domenica 14 luglio 2013

Omofobia e liberticidio: critica al d.d.l. Scalfarotto

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Giovedì 6 giugno la commissione Giustizia ha cominciato l’esame del disegno di legge per il contrasto all’omofobia e alla transfobia, di cui sono relatori il Pd Ivan Scalfarotto e il Pdl Antonio Leone.
Scrive Scalfarotto nel suo blog personale: “È una legge che è stata proposta per la prima volta venti anni fa da Nichi Vendola e che ancora, tristemente, non siamo riusciti a portare a casa. È però molto significativo che la Commissione Giustizia, a meno di un mese dal suo insediamento, già discuta di questa legge. Una legge che bandisce una forma di odio, e in quanto tale una legge che non è né di destra né di sinistra, ma una legge di semplice civiltà. Io spero che si possa arrivare a un’approvazione corale, che tenga insieme tutta l’aula, come è accaduto per la legge di ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, approvata alla Camera all’unanimità. La proposta di Legge è stata firmata da 221 parlamentari (ricordo gli altri primi firmatari Alessandro Zan di Sel, Irene Tinagli di Scelta Civica e Silvia Chimienti di M5S), il che ne fa probabilmente una delle iniziative legislative parlamentari più sottoscritte della storia repubblicana. E dopo le recenti aperture dell’ala “liberal” del Popolo della Libertà non è irrealistico sperare in un atteggiamento di apertura anche da parte loro”.
Il 9 luglio la Commissione Giustizia ha approvato il testo-base del progetto di legge, che andrà in aula il 22 luglio e che consiste un’estensione del campo applicativo della c.d. legge Mancino-Reale.
Dal testo della relazione: “Nella violenza e nella discriminazione di stampo omofobico e transfobico la peculiarità dell’orientamento sessuale della vittima, ovvero l’essere omosessuale oppure l’essere transessuale, così come l’essere donna, per fare un esempio, nella violenza sessuale contro queste ultime, non sono neutrali rispetto al reato, del quale costituiscono il fondamento, la motivazione e, in senso tecnico, il movente, né è neutrale rispetto ad essi l’autore del reato stesso, che si trova in uno stato soggettivo di disprezzo o di odio nei riguardi della vittima“.
Muovendo verso aspetti più tecnici, “si è sostenuto che l’estensione della legge Mancino-Reale potrebbe condurre alla condanna tanto della mamma che suggerisse alla figlia di non sposare un bisessuale, quanto del padre che decidesse di non affittare una casa di sua proprietà al figlio che volesse andare a vivere nell’immobile con il proprio compagno. È evidente che in una normale dinamica processuale queste ipotesi di scuola non potranno mai verificarsi per un motivo molto semplice, e cioè che la legge Mancino-Reale si basa su una nozione di discriminazione il cui significato si può trarre sia dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sia dalla citata convenzione di New York, sia dall’articolo 43, comma 1, del testo unico sull’immigrazione di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 [...]. Il bene giuridico tutelato è quindi ben individuato. In base al principio dell’offensività, che deve caratterizzare la condotta penalmente rilevante e che vincola il giudice nell’interpretare e applicare la legge penale, ai sensi dell’articolo 49, secondo comma, del codice penale, se si verificassero le ipotesi richiamate, le stesse ricadrebbero nell’ambito dei reati impossibili, in quanto la condotta non sarebbe idonea a ledere o a porre in pericolo il bene giuridico protetto. [...] La differenza tra un mero pregiudizio e una reale discriminazione dipenderà ovviamente dalle condizioni di tempo e di luogo, nel corso delle quali si manifesterà il messaggio, dalle modalità di estrinsecazione del pensiero, da precedenti condotte dell’autore, e così via, in modo da verificare se il fatto si possa ritenere realmente offensivo del bene giuridico protetto“. Una tranquillità che non mi sento di condividere.
La definizione sopra richiamata è questa: “l’espressione «discriminazione [razziale]» sta ad indicare ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata [sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica,] che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica” (il testo della Convenzione si trova qui).
Prosegue la relazione: “l’articolo 1 definisce ai fini della legge penale l’identità sessuale e le sue componenti, in modo che la norma penale rispetti i princìpi di tassatività e determinatezza. Nella definizione delle componenti dell’identità sessuale sono ricompresi l’identità o i ruoli di genere, nonché i diversi orientamenti sessuali (omosessuale, eterosessuale o bisessuale) così come pacificamente riconosciuti dalla legislazione e dalle scienze psico-sociali, che nulla hanno in comune con comportamenti genericamente afferenti alla sfera sessuale, siano essi leciti o illeciti“. Da queste espressioni, invero non chiarissime, si potrebbe dedurre che anche relatori del d.d.l. distinguono, come il Magistero della Chiesa Cattolica, tra orientamenti e comportamenti, e coerentemente dovrebbero discernere tra critiche rivolte alle persone portatrici di tali orientamenti, e critiche rivolte ai comportamenti in cui si estrinsecano. Forse, però, è un wishful thinking.
L’articolo 2 reintroduce, in luogo della propaganda, la condotta della diffusione, in qualsiasi modo, delle idee…“: con il c.d. decreto Mancino, infatti, la fattispecie della legge Reale era stata meglio perimetrata, limitandola alle condotte di propaganda e non di semplice “diffusione” delle idee “incriminate”; il d.d.l. riporta pertanto la legge alla situazione quo ante, sia con riguardo alle discriminazioni gender-based, sia alle altre (razziali, etc.).
Le pene previste differiscono per la gravità delle condotte realizzate. In caso di incitamento a commettere o di commissione di atti di discriminazione, è mantenuta l’attuale previsione della reclusione fino a un anno e sei mesi – a tanto ridotta dalla riforma del 2006 – eliminando, tuttavia, l’alternatività con la multa. Analogamente, in caso di incitamento alla violenza o di commissione di atti violenti, non viene modificata la pena prevista, che va da sei mesi a quattro anni. La scelta di non modificare le pene attualmente previste, anziché inasprirle così com’era nel testo vigente prima della riforma del 2006, si giustifica alla luce delle modifiche alle sanzioni accessorie“, le quali modifiche stabiliscono “che il tribunale applichi obbligatoriamente – e non solo facoltativamente, come fino ad ora previsto – con la sentenza di condanna, la sanzione accessoria dello svolgimento dell’attività non retribuita a favore della collettività da parte del condannato. Tra i soggetti presso i quali la predetta attività può essere svolta, sono inserite le associazioni che si occupano di tutela delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali o transgender. L’attività non retribuita in favore della collettività dovrà essere svolta al termine dell’espiazione della pena detentiva per un periodo da sei mesi a un anno – mentre attualmente, oltre ad essere facoltativa, essa è comminata per un periodo massimo di dodici settimane –, e deve essere determinata dal giudice con modalità tali da non pregiudicare le esigenze lavorative, di studio o di reinserimento sociale del condannato“. Troppa grazia.
Quasi in contemporanea, è stata varata dall’UNAR e dal Dipartimento per le Pari Opportunità la “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere“, leggibile qui.
Estrapolo alcuni passi, che – oltre a ribadire l’ovvio e il noto, ossia che le persone con differenti orientamenti sessuali hanno gli stessi diritti umani di tutti, e che ogni violenza basata su tale condizione è aberrante – gettano una luce un poco inquietante sulla questione: “nella fondamentale Raccomandazione CM/Rec(2010)5, più volte richiamata nella presente Strategia, il Comitato dei Ministri ha rimarcato che le persone LGBT sono state vittime per secoli di intolleranza e di discriminazione, anche all’interno delle loro famiglie, ivi compreso sotto forma di criminalizzazione, marginalizzazione, esclusione sociale e violenza. Di particolare importanza è il richiamo al principio secondo il quale non può essere invocato nessun valore culturale, tradizionale o religioso, né qualsivoglia precetto derivante da una “cultura dominanteper giustificare il discorso dell’odio o qualsiasi altra forma di discriminazione, ivi comprese quelle fondate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. Agli Stati membri ha richiesto di riparare a qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, rivedendo le proprie leggi e promuovendo nuovi interventi legislativi finalizzati a combattere in modo efficace ogni discriminazione e a garantire il rispetto dei diritti umani delle persone LGBT, anche in ambito familiare“.
Più oltre, si cita il “matrimonio” omosessuale, il cui legame con la discriminazione ed i diritti umani, lungi dall’essere dimostrato, è dato apoditticamente per acquisito.
Interessanti alcuni dati statistici, riportati nel documento: “Dalla ricerca Istat emerge innanzitutto come la popolazione in generale ritenga che in Italia vi sia discriminazione verso la comunità omosessuale ed ancor più verso le persone transessuali. Tale condotta discriminatoria in teoria verrebbe condannata, ma per alcune categorie di lavoro o ruoli nella società, la popolazione italiana dimostra grave difficoltà ed imbarazzo ad accettare l’omosessualità: per esempio il 41,4% degli intervistati ritiene non opportuno che una persona omosessuale eserciti la professione di insegnante, il 28,1% di medico e il 24,8% di politico.
Tale contraddizione si riscontra anche nell’accettazione di relazioni gay e lesbiche; in questo caso circa il 60% del campione esaminato ritiene accettabile una relazione tra due uomini o tra due donne, ma il 55,9% afferma che “se gli omosessuali fossero più discreti sarebbero più accettati” e quasi il 30% ritiene che la cosa migliore per un omosessuale sia non dire agli altri di esserlo. Il 62,8% del campione è favorevole alle unioni civili, il 43,9% al matrimonio ed il 20% all’adozione
“. Percentuali, queste ultime, non proprio maggioritarie e che mettono dunque in discussione il cliché per cui la più parte degli italiani sarebbe pedissequamente incolonnata dietro il “nuovo che avanza”. Interessante anche la valutazione come “stereotipi” di posizioni personali sostenute dalle motivazioni più varie, anche le più serie, non ultima la ormai negletta “retta ragione naturale”. Va anche detto che i toni del documento a volte rasentano la “psicopolizia” e danno un saggio di quale potrebbe essere la reale portata applicativa del d.d.l. in commento.
Percentuali eloquenti anche quelle riportate a proposito de “la percezione delle stesse persone LGBT: queste dichiarano di aver subito discriminazioni durante la ricerca di un alloggio (10,2%) nei rapporti con i vicini (14,3%) nell’accesso a servizi sanitari (10,2%) oppure in locali, uffici pubblici o mezzi di trasporto (12,4%)“. Sarebbe interessante esaminare le percentuali di un analogo sondaggio in tema di “cristianofobia”. L’UNAR però prescinde dalle statistiche: “non risultano, al momento, casi accertati di discriminazione per l’accesso all’alloggio, nel lavoro pubblico o privato. Ciò dimostra chiaramente la difficoltà che l’UNAR incontra, ancora oggi, nella emersione del fenomeno. Questa assenza di dati prova, infatti, la ritrosia che hanno, in primo luogo, le vittime“.
Il documento prosegue con la descrizione delle linee d’azione previste, a partire dalla scuola. Così le progetta: “realizzazione di percorsi innovativi di formazione e di aggiornamento per dirigenti, docenti e alunni sulle materie antidiscriminatorie, con un particolare focus sul tema LGBT e sui temi del bullismo omofobico e transfobico, nonché sul cyber-bullismo, prevedendo il riconoscimento di crediti formativi. In particolare la formazione dovrà riguardare: lo sviluppo dell’identità sessuale nell’adolescente; l’educazione affettivo-sessuale; la conoscenza delle nuove realtà familiari; la prevenzione e la gestione degli episodi di bullismo motivati dall’orientamento sessuale; la condivisione in classe di fenomeni legati al bullismo, il suo significato e possibili conseguenze; modalità di intervento nei casi in cui lo studente abbia subito episodi di violenza; modalità di intervento fra pari nei confronti dello studente autore di violenza sia fisica che verbale, tramite un duplice approccio educativo e disciplinare. La formazione dovrà essere rivolta non solo al corpo docente e agli studenti (con riconoscimento per entrambi di crediti formativi) ma anche a tutto il personale non docente della scuola (personale amministrativo, bidelli, etc)“.
L’impressione di trovarsi di fronte ad un approccio orwelliano cresce quando si arriva al “glossario” della Strategia, dove si può leggere: “ETEROSESSISMO: visione del mondo che considera come naturale solo l’eterosessualità, dando per scontato che tutte le persone siano eterosessuali. L’eterosessismo rifiuta e stigmatizza ogni forma di comportamento, identità e relazione non eterosessuale. Si manifesta sia a livello individuale sia a livello culturale, influenzando i costumi e le istituzioni sociali, ed è la causa principale dell’omofobia“. [Una volta si chiamava natura umana, o sbaglio?]
OMOFOBIA: il pregiudizio, la paura e l’ostilità nei confronti delle persone omosessuali e le azioni che da questo pregiudizio derivano. Può portare ad atti di violenza nei confronti delle persone omosessuali. Il 17 maggio è stato scelto a livello internazionale come la Giornata mondiale contro l’omofobia, in ricordo del 17 maggio 1990 quando l’Organizzazione mondiale della Sanità eliminò l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali“.
OMOFOBIA INTERIORIZZATA: forma di omofobia spesso non cosciente, risultato dell’educazione e dei valori trasmessi dalla società, di cui a volte sono vittima le stesse persone omosessuali“.
OMONEGATIVITA’: il termine omofobia oggi è in parte superato e sostituito con il termine omonegatività per indicare che gli atti di discriminazioni e violenza nei confronti delle persone omosessuali non sono necessariamente irrazionali o il frutto di una paura, ma piuttosto l’espressione di una concezione negativa dell’omosessualità, che nasce da una cultura e una società eterosessista“. Ogni commento è superfluo.
Dalla law in the books alla law in action, ossia alcuni commenti che provano a fornire un possibile scenario futuro, se il d.d.l. diventasse legge dello Stato.
Prof. Mauro Ronco (Ordinario di Diritto Penale all’Università di Padova): “secondo l’ideologia appena accolta dalla Corte Suprema degli Stati Uniti, non ammettere una coppia gay al matrimonio costituirebbe discriminazione motivata dall’identità sessuale. Una campagna di opinione organizzata affinché i parlamentari si opponessero al “matrimonio” gay, costituirebbe, pertanto, incitamento a commettere atti di discriminazione penalmente punibili“. “La proposta di legge costituisce la via per l’omologazione autoritaria della morale, facendo del relativismo etico un parametro legislativo incontestabile. Non è in gioco, infatti, soltanto la libertà di esprimere giudizi critici sulle pratiche omosessuali, bensì, più radicalmente, la libertà di manifestare il proprio pensiero contro la dittatura del relativismo, che vorrebbe l’equiparazione indistinta di tutte le pratiche sessuali, oggi dell’omosessualità, domani delle pratiche sadistiche e masochistiche e, infine, forse, della bestialità e di altre pratiche oggi ancora ritenute inaccettabili“. Il docente aveva già nel 2009 espresso perplessità su un analogo disegno, e ribadisce che gli strumenti adatti per reprimere certi illeciti esistono già e che il d.d.l. è prettamente “simbolico“: “l’aggravante del carattere abietto dei motivi è lo strumento giuridico più congruo per stigmatizzare l’odiosità del comportamento di chi offende altri per via dell’orientamento sessuale: i motivi abietti, invero, sono quelli turpi e ignobili, espressione di un sentimento spregevole, che rivela un grado tale di perversità da destare ripugnanza al senso di umanità“. L’articolo completo si trova qui.
Giuliano Guzzo (sociologo): “Del resto è dialetticamente impossibile difendere il primato dell’istituto matrimoniale senza affermarne la «superiorità»; così come è impossibile negare l’equiparazione al matrimonio di altre formazioni affettive i cui componenti non sono eterosessuali prescindendo «dall’identità sessuale» di costoro. Il matrimonio infatti non viene negato alle coppie omosessuali in quanto s’immagina che i loro componenti non siano persone come le altre, non siano titolari di dignità o non abbiano il diritto di provare dei sentimenti: sarebbe effettivamente follia, crudeltà allo stato puro. Nessuno, o comunque certo non il cattolico, è autore di un pensiero simile“. “Per questo la legge contro l’omofobia è liberticida, perché dilatando oltremodo rispetto di alcuni [...] comprime la libertà di altri, che peraltro non negano né vogliono sottrarre alle coppie conviventi anche omosessuali i tanti diritti di cui già godono: chiedono solo che la famiglia naturale preservi il proprio primato. Un primato [...] che non solo non nega in alcun modo alle coppie di fatto – eterosessuali e non – alcun diritto, ma neppure pregiudica la doverosa lotta alle discriminazioni, da tempo saldamente incorporata nel nostro ordinamento, con tanto di previsione di apposite sanzioni. Ultima nota conclusiva: com’è noto vi sono, a livello nazionale e internazionale, non pochi cittadini omosessuali, anche conosciuti, che si sono pronunciati apertamente contro il matrimonio omosessuale: che ne sarà di loro?”. “In questo senso, la legge contro l’omofobia tradisce un sapore fortemente repressivo perché non aggiunge diritti effettivi ai cittadini omosessuali o transessuali, mentre ne toglie uno fondamentale, quello della «libera manifestazione del pensiero»“. L’articolo completo è reperibile qui.
Esempi di esternazioni che costerebbero il gabbio all’autore (oltre a pezzi già pubblicati in questo sito, e.g. questo) sono due recenti e molto validi articoli del Prof. De Mattei, storico:
http://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/il-sesso-dei-giacobini/, in cui si legge che “matrimonio e omosessualità sono infatti due parole e due concetti che si escludono a vicenda. Il matrimonio non è un legame affettivo, ma un contratto sociale. Non riguarda il sesso, ma la vita“, “l’idea stessa di giustizia, che nella sua formulazione tradizionale significa attribuire a ciascuno quello che gli è proprio (suum cuique tribuere) implica qualche forma di “discriminazione”. Ogni legge è costretta in qualche modo a “discriminare”, per il fatto stesso che stabilisce che cosa è giusto e ingiusto, lecito o proibito, favorendo gli uni ed ostacolando gli altri. La pretesa di non discriminare gli orientamenti sessuali significa applicare un criterio rigorosamente ugualitario a tutte le scelte, quali esse siano, relative alla sessualità umana“, “i diritti fondamentali, a cominciare dalla libertà di espressione, oggi sono garantiti a tutti dalla legge, compresi gli omosessuali. Se la legge sull’omofobia, su cui esiste “larga intesa” nel nostro parlamento, andasse in porto, il diritto della libertà di espressione sarebbe negato solo ai difensori dell’ordine tradizionalee “il matrimonio omosessuale è al contrario, innaturale e contraddittorio, e perciò autodistruttivo ed eversivo dell’ordine sociale“;
• oppure http://www.corrispondenzaromana.it/puo-un-cattolico-riconoscere-i-diritti-delle-coppie-gay/, in cui si legge “come immaginare che un cattolico possa approvare una legge che protegge giuridicamente uno di quei «peccati che gridano verso il Cielo», come «il peccato dei sodomiti» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1867)?“.
 
Se tutto questo non vi convince e non vi piace, potete firmare qui. L’appello, promosso da La Nuova Bussola Quotidiana, è stato rilanciato da Tempi, Riscossa Cristiana, Cultura Cattolica, Corrispondenza Romana e da gran parte della blogosfera cattolica.
 
 
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