venerdì 19 luglio 2013

La Monarchia e le sue degenerazioni (Monarchia Assoluta e liberale) - (Parte 13°).



IX
Hohenzollern e Impero Tedesco
 

Regno di Prussia - Stemma



La Prussia degli Hohenzollern
Eresia-Assolutismo-Espansionismo



File:Wappen Deutsches Reich - Königreich Preussen (Grosses).png
Stemma degli Hohenzollern.
Una volta che l'eresia si instaurò negli Stati Tedeschi del Nord, come abbiamo già accennato nelle precedenti parti di questo lavoro , la prima conseguenza in campo socio-politico fu la degenerazione della Monarchia Tradizionale e della società Cristiana: l'assolutismo si impose nelle menti degli ambiziosi Principi Tedeschi e in particolare in quelli della dinastia Hohenzollern.
Una volta conclusa la guerra dei trent'anni con le sue nefaste conseguenze per l'Europa , nel 1672, la guerra franco-olandese coinvolse lo stato degli Hohenzollern – alleato delle protestanti Province Unite sul piano diplomatico, e loro cliente sul piano finanziario – in un nuovo conflitto armato, questa volta su scala europea . Priva di risultati sul piano territoriale, la guerra si rivelò però fruttuosa per gli Hohenzollern  su quello istituzionale, favorendo l'instaurazione  dell’assolutismo del Principe. La Prussia orientale fu sottoposta con la forza all’imposta fondiaria e alle imposte indirette, senza il consenso dei suoi rappresentanti , così come accadeva tradizionalmente da secoli – e ciò, malgrado le proteste  della dissidenza nobiliare e le più violente minacce della rivolta borghese: nel 1674, un colpo di mano militare occupò rapidamente la città e ne schiacciò per sempre l’autonomia municipale. Dopo di ciò, per tutta la durata della guerra gli Stati prussiani votarono docilmente le cospicue contribuzioni loro domandate dal governo centrale.
La pace non portò alcun arresto nel processo di crescente concentrazione del potere nelle mani dell’elettore. Nel 1680, venne resa obbligatoria nel Brandeburgo una imposta urbana sulle entrate indirette: essa non fu estesa alle campagne allo scopo deliberato di creare una frattura tra la nobiltà e le città. Un anno più tardi, lo stesso regime di separazione fiscale fu introdotto nella Prussia orientale e, al termine del Regno dell’elettore, esso era ormai esteso alla Pomerania, al Magdeburgo e a Minden. Nei territori di Cleves e Mark e nel Brandeburgo, i carichi rurali erano pagati soltanto dai contadini; nella Prussia orientale, la nobiltà vicina al Principe ed in linea con la sua politica contribuiva in piccola parte, ma il grosso dei gravami era sostenuto dai censuari. La divisione amministrativa fra città e campagna creata da questo dualismo spezzò irrimediabilmente la tradizionale e funzionale gestione di quelle terre e la possibilità di opposizione sociale al nascente assolutismo. Le imposte erano di fatto limitate ai centri urbani e ai contadini, in proporzione di 3 a 2. Il nuovo carico fiscale risultava particolarmente grave per le città, poiché i proprietari fondiari, liberati dal dazio di consumo sulle fabbriche di birra e le altre industrie situate sulle proprie terre, potevano impunemente competere con le manifatture cittadine. Così, la forza economica delle città del Brandeburgo e della Prussia orientale – già duramente colpite dalla depressione generale della fine del Seicento –, veniva ulteriormente ridotta dalla politica dello stato: e quando le varie imposte indirette divennero un’unica imposta sui consumi a carattere permanente, le città persero di fatto ogni rappresentanza nel Landtag. Per contro, la nobiltà fedele al regime ottenne un trattamento giuridico e finanziario di assoluto riguardo. Non solo i privilegi tradizionali le vennero confermati per mantenere una "sincera" fedeltà nei riguardi dell'Elettore  nelle maggiori province dell’Est, ma a occidente, nei territori di Cleves e Mark, l’elettore conferì addirittura de novo all’aristocrazia locale giurisdizioni signorili e immunità fiscali che essa non aveva mai posseduto. Il difficile clima economico della fine del Seicento fornì un’altra ragione all’aristocrazia fondiaria per raccogliersi attorno al potere politico dei Principi, la cui struttura continuava a guadagnare terreno nei territori degli Hohenzollern: le prospettive d’impiego al suo interno costituirono per la nobiltà un’ulteriore spinta ad abbandonare l’atteggiamento tradizionale ed ostile all'assolutismo che tennero in  precedenza.
Mentre infatti il sistema tradizionale degli Stati veniva progressivamente smantellato, l’apparato militare e burocratico dell’assolutismo accentrato non cessava di rafforzarsi rapidamente.
Federico Guglielmo I d'Hohenzollern
Federico Guglielmo I di Hohenzollern .
Funzione primaria di tutto il tentacolare apparato del Commissariato era quella di assicurare il mantenimento e l’espansione delle forze armate dello stato degli Hohenzollern. A questo scopo, dal 1640 al 1688 le entrate totali furono triplicate, il che significava un reddito fiscale per capita circa doppio rispetto alla Francia di Luigi XIV, paese di gran lunga più ricco. Quando Federico Guglielmo salì al Trono, il Brandeburgo non disponeva che di quattromila soldati; alla fine del Regno di colui che i contemporanei chiamavano ormai il "Grande elettore", esisteva un esercito permanente di 30.000 uomini, bene addestrati e comandati da un corpo di ufficiali provenienti dalla classe degli junker e penetrati dal sentimento di una fedeltà marziale alla dinastia che ne ricambiava l'obbedienza con cospicui privilegi.

Ricapitolando ,  nel 1660 con il Principe Federico Guglielmo I di Hohenzollern il Ducato di Brandeburgo ottiene la sovranità sulla Prussia orientale che faceva già parte del Ducato ma era tradizionalmente sotto la signoria feudale polacca.Federico Guglielmo I intraprese un programma assolutistico e di riorganizzazione dello stato e dell’esercito con il suo successore Federico I , dopo le guerre di successione spagnola , il Ducato divenne Regno di Prussia. Il programma assolutistico pero incontrò molti oppositori nei parlamenti locali e delle città ma vennero sostenuti dai Junker cioè la grande aristocrazia terriera la quale in cambio ottenne mano libera con i rapporti con i contadini di tipo economico e giuridico e anche fiscale:  Ad esempio furono esentati dal sostenere le spese per il finanziamento dell’esercito. L’esercito passò da 30.000 unità nel 1668 a 83.000 nel 1714.


Regno di Prussia - Stemma



Federico II di Prussia
Assolutista , militarista e "filosofo cospiratore"


Federico II di Hohenzollern.
Federico II di Hohenzollern, detto "Federico il Grande", (Berlino, 24 gennaio 1712 – Potsdam, 17 agosto 1786), finora conosciuto superficialmente solo in quanto Re, conquistatore e amministratore, ebbe  un lato che pochi conoscono.
Voltaire , il quale  chiamava alla rivolta contro Cristo e contro la Società Cristiana i Re, gli Imperatori, i ministri, i Prìncipi, e il cui  palazzo era la corte del sultano dell'incredulità , ebbe tra coloro che gli resero omaggio e che entrarono più profondamente nei suoi complotti  Federico II di Prussia.
Federico II , che i sofisti chiamavano il "Salomone del nord" , vi erano due uomini: uno era il Re di Prussia, quel Re che ha diritto in parte alla nostra approvazione non tanto per le sue vittorie e per la sua tattica nelle battaglie quanto per gli sforzi che fece per rivitalizzare i suoi popoli, l'agricoltura, il commercio e le arti, espiando così in qualche modo, con la saggezza e la beneficenza della sua amministrazione interna, le sue vittorie militari che sono state  più appariscenti che giuste; l'altro è il personaggio che meno poteva accordarsi alla saggezza e della dignità di un monarca, il pedante filosofo, l'alleato dei sofisti, l'empio scribacchino, l'incredulo cospiratore, un vero Giuliano del secolo XVIII, meno crudele ma più scaltro ed altrettanto pieno di odio, meno entusiasta ma più perfido del famoso Giuliano l'apostata.
Rincresce molto difficile allo storico Monarchico e legittimista  rivelare i tenebrosi misteri di questo empio con la corona, ma è fondamentale che particolarmente in questo caso si dica tutta la verità, affinché ci si renda conto che la degenerazione istituzionale seguita all'eresia  abbia avvelenato le menti di molti Principi i quali ebbero un ruolo chiave nella congiura contro l'Altare e  la cospirazione contro i loro stessi troni.
Federico II ebbe la sventura di nascere con lo spirito di Celso e di tutta la scuola dei sofisti, di cui sarebbe stato meglio fosse privo, e non ebbe al suo fianco né un Tertulliano né un Giustino per guidare le sue ricerche sulla religione, ma al contrario era attorniato da uomini che non sapevano far altro che calunniarla. Quando era ancora Principe reale, era già in corrispondenza con Voltaire, e disputava con lui di metafisica e  di religione; si credeva già un gran filosofo quando scriveva a Voltaire: “A parlarvi con la solita mia franchezza vi confesserò sinceramente che tutto ciò che riguarda l' Uomo-Dio non mi piace in bocca ad un filosofo, che dev'essere al di sopra degli errori popolari. Lasciate al grande Corneille, vecchio scimunito e ricaduto nell'infanzia, la sciocca fatica di porre in rima l'Imitazione di G. C., e non cavate che dal vostro proprio fondo ciò che avete da dirci. Si può parlare di favole, ma solo in quanto favole; e credo che sia meglio osservare un profondo silenzio sulle favole cristiane, canonizzate dalla loro antichità e dalla credulità di persone assurde e stupide.” (Lettera 53 anno 1728.)

Voltaire.
Dalle sue prime lettere già si poteva scorgere che, insieme con il ridicolo orgoglio di  un Re pedante, aveva la volubilità ed anche tutta l'ipocrisia dei sofisti. Federico dà a Voltaire delle lezioni contro la libertà quando Voltaire la difende, (vedi le loro lettere del 1737) e quando Voltaire non vede altro che l'uomo macchina , Federico non vede altro che l'uomo libero. (V. sua lett. 16 sett. 1771.) Qui sostiene che vi è necessariamente una libertà perché ne abbiamo un'idea netta,  mentre altrove considera l'uomo in tutto materia, quantunque non vi sia idea più oscura di quella di una materia libera e pensante che sia in grado di argomentare, anche se alla maniera di Federico. (V. sua lett. 4 dic. 1775.) Aveva rimproverato a Voltaire la sua dissimulazione quando aveva dato lode a G. C., e non si vergognava di scrivere tre anni dopo: “Per quanto mi riguarda, vi confesso che (se conviene arruolarsi sotto lo stendardo del fanatismo) io non lo farò, e mi contenterò solo di comporre alcuni salmi per dare una buona opinione della mia ortodossia.... Socrate incensava i Penati; Cicerone, che non era credulo, faceva lo stesso; bisogna prestarsi alle fantasie di un popolo sciocco per evitare la persecuzione ed il biasimo. Poiché dopo tutto non vi è al mondo cosa più desiderabile che il vivere in pace. Facciamo qualche sciocchezza con gli sciocchi per giungere alla tranquillità.” ( Lett. 6 genn. 1740.)
Lo stesso Federico, partecipando dell'odio del suo maestro, aveva anche scritto che la religione cristiana produceva solo erbe velenose, (lett. 143. a Volt. an. 1766) e Voltaire si era rallegrato con lui perché aveva, meglio di qualunque altro Principe, l'animo abbastanza forte, il colpo d'occhio sufficientemente giusto e perché era abbastanza istruito per sapere che dopo millesettecento anni la setta cristiana non aveva fatto che del male. ( Lett. 5 aprile 1767.) Non ci si aspetterebbe che un Re così filosofo e con un colpo d'occhio così giusto di trovasse nell'obbligo di combattere negli altri ciò che lui stesso credeva di aver capito così bene: tuttavia si legga ciò che proprio lui oppone alle medesime asserzioni quando rifiuta il Sistema della natura : “Si potrebbe, dice, accusare l'autore di aridità di spirito e particolarmente di goffaggine perché calunnia la religione cristiana attribuendole difetti che non ha . Come può affermare con verità che questa religione è causa di tutte le sciagure del genere umano? Per esprimersi rettamente bisognava dire semplicemente che l'ambizione e l'interesse degli uomini si sono serviti di questa religione per confondere il mondo e soddisfare le passioni. In buona fede, che cosa si può rimproverare alla morale contenuta nel Decalogo? Se anche non vi fosse nel Vangelo che il solo precetto: non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi , si sarebbe in obbligo di convenire che queste poche parole racchiudono tutta la quintessenza della morale. Ed il perdono delle offese, e la carità, e l'umanità non furono predicate da Gesù nel suo eccellente sermone della montagna? Ecc.” ( V. Esame del Sistema della natura di Federico re di Prussia, gennaio 1770 .) Quando Federico scriveva queste parole, non aveva dunque più il giusto colpo d'occhio per arrivare a concludere che questa religione non può produrre che zizzania e non ha fatto che del male. Ma per una ancor più strana contraddizione, dopo avere così ben rilevato che la religione cristiana non è per nulla la causa dei nostri mali, egli non cessa di felicitarsi con Voltaire perché ne è il flagello, (12 agosto 1772) non ha ribrezzo di suggerire i propri progetti per distruggerla, (29 luglio 1775) e pretende che, se essa è conservata e protetta in Francia, per le belle arti e le scienze elevate è finita, e la ruggine della superstizione finirà per distruggere quel popolo che per altri versi è amabile e nato per la società . (Lett. a Volt. 30 luglio 1774.) Gli avvenimenti successivi dimostrano che, se il Re sofista fosse stato un vero profeta, avrebbe dovuto predire proprio il contrario; avrebbe predetto che quel popolo per altri versi amabile e nato per la società, subito dopo aver perduta la sua religione, avrebbe spaventato l'universo con le sue atrocità. Ma Federico come Voltaire sarebbe stato lo zimbello di tutta la sua pretesa sapienza e delle sue opinioni, come pure di tutto il suo amore per la filosofia; fu molto capriccioso, a volte pro, a volte contro di essa. Lo si vide un giorno valutare giustamente i suoi adepti ma, pur con tutto il suo disprezzo per loro, non tralasciar di cospirare come loro per distruggere la religione di Gesù Cristo.
La corrispondenza che ci fa così ben conoscere questo Re adepto ed il suo idolo Voltaire cominciò nel 1736 e continuò assiduamente per tutto il resto della loro vita, eccettuati alcuni anni di disgrazia per l'idolo ; è in queste lettere che si deve studiare l'incredulo e l'empio. Per far a dovere la sua parte, Federico II quasi sempre dimenticava di essere Re, ed appassionandosi per la gloria dei pretesi filosofi ancor più che della fama dei Cesari, non disdegnava di diventare la scimmia di Voltaire per eguagliarlo. Poeta mediocrissimo, metafisico insignificante, si distingueva solo in due cose: nella sua ammirazione per Voltaire e nella sua empietà, talora perfino peggiore di quella del suo maestro.
Grazie agli omaggi ed allo zelo di Federico II , Voltaire pensò saggiamente di dimenticare tutti i capricci del sovrano e tutti i dispiaceri che costui gli aveva dato a Berlino, perfino le bastonate che il sofista despota gli aveva inviate a Francoforte per mezzo di uno dei suoi ufficiali; era troppo importante per la setta e per i suoi complotti avere il potente appoggio di un adepto sovrano, e vedremo sino a qual punto Federico II li assecondò. Ma per rendersi conto di quanto l'odio che suggerì tali complotti era comune a Federico ed a Voltaire, bisogna capire quali ostacoli dovette superare la setta nell'uno e nell'altro, ed è quindi necessario sentire da Voltaire medesimo ciò che ebbe a soffrire a Berlino. Era lì da pochi anni quando scriveva a madame Denis, sua nipote e depositaria dei suoi segreti: “La Mettrie nelle sue prefazioni vanta l'estrema sua felicità di essere presso un grande re, che gli legge talvolta i suoi versi, mentre in segreto piange con me e vorrebbe ritornarsene a piedi; ma io, perché sono qui? Or vi farò stupire. Questo La Mettrie è un uomo di nessuna importanza che conversa familiarmente col Re dopo la lettura. Egli mi parla in confidenza. Mi ha giurato che, discorrendo col Re nei giorni passati del mio preteso favore e della gelosia che desta, il Re gli aveva risposto: Avrò bisogno di lui ancora per un anno al più; si spreme l'arancia e se ne getta via la scorza. Mi son fatto ripetere queste dolci parole, ho raddoppiato le mie domande, ed egli ha raddoppiato i suoi giuramenti..... Ho fatto ogni sforzo possibile per non credere a la Mettrie; però non so. Rileggendo i suoi versi (del Re) mi sono imbattuto in un'epistola ad un pittore chiamato Père , che è al suo servizio; eccone i primi versi:
Qual splendido spettacolo ferisce gli occhi miei! Père caro il tuo pennello t'innalza eguale a'dei.

Questo Père è un uomo che lui neppure guarda in viso; e nondimeno è il Père caro, un dio ; potrebbe essere lo stesso di me, cioè non molto..... Indovinerete facilmente quali pensieri, qual pentimento, quale imbarazzo, insomma qual disgusto mi provoca la confessione di La Mettrie.” (Lett. a Mad. Denis, Berlino 2 sett. 1751.) A questa lettera se ne aggiunse una seconda del seguente tenore: “Non penso ad altro che ad eclissarmi con buon garbo, a prendermi cura della mia salute, a rivedervi ed a dimenticare un sogno durato tre anni. Mi rendo ben conto che si è spremuta l'arancia, ed ora bisogna pensare a salvarne la scorza. Per mia istruzione voglio comporre un dizionario da usare coi re: amico mio significa mio schiavo : mio caro amico vuol dire: mi siete più che indifferente . Per vi farò felice , si deve intendere vi sopporterò finché avrò bisogno di voi . Cenate con me questa sera vuol dire questa sera mi farò beffe di voi . Il dizionario può diventare lungo, è un articolo da inserire nell'Enciclopedia .” “Sul serio, questo incidente mi opprime il cuore. È mai possibile tutto ciò che ho veduto? Compiacersi di aizzare l'uno contro l'altro quelli che vivono con lui! Parlare ad uno colla maggior tenerezza e scrivergli contro delle satire! Strappare un uomo alla sua patria con le più sacre promesse e poi maltrattarlo con la più nera malizia! Quali contrasti! E questi è colui che mi scriveva tante cose filosofiche e che ho potuto credere filosofo! E l'ho chiamato il Salomone del nord! Vi ricordate di quella bella lettera che non vi ha mai persuaso? Voi siete filosofo , diceva egli, ed anch'io lo sono. In verità, sire, non lo siamo né voi né io.” (Lett. alla stessa, 18 dic. 1752.) Voltaire non ha mai detto nulla di più vero; né lui né Federico II furono filosofi nel vero senso del termine, ma entrambi lo furono al massimo grado nel senso che davano a quell'espressione i congiurati, cioè nel senso di una ragione empia che considera l'odio al cristianesimo come se fosse l'unica virtù. A seguito di quest'ultima lettera Voltaire lasciò furtivamente la corte del suo discepolo, il quale allora ne fece lo zimbello di tutta l'Europa; per dimenticare l'oltraggio Voltaire ebbe bisogno solo del tempo necessario per stabilirsi a Ferney. Federico II e Voltaire non si rividero più, ma il primo restò nondimeno il Salomone del Nord , e in contraccambio Voltaire fu per il re di Prussia il principale filosofo dell'universo. Senza più amarsi, furono di nuovo uniti dall'odio contro Cristo che sempre li accomunava; e così la trama del loro complotto fu ordita con minori ostacoli e condotta con più intelligenza mediante la loro corrispondenza. Quanto a Diderot, costui volò da se stesso davanti ai congiurati; la sua testa enfatica, il suo entusiasmo delirante per il filosofismo di Voltaire, il disordine caotico delle sue idee che si faceva tanto più evidente quanto più la sua lingua e la sua penna seguivano gli slanci e l’impetuosità del suo cervello, tutto ciò fece comprendere a d'Alembert quanto il suo contributo fosse essenziale per gli scopi della cospirazione, e così se lo associò per fargli dire oppure per lasciargli dire tutto ciò che non osava dire lui stesso. Ambedue furono fino alla morte invariabilmente uniti a Voltaire, come questi lo fu a Federico II . Se il loro giuramento di distruggere la religione cristiana avesse compreso anche la sua sostituzione con un'altra religione o una qualunque dottrina, sarebbe stato difficile trovare quattro uomini meno adatti ad accordarsi in una simile impresa. Voltaire avrebbe voluto essere deista, e sembrò che lo fosse per lungo tempo; i suoi errori lo fecero cadere nello spinozismo, e finì col non sapere qual partito prendere. I suoi rimorsi, se così si possono chiamare dubbi ed inquietudini senza pentimento, lo tormentarono sino all'ultimo giorno di vita. Ricorreva ora a d'Alembert, ora a Federico II , senza che né l'uno né l'altro riuscissero ad acquietarlo. Ormai ottuagenario, era ancora ridotto ad esprimere le sue incertezze nel modo seguente: “Tutto ciò che ci attornia è in preda al dubbio, e il dubbio è uno stato sgradevole . Vi è un Dio come si dice, un'anima come si immagina, delle relazioni quali si sono stabilite? C’è qualcosa da sperare dopo questa vita? Gilimero privato dei suoi stati aveva ragione di ridere quando fu davanti a Giustiniano? E Catone aveva forse ragione di uccidersi per timore di vedere Cesare? La gloria è forse un'illusione? E’ necessario che Mustafà nella mollezza del suo harem, facendo tutte le pazzie possibili, ignorante, orgoglioso e sconfitto, sia più felice se digerisce rispetto ad un filosofo che non riesce a digerire? Tutti gli esseri sono forse eguali al cospetto dell'Ente supremo che anima la natura? Ed in questo caso l'anima di Ravaillac sarebbe forse eguale a quella di Enrico IV? O forse non hanno anima né l'uno né l'altro? Sia il filosofo a sbrogliare tutto ciò, giacché io non ci capisco nulla.” (Lett. 179, 12 ott. 1770.)


Jean Baptiste Le Rond d'Alembert.
D'Alembert e Federico II , angustiati in modo alterno da tali questioni, rispondevano ciascuno a suo modo. Il primo, non riuscendo a determinare se stesso, confessa francamente di non sapere cosa rispondere. “Vi confesso, dice, che sull'esistenza di Dio l'autore del Sistema della natura mi pare troppo fermo e troppo dogmatico, e in questa materia solo lo scetticismo mi sembra più ragionevole. Che ne sappiamo noi è per me la risposta a quasi tutte le questioni metafisiche: e la riflessione da aggiungere è che, poiché non ne sappiamo nulla, senza dubbio non c'importa di saperne di più.” (Lett. 36 anno 1770.) Questa riflessione sulla scarsa importanza di simili questioni veniva aggiunta proprio per timore che Voltaire, tormentato dalle sue inquietudini, non si disgustasse del filosofismo, che era incapace di sciogliere i suoi dubbi su argomenti che non poteva abituarsi a considerare indifferenti alla felicità dell'uomo. Egli insistette, ed anche d'Alembert, il quale per di più soggiunse che “il no in metafisica non gli sembrava più saggio del sì , e che il non liquet (ovvero “ ciò non è chiaro ”) è la sola risposta ragionevole che possa darsi a quasi tutte le domande.” ( Lett. 38, ibid. ) Federico II come Voltaire non amava i dubbi, ma a forza di volersene liberare credette di esservi riuscito. “Un filosofo di mia conoscenza, risponde, uomo assai determinato nei suoi sentimenti, crede che abbiamo un sufficiente grado di probabilità per giungere alla certezza che post mortem nihil est; (ovvero che la morte non è che un sonno eterno) egli pretende che l'uomo non sia doppio, e che noi siamo solo materia animata dal movimento: quest'uomo straordinario dice che non vi è alcuna relazione tra gli animali e l'intelligenza suprema.” (Lett. del 30 ott. 1770.) Questo filosofo così determinato, quest'uomo straordinario era lo stesso Federico II. Pochi anni dopo non si curò più di nascondersi, e scrisse in tono anche più deciso: “Sono certissimo di non essere doppio, perciò mi considero un ente unico ( per parlare più a senso si dica “ semplice ”); so che sono un animale organizzato che pensa: perciò concludo che la materia può pensare così come ha la proprietà di essere elettrica. (Lett. 4 dic. 1775.) Più prossimo alla tomba e sempre allo scopo d'ispirare fiducia a Voltaire, gli scrisse di nuovo: “La gotta ha spaziato per tutto il mio corpo; è naturale che la nostra fragile macchina sia distrutta dal tempo che tutto consuma. I miei fondamenti sono già scossi; ma tutto ciò non m'inquieta.” (Lett. 8 aprile 1776.)
Federico II era  un empio che aveva trionfato o meglio che presumeva di aver trionfato della sua ignoranza, che lasciava Dio nel cielo purché non vi fossero anime sulla terra.  Narrando il legame tra  Voltaire, d'Alembert,  Diderot , con Federico II re di Prussia  non significa semplicemente limitarsi  a dire che ciascuno di loro fosse nemico della religione di Gesù Cristo e che le loro opere tendessero a distruggere il cristianesimo; infatti prima e dopo di loro la religione cristiana aveva sempre avuto dei nemici che avevano tentato di spargere nei loro scritti il veleno dell'incredulità. Tutto ciò fa luce sul meccanismo degenerativo dal punto teologico fino all'istituzione politica più marginale.
Federico II era ambizioso , non perse occasione per espandere i suoi domini mettendosi contro la Casa d'Asburgo quando questa si trovò in difficoltà.
Vicino alla fine della sua vita Federico II divenne sempre più solitario. Il suo circolo di amici cospiratori si era gradualmente esaurito e Federico iniziò a divenire critico ed arbitrario con se stesso e con la linea di pensiero che aveva tenuto in tutta la sua vita . Con lui l'Assolutismo prussiano si stabilizzo maggiormente e con lui tutto ciò che c'era di Cristiano nella società venne smantellato. Il vecchio Re filosofo  preferiva rimanere da solo nella residenza che più di ogni altre prediligeva piuttosto che a Berlino. In codesta residenza  Federico II morì il 17 agosto 1786, sulla poltrona del suo studio.


Regno di Prussia - Stemma



Federico Guglielmo II di Prussia
La setta domina il governo




Federico Guglielmo II d'Hohenzollern
Federico Guglielmo II di Prussia .
Federico Guglielmo II di Prussia (Berlino, 25 settembre 1744 – Berlino, 16 novembre 1797), seguendo la filosofia di Federico II , una volta salito al Trono governò con un gabinetto che sembrava più un covo di settari dediti al complotto. Giunse sul Trono nel 1786 , a 42 anni , pieno di buoni propositi all'apparenza : per prima cosa abolì alcune imposte impopolari come il monopolio sul sale ed il tabacco. Differentemente dai suoi predecessori abbandonò l'etichetta di corte comportandosi alla stregua di un comune borghese  con la corte , non solo rifiutando l'antico uso degli Hohenzollern di parlare agli inferiori di grado in terza persona ma entrando in stretta confidenza con i membri del suo seguito.
Ben presto però si stancò di governare lasciando tutte le faccende di Stato ai suoi ministri. I suoi interessi erano la buona tavola , le donne e i riti esoterici e iniziatici che in quel periodo , per mano della setta, si diffondevano in tutte le corti d'Europa. Suoi conoscenti furono il massone conte di Cagliostro , il portoghese settario Martinez Pasqualis , ed anche il diabolico fondatore degli illuminati di Baviera Adam Weisshaupt .
Appassionato di occultismo, il Principe si era avvicinato all'ordine massonico della Rosa Croce d'oro , nel quale venne iniziato, e alla sua complessa dottrina mista di "sacra scrittura", teosofia, misticismo, alchimia , cabala e complotto: rimase 24 ore di seguito in una stanza buia illuminata da quattro candele  e con un cadavere appoggiato alla parete. Poi , dopo ore a sentire brani terrificanti , l'effluvio di odori vomitevoli,  il suono di armi e di voci inquietanti , venne per lui la cerimonia della vestizione , l'evocazione spiritica,  il brindisi con i calici pieni di sangue ancora caldo , la pronuncia del giuramento , e il bagno purificatore.
L'ordine nella sua follia si sentiva investito da Dio della missione di salvare milioni di anime dal male quando il male era rappresentato da loro stessi: naturalmente, l'anima più importante da corrompere era proprio quella dell'erede al Trono.
Due dei principali esponenti dell'ordine, Johann Christoph von Wöllner e Johann Rudolf von Bischoffwerder, riuscirono nell'intento di convertirlo, combinando perfino di inscenare sedute spiritiche nelle quali gli veniva fatto credere di entrare in contatto con i defunti (da Marco Aurelio, all'antenato Federico Guglielmo di Brandeburgo, a Leibniz) e di ottenerne il consiglio. Alla simulazione di questi contatti medianici prendeva parte a volte la stessa Wilhelmine Enke per rafforzare la sua posizione. Il presunto consiglio degli spiriti, inscenati da giochi di luce con l'aiuto di un ventriloquo, risultava naturalmente sempre conforme alle intenzioni dell'ordine. Federico Guglielmo amava inebriarsi dell'esperienza e non coltivava il minimo sospetto.
Presto, dopo l'ascesa al Trono dell'illustre allievo, Wöllner e Bischoffwerder ottennero importanti cariche pubbliche: Cristoforo von Wollner venne nominato ministro della giustizia e direttore degli affari ecclesiastici , mentre il generale  von Bischoffswerder , già favorito alla corte di Federico II , divenuto ministro degli esteri di Federico Guglielmo II.
Ben presto, tuttavia, nell'azione politica del nuovo Re emerse il rovescio della medaglia. Condizionato dal manchevole addestramento agli affari di stato da parte di suo zio, Federico Guglielmo non era affatto capace, a differenza del predecessore, di governare dalla sua scrivania e di tenere testa ai settari che lo circondavano. In luogo dell'accentramento operato da Federico il Grande comparve, come abbiamo pocanzi accennato,  un governo di gabinetto dominato dall'influenza della setta nella persona del rosacrociano Wöllner.  Furono emanati il famigerato editto religioso del 9 luglio e l'editto censorio del 19 dicembre 1788, che avrebbero privato il popolo della libertà negli ambiti religioso e letterario ancora intatti , anche se nell'eresia, dopo il Regno di Federico il Grande.
Altro fattore (ed errore) fondamentale in politica interna fu il mantenimento della vecchia struttura amministrativa, e degli impiegati e ufficiali di Federico il Grande, la maggioranza dei quali era settari in carica dal 1763. Federico Guglielmo, per gratitudine, li aveva tenuti in servizio. In gioventù essi avevano condiviso con il vecchio sovrano l'odio per il Cristianesimo .
Dopo il 1789 con i disordini rivoluzionari i veterani della guerra dei sette anni non erano certo in grado di affrontare efficacemente l'esercito Rivoluzionario francese, anche perché non potevano ormai più comprendere le nuove concezioni militari dei francesi. E' corretto sottolineare che parte di questi generali di vecchia data erano legati ai generali delle armate rivoluzionarie francesi per fratellanza massonica.
Federico Guglielmo ebbe il merito di sciogliere  la Fürstenbund (Lega dei Principi), voluta a suo tempo da Federico il Grande in funzione antiaustriaca. Dopo aver cercato di liberare Luigi XVI prigioniero della rivoluzione, nonostante egli stesso ne fosse preda, nel 1793 il Re si unì alla prima coalizione e ottenne la conquista di Magonza. Ma poi rivolse la propria attenzione alla Polonia, paese di importanza strategica per gli interessi prussiani.
Federico Guglielmo II , con la Pace di Basilea (5 aprile 1795), si era ritirò dalla guerra contro la Francia, così tracciando una linea di demarcazione che assicurava la  neutralità  e la salvaguardia degli interessi non solo alla Prussia, ma all'intera Germania settentrionale protestante . Sarebbe stato suo figlio  a rimettere in discussione questa pace di convenienza nel momento peggiore possibile.
Nel frattempo, la famiglia reale non era in una situazione pacifica. La Regina si sentiva esclusa dagli affari del Re, offesa in particolare dalla relazione di quest'ultimo con Wilhelmine Enke. Il Principe ereditario stava dalla parte della madre, e non vedeva perciò di buon occhio né la favorita né il padre.
Federico Gugliemo II morì nel novembre 1797 di idrotorace, all'età di soli 53 anni dopo appena undici anni di Regno. Sul letto di morte rimpianse la campagna militare di Francia del 1793.



Regno di Prussia - Stemma



Federico Guglielmo III di Prussia
Il Re massone e l'espansione prussiana




Federico Guglielmo III d'Hohenzollern
Federico Guglielmo III di Prussia.
Federico Guglielmo III (Potsdam, 3 agosto 1770 – Berlino, 7 giugno 1840) , affiliato alla massoneria dal 1790 , succedette al Trono di Prussia il 16 novembre 1797 e subito decise di ridurre i costi per il sostentamento della Corona in un periodo di forte dissesto economico dovuto alla guerra, e riformando le oppressioni del suo Regno. Egli aveva ereditato dalla dinastia degli Hohenzollern, perché educato in tal senso ,  la loro tenacia militarista, ma non la furbizia che aveva contraddistinto l'operato dei suoi antenati più illustri. Esercitava il suo potere in maniera prudente e riservata, mostrando una certa sospettosità per confidare nei propri settari ministri per assumere determinate decisioni. Dapprima cercò di proteggere i suoi interessi mantenendo il Paese neutrale nel corso delle Guerre napoleoniche ma dovette poi aderire alla Terza coalizione, in funzione antifrancese, nel 1805, dopo le motivazioni che lo costrinsero a entrare in guerra con il Bonaparte  nel 1806. Il 14 ottobre 1806, nelle battaglie di Jena e Auerstädt, i francesi sconfissero i prussiani, e l'esercito di Federico Guglielmo III dovette capitolare. La famiglia reale fu costretta all'esilio a Memel, nella Prussia orientale, trovando asilo politico presso lo Zar Alessandro I di Russia, altro massone di alto grado.
lo stesso zar Alessandro I di Russia venne poi sconfitto in battaglia dai francesi, e a Tilsit, sul fiume Nemunas, nel 1807 firmò , si costretto ma con qualche ambizione personale , un trattato di pace con l'esercito napoleonico. Napoleone fu particolarmente duro con la Prussia sconfitta: Federico Guglielmo III perse tutti i territori acquisiti in Polonia, e ad ovest del fiume Elba, e dovette corrispondere un forte indennizzo alla Francia, finanziando anche il sostentamento delle truppe di Napoleone nel suo Regno occupato.
Nel 1813, a seguito della sconfitta subita da Napoleone in Russia, Federico Guglielmo III, ritrovando quel coraggio figlio della convenienza,  si oppose nuovamente alla Francia, stringendo un'alleanza con la Russia nel Trattato di Kalitsch e ritornò poi a Berlino, seppure la città rimaneva sotto l'occupazione francese. Le truppe prussiane giocarono un ruolo fondamentale nelle vittorie contro i francesi del 1813 e del 1814 e lo stesso sovrano condusse personalmente le armate guidate dal Principe Schwarzenberg, assieme a quelle russe al comando di Alessandro I di Russia e asburgiche di Francesco I d'Austria.
Al Congresso di Vienna del 1815 Federico Guglielmo III , uno dei tanti massoni presenti al tavolo dei vincitori su una Rivoluzione che loro stessi portavano in grembo ,  riuscì a garantire alla Prussia l'acquisizione di nuovi territori sottraendo la provincia di Poznan al Ducato di Varsavia, ed espandendosi nell'attuale Germania settentrionale, anche se non ebbe successo il suo tentativo di annettere la Sassonia, come aspirava da lungo tempo. Al seguito delle guerre napoleoniche , Federico Guglielmo III non onorò la promessa che nel 1813 aveva fatto alla borghesia settaria che stava prendendo il controllo sul paese, di concedere una costituzione liberale. Mantenne saldo il sistema assolutista in linea con le maggiori corti europee.  Egli morì a Berlino il 7 giugno 1840.
 
 
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Federico Guglielmo IV di Prussia
Dall'assolutismo al costituzionalismo
  


Federico Guglielmo IV d'Hohenzollern
Federico Guglielmo IV di Prussia.
Federico Guglielmo IV (Berlino, 15 ottobre 1795 – Potsdam, 2 gennaio 1861) venne educato a Potsdam da tutori privati, tra i quali, per la maggior parte membri della Reale Accademia delle Scienze di Berlino, un'"anticamera di Loggia" ,  Friedrich Ancillon, lo storico Barthold Georg Niebuhr e il giurista Friedrich Carl von Savigny. Egli ebbe ovviamente  anche un'educazione di tipo militare che coltivò direttamente sul campo di battaglia grazie agli scontri contro la Francia di Napoleone Bonaparte, ai quali prese parte nel 1814, pur mostrandosi indifferente al mestiere delle armi tanto caro a molti dei suoi antenati preferendovi l'architettura e il giardinaggio paseaggistico:  divenne "patrono" di molti artisti tedeschi del suo tempo, incluso l'architetto Karl Friedrich Schinkel.
Come cultore del Romanticismo e del nazionalismo , promosse le arti tedesche e fu patrono di altri artisti prestigiosi, nutrendo un particolare interesse per il Medioevo: era affascinato dal passato tedesco, osservato però dalla prospettiva del tutto falsata di chi vive nell'errore dell'eresia,  in quella che gli sembrava la sua forma più mirabile, il Sacro Romano Impero visto però in forma protestante e con gli Hohenzollern come Imperatori.
Nel 1815, a soli venti anni, quando era ancora principe ereditario vene iniziato alla massoneria e fece una proposta di costituzione liberale per lo stato, che però non venne mai applicata, dal momento che la maggior parte dell'aristocrazia intendeva mantenere il proprio consolidato potere nella corte assolutista di Berlino mentre la borghesia settaria che appoggiava il progetto costituzionale non era ancora abbastanza influente all'interno del governo. Egli si schierò inizialmente contro la liberalizzazione e l'unificazione della Germania, preferendo permettere all'Austria di rimanere la principale delle potenze dell'area tedesca. Ma tutto ciò era sola apparenza.
Alla morte del padre, Federico Guglielmo III , egli ascese al Trono prussiano. Attuò una politica assai diversa dal padre il quale , nonostante fosse un massone , rispettò la posizione di legittimità della Corona Imperiale Asburgica ed i patti stipulati al Congresso di Vienna. Federico Guglielmo IV si avvicinò ai liberali   diminuendo la censura sulla stampa e promettendo a un certo punto l'entrata in vigore di una costituzione, ma si rifiutò paradossalmente di avallare un'assemblea borghese legislativa, preferendo lavorare di concerto con l'aristocrazia in gruppi di lavoro locali nelle varie regioni del Regno di Prussia. Malgrado fosse un eretico luterano, i suoi sentimenti romantici lo posero in contrasto nella città di Colonia per aver liberato dalla prigionia Clemente Augusto di Droste-Vischering, arcivescovo di quella città, e per l'aver contribuito alla costruzione della Cattedrale di Colonia, una città nota per la sua propensione al romanticismo. Nel 1844 egli partecipò personalmente alla cerimonia d'inaugurazione della stessa cattedrale, divenendo il primo monarca di Prussia a fare il proprio ingresso in una cattedrale cattolica. Probabilmente tutto ciò serviva soltanto come espediente per fare in modo che i Cattolici tedeschi si avvicinassero alla Casa di Hohenzollern.  Tornando sul piano politico, nel 1847, anno del Congresso massonico di Strasburgo , venne infine obbligato a convocare un'assemblea nazionale, che però non fu mai un vero e proprio corpo rappresentativo alto-borghese, ma più che altro una "dieta unita" che comprendeva tutte le province dello stato, che avevano propri diritti di tassazione. Inutile affermare il fatto che i membri di tale dieta erano settari o di fatto o di pensiero, e tutti facevano parte dell'alta borghesia terriera e industriale.
Mostrò una certa propensione a venire incontro alle richieste degli esponenti moti rivoluzionari del 1848 in Prussia, i quali erano settari tanto quanto il Re; in ciò, non condivideva appieno la politica rigida del padre, il quale pur servendosi della rivoluzione cercò di imbrigliarla , alla quale però si riavvicinò per via delle circostanze critiche . Quando anche in Prussia scoppiò la rivoluzione settaria nel marzo del 1848, decisa appunto durante il Congresso Massonico di Strasburgo, il Re inizialmente tentò di reprimerla con la forza, ma successivamente , in seguito ad un accordo con  i fautori della Rivoluzione, richiamò le proprie truppe e si pose alla testa del movimento il 19 marzo di quello stesso anno. Egli formò così un governo di stampo liberale e diede alla luce la costituzione tanto attesa dall'arrivista borghesia Prussia. Quando però il suo Trono fu nuovamente al sicuro da opposizioni, e quando si accorse che la sua persona era stata assai emarginata ,  rioccupò Berlino con la forza e ristabilì l'ordine precedente. Egli a ogni modo aveva cambiato il proprio concetto di unificazione della Germania, il che spinse alcuni membri dell'ormai contaminata  Dieta imperiale di Francoforte a offrirgli la corona della Germania il 3 aprile 1849, cosa che egli rifiutò per l'eccessivo rischio che essa avrebbe rappresentato in un periodo così incerto e non volendo soprattutto attirarsi le ire dei legittimi detentori della Corona Imperiale ,  Asburgo-Lorena. Essendo un conservatore reazionario, si pronunciò contro i borghesi che volevano rendergli la corona affermando che egli non aveva nulla da chiedere né da ricevere da una massa di bottegai.
Sotto l'aspetto della politica interna, egli fondò una nuova costituzione filo liberale che divideva il governo in due camere: quella alta formata da aristocratici ed eletta dalla camera legislativa, quella bassa composta dai tassati, suddivisi per fasce di tassazione (tutti borghesi di un certo spessore). La costituzione, inoltre, riservava al Re il privilegio di eleggere tutti i ministri, ristabilendo anche le diete provinciali e ponendo a capo dell'esercito sempre il monarca. La monarchia degli Hohenzollern passo così da un regime assolutista, il quale già di per se rappresenta una degenerazione rispetto alla Monarchia Cristiana ,  alla degenerazione monarchica per eccellenza , costituzionale-liberale: si deve però aggiungere che questa transizione da assolutismo a costituzionalismo liberale in Prussia ebbe un aspetto molto "ibrido" che si mantenne con risultati comunque nefasti fino al 1918.
Nel 1857 Federico Guglielmo IV fu colpito da una paralisi che interessò la metà sinistra del suo corpo e che  incise anche sulle sue capacità mentali. Suo fratello Guglielmo divenne reggente per lui sino alla sua morte, avvenuta nel 1861.


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Guglielmo I di Germania
L'apice dell'arrivismo degli Hohenzollern



Guglielmo I di Germania
Guglielmo I di Germania.
Guglielmo I, nato Guglielmo Federico Ludovico ( Berlino, 22 marzo 1797 – Berlino, 9 marzo 1888), era il secondogenito di Federico Guglielmo III Re di Prussia e di Luisa di Meclemburgo-Strelitz. La sua posizione di secondogenito lo aveva subito tenuto al di fuori delle questioni politiche del tempo ma permise alla setta, la quale in quel periodo cercava adepti tra i Principi d'Europa che non avrebbero ereditato il Trono legittimamente e che possedevano la giusta ambizione per essere il braccio della loggia ,  di avvicinarsi a lui e infettarne lo spirito.
Il 2 gennaio 1861 il fratello Federico Guglielmo IV morì e Guglielmo ascese al Trono prussiano con il nome di Guglielmo I. Dal fratello però, oltre alla Corona, egli ereditò anche il conflitto con il parlamento, di stampo liberale. Egli era considerato una persona politicamente neutrale dal momento che operò meno nell'ambito parlamentare di quanto avesse fatto il fratello . Guglielmo I ad ogni modo trovò una soluzione di tipo conservatrice per il conflitto: egli nominò l'astuto e machiavellico Otto von Bismarck a suo primo ministro. Secondo la costituzione prussiana, il primo ministro era responsabile delle proprie azioni unicamente verso il Re e non verso il parlamento e Bismarck era l'uomo "perfetto" perché per la sua tempra tendeva a vedere la propria relazione con Guglielmo I come un rapporto tra vassallo e signore ma dove il vassallo comandava il signore.  Fu  infatti Bismarck a tenere le redini del governo ed a dirigerne l'andamento verso il baratro del nazionalismo militarista ed espansionista, così agevolando le ambizioni di Guglielmo I il quale a differenza del fratello inizio nuovamente un conflitto con la Corte di Vienna.
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Otto von Bismarck.
Come abbiamo già visto in precedenza,  per attuare la trasformazione degli Stati tedeschi in nazione unificata, Bismarck architettò un piano che fu realizzato in varie tappe, con una abilità quasi diabolica. In primo luogo progettò di eliminare l'Austria Cattolica dalla sua posizione di egemonia nella Confederazione Germanica; come mezzo preliminare per raggiungere il suo obiettivo, entrò in conflitto con la Danimarca sul possesso dello Schleswig-Holstein. Queste province, abitate in maggioranza da tedeschi, erano in una situazione speciale. Dal 1815 l'Holstein era stato incluso nella Confederazione Germanica, ma entrambi i territori erano soggetti al Re di Danimarca. Nel 1864, quando la Danimarca tentò di annetterseli, Bismarck invitò l'Austria a partecipare ad una guerra contro quel paese. Fece seguito una breve campagna, al termine della quale il monarca danese dovette rinunciare a tutte le sue pretese sullo Schleswig-Holstein a favore dell'Austria e della Prussia.Avvenne allora il fatto nel quale Bismarck sperava ansiosamente: una divergenza fra i vincitori attorno alla divisione dei territori che provocò finalmente una guerra nel 1866. Sapendo che gli Asburgo contavano sull'appoggio degli Stati tedeschi del sud, che erano cattolici, Bismarck formò una alleanza con l'Italia sabauda , promettendo di ricompensarla, dopo la vittoria, con la cessione di Venezia.Nonostante la superiorità degli Stati della Confederazione Germanica schierati con gli Asburgo , il conflitto, conosciuto come la Guerra delle Sette Settimane, terminò con la sconfitta dell'Austria a Sadowa. Gli Asburgo furono obbligati ad abbandonare le loro rivendicazioni sullo Schleswig-Holstein, a cedere Venezia all'Italia sabauda ed a consentire lo scioglimento della Confederazione Germanica.




La guerra franco-prussiana scoppiata il 19 luglio 1870 ( anzi fatta scoppiare ad arte dal Bismark e dall'incapacità di gestire la politica estera di Napoleone III) tra il secondo impero francese e la Confederazione Germanica del Nord con a capo della Prussia, terminata il 10 maggio 1871 con la vittoria di quest'ultima , permise agli Hohenzollern di appropriarsi della Corona Imperiale. Nella guerra contro la Francia , la Prussia riuscì a far combattere dalla sua anche gli Stati Cattolici tedeschi come il Regno di Baviera insinuando nelle corti il germe del nazionalismo: anche le Casate Cattoliche Tedesche erano entrate tra il XVIII ed il XIX secolo nella degenerazione assolutista e dopo i  moti settari del 1848 in quella liberal-costituzionalista.


La proclamazione di Guglielmo I a Imperatore tedesco
 nella Galleria degli Specchi della Reggia di Versailles.

Guglielmo I giunse a cingere la corona di Imperatore il 18 gennaio 1871, nel palazzo di Versailles in Francia ove egli venne ufficialmente dichiarato Imperatore. Il titolo di "Imperatore tedesco" venne scelto astutamente dallo stesso Bismarck dopo una lunga discussione sul carattere federale da dare al rivoluzionario  Impero. Guglielmo, per le proprie ambizioni politiche, avrebbe preferito il titolo di "Imperatore di Germania", che ad ogni modo era chiaro non sarebbe stato accettato dagli altri monarchi tedeschi,altrettanto ambiziosi, che pure continuavano formalmente a detenere il potere effettivo nei loro stati così come Guglielmo continuava a regnare autonomamente sulla Prussia. Inoltre il titolo di Imperatore di Germania avrebbe generato in futuro pretese su altre terre esterne ai confini della Germania del 1871 (con l'intento di ricostituire un'Impero simile a quello di Carlo V in forma protestante). 
Guglielmo riuscì dove il fratello aveva fallito, in quanto Federico Guglielmo rifiutò il titolo di imperatore offertogli dalla dieta rivoluzionaria tedesca perché ad offriglielo era la volontà borghese
 -settaria. Guglielmo invece riuscì a diventare imperatore "per grazia della setta" e  dell'operato di Bismarck.
La sua elezione, ad ogni modo, non placò le insurrezioni settarie  e l'11 maggio 1878 l'emissario della setta Max Hödel fallì nel tentativo di assassinare Guglielmo I a Berlino. Un secondo attentato venne tentato il 2 giugno di quello stesso anno dall'anarchico Karl Nobiling, sempre inviato dalla setta, che riuscì solo a ferire Guglielmo prima di suicidarsi. Questi due attentati divennero motivo per l'istituzione delle leggi anti-socialiste che vennero introdotte dal governo Bismarck col supporto di gran parte del Reichstag a partire dal 18 ottobre 1878. Malgrado queste leggi  il complotto socialista faceva sempre più presa sulla popolazione ignara e molte di queste leggi contenitive vennero abolite per il mutare della marea dal 1º ottobre 1890.

Guglielmo I si dedicò  anche a progetti colonialisti  : infatti, durante il suo governo, furono fondate le colonie, con il sangue dei nativi,  di Togo, Camerun, Tanzania e Namibia in Africa, mentre nel Pacifico il governo tedesco s'insediò in Papua Nuova Guinea, colonizzando anche le Bismarck (arcipelago che come ben si capisce prese il nome  del  cancelliere Otto von Bismarck), le Salomone, Nauru e le Marshall.

Guglielmo I , riuscito a far diventare con l'aiuto della diabolica mente del Bismarck l'Impero degli Asburgo un "satellite della Prussia" , morì a Berlino il  9 marzo 1888.

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Federico III di Germania
...e i 99 giorni

 

Federico III
Federico III di Germania .
Federico III di Germania  (Potsdam, 18 ottobre 1831 – Potsdam, 15 giugno 1888) era figlio di Guglielmo I  e di  Augusta di Sassonia-Weimar-Eisenach. A causa  dell'influenza della madre, che proveniva dal Granducato di Sassonia-Weimar-Eisenach, dove l'ambiente era impregnato di liberalismo , Federico venne educato secondo idee diverse, e nettamente peggiori,  da quelle che fino ad all'ora erano usuali per l'erede al Trono . Comunque ricevette anche un'adeguata istruzione militare, come voleva la tradizione degli Hohenzollern. Completò la propria istruzione all'Università di Bonn, dove studiò legge, storia e letteratura e dove venne iniziato all'ordine massonico della Rosa Croce d'oro.  Nel 1860 divenne Gran Maestro della Gran Loggia dei massoni di Germania.

Nel 1861, quando il  padre di Federico divenne Re di Prussia, egli  divenne Principe della Corona. Nel 1862 il padre protestò minacciando l'abdicazione, poiché la Dieta aveva rifiutato di finanziare la riorganizzazione dell'esercito
 il quale aveva un'importanza vitale per i progetti espansionistici di Guglielmo I .  Come Principe della Corona, egli comandò le armate nella meschina guerra austro-prussiana del 1866, e il suo tempestivo arrivo contribuì alla vittoria prussiana nella battaglia di Königgrätz. Dopo la battaglia il padre lo nominò per l'Ordine Pour le Mérite. Di rilievo strategico fu anche il suo intervento nella guerra  franco-prussiana del 1870, dove prese parte alle battaglie di Wissembourg, Wœrth, Sedan e all'assedio di Parigi.

Nel 1871 avvenne la nazionalistica unificazione della Germania come Impero tedesco, con Guglielmo imperatore (Kaiser) e Federico erede. Mai amato da Bismarck, che non si fidava del liberalismo della moglie, Federico venne sempre tenuto lontano da qualsiasi posizione di potere reale per tutto il corso della vita del padre. Si interessò molto della nuova capitale Berlino, Federico venne nominato Protettore dei musei. Grazie al suo lavoro e a quello di William Bode, vennero acquistate e create le collezioni d'arte che ancora oggi è possibile ammirare nella città. Quando il padre morì nel 1888, Federico soffriva già di un incurabile cancro alla laringe, che era stato mal diagnosticato, con conseguente annullamento della necessaria operazione chirurgica, nel 1887. Regnò solo per 99 giorni prima della sua morte e non ebbe il tempo materiale per realizzare un qualsiasi progetto politico , per quanto negativo potesse essere viste le sue vedute nettamente liberali.


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Guglielmo II di Germania
Il crollo di un Impero fondato sul nazionalismo




Guglielmo II di Germania.
Guglielmo II di Prussia e Germania (Berlino, 27 gennaio 1859Doorn, 4 giugno 1941) dal Principe della Corona Federico e da sua moglie, Vittoria di Sassonia-Coburgo-Gotha, figlia della "regina" Vittoria , l'usurpatrice del Trono Britannico.

Il 9 marzo 1888, all'età di 91 anni, moriva  Guglielmo I. Il figlio, il Principe ereditario e padre di Guglielmo, salì al trono assumendo il nome di Federico III. Questi a sua volta, dopo soli 99 giorni di regno, il 15 giugno 1888, morì a seguito di un cancro alla laringe e Guglielmo, all'età di 29 anni, divenne il nuovo imperatore di Germania.
Non erano trascorsi neanche due mesi dall'ascesa al trono che Guglielmo II si recò in visita di stato in Russia, la prima di una lunga serie. Tre mesi dopo ottenne un appannaggio annuale di 6 milioni di marchi e al viaggio a San Pietroburgo ne seguirono altri a Stoccolma, Copenaghen, Vienna e Roma.
Ben presto, però, il carattere di Guglielmo e le sue idee, in lina con quelle del padre, si dovettero scontrare con quelle del Cancelliere allora in carica: Otto von Bismarck.

Profondamente preoccupato dagli scioperi di minatori nella primavera del 1889, Guglielmo II enunciò al Consiglio prussiano un programma che, attraverso la scuola, avrebbe dovuto difendere i giovani dal socialismo. Soprattutto la lezione di storia doveva servire allo scopo: gli insegnanti avevano il compito di illustrare la pericolosità delle teorie socialdemocratiche spingendo le giovani menti verso ideali ugualmente pericolosi: il nazionalismo che tanti danni avrebbe ancora fatto in Germania.
Nonostante ciò il Kaiser si trovò in forte contrasto con il suo cancelliere, Bismarck, che auspicava una linea dura nei confronti del movimento operaio. Guglielmo credeva, invece, nella necessità di una conciliazione nazionale che comportasse il minimo rischio per la Corona.
Nel corso della controversia si tennero le elezioni al settario Parlamento tedesco, che determinarono la non casuale  vittoria dei Socialisti democratici. Vistosi in minoranza, Bismarck sollevò una questione costituzionale. Secondo un vecchio decreto prussiano del 1852 i ministri erano tenuti a consultare il capo del governo prima di consultare il Re; cosa che avrebbe impedito al Kaiser di avere rapporti diretti con i ministri. Guglielmo II ordinò allora che venisse emesso un nuovo decreto per revocare quello del 1852 e il 18 marzo 1890 Bismarck, piuttosto che eseguire l'ordine, diede le dimissioni.
Guglielmo II incaricò alla successione Leo von Caprivi, un militare di loggia che non si voleva inoltrare nei labirinti della politica bismarckiana. Entrambi agirono, infatti, demolendo uno dei capisaldi di Bismarck: il trattato di controassicurazione con la Russia, evento che portò a un avvicinamento di quest'ultima alla Francia. Guglielmo II in questa decisione si lasciò influenzare dai suoi consiglieri, che ritenevano il trattato incompatibile con le altre intese sottoscritte dalla Germania e, probabilmente, anche dai militari che diffidavano della Russia.
Ben presto, tuttavia, Guglielmo II trovò Caprivi incompatibile con i suoi “più vasti disegni”, specie dopo che il Cancelliere si era creato nemici in diversi ambienti.
Il risultato fu che nel 1894 Caprivi fu spinto alle dimissioni dall'”eminenza grigia” del governo settario , Friedrich August von Holstein, il quale aveva intenzione di educare Guglielmo attraverso il moderato, e sempre massone,  Chlodwig zu Hohenlohe-Schillingsfürst suo candidato alla Cancelleria. Fu infatti quest'ultimo a essere fatto scegliere dal Kaiser quale successore di Caprivi.
La politica mondiale della Germania, con il nuovo cancelliere Bernhard von Bülow e con l'ammiraglio Alfred von Tirpitz, fu contraddistinta da un forte riarmo navale. Costoro, assieme a Guglielmo II , cercarono di inculcare sogni di potenza marittima nei  popoli tedeschi e riuscirono a far passare al Reichstag ben 3 leggi di costruzione navale, due delle quali, quella del 1900 e quella del 1908, durante il cancellierato di Bülow.
Tra crisi interne ed esterne , l'Impero militar-nazionalista filo liberale di Guglielmo II , il quale verso l'inizio del 1913 festeggiava il suo giubileo d'argento ( 25 anni dalla salita al trono), la sensazione che un conflitto europeo fosse ormai inevitabile cominciò ad assillare Guglielmo II.  Quando domenica 28 giugno 1914 fu assassinato per mandato della setta l'erede al Trono d'Austria Francesco Ferdinando, Guglielmo II era a Kiel per delle regate con il suo yacht Meteor; il capo di stato maggiore dell'esercito, Moltke, era alle terme a Karlsbad e il capo della Marina, Tirpitz, in vacanza in Engadina (Svizzera). Assenti le più alte cariche militari, in quei primi giorni di luglio, a Berlino e Potsdam il Kaiser sottovalutò la forza e la volontà bellica dei potenziali nemici. Disse che Nicola II difficilmente avrebbe protetto dei regicidi, che la Russia non era in grado di entrare in guerra e che la Francia era in piena crisi finanziaria e mancava di artiglieria pesante. Fatte queste osservazioni, partì per la consueta crociera estiva in Norvegia.
Dopo aver svolto pressioni al governo di Vienna per spingerlo ad entrare in guerra , la Prima Guerra Mondiale scoppiò con tutta la sua violenza e distruzione.



Guglielmo I di Germania.

Il 26 ottobre 1918, di fronte all'impossibilità di proseguire la guerra, Guglielmo II convocò i due comandanti e parlò a Ludendorff in modo tale da costringerlo a dimettersi. Le dimissioni presentate da Hindenburg furono, invece, respinte. Il giorno dopo, il nuovo imperatore austriaco, Carlo I d'Asburgo, comunicò a Guglielmo II che aveva deciso di concludere la pace. La notizia indusse il governo tedesco, guidato ora da Maximilian di Baden, a decidere se accettare le richieste di principio che avevano offerto gli Stati Uniti: il Kaiser decise di accoglierle.
A questo punto, sulla strada dell'armistizio, la sola speranza per il Trono sembrava l'abdicazione, ma i socialisti che grazie alla setta avevano preso il potere erano per la repubblica. Risentito del fatto che il Cancelliere si era rifiutato di pubblicare una lettera e un proclama nei quali assicurava il suo appoggio al governo e alle modifiche istituzionali, nella notte del 29 ottobre, Guglielmo II lasciò Berlino per Spa, in Belgio, sede del quartier generale dell'esercito. Qui, fra i suoi generali, fu raggiunto il 1º novembre dal ministro degli Interni prussiano Bill Drews (1870-1938) che gli comunicò delle sempre più numerose richieste per la sua abdicazione. Guglielmo II rispose: «Come può lei, un funzionario prussiano, uno dei miei sudditi che mi ha giurato fedeltà, avere l'insolenza e la sfrontatezza di sottopormi una richiesta del genere?».
Il 4 novembre 1918, come risposta all'ordine di far salpare la flotta per una disperata battaglia sul mare, i marinai ammutinati, sotto il comando di manutengoli della setta,  occuparono la città di Kiel e nei giorni seguenti la rivolta si diffuse agli altri porti della Germania estendendosi all'interno del Paese. Il 7 i ministri socialisti reclamarono ancora l'abdicazione dell'Imperatore che rifiutò ordinando che fosse preparato un piano per marciare in Germania alla testa dell'esercito e restaurare l'ordine.
A Berlino la maggioranza socialista al Reichstag chiese l'abdicazione del Kaiser. Quando questi rifiutò, i deputati si dimisero in blocco dal Parlamento e indissero uno sciopero generale. A Colonia i marinai rivoluzionari presero la città, come già era accaduto a Kiel. Guglielmo II si trovò allora di fronte al collasso del Paese e quando il Principe Maximilian di Baden lo pregò per telefono di abdicare, gli urlò il suo "no" al ricevitore. La sera dell'8 novembre l'ammiraglio von Paul von Hintze raggiunse a Spa Guglielmo e gli comunicò che la Marina era ormai fuori controllo.
Il giorno dopo, il 9, scoppiò la rivoluzione a Berlino e Guglielmo fu ancora sollecitato ad abbandonare il Trono: a Spa, il Kaiser, che nutriva speranze di potersi mettere a capo dell'esercito assieme a Hindenburg e sedare le rivolte, chiese al generale Groener cosa ne pensasse. Questi rispose che non c'era operazione militare che potesse avere successo. I rivoluzionari avevano in mano i principali nodi ferroviari e molti soldati avevano abbracciato la causa della rivoluzione. Alle 11 di mattina arrivò un telegramma che annunciava la ribellione dei soldati della piazza di Berlino. A quel punto Guglielmo parve cedere e decise di abdicare, ma solo come imperatore: egli avrebbe comunque conservato il titolo di Re di Prussia , l'unico che gli appartenesse legittimamente, e sarebbe rimasto con il suo esercito.
Quando per telefono furono trasmesse le sue decisioni a Berlino, Baden per guadagnare tempo aveva già proclamato l'abdicazione del Kaiser e del Principe ereditario. Dopo di che il Cancelliere passò il potere al socialista Friedrich Ebert.

Guglielmo s'infuriò per come erano andate le cose, ma, ormai, tutto era perduto. La strada per la Germania era chiusa dall'ennesima  rivoluzione settaria  e poiché i fermenti minacciavano di estendersi anche tra i soldati stanziati a Spa, il 10 novembre l'ex Imperatore passò il confine con i Paesi Bassi. Il giorno dopo la Germania firmava l'armistizio.
Guglielmo II in esilio (al centro)
con il primogenito Federico Guglielmo
 (a sinistra) e il figlio di quest'ultimo Guglielmo,
 in Olanda nel 1927.
Il 28 novembre 1918, la consorte di Guglielmo II raggiunse il marito nei Paesi Bassi, al castello di Amerongen (presso Utrecht). Lo stesso giorno Guglielmo regolarizzò la propria situazione firmando un formale atto di abdicazione che liberava tutti i suoi funzionari dal giuramento di obbedienza. Il principe ereditario rinunciò analogamente ai suoi diritti. Così finiva la breve storia dell'Impero Tedesco degli Hohenzollern e la loro sfrenata ambizione. Essi pagarono il "patto con il diavolo" che gli aveva resi Imperatori a caro prezzo.
Nel 1931, prima dell'ascesa del Nazionalsocialismo, Guglielmo si confidò con il nipote Luigi Ferdinando affermando che Adolf Hitler era il capo di un forte movimento che rappresentava tutta l'energia della nazione tedesca.
 




Due anni dopo, al momento della presa del potere nazista, venne firmato un accordo con Hermann Göring con il quale veniva concesso a Guglielmo e ai suoi figli un appannaggio a condizione che si astenessero dal criticare il Terzo Reich. Tuttavia, di fronte alle persecuzioni agli ebrei del 1938, Guglielmo affermò: «Per la prima volta mi vergogno di essere tedesco».

Nel 1940 inviò comunque le sue congratulazioni a Hitler per la conquista di Parigi. Ormai anziano, l'anno dopo, il 4 giugno 1941, morì per complicazioni polmonari. Come da sue disposizioni l'ex imperatore fu sepolto nel mausoleo di Doorn, benché Hitler avesse offerto funerali di stato a Berlino.


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Continua...

 
Fonte:

http://circolopliniocorreadeoliveira.blogspot.it/

Wikipedia.

"MEMORIE PER LA STORIA DEL GIACOBINISMO" DELL' ABATE BARRUEL - Tomo I .


 "Il problema dell'ora presente" di mons. Delasuss. Tomo I .

Le grandi famiglie d'Europa: gli Hohenzollern . Mondadori.
  • David E. Barclay, Frederick William IV and the Prussian Monarchy 1840-1862, Oxford, 1995.
  • David E. Barclay. Friedrich Wilhelm II. (1786–1797). In: Frank-Lothar Kroll (a cura di). Preußens Herrscher. Von den ersten Hohenzollern bis Wilhelm II. Beck, Monaco di Baviera, 2006, pag. 179-196.
  • Karin Feuerstein-Prasser. Die preußischen Königinnen. Friedrich Pustet, Ratisbona, 2000.
  • Brigitte Meier. Friedrich Wilhelm II. – König von Preußen (1744 – 1797). Ein Leben zwischen Rokoko und Revolution. Friedrich Pustet, Ratisbona, 2007.
  • Wilhelm Moritz Freiherr von Bissing. Friedrich Wilhelm II., König von Preußen. Berlino, 1967.
  • Hans-Joachim Neumann. Friedrich Wilhelm II. Preußen unter den Rosenkreuzern. Berlino, 1997.
  • Ernst von Salomon. Die schöne Wilhelmine. Ein Roman aus Preußens galanter Zeit. Rowohlt, 1951.
 
  • Michael Balfour, Guglielmo II e i suoi tempi, Milano, Saggiatore, 1968. (ISBN non esistente) Edizione originale (in inglese): The Kaiser and his Times, 1964.
  • Bernhard von Bülow, Memorie, Mondadori, Milano 1930-31, 4 volumi. Edizione originale (in tedesco): Denkwürdigkeiten, 1930-31.
  • Martin Gilbert, La grande storia della prima guerra mondiale, Mondadori, Milano, 2010 ISBN 978-88-04-48470-7. Edizione originale (in inglese): First World War, 1994.
  • Guglielmo II, Memorie dell'Imperatore Guglielmo II scritte da lui stesso, Mondadori, Milano 1923.
  • Hew Strachan, La prima guerra mondiale, Mondadori, Milano, 2012 ISBN 978-88-04-59282-2.
  • Michael Stürmer, L'impero inquieto. La Germania dal 1866 al 1918, il Mulino, Bologna, 1993 ISBN 88-15-04120-6. Edizione originale (in tedesco): Das ruhelose Reich. Deutschland 1866-1918, Berlin, 1983.


  • Scritto da:

    Presidente e fondatore dell'A.L.T.A. Amedeo Bellizzi.