martedì 2 luglio 2013

La Monarchia e le sue degenerazioni (Monarchia Assoluta e liberale) - (Parte 4°).

Il Regno  di Luigi XVI di Francia
La tempesta Rivoluzionaria



Luigi XVI di Francia a vent'anni.
Il 10 maggio 1774 moriva  Luigi XV di Francia . Una folla immensa si precipitò nelle stanze del nuovo Re, sbiancato in volto, per auguragli una felice ascesa al Trono. Quel giorno il ventenne e pio  Louis-Auguste, nipote del defunto Re ,  salì al Trono con il nome di Luigi XVI, Re di Francia e di Navarra.
Poco dopo la sua ascesa al Trono, il giovane Re licenziò i vecchi ministri del nonno per nominarne altri , se possibile, maggiormente empi dei precedenti. Chiamò a dirigere il Consiglio della Corona l'anziano conte di Maurepas, agli Affari Esteri mise il conte Vergennes e alle Finanze il fisiocratico
Jacques Turgot. Il 12 novembre 1774, su consiglio di Maurepas e fra il subbuglio dei cortigiani, il sovrano insediò nuovamente il sovversivo e pericoloso Parlamento di Parigi, sciolto dal suo predecessore nel gennaio 1771.
Bisogna analizzare con attenzione i ministri i quali circondavano il sovrano e che più di altri ne rappresentarono la rovina per comprendere realmente in che polveriera si trovava il Trono di Francia alla vigilia del Regno di "Louis le Désiré"  , già minato dalle infiltrazioni settarie durante il Regno di Luigi XV:



Stemma


Anne Robert Jacques Turgot:


Anne Robert Jacques Turgot.

Si è molto parlato della filantropia di Turgot, che però era un'ipocrita; per convincersene basta leggere ciò che d'Alembert ne scrive a Voltaire: “Vi avverto che avrete quanto prima un'altra visita, quella del signor Turgot, referendario al consiglio del re, pieno di filosofia, di lumi, di conoscenze e molto amico mio, il quale desidera che abbiate buona sorte. Dico buona sorte perché, propter metum judæorum , non bisogna che se ne vanti troppo, e voi nemmeno.” ( Lett. 164 anno 1760. )
Se non si capisce subito cosa significa quel timor dei giudei , d'Alembert stesso lo spiega descrivendo il suo amico. “Il signor Turgot, scrive ancora a Voltaire, è un uomo di spirito, molto istruito e virtuoso, in breve è un vero e proprio Cacouac a, ma ha buone ragioni per non sembrarlo, poiché io sono pagato per sapere che la cacouaquerie (la filosofia odierna) non porta alla fortuna, ed egli merita di far la sua.” ( Lett. 76. ) Voltaire incontrò Turgot e lo giudicò così bene che rispose: “Se avete molti maestri di questo genere nella vostra setta, io tremo per l'infame (cioè per la religione); essa è perduta per la buona compagnia.” ( Lett. 77. ) Per chi sa leggere e capire questi elogi di Voltaire e di d'Alembert sarà come dire: Turgot è un adepto segreto, ambizioso, ipocrita, spergiuro, traditore della religione, del Re e dello stato; ma è anche uno di quelli che definiamo virtuosi, un congiurato che ci è utile per distruggere al più presto il cristianesimo e la società Cristiana. Se Voltaire e d'Alembert avessero voluto delineare il ritratto di un prete oppure di un autore religioso che avesse avuto le virtù di Turgot, ne avrebbero fatto un mostro. Anche lo storico più imparziale, tralasciando questa usurpata reputazione di virtù, dirà: Turgot, che era più ricco della maggior parte dei cittadini e che aspirava ancora alla fortuna ed alle cariche importanti, non può certo essere detto filosofo; essendo un adepto dei sofisti congiurati ed anche referendario al consiglio del Re, era già uno spergiuro, e lo sarebbe stato ancor di più arrivando al ministero poiché, secondo le leggi allora vigenti, poteva giungere a queste dignità solo attestando e facendo attestare la sua fedeltà al Re ed alla religione dello stato. Aveva tradito la religione e le leggi, e si accingeva a tradire anche il Re; aderiva alla setta degli economisti la quale, detestando la monarchia francese, voleva fare del Re proprio ciò che ne fecero i primi ribelli della rivoluzione. Arrivato al ministero a causa degli intrighi della setta, Turgot approfittò del credito che aveva per ispirare al giovane monarca la propria avversione per la monarchia ed i propri princìpi contrari all'autorità di quello stesso Trono che in quanto ministro aveva giurato di mantenere; per quanto era in suo potere fece del giovane Re un giacobino, preparandolo e disponendolo a tutti gli errori che avrebbero posto lo scettro nelle mani della moltitudine e che in pochi anni avrebbero rovesciato il Trono e l'Altare. Se queste non sono le virtù di un ministro, sono quelle di un traditore, e se questi sono errori dello spirito, sono quelli di un pazzo; Turgot fu sempre l'uno e l'altro. La natura gli aveva dato una qualche inclinazione a soccorrere i suoi fratelli e così, sentendo tutti i sofisti reclamare contro i resti dell'antica feudalità che pesavano sul popolo, interpretò come sensibilità per la sorte del popolo quel che nell'idea dei sofisti non era altro che odio per i Re. Vide ciò che tutti vedevano specialmente sulle corvée (o “comandate ”), ma non si accorse però di ciò che  la storia gli  diceva, che cioè i monarchi fino ad allora erano riusciti a liberare il popolo da tante altre vestigia di feudalità solo con la saggezza e la maturità dei consigli, prevedendone gli inconvenienti e sopprimendole solo utilizzando mezzi di compenso. Ma Turgot volle affrettare tutto e così rovinò tutto. I sofisti dissero che era stato dimissionato troppo presto, ma lo fu troppo tardi. Egli aveva portato presso il Trono tutte le sciocchezze dei club sul popolo sovrano, senza tuttavia comprendere che ciò significava far dipendere in tutto la sovranità dai capricci del popolo; pretendeva di rendere questo popolo felice dandogli delle armi che avrebbe maneggiato solo a proprio danno. Credeva di restituire alle leggi il loro vero principio ma non fece altro che insegnare al popolo a scuoterne il giogo. Abusò dello spirito di un monarca che era troppo giovane per districare i sofismi della setta. Luigi XVI si lasciò ingannare a causa della bontà del suo cuore; interpretò i pretesi diritti del popolo esclusivamente come un sacrificio dei propri diritti; e proprio per gli insegnamenti erronei di Turgot questo sfortunato Principe si sentì in dovere di mantenere una buona disposizione, di essere sempre condiscendente e di avere un'inalterabile pazienza nei confronti del popolaccio che, una volta sovrano, condusse lui, la sua sposa e sua sorella al patibolo. Turgot fu il primo a introdurre nel ministero il doppio spirito della rivoluzione che era nello stesso tempo anticristiana ed antimonarchica. Choiseul e Malesherbes furono empi quanto Turgot, e il primo soprattutto fu forse più malvagio, ma non vi  era mai stato  un ministro pazzo a tal punto da cercare di distruggere nello spirito dello stesso Re i princìpi dell’autorità che da lui riceveva. Corse voce che Turgot si pentì quando vide una rivolta del popolo sovrano completamente diretta contro di lui, quando vide il popolo sovrano lamentarsi della carestia e piombare sui mercati e sui magazzini per gettare pane e grano nel fiume; si disse che in questo incontro avrebbe riconosciuto la sua follia ed avrebbe svelato a Luigi XVI i progetti dei sofisti, e che allora i sofisti avrebbero fatto cadere colui che avevano innalzato. Un tale aneddoto, che sarebbe ad onore di Turgot, sfortunatamente è falso; costui era stato l'idolo dei sofisti prima del suo ministero e lo fu sino alla sua morte. Meritò che il suo storico e panegirista fosse Condorcet, che senza dubbio non avrebbe perdonato un tale pentimento ad un suo adepto. I flagelli si susseguirono l'uno dopo l'altro in Francia anche prima della rivoluzione  durante il Regno di Luigi XVI nel  governo.


Stemma


Jacques Necker :



Jacques Necker .
Necker , calvinista e astutissimo banchiere , comparve dopo Turgot e riapparve dopo Brienne; i sofisti parlavano molto delle sue virtù, quasi quanto ne parlava lui stesso, ed anche la sua fama sarà valutata dallo storico per mezzo dei fatti, non già per il piacere maligno di umiliare gli ipocriti cospiratori, ma perché le reputazioni di questo genere non sono state altro che un mezzo per far riuscire la cospirazione. Necker era solo un giovane commesso di un banchiere che alcuni speculatori presero per loro confidente ed agente in un affare che in un batter d'occhio avrebbe dovuto accrescere molto la loro fortuna. Costoro erano al corrente di un segreto, di una prossima pace che avrebbe restituito il loro valore alle banconote canadesi; poiché una delle condizioni di questa pace era costituita dal pagamento di quelle che erano rimaste in Inghilterra, essi confidarono il loro segreto a Necker e convennero che per loro utile comune egli avrebbe scritto a Londra e avrebbe fatto acquistare tutti questi biglietti a prezzo bassissimo, così come la guerra li aveva ridotti (Guerra dei sette anni). Necker acconsentì ad associarsi all'affare, si servì del credito che il suo principale aveva a Londra, ed i biglietti furono incettati. Gli associati ritornarono da lui per sapere l'esito della commissione, e Necker rispose loro che, poiché la speculazione gli era sembrata rischiosa, aveva desistito e disdetto l'acquisto. Vi fu quindi la pace, ed i biglietti si trovavano nella cassa di Necker, che li aveva acquistati per suo proprio conto, così si ritrovò arricchito di tre milioni. ( Vedi i dettagli di questa frode in Meulan, Cause della rivoluzione. ) – Questa era la virtù di Necker ancora semplice commesso di banco.
L'improvviso mylord aprì subito ai filosofi la sua tavola, che divenne per loro uno di quei club settimanali in cui il mecenate era ben ripagato dei suoi pranzi dagli elogi del convitati, e d'Alembert ed i principali sofisti di Parigi non mancavano di partecipare a queste riunioni tutti i venerdì. (Vedi corrisp. di Volt. e d'Alemb. lett. 31 anno 1770. ) Necker, sentendo parlare di filosofia, diventò filosofo quasi altrettanto velocemente di quanto gli ci era voluto per divenire mylord, e gli intrighi e gli elogi del partito ne fecero un Sully protettore. A forza di sentir parlare del talento di quest'uomo per l'alta finanza, Luigi XVI lo elesse all'ufficio generale dei registri. Di tutti i mezzi per affrettare la rivoluzione che i congiurati meditavano, il più infallibile era quello di rovinare l'erario pubblico; Necker vi riuscì tramite dei prestiti talmente eccessivi che in sé avrebbero rivelato l'obiettivo se non vi fosse stata la cieca confidenza che gli elogi affettati di cui godeva quest'uomo ispiravano al pubblico. Sia che Necker agisse sotto l'impulso dei congiurati da ministro imbecille che non sa dove lo si vuol portare, sia che scavasse coscientemente l'abisso, non è certamente la sua pretesa virtù che si dovrebbe opporre alla malvagità del progetto. Colui che, una volta richiamato al ministero, immaginò di affamare la Francia in mezzo all'abbondanza per costringerla alla rivoluzione avrebbe ben potuto volerla rovinare anche all'inizio, solo per affrettare la stessa rivoluzione; la sua virtù deve fare i conti con i maneggi più profondamente scellerati. Nel momento in cui Necker, richiamato al ministero al posto di Brienne, pubblicava e faceva pubblicare i suoi pretesi sforzi generosi per dare del pane al popolo, proprio in quel momento si era accordato con Luigi Filippo d'Orleans per ridurre il popolo alla fame e, ridotto così agli estremi, trascinarlo all'insurrezione contro il Re, i nobili ed il clero. L'assassino virtuoso faceva incetta di tutto il grano, lo teneva rinchiuso nei magazzini oppure lo faceva girare da una parte e dall'altra su delle barche, proibendo agli intendenti di venderlo sino al momento in cui lui stesso ne avesse dato l'ordine. I magazzini restavano chiusi, i battelli continuavano a vagare da un porto all'altro, il popolo chiedeva pane a gran voce, ma invano. Il parlamento di Rouen, poiché la Normandia era allo stremo, incaricò il suo presidente di scrivere a Necker per ottenere la vendita di grandi quantità di grano che si sapeva esservi nella provincia. Necker non rispose. Il primo presidente ricevette l'ordine di tornare alla carica, di scrivere ancora una volta insistendo sui bisogni del popolo, ed alla fine Necker rispose che avrebbe passato all'intendente gli ordini richiesti. Gli ordini di Necker furono eseguiti ma l'intendente, per sua propria giustificazione, fu obbligato a produrli al parlamento, dove ci si accorse che invece di concedere la vendita del grano, si esortava a differirla con scuse e pretesti per eludere le sollecitazioni dei magistrati e liberare Necker dalle loro istanze. Nel frattempo le barche cariche di grano giravano dall'oceano ai fiumi e dai fiumi all'oceano, ed anche solo nell'interno delle province, e quando Necker fu congedato per la seconda volta, il popolo era ancora senza pane. Il parlamento aveva le prove che le stesse barche con lo stesso grano erano state da Rouen a Parigi e da Parigi a Rouen, qui reimbarcate per Le Havre, e da Le Havre riportate a Rouen col grano ormai mezzo marcio. Il procuratore generale approfittò delle dimissioni di Necker scrivendo a tutti i suoi sostituti della provincia di opporsi a tali maneggi ed esportazioni e di dare al popolo la libertà di comprare questo grano, ma di fronte alle dimissioni del suo virtuoso ministro il popolaccio, stupido sovrano di Parigi, corse alle armi ridomandando Necker e portando per le vie il suo busto e quello di Luigi Filippo d'Orleans; mai due assassini avevano meglio meritato di essere accoppiati nel loro trionfo. Fu necessario rendere al popolaccio il suo carnefice, che chiamava suo padre, e Necker una volta ritornato si affrettò a farlo crepare di fame ancora una volta. Aveva appena saputo degli ordini del procuratore generale del parlamento di Normandia, che alcuni mascalzoni partirono per Rouen, ammutinarono il popolo contro quel magistrato, saccheggiarono e distrussero la sua abitazione e misero una taglia sulla sua testa. Tali furono le virtù dell'adepto Necker divenuto protettore e ministro. Lo storico citerà come testimoni di questi fatti tutti i magistrati del parlamento di Rouen; se per far conoscere l'autore principale di queste gesta sono stato costretto ad anticipare qualcosa , è perché Necker faceva parte degli adepti della cospirazione che voleva abbattere sia il Trono che l'Altare; era la persona che serviva ai sofisti congiurati per aggiungere al loro il partito dei calvinisti, facendo credere a costoro che pensasse da vero figlio di Ginevra mentre in realtà era solamente un deista; e se i calvinisti non fossero stati volontariamente cechi nei confronti di quest'uomo se ne sarebbero resi conto facilmente, non solo a causa dei suoi legami con tutti gli empi, ma anche a motivo delle opere che scrisse: perché questo pallone gonfiato voleva impicciarsi di tutto. Fu commesso di banco, ministro delle finanze, sofista e si riteneva teologo. Pubblicò un libro sulle Opinioni religiose in cui non vi è altro che deismo, e dir ciò è fargli grazia perché vi si può anche vedere che Necker considerava l'esistenza di Dio come non dimostrata: e cosa ne è della religione di un uomo che dubita dell'esistenza di Dio? Quest'opera fu coronata dal sinedrio accademico come la miglior opera del momento, poiché, mascherando l'empietà, la insinuava più facilmente.


Stemma
 

Un altro empio personaggio che minò l'istituzione legittima e condusse alla Rivoluzione e all'abisso la Francia, e del quale è utile parlarne,  fu Étienne Charles de Loménie de Brienne, ministro delle finanze nel 1787 :



Étienne Charles de Loménie de Brienne.PNG
Étienne Charles de Loménie de Brienne .
Colui che assecondò meglio le intenzioni dei congiurati fu Brienne, che era riuscito a far credere perfino ai suoi confratelli di avere una qualche attitudine al governo, e che è finito nel numero dei ministri resi imbecilli dall'ambizione. Brienne, arcivescovo di Tolosa e poi di Sens, in seguito primo ministro, poi pubblico apostata e morto in un tale disprezzo ed in una tale esecrazione pari a quelle che si ebbero per Necker.  Non è noto infatti che Brienne  fu amico e confidente di d'Alembert, e che in quanto ecclesiastico ed arcivescovo in un'assemblea di commissari incaricati di riformare gli ordini religiosi ha fatto tutto ciò che avrebbe potuto fare lo stesso d'Alembert. Il clero aveva ritenuto di doversi occupare di questa riforma delle case religiose per ristabilirvi il primitivo fervore; la corte finse di prestarsi a quest'intenzione e nominò dei consiglieri di stato per deliberare sulla questione con i vescovi della commissione detta dei Regolari . Avvenne ciò che ci si poteva attendere da un miscuglio di uomini di stato che agivano esclusivamente in base ad opinioni mondane e di prelati che avevano come fine soltanto il bene della Chiesa; le intenzioni erano spesso contrastanti, tuttavia si convenne su vari articoli. Molti vescovi abbandonarono disgustati la commissione. Se ne formò una nuova,  composta da monsignor de Dillon arcivescovo di Narbona, monsignor de Boisgelin arcivescovo di Aix, monsignor de Cicé arcivescovo di Bordeaux ed infine del famoso Brienne arcivescovo di Tolosa. Il primo di questi commissari per la nobiltà del suo contegno e per la maestà della sua eloquenza era più adatto a rappresentare il Re agli stati di Linguadoca che San Francesco o San Benedetto in una commissione di religiosi, e così pare che non fosse molto interessato alla questione. Monsignor de Boisgelin, con i talenti sviluppati nell'assemblea cosiddetta nazionale e con lo zelo manifestato per i diritti della Chiesa per stabilire e mantenere lo  stato dedicato alla perfezione evangelica, poté apportare alla commissione le intenzioni dell'ordine e dare dei consigli che la corte non aveva intenzione di seguire. Quanto a monsignor de Cicè, poi guardasigilli della rivoluzione, se da una parte la sua approvazione ed i sigilli apposti di sua mano ai decreti costituzionali dimostrano che poteva esser stato ingannato, il suo pentimento e le sue ritrattazioni sono la prova che in cuor suo avrebbe meno assecondato quei progetti rovinosi se li avesse conosciuti meglio. In questa commissione dei regolari solo Brienne era ascoltato dai ministri e possedeva il loro segreto e quello di d'Alembert; quest'ultimo sapeva così bene tutto ciò che i congiurati potevano attendersi dal prelato-filosofo che, nel momento in cui Brienne venne aggregato all'accademia Francese, d'Alembert l'annunziò al capo dei congiurati in questi termini: “Abbiamo in lui un buonissimo confratello che sarà certamente utile alle lettere e alla filosofia , purché questa non gli leghi le mani con un eccesso di licenza o la voce generale non l'obblighi ad agire controvoglia”; ( lett. 30 giugno e 21 dic. 1770. ) il che equivale a dire: Brienne è un uomo che pensa come noi e che farà per noi tutto quello che al suo posto farei io stesso nascondendo il mio gioco. D'Alembert se ne intendeva di confratelli, ed era così sicuro di Brienne che non esitò a rispondere a Voltaire che riteneva di doversi lamentare del mostruoso prelato: “Vi chiedo la grazia di non precipitare il vostro giudizio. Scommetterei cento contro uno che hanno cercato di impressionarvi, o che almeno vi hanno esagerato i suoi torti. Conosco abbastanza il suo modo di pensare e sono certo che ha fatto in questa occasione solo quello che non ha potuto assolutamente dispensarsi di fare. ( Lett. 4. dic. 1770. )    
Le lamentele di Voltaire provenivano da un ordine pubblicato da Brienne contro l'adepto Audra, un professore pubblico che a Tolosa dava lezioni di empietà anziché di storia. Secondo le indagini di d'Alembert risulta che Brienne in favore di questo seguace aveva “resistito per un anno intero alle lagnanze del parlamento, dei vescovi e dell'assemblea del clero”, e che era stato necessario forzargli la mano per interdire ai giovani della sua diocesi di ricevere questo tipo
di lezioni; e l'apologista aggiungeva: “Non siate dunque prevenuto nei confronti di Brienne e rassicuratevi una volta per tutte, la ragione (la nostra ragione) non dovrà mai lamentarsene.” ( 21 dic. 1770. ) Tale era lo scellerato ipocrita, ovvero l'adepto con la mitra che con l'intrigo era riuscito ad entrare nella commissione per la riforma degli ordini religiosi; Brienne riuscì a trasformarla in una commissione di disordine e di distruzione. Appoggiato dal ministero e prendendosi gioco degli altri vescovi della commissione, fece tutto lui dirigendo lui solo questa pretesa riforma. All'editto che differiva la professione religiosa ne fece aggiungere un altro che in alcune città sopprimeva tutti i conventi che non avessero almeno venti religiosi, ed altrove tutti quelli dove ve ne fossero meno di dieci, con lo specifico pretesto che la regola si sarebbe osservata meglio se il numero dei religiosi era maggiore. I vescovi, soprattutto il cardinale de Luynes, furono obbligati a far notare i servizi che numerosi piccoli conventi rendevano agli abitanti delle campagne, assistendo i curati e facendo talvolta le loro veci. Malgrado questi reclami, i pretesti non mancavano mai, e Brienne si prestò così bene alle mire dei sofisti che prima della rivoluzione in Francia 1500 conventi erano già soppressi; costui per di più agiva in modo tale che in poco tempo non vi sarebbe stato più bisogno di soppressione, perché a forza di accogliere e sollecitare lui stesso le lamentele dei giovani contro i vecchi e degli inferiori contro i superiori, e a forza di contrastare le elezioni dei superiori, seminava e nutriva la divisione, il disordine e l'anarchia nei chiostri. D'altra parte i suoi confratelli sofisti diffondevano tra il pubblico un gran numero di  libelli contro i frati riuscendo a renderli così ridicoli che con le nuove vocazioni si rimpiazzavano a malapena i morti; di coloro che restavano, alcuni si vergognavano di portare una veste coperta di obbrobrio, ( lett. 159 di Volt.al re di Prussia ) altri, vinti dalle molestie di Brienne, domandavano essi stessi la soppressione.
Il filosofismo ed i principi di libertà e di eguaglianza si introducevano anche in molte di queste case, con tutti i disordini che naturalmente ne conseguono; i buoni religiosi, i vecchi soprattutto, versavano lacrime di sangue per le persecuzioni di Brienne. Ancora qualche anno e costui avrebbe fatto da solo in Francia ciò che  Federico  II di Prussia e Voltaire avevano progettato contro l'esistenza degli ordini religiosi, la cui decadenza era notevolissima in moltissime case, ed era un miracolo che ne restasse ancora qualcuna che fosse infervorata dallo zelo religioso. Fu poi un prodigio anche maggiore che la fede di una gran parte di questi frati si sia rianimata proprio nei giorni della rivoluzione, perfino la fede di coloro che in precedenza avevano chiesto la soppressione; so per certo che il numero di questi ultimi era almeno tre volte più grande rispetto a coloro che prestarono il giuramento costituzionale. Il momento dell'apostasia li spaventò: la persecuzione occulta di Brienne li aveva scossi, ma quella pubblica dell'assemblea nazionale li rianimò, mostrando loro che la soppressione era meditata da lungo tempo e costituiva uno dei principali mezzi filosofici per giungere alla distruzione totale del cristianesimo. Voltaire e Federico II non vissero abbastanza a lungo per vedere il loro progetto interamente realizzato in Francia, ma Brienne lo vide, e quando volle vantarsene, ne raccolse solo l'obbrobrio; i rimorsi e la vergogna lo portarono dove lo attendevano coloro che ne avevano generato la figura. La sua empietà e le sue trame si erano estese contro le vergini consacrate alla vita religiosa; ma fallì miseramente nei riguardi di questa preziosa parte della Chiesa. Le religiose erano per la maggior parte sotto l'ispezione immediata dei vescovi, che non avrebbero permesso a Brienne di andare seminando la divisione e l'anarchia tra queste sante figliuole, e che erano assai circospetti nella scelta degli uomini ai quali era affidata la loro direzione; e l'età della loro professione non era stata abbastanza posticipata, cosicché le passioni non avevano il tempo di fortificarsi. La loro educazione aveva luogo nell'interno dei monasteri, ad eccezione di quelle che si dedicavano all'assistenza dei poveri e degli ammalati che per la loro carità e la loro modestia costituivano, nel bel mezzo del mondo, uno spettacolo degno degli angeli. Le altre, ritirate nelle loro sante case, vi trovavano un riparo inaccessibile alla corruzione dei costumi ed all'empietà. Brienne ebbe un bel cercare in qual modo togliere alla Chiesa anche questa risorsa, poiché gli mancavano persino i pretesti. Volendo diminuire il numero delle vere religiose, immaginò che vi sarebbero state meno novizie se avesse fondato e diffuso un'altra specie di asilo che aveva intenzione di rendere per metà secolare e per metà religioso; moltiplicò a questo scopo le canonichesse, la cui regola sembra esigere meno fervore perché lascia più libertà di comunicare col mondo. Dimostrando una sciocchezza inesprimibile, che però aveva il suo scopo segreto, Brienne richiese alcuni gradi di nobiltà per entrare in questi asili ai quali attribuiva le fondazioni che appartenevano precedentemente a tutti gli ordini di cittadini; si sarebbe detto che nello stesso tempo volesse rendere le vere religiose spregevoli alla nobiltà e la nobiltà stessa odiosa agli altri cittadini attribuendo in modo esclusivo a queste canonichesse le fondazioni alle quali tutti avevano il medesimo diritto; errore che si commetteva anche destinando quegli stessi fondi a dei canonici nobili. Queste riflessioni non passavano per la testa di Brienne, che tendeva le sue insidie, e d'Alembert sorrideva lusingandosi che ben presto non vi sarebbero più state né canonichesse né religiose; ma le loro astuzie furono inefficaci perché canonichesse e religiose resero vani i progetti dell'empio. Fu necessario tutto il dispotismo dei costituenti per cacciare dalle loro case e dalle loro cellette queste sante vergini, che con la loro pietà e la loro costanza costituiscono l'onore del loro sesso e, con i martiri di settembre, la parte più bella della rivoluzione. Fino all'epoca di quei decreti degni di Nerone non erano diminuiti né il numero delle religiose né il loro fervore, ma alla fine l'assemblea cosiddetta nazionale e costituente spedì i suoi decreti, i suoi emissari ed anche i suoi cannoni, trentamila religiose furono scacciate dai loro conventi, malgrado un altro decreto della stessa assemblea che prometteva di lasciarvele morire in pace; a questo punto non vi erano più case di religiosi né di religiose in Francia. Più di quarant'anni prima il filosofismo aveva dettato questo progetto della loro distruzione addirittura ai ministri di un Re cristianissimo, ed al momento dell'esecuzione non vi erano più ministri del Re cristianissimo e lo stesso Re era rinchiuso nelle torri del Tempio.

Dopo quel che ho detto del ministro Brienne, intimo amico di d'Alembert, e dopo quello che oggi tutti sanno della sua scelleratezza, non ne parlerei più se non dovessi svelare un intrigo di cui non si troverà esempio alcuno fuorché negli annali dei sofisti moderni, e questo va ad onore della natura umana. I filosofi congiurati, uniti col nome di economisti in una società segreta che farò presto conoscere,  attendevano impazienti la morte dell'arcivescovo di Parigi monsignor de Beaumont per dargli un successore che potesse entrare opportunamente nei loro piani. Il successore, coi pretesti di umanità, bontà e tolleranza, avrebbe dovuto mostrarsi tanto paziente e dolce col filosofismo, col il giansenismo e con tutte le sette quanto monsignor de Beaumont si era mostrato pieno di zelo e di ardore per la difesa della religione; doveva soprattutto mostrarsi molto indulgente in modo da lasciare che i preti di parrocchia trascurassero la disciplina così da farla scomparire in pochi anni. Non avrebbe dovuto essere così severo con il dogma, anzi avrebbe dovuto reprimere chi fosse troppo zelante, interdirlo e privarlo del proprio beneficio in quanto soggetto troppo ardente e perturbatore; avrebbe dovuto favorire tutte le accuse di questo genere e conferire gli incarichi così ottenuti, soprattutto le principali dignità, a coloro che i sofisti avevano preparato e gli avrebbero raccomandato. In questo modo le parrocchie di Parigi, amministrate da preti edificanti, si sarebbero presto riempite di scandali; il catechismo, le prediche e gli insegnamenti religiosi sarebbero divenuti più rari e si sarebbe fatto in modo che vertessero sempre più su una sorta di morale filosofica; si sarebbero moltiplicati i libri empi senza opposizione alcuna, ed il popolo, vedendo nelle loro funzioni solo preti disprezzabili a causa dei loro costumi e poco zelanti per la dottrina, avrebbe dovuto necessariamente distaccarsene abbandonando da sé le chiese e la religione. L'apostasia della capitale avrebbe provocato quella della diocesi più importante, e naturalmente si sarebbe estesa più lontano. Così, senza violenza e senza scosse, la religione sarebbe stata distrutta per lo meno a Parigi dalla sola connivenza del suo primo pastore che occasionalmente avrebbe potuto tuttavia dare qualche prova esteriore di zelo se le circostanze l'avessero qualche volta obbligato ad agire contro il suo modo di pensare. ( Vedi qui appresso la dichiarazione del signor Leroi. ) Ci voleva tutta l'ambizione di Brienne, tutta la scelleratezza e tutto il giudaismo del suo animo per farsi arcivescovo di Parigi a queste condizioni; ma si sarebbe fatto anche Papa per tradire Gesù Cristo e la sua Chiesa. Accettò i patti, e i sofisti misero in moto tutte le loro protezioni. La corte fu assediata; un volpone che si chiamava Vermon e che Brienne aveva dato a Choiseul perché ne facesse il lettore della regina colse l'occasione di ricompensare il suo primo protettore. La regina pensò di far bene raccomandando il protettore di Vermon ed il re credette di far anche meglio nominando arcivescovo di Parigi un uomo esaltato da molti per la sua prudenza, la sua moderazione ed il suo genio. Così Brienne fu arcivescovo di Parigi, e quando se ne sparse la voce le anime cristiane che erano a corte e a Parigi ne fremettero. Le signore di Francia, soprattutto la principessa de Marsan, si resero conto dell'immenso scandalo che costituiva una tale nomina per  la Francia e per tutti i veri cristiani.  Il re, vinto dalle loro preghiere, fu indotto a ritrattarla, e l'arcivescovato fu conferito ad una persona che possedeva una vera pietà, zelo e disinteresse, tutto il contrario dei vizi di Brienne. Ma per disgrazia della Francia, né il re né soprattutto la regina giunsero a diffidare delle pretese virtù di Brienne, ed i congiurati non persero la speranza di farlo arrivare più in alto. Simile al fulmine che attende la tempesta per mostrarsi, Brienne si nascose fino alla burrasca che lo fece uscire primo ministro nel bel mezzo dei torbidi della prima assemblea dei notabili convocata dal signor de Calonne. Per affrettare i favori che aveva  promesso ai congiurati, Brienne iniziò col famoso editto in favore degli ugonotti che Voltaire aveva sollecitato vent'anni prima, sebbene li considerasse come dei matti , e matti da legare, (lett. a Marmontel 2 dic. 1767.) editto che d'Alembert attendeva per veder ingannati i protestanti ed il cristianesimo distrutto senza che nessuno se ne accorgesse . ( Lett.100 4 maggio 1762. ) Figlio della tempesta, Brienne sollevò contro se stesso tutte quelle tempeste che fecero richiamare Necker, e che Necker terminò abbandonando la nobiltà, il clero ed il Re all'empietà dei sofisti e ai furori dei demagoghi. Brienne è morto consumato dall'infamia, ma senza rimorsi; si è ucciso per la noia di non poter più nuocere. Insieme con Brienne i sofisti avevano spinto al governo il signor de Lamoignon, i cui antenati avevano onorato la magistratura e che divenne guardasigilli quando Brienne fu fatto primo ministro. Costui non era un semplice incredulo come lo erano allora tanti altri signori, era uno degli empi congiurati, ed il suo nome si trova in uno dei loro comitati più segreti. Lamoignon si uccise da filosofo dopo esser caduto in disgrazia subito dopo Brienne. Due uomini di questa specie nei primi due posti del ministero! Come avrebbero potuto non assecondare le diaboliche manovre della congiura anticristiana e antimonarchica?



Stemma


Punto della situazione:



Luigi XVI di Francia
Luigi XVI di Francia.
Sarà difficile che i lettori possano comprendere come un Principe così religioso come Luigi XVI fosse costantemente attorniato da tali ministri detti filosofi e che non erano altro che empi; questo enigma non sarà più tale quando lo storico lettore  rifletterà che il grande scopo dei congiurati era stato inizialmente quello di distruggere la religione particolarmente nelle classi alte della società, e che fin  dal principio del complotto i loro sforzi si erano diretti verso gli uomini più distinti per ricchezze o dignità, cioè coloro che di solito possono avvicinare la persona del Re. ( Lett. di Volt. a Diderot 25 dic. 1762, a d'Alemb. e Damil. passim. ) Si consideri che questa classe di persone, oltre al desiderio di soddisfare le proprie peculiari passioni, possiede anche i mezzi per soddisfarle, ed allora sarà facile comprendere con quanta disinvoltura essa imparò da Voltaire a farsi beffe della religione, la quale insegna a mortificare tutte le passioni. Nella nobiltà e tra i grandi signori, perfino a corte, anzi direi soprattutto a corte vi erano eminenti virtù, persone dotate di una pietà edificante. Principalmente vi erano la signora Elisabetta sorella del Re, le signore di Francia sue zie, le principesse de Conti e Luisa de Condé, il Duca de Penthièvre, la Principessa de Marsan, il maresciallo de Mouchi, il maresciallo de Broglie  e vari altri, i quali avrebbero onorato la religione anche nei più bei secoli del cristianesimo. Perfino tra gli stessi ministri lo storico lettore troverà delle eccezioni: il signor de Vergennes, il signor de St.- Germain e forse qualcun altro ancora, i quali non erano preda dell'empietà. Nelle classi dei nobili e dei ricchi queste eccezioni erano forse più numerose di quanto si possa pensare, ma con tutto ciò è disgraziatamente vero che Voltaire aveva motivo di felicitarsi dei progressi che faceva il suo filosofismo tra i grandi del mondo, e questi progressi spiegano facilmente le più sciagurate scelte di Luigi XVI. Le virtù amane il nascondimento, e la pietà non ambisce le grandi dignità. Luigi, guardandosi attorno, vedeva degli ambiziosi affaccendati a servirlo per dominare, e tra questi i sofisti si preoccupavano di scegliere coloro che sapevano essere più adatti ad assecondare i loro piani, facendone degli adepti; fatta la scelta, dirigevano l'opinione pubblica e facevano suonare tutte le trombe della fama in favore dell'adepto che spingevano presso il Trono. I sofisti avevano a corte i loro agenti ed i loro intrighi, ancor più segreti di quelli dei cortigiani, e con tutti questi mezzi e con una tale influenza sull'opinione pubblica ed anche sulla corte stessa era difficile che non riuscissero ad influenzare l'opinione del re, il quale aveva troppo poca fiducia nei suoi propri lumi. Furono gli intrighi del filosofismo, assai più che quelli dell'ambizione, che diedero a Luigi XVI successivamente Turgot, Necker, Lamoignon e Brienne, senza parlare dei ministri subalterni e degli importanti funzionari che erano al servizio dei sofisti. Con queste protezioni le leggi contro l'empietà erano ridotte al silenzio o a parlare solo flebilmente; invano il clero sollecitava l'autorità, che era in connivenza con i congiurati. I loro scritti circolavano, le loro persone erano al sicuro.

Stemma


La setta in azione:


Luigi Filippo II di Borbone-Orléans
Il Duca d'Orléans con le insegne
del Grand Orient de France.
Luigi XVI non poteva nemmeno contare su coloro i quali avevano , o dovevano avere per coerenza , un legame stretto con la Corona: Luigi Filippo II Duca d'Orleans era già Grande Maestro del corpo scozzese, il più considerevole del tempo, quando, nel 1772, unì a questa dignità di Grande Maestro quella del Grand'Oriente. I suoi congiurati gli condussero allora la Madre-Loggia inglese di Francia. Due anni dopo il Grand'Oriente si affigliò regolarmente le logge di adozione e le fece in tal modo passare sotto la medesima direzione. L'anno seguente, il Grande Capitolo generale di Francia si univa pure al Grand'Oriente. Infine, nel 1781, si conchiuse una convenzione solenne tra il Grand'Oriente e la Madre loggia di rito scozzese.
Fatta così la concentrazione, stavano preparandosi all'azione.

Nel 1784, ebbe luogo a Francoforte una riunione straordinaria della grande Loggia Eclettica. Uno dei membri mise ai voti la condanna a morte di Luigi XVI, Re di Francia, e di Gustavo, Re di Svezia. Quest'uomo si chiamava Abel.
Decisa la morte del Re, ai settari non restava altro che trovare i mezzi di compierla e, successivamente , trovare un'assembla composta da uomini capaci di commettere tale misfatto.
Agostino Cochin e Carlo Charpentier, in uno studio pubblicato il 10 e il 16 novembre 1904 nell'Action française, dimostrarono come la campagna elettorale del 1789 era stata condotta in Borgogna. Da questo studio e da più altri simili essi giunsero a questa conclusione, verificata da tutte le loro ricerche, che nello stato di dissoluzione in cui erano caduti tutti gli antichi corpi indipendenti, provincie, ordini o corporazioni, era stato facile ad un partito organizzato d'impadronirsi dell'opinione e di dirigerla senz'essere debitore nè al numero dei suoi affigliati, nè al talento dei suoi capi. Questa organizzazione essi la dimostrano esistente ed operante con documenti d'archivi.
Studiandoli attentamente, rilevandone i nomi e le date, essi arrivano a "foggiare" i massoni, a trovare le loro traccie in una serie di pratiche le quali, prese separatamente, non hanno nulla di sorprendente, ma, guardate nel loro insieme, rivelano un sistema ingegnoso e un senso misterioso. Quando si paragonano i risultati di questo lavorio in due provincie differenti e lontane, l'impressione diventa sorprendente.
 Mano a mano che si avvicinava l'apertura degli Stati Generali, le società segrete raddoppiavano la loro attività.
Nel 1787, si produsse un nuovo cambiamento nella massoneria francese, un nuovo grado fu introdotto nelle loggie. I Frammassoni di Parigi si affrettarono a comunicarlo ai Frammassoni di provincia. "Io ho sotto gli occhi - dice Barruel - la memoria d'un F. che ricevette il codice di questo nuovo grado in una loggia distante da Parigi più di ottanta leghe" .
Le risoluzioni prese dal Grand'Oriente volavano per tutte le provincie all'indirizzo dei Venerabili di ogni loggia. Le istruzioni erano accompagnate da una lettera concepita in questi termini:
"Appena avrete ricevuto il mio plico qui unito, ne accuserete la ricevuta. Vi aggiungerete il giuramento di eseguire fedelmente e puntualmente tutti gli ordini che vi arriveranno sotto la stessa forma, senza mettervi in pena per sapere da quali mani essi partono nè come vi pervengono. Se rifiutate questo giuramento, o se vi mancate, sarete riguardato come se aveste violato quelle che avete fatto nella vostra entrata nell'ordine dei F. Ricordatevi dell'Acqua tofana; ricordatevi dei pugnali che aspettano i traditori".

 La framassoneria aveva bisogno per l'esecuzione dei suoi disegni di un numero straordinario di braccia; e perciò essa che non ammetteva fin là nel suo focolare che uomini i quali avessero una certa posizione, vi chiamò allora la feccia del popolo. Fin nei villaggi, i contadini vi accorrono per sentir  parlare di eguaglianza e di libertà e per scaldarsi la testa sui diritti dell'uomo. Per siffatta gente, le parole libertà ed eguaglianza non aveano bisogno per essere intese delle iniziazioni delle retro-loggie, ed era facile ai mestatori d'imprimer loro con queste sole parole tutti i movimenti rivoluzionari che si voleano produrre.
Nel medesimo tempo, il Duca d'Orléans chiamò alle loggie e fece entrare nella setta le Guardie francesi.
Non si fa niente senza denaro e i rivoluzionari meno di ogni altra cosa.
Il comitato direttivo, presieduto da Siéyès, e che comprendeva tra gli altri Condorcet, Barnave, Mirabeau, Pétion, Robespierre, Grégoire, non trascurava di raccogliere e di accumulare dei fondi per la grande impresa sovversiva.

Honoré Gabriel Riqueti conte di Mirabeau .
Mirabeau, nel suo libro "La Monarchie prussienne", pubblicato prima degli avvenimenti dei quali fu egli stesso uno dei grandi attori, ne parla così: "La massoneria in generale, e soprattutto il ramo dei Templari, produceva annualmente delle somme immense mediante le tasse dì ammissione e le contribuzioni d'ogni genere: una parte era impiegata nelle spese d'ordine, ma una parte considerevolissima entrava in una cassa generale di cui nessuno, eccetto i principali tra i Fratelli, sapeva l'impiego".
Deschamps cita uno di questi documenti che appartenevano al circolo di propaganda annesso al comitato direttivo dei Filaleti che avea per missione non solo di cooperare alla Rivoluzione in Francia, ma di adoperarsi ad introdurla presso gli altri popoli dell'Europa. Si scorge che, il 23 marzo 1790, erano presenti nella  cassa la somma di un milione e cinquecentomila franchi, quattrocentomila dei quali li avea forniti il Duca d'Orléans; il surplus era stato offerto da altri membri il giorno della loro iniziazione. La cassa generale della framassoneria contava nel 1790 venti milioni di lire, denari contanti; secondo il resoconto dovevano trovarsi dieci milioni dì più prima della fine del 1791. Quando il Cagliostro venne arrestato a Roma dalla polizia pontificia nel settembre 1789, confessò che la massoneria aveva una grande quantità di denaro sparso nelle banche d'Amsterdam, di Rotterdam, di Londra, di Genova, di Venezia, ch'egli, Cagliostro, aveva ricevuto seicento luigi contanti, alla vigilia della sua partenza per Francoforte.

Il popolo di Parigi assalta la fortezza della Bastiglia il 14 luglio 1789, divenuta l'immagine-simbolo della Rivoluzione francese
Gli sgherri Rivoluzionari assaltano la Bastiglia
(14 luglio 1789).
Essendo tutto così preparato, il giorno dell'insurrezione venne fissato per il 14 di luglio 1789. Parigi era  piena di baionette e di picche. La Bastiglia cadde. I corrieri che ne portavano la nuova alle provincie ritornavano dicendo che dappertutto han visto i villaggi e le città in rivolta. Le barriere in Parigi vennero bruciate, in provincia i castelli incendiati, ecc. Il terribile gioco delle lanterne era cominciato; le teste vennero portate sopra delle picche; il monarca assediato nel suo palazzo, le sue guardie immolate; egli stesso ricondotto al pari di un prigioniero nella sua capitale.
Allora incominciò il regno del Terrore organizzato per lasciare alla setta tutta la libertà di eseguire i suoi sinistri progetti.


Stemma


 Ecco come fu inaugurato:

Verso la fine del mese di luglio 1789, sui diversi punti della Francia, dice Frantz Funck- Brentano, dall'Est all'Ovest, e dal Nord a Sud , si diffuse improvvisamente uno strano terrore, "terror pazzo". Gli abitanti dei campi si rifugiavano nelle città le cui porte veniano poi chiuse in gran fretta. Gli uomini si riunivano armati sui baluardi; erano, si gridava, i briganti. In certi luoghi, giungeva un messaggero, cogli occhi stralunati, coperto di polvere, sopra un cavallo bianco di schiuma. I briganti erano laggiù sulla collina posti in agguato nel bosco. In due ore sarebbero in città. (Frantz Funck-Brentano descrive qui ciò che avvenne particolarmente in Alvernia, nel Delfinato, in Guienna, ecc.). Il ricordo di quest'allarme rimarrà vivo tra le generazioni che ne furono testimoni. "La grande paura" fu la denominazione che le si diede nel centro della Francia. Nel Sud si chiamò "il grande spauracchio", "la grande paura", "l'anno della paura". Altrove si chiamò la "giornata dei briganti" o "il giovedì pazzo", "il venerdì pazzo", secondo il giorno in cui si produsse il panico. In Vandea il ricordo dell'avvenimento restò sotto questo nome: "i disordini della Maddalena". Infatti il panico si produsse nella festa della Maddalena il 22 luglio.
In che modo questo preludio del regime del Terrore, si diffuse così tutto ad un tratto in tutta la Francia?
Come spiegarlo se non per l'azione concertata di una setta sparsa su tutti i punti del Regno, al fine di rendere possibili i delitti che si meditavano?
Per compierli, era necessario il concerto delle teste e delle braccia. Per dirigere le une e le altre, Mirabeau chiama i suoi Frammassoni  congiurati nella chiesa dei religiosi conosciuti sotto il nome di Giacobini; e ben presto l'Europa intera non conoscerà i capi e gli attori della Rivoluzione che sotto il nome di Giacobini. Essa attribuirà ad essi tutto ciò che comprendeva di più violento, la congiura contro Dio e contro il suo Cristo, contro i Re e contro la società.
Luigi Blanc nella sua Storia della Rivoluzione troviamo tutti i personaggi che hanno avuto la parte più attiva allo sconvolgimento politico, sociale e religioso della fine del XVIII secolo: Filippo-Egalité, Mirabeau, Dumouriez, La Fayette, Custine, i fratelli Lameth, Dubois-Crancé, Roederer, Lepelletier de Saint-Fargeau appartengono alla loggia del Candore; Babeuf, Hébert, Lebon, Marat, Saint-Just a quella degli Amis réunis ; Bailly, Barrère, Guillotin, Danton, Gorat, Lacépède, Brissot, Camille Desmoulins, Pétion, Hébert, Collot-d'Herbois, Dom Gesle sono usciti dalla loggia delle Neuf soeurs a cui erano appartenuti Voltaire, d'Alembert, Diderot ed Helvétius. Siéyès faceva parte di quella dei Vingt- deux, Robespierre era Rosa-Croce del Capitolo d'Arras.
Era Mirabeau che, il 6 maggio 1789, additava Luigi XVI, dicendo: "Ecco la vittima!".
Era  Siéyès che, il 16 giugno, proclamava  che non può esistere alcun veto contro l'assemblea che rigenera la Francia.
Era  Guillotin che, il 21 giugno 1792, trascinava i deputati nella sala del "Gioco della Palla", ed era  quell'altro massone Bailly che improvvisava il giuramento della rivolta.

Era  Camillo Desmoulins che, il 14 luglio, nel giardino del Palais-Royal, gettava nella folla il grido: "Alle armi !" segnale del primo assassinio e del saccheggio.


Il marchese de La Fayette.

Era La Fayette che, il 21 giugno 1791, spediva  a Varennes quell'altro massone Pétion per catturare il Re fuggitivo e che si faceva egli stesso carceriere delle Tuileries.
Il medesimo Pétion, sindaco di Parigi, abbandonava , il 20 giugno 1792, la famiglia reale agli oltraggi delle orde avvinazzate dei sobborghi.
E Roederer che, il 10 agosto, dopo un nuovo assalto alle Tuileries, abbandonava la famiglia reale alla Convenzione.
Era  Danton che organizzò il massacro di settembre, mentre Marat faceva scavare un pozzo in via della Tombe-Issoire, per sotterrare nelle catacombe di Parigi i cadaveri degli scannati.
Era Garat, framassone come tutti gli altri, che, alla vigilia del 21 gennaio, annunziava al Re martire la sentenza di morte senza dilazione.
Dopo il regicidio, Robespierre diviene il padrone del patibolo e la Francia , nonchè l'intera Europa, incominciò a sprofondare nell'abisso.

Luigi XVII di Borbone
Luigi XVII di Francia.

Dopo l'assassinio (esecuzione) di Luigi XVI venne assassinata la Regina di Francia, Maria Antonietta. I loro due figli , Maria Teresa Carlotta e Luigi Carlo, vennero mantenuti in prigionia ma fu il piccolo Luigi Carlo, divenuto dopo la morte del padre Re di Francia con il nome di Luigi XVII, a pagare un prezzo altissimo: Il Delfino Luigi Carlo di Francia, figlio secondogenito di Luigi XVI, prigioniero , fu affidato ad una coppia di Giacobini il cui capofamiglia  era un ex calzolaio rozzo ed ignorante, per imparare a ragionare ed a comportarsi come un “figlio del popolo”. Mori di tubercolosi nella umida prigione del Tempio all’età di 10 anni. Un medico che assistette al decesso (Pelletan) riuscì ad asportare il cuore del bambino nascondendolo in un fazzoletto. Oggi, il cuore di Luigi XVII si trova nella chiesa di Saint Denis a Parigi.
Con la Repubblica prima e l'Impero napoleonico poi, l'istituzione monarchica era stata spazzata via non solo nella pratica sociale ma anche da molti cuori di Francia.



Stemma

Continua...

Fonte:

Wikipedia.

"MEMORIE PER LA STORIA DEL GIACOBINISMO" DELL' ABATE BARRUEL - Tomo I .
"Il problema dell'ora presente" di mons. Delasuss. Tomo I .


Scritto da:

Presidente e fondatore dell'A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.