venerdì 19 luglio 2013

La Rivoluzione Francese e la Chiesa Cattolica (Parte III)

PIO VI
Frattanto il segretario del Mackau, Hugon de Bassville, era giunto a Roma, apparentemente per visitare le bellezze della Città eterna e per ringraziare della liberazione dei due artisti, in realtà, come si congetturò ben presto, con altri intenti. Gli uni credevano, che la repubblica mirasse ad entrare per mezzo di lui in rapporti diplomatici col Papa, gli altri vedevano in lui esattamente uno spione destinato ad esplorare la situazione dello Stato ecclesiastico.

Il Bassville andò ad abitare presso il banchiere francese Morette in Via dell’Impresa.

Il Papa ordinò di trattarlo cortesemente, ma di sorvegliare i suoi passi. Il Bassville si comportò immediatamente, pur non avendone nessun diritto, come un diplomatico accreditato, e strinse relazioni particolari con l’ambasciatore spagnolo Azara cui dette la lode di essersi, unico di tutti gli inviati in Roma, <<innalzato quasi all’altezza della nostra rivoluzione>>. Aggiunge, che <<è un filosofo e amico delle arti, il quale non mostra nessuno dei pregiudizi, che sarebbero scusabili in uno spagnolo, che è stato 26 anni diplomatico>>. L’accoglienza amichevole trovata dal Bassville lo incoraggiò a comportarsi sempre più arditamente ed a chiedere la liberazione di francesi sospetti, la quale gli venne concessa senza difficoltà sotto la pressione  del timore per la flotta francese nel Mediterraneo. Le preoccupazioni si accrebbero, allorché si scoprirono in Roma indizi di un complotto rivoluzionario. Il sospetto cadde sugli Ebrei, nel cui ghetto si trovarono armi. Al principio di dicembre si ebbero arresti quasi ogni giorno. Frattanto il generale Caprara, chiamato dal Papa, cominciò ad ispezionare gli apprestamenti difensivi dello Stato ecclesiastico. Per rimediare alle strettezze finanziarie il Papa aveva deciso alla fine di novembre d’intaccare il tesoro di Castel S. Angelo finora scrupolosamente custodito, ma che nel frattempo si era già fortemente ridotto. Per tranquillizzare i romani il 4 dicembre 1792 comparve un manifesto del cardinale Zelada del seguente tenore: <<L’intendimento del Papa è di rimanere in pace con l’estero e di curare nella sua residenza il mantenimento della tranquillità. Perciò egli ha preso misure di precauzione per la difesa delle coste e dei porti ed arruolato truppe per il mantenimento dell’ordine. Egli rende noto ciò a tutti, affinché si conoscano i suoi intendimenti, diretti solo a mantenere sicuro e tranquillo lo Stato della Chiesa; è lungi da lui l’idea di attaccare chicchessia>>.

A Parigi dominavano vedute diverse. Il 24 ottobre 1792 l’Arena aveva scritto al suo amico Brissot, che dirigeva il comitato diplomatico nella Convenzione, che Roma per la repubblica era un nemico assai più pericoloso della Prussia e dell’Austria; perciò si doveva utilizzare l’occasione di intronizzare a Roma un altro vescovo e di organizzare una rivolta generale, poiché <<noi siamo, insomma, padroni nel Mediterraneo>>. Doveva risultare ben presto, che tali mire, nonostante il conciliante contegno pontificio con Bassville, seguitavano a sussistere. Il 7 dicembre era arrivata nel porto di Napoli la flotta francese sotto l’ammiraglio de la Touche-Tréville per imporre l’accettazione delle richieste del Comitato esecutivo parigino sotto la minaccia di ridurre la città in un cumulo di rovine. Il 12 dicembre il Bernard, che per verità aveva presentato già nell’autunno 1791 le sue dimissioni da incaricato di affari non ufficiale, ricevette una lettera del Comitato esecutivo della Repubblica francese al <<ministro degli esteri in Roma>>. Questa lettera, che il Bernard fece subito consegnare da suo figlio al cardinale Segretario di stato, aveva un tono minaccioso: se i due artisti  - che si credeva fossero ancora in prigione - non erano subito rimessi in libertà, la repubblica si farebbe ragione da sé colle armi e metterebbe a fuoco e fiamme lo Stato della Chiesa.

Nella lettera allo Zelada se ne trovava una seconda, con la data del 23 novembre e indirizzata al Papa, della cui redazione era particolarmente orgogliosa la passionale moglie del ministro Roland. Già l’indirizzo scelto dal Comitato esecutivo, <<al principe- vescovo di Roma>>, era offensivo. Molto più rivoltante era il contenuto. Innanzitutto si protesta, con profusione di frasi, per l’arresto dei due artisti, colpevoli solo di rispetto verso i diritti dell’uomo e di amore alla patria. <<La vacillante signoria dell’Inquisizione>>, si prosegue, <<ha un termine, appena essa si arrischia a sfogare il suo furore, e il successore di S. Pietro perderà la sua signoria appena lo tolleri. La Ragione ha sollevato dovunque la sua voce potente, essa ha spezzato lo scettro della tirannide e il talismano della monarchia. Dopo che l’invocazione: Libertà! È divenuto il grido generale di guerra, i troni dei sovrani vacillano; essi debbono salutare la Libertà, se vogliono evitare la propria caduta violenta. La Repubblica, non paga di annientare la tirannia in Europa, ha il dovere di impedire l’esercizio dovunque e di elevare i propri reclami in nome della giustizia, delle arti, della ragione, della nazione fremente vendetta>>. Più avanti il Papa viene poi apostrofato così: <<Pontefice della Chiesa romana, oggi ancora signore di uno Stato, che minaccia di sfuggirvi, Voi potete conservare tanto lo Stato quanto la Chiesa solo con una professione disinteressata dei principii evangelici, i quali spirano la più pura democrazia, la più mite umanità, la più completa uguaglianza, principii di cui i successori di Cristo si sono serviti per accrescere la loro potenza, la quale oggi viene meno per debolezza senile. I secoli dell’ignoranza sono passati, gli uomini non possono essere più dominati che con la persuasione, guidati con la verità e vincolati per il proprio bene>>. Dopo burbanzose declamazioni sui <<principii della repubblica>> la lettera terminava con la minaccia di rappresaglie, nel caso che le rimostranze pacifiche dovessero rimanere senza successo.

Un messaggio simile, giudica lo stesso Azara, non è stato ancora mai diretto ad un sovrano. Il cardinale
Segretario di stato Zelada rispose tuttavia cortesemente, ma risoluto, di non poter consegnare al Papa una lettera simile. Si giudicò generalmente, che il governo di Parigi con questa offesa inaudita mirasse a provocare la rottura aperta col Papa, giacché i due artisti francesi arrestati erano già liberati e partiti e la lettera di minaccia era stata pubblicata nei giornali francesi prima della sua consegna.

Per evitare l’estremo lo Zelada si adattò ad inviare al Bernard una nota in data 19 dicembre, che giustificava tranquillamente ed obbiettivamente la condotta del Papa verso i due artisti già messi in libertà. Anche il Bassville, nonostante il suo contegno ambiguo, continuò ad esser trattato con estremo riguardo e le sue esigenze vennero soddisfatte fino all’ultimo limite del possibile. Si poté respirare solo quando il 20 dicembre 1792 giunse la notizia, che una tempesta aveva disperso la flotta francese davanti a Napoli. Ma il Bassville ed il suo committente, l’intrigante ed ambizioso Mackau, non pensarono a tener conto di questa situazione cambiata; essi vennero fuori con nuove esigenze.

Il Bassville, che nel dicembre 1792 aveva fatto venire a Roma sua moglie e il suo bambino, manteneva con i pensionari di opinioni rivoluzionarie dell’Accademia artistica- il cui patriottismo, com’egli annunciava al Roland, uguagliava l’ingegno- rapporti così intimi, che gli si fece biasimo di trascurare gli altri francesi; egli cercò di giustificarsi rilevando, che usava invitare ai suoi déjeuners repubblicani, vale a dire a una <<tazza di the>>, tutti i francesi senza distinzione.

L’Azara, che era in stretta relazione col Bassville, aveva riferito a Madrid fin dal 12 dicembre 1792, che si pensava a sostituire all’Accademia artistica come alla posta francese i gigli reali con l’arma della nuova repubblica, la figura della Libertà col berretto frigio, il che procurerebbe al governo pontificio ancor maggiore imbarazzo di quello procurato dallo stesso procedimento a Napoli.

Il piano proveniva dal Mackau, il quale, accreditato solo alla corte di Napoli, non aveva a Roma più del
Bassville una missione. Il ministro della marina gli aveva ordinato di far sostituire l’arma reale colla repubblicana nei consolati di Roma, Civitavecchia ed Ancona, se non s’incontrava colà resistenza. Il Mackau ed il Bassville non tennero conto di questa restrizione; il direttore delle poste francesi in Roma, Digne, ricevette l’ordine di cambiare l’arma. Il Digne, tuttavia, potè nella notte dal 1° al 2 gennaio 1793 solo rimuovere l’arma reale e quella del papa; soldati pontifici impedirono, tanto alla posta come all’Accademia artistica, che venisse collocato l’emblema della repubblica. Lo Zelada aveva sottoposto la richiesta improvvisa alla Congregazione cardinalizia, dei cui sette membri due si espressero favorevolmente, cinque in senso contrario. Per la negativa fu anche l’opinione del Papa e quella universale in Roma. L’8 gennaio fu inviata al Digne ed al Bassville la risposta del cardinale Zelada, che venne comunicata a tutti gli invitati; essa faceva menzione dell’eccitazione dominante in Roma ed esponeva al tempo stesso i motivi, per cui il Papa non permetteva l’arma della repubblica francese. Quale capo della Chiesa cattolica egli non poteva riconoscere, senza mancare ai suoi doveri più sacri, un governo, il quale faceva di tutto per separare la Francia dalla S. Sede; quale reggitore dello Stato della Chiesa, egli doveva prima richiedere riparazione per i torti fattigli, l’abbruciamento della sua effigie, la presa di Avignone e del Venaissin, la distruzione dello stemma papale sulla casa del console pontificio a Marsiglia. Il rispetto agli stemmi era un obbligo di onore universalmente riconosciuto, che il governo francese per primo aveva violato. Dopo la distruzione dello stemma pontifico a Marsiglia era impossibile per lui lasciare innalzare in Roma quello della Repubblica. Si aggiungeva ancora a ciò, che in dicembre si era perquisita a Marsiglia l’abitazione del console pontificio e che, nonostante la liberazione dei due artisti francesi, questa era stata richiesta in una lettera sconveniente di minaccia, la quale era stata portata a conoscenza del pubblico nei giornali. Tutte queste offese giustificavano agli occhi di ciascuno, che il Papa negasse il suo consenso a che sotto i suoi occhi, nella sua propria capitale, venisse innalzato lo stemma di una repubblica, che non tollerava in Francia quello papale. 

Il Bassville, il quale adesso si accorse, che il governo pontificio aveva tenuto finora un contegno riservato solo per paura della flotta francese del Mediterraneo, sembra che non disconoscesse il peso di questi argomenti. Egli richiese a Parigi per mezzo di un corriere nuove istruzioni, ma intanto fece di tutto per accrescere l’eccitazione regnante a Roma. Ad un banchetto dato da lui ad influenti personalità romane, egli brindò alla Repubblica francese; contemporaneamente venne portata in tavola una torta croccante a forma di berretto frigio, la quale conteneva coccarde tricolori, ch’egli distribuì agli invitati.

La notizia di ciò suscitò nella popolazione fedele al Pontefice un giustificato scandalo. Dei verseggiatori risposero con satire mordaci. Gli amici del Bassville fecero quindi affiggere in varie parti di Roma un sonetto, che incitava i Romani a seguir l’esempio di Bruto.

(Ludwig VON PASTOR, Storia dei Papi. Dalla fine del medio evo, Desclée, Roma 1955, vol. 16-3, 1775-1799)

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