lunedì 1 luglio 2013

Carlo Antonio Gastaldi: un operaio Biellese partigiano dei Borbone!






Carlo Antonio Gastaldi da soldato dell’esercito sabaudo, sceso al sud per reprimere il "brigantaggio", diventa partigiano della banda del sergente Pasquale Domenico Romano di Gioia del Colle, in provincia di Bari. 
Nacque il 7 novembre 1834 in Piemonte a Vagliumina (oggi quarantasei abitanti), piccola frazione di Graglia, in provincia di Biella. Il padre era selciatore, lui cardatore. 
Nel 1855 fu arruolato in fanteria. Combattè contro gli Imperial-Regi a Palestro, meritandosi una medaglia d’argento. Ma la vita militare non era per lui. Venne condannato più volte, dal Tribunale di guerra, al carcere. Due volte fu graziato dal re di Sardegna. 
Il 1861 fu l’anno dell’infausta Italia “unita”. L’esercito sabaudo , per unire le Due Sicilie al regno sabaudo, scese nel Regno delle Due Sicilie con un’imponente armata per combattere la Resistenza del popolo . Anche Carlo Gastaldi, numero di matricola 17056, nel “Corpo Cacciatori Franchi” del 16° Reggimento di Fanteria, IV Battaglione, partì per dare la caccia ai così detti “briganti”. 
Fu prima a Taranto e poi a Brindisi. Nelle Puglie era in atto una delle più grosse rivolte contadine, capitanata da Pasquale Domenico Romano, ex sergente dell'esercito delle Due Sicilie  e ora comandante generale, nominato dal Comitato borbonico segreto di Gioia del Colle. 
Un grande successo della truppa partigiana del sergente Romano, che contava oltre 200 uomini sotto la bandiera bianca gigliata borbonica, fu la riconquista di Gioia del Colle, suo paese natale, avvenuta il 28 luglio 1861. Ma la vittoria durò poco. La vendetta degli unitaristi fu terribile. Secondo quanto si dice nella tradizione popolare furono massacrati 150 rivoltosi. 
Intanto Carlo Gastaldi, per aver venduto due mazzi di cartucce ed una coperta da campo viene prima rimesso in prigione e poi destinato per “cattiva condotta” al Corpo disciplinare di Finestrelle (Torino). Ma durante il trasferimento, sotto scorta dei carabinieri, nella notte tra il 17 ed il 18 novembre 1862, nei pressi di Fasano, riesce a scappare. Viene dichiarato disertore per la terza volta. 
Abbandonato l’esercito sabaudo , mentre era alla macchia incontra i soldati del sergente Romano e si arruola con loro. Erano povera gente come lui. 
Entra subito nelle simpatie del comandante Romano, diventandone amico e confidente, una specie di segretario-luogotenente. E non solo. Il Gastaldi ottiene anche le confidenze più segrete ed intime del Comandante: personali ed amorose. Perso l’amore di Lauretta d’Onghia, Enrico La Morte (era questo il nome di battaglia che si era dato il sergente Romano) si consolava come poteva con altre ragazze che incontrava nelle masserie che lo ospitavano. 
Il Gastaldi partecipa attivamente a tutte le scorribande brigantesche del Romano. Il 21 novembre 1862 si ottiene la vittoriosa battaglia di Carovigno. Il giorno dopo viene assaltata la masseria Santoria, a cinque chilometri da Torre Santa Susanna, dove viene sequestrato il massaro Giuseppe de Biase, vecchio liberale, che poi verrà ucciso. A queste azioni partecipa anche il comandante Cosimo Mazzei di San Marzano, detto Pizzichicchio, che aveva unito la sua banda a quella del Romano. Nei giorni successivi si è ad Erchie, Avetrana, Grottaglie, Massafra, Mottola. 
La mattina del 24 novembre 1862 la banda Romano si acquartiera nel bosco delle Pianelle, nei pressi di Martina Franca, che già nei primi anni del secolo era stato la base per le imprese del prete brigante don Ciro Annicchiarico. Da qui il Romano manda dei corrieri in Basilicata per proporre un’intesa al capobrigante Carmine Donatelli Crocco. Ma non se ne  farà niente. 
Il 1° dicembre 1862 la compagnia fa sosta alla masseria dei monaci di San Domenico. Sono presenti tutti i comandanti delle bande del Salento e del Barese. Nella notte i soldati sabaudi sferrano un attacco di sorpresa. E’ una disfatta per i briganti. Ne muoiono in tanti; muore anche il comandante Giuseppe Nicola La Veneziana, vengono feriti Pizzichicchio e Quartulli. Molti fuggono. Pasquale Romano, che con 40 uomini era andato alla ricerca di provviste e foraggio, non partecipa alla battaglia. Si salva anche Carlo Gastaldi. 
I comandanti superstiti decidono di sciogliere la compagnia e prendono strade diverse. Il Romano rimane alle Pianelle con una quarantina dei più fedeli: tra questi vi è Carlo Gastaldi. 
Curati i feriti e recuperati i fuggiaschi dispersi, dopo qualche giorno si parte per la masseria Santa Chiara di Noci. Qui il Gastaldi consegna al prete don Vito Nicola Tinella (che si trovava lì per celebrare una messa ai partigiani ) una lettera da far recapitare ad un fratello che si trovava a Napoli. Ma il prete anziché spedirla, apre e legge la lettera, che strappa poi in quattro pezzi e si mette in tasca. La lettera verrà consegnata dallo stesso don Tinella alla polizia, che lo aveva arrestato, a dimostrazione che non aveva voluto collaborare con i "briganti." 
Nella lettera, in realtà indirizzata al padre, Gastaldi tra l’altro parlava delle battaglie vittoriose degli uomini capitanati dal Romano, che non erano «briganti come erano spacciati». 
Dopo varie scaramucce con i sabaudi , il sergente Romano decide di ritirarsi con i pochi a lui rimasti fedeli nel bosco di Vallata, nei pressi del suo paese Gioia del Colle. La sera del 6 gennaio 1863 i soldati sabaudi circondano il bosco. E’ la fine. Ventidue partigiani  restano uccisi sul campo, Tra essi il sergente Pasquale Domenico Romano. Pochi si salvano, o facendo finta di esser morti, o dandosi alla fuga. Tra gli scampati vi è Carlo Gastaldi, che qualche mese dopo, con la speranza di aver salva la vita, si consegna ai sabaudi a Bari. Subisce due processi; nel primo per fatti inerenti al brigantaggio viene condannato a 15 anni, nel secondo per la diserzione la condanna è di 18 anni di lavori forzati. A seguito di questa sentenza il Gastaldi viene radiato definitivamente dall’esercito. E’ l’ultima notizia che abbiamo di lui: poi più nulla. 
Ma il Gastaldi merita di essere ricordato, se non altro perché ebbe il coraggio di schierarsi al fianco del più idealista dei partigiani delle Due Sicilie . 
Gustavo Buratti, grande studioso delle minoranze linguistiche esistenti in Italia, scrive la storia del Gastaldi in dialetto piemontese con traduzione italiana a fronte. Nella traduzione abbiamo notato qualche inesattezza, specialmente dal punto di vista geografico sui paesi pugliesi. 
Ci piace chiudere la nostra recensione con un passo tratto dalla nota di edizione che introduce il libro: «Il Piemonte non sono solo i Savoia, sono anche e soprattutto i Gastaldi, i contadini delle Langhe, del Cuneense, delle sue campagne. Sono i Nuto Revelli, i Gustavo Buratti». E con loro e tramite loro è possibile un incontro tra Nord e Sud. 
I 169 (centosessantanove) uomini della banda Romano.