ut diximus, aedificante constructam nimis impia vult praesumptione violare quisquis ejus potestatem tentat infrangere, favendo cupiditatibus suis, et id quod accepit a veteribus, non sequendo. —