Pubblichiamo un estratto della conferenza del prof. Matteo D’Amico “Sinite parvulos
venire ad me”. Famiglia: educazione e santificazione (Atti del XVI Convegno di
Studi Cattolici, Rimini, ottobre 2008, pp.)
venire ad me”. Famiglia: educazione e santificazione (Atti del XVI Convegno di
Studi Cattolici, Rimini, ottobre 2008, pp.)
(…) E’ possibile però farci una domanda più profonda e chiederci quale sia l’essenza di
questa sovversione di una sana e corretta visione della sessualità. Essa non consiste,
come si pensa, in un semplice edonismo. In una visione goffamente materialistica in cui ciò
che conta è la consumazione, in quanto tale, di atti sessuali, il raggiungimento di un
piacere fisico epidermico e scisso da ogni profondità di impegno affettivo e morale.
L’essenza di quanto tragicamente sta consumando l’Occidente, il cuore di tenebra della
rivoluzione sessuale esplosa in questi ultimi quarant’anni, è il sentimentalismo,
sentimentalismo che è il vero male della modernità, il cancro segreto che la consuma e
ne esaurisce le forze e lo spessore spirituale.
Il predominio del sentimentalismo è quello di una visione della vita nella quale il fine è la
dissoluzione dell’io, del soggetto razionale, nell’unità pleromatica del tutto originario,
secondo un codice matriarcale e regressivo che odia ogni identità personale forte. In tale
contesto la sessualità è più un mezzo che un fine: il fine essendo la distruzione gnostica
dell’idea stesso di soggetto, l’istituzione di una metasoggettività collettiva e
transindividuale, perdendosi nella quale si può trovare l’unica vera pace. (…)
L’amore-passione, l’innamoramento perpetuo e irrisolvibile, è la metafora, la figura dello
spirito, che meglio esprime la tirannia sentimentalista della quale siamo vittime. Questo
clima culturale alimenta una lotta a morte contro tre dimensioni in particolare:
– la ragione, sostituita dall’inconscio, dall’irrazionale, dal semplicemente intuito;
– la volontà, non più coltivata come forza di disciplinare le passioni, ma combattuta e
sostituita dal primato del desiderio, in virtù del quale la vita è pensata come ricca
di valore solo in quanto satura di desideri soddisfatti e soddisfatti in modo
immediato (perché ogni attesa, ogni lavoro, ogni differimento della soddisfazione è
catena che imprigiona e opprime);
– l’autorità, concetto che ricorda ancora troppo e in modo troppo chiaro il mondo
del Padre e la gerarchia in cui le cose, e non solo le persone, dovrebbero essere
disposte.
Ora, il sentimentalismo sessuocentrico che devasta i nostri tempi è però in sé,
segretamente, una forma di onanismo omosessualista: con ciò intendiamo dire che anche la
sessualità dei giovani o delle coppie eterosessuali è in realtà più in profondità, spesso
intimamente omosessuale; l’erotismo diventa qui, dunque, la maschera di un
autoerotismo di massa arido e sterile, dove l’altro non è mai veramente tale, ma solo la
maschera sotto la quale l’Io incontra se stesso, o meglio, un suo Sé illusorio e spettrale,
privo di ogni autentico spessore esistenziale, destinato all’inautenticità.
Il senso ultimo, del resto, dell’amore-passione, non è forse proprio quello di una
solitudine tragica e irredimibile dove, anche se non lo so e non lo voglio, vivo la morte e,
occultamente, odio la vita?
Se dunque la cifra più profonda del sentimentalismo… è l’impossibilità di un incontro
autentico, si può qui osservare come, all’opposto, l’essenza della castità consista proprio
nel pensare l’altro come l’altro, e dunque nell’incontrarlo davvero. L’altro, infatti, è
davvero tale solo se il suo volto è rischiarato nella luce della Carità, potendo così essere
pensato come appartenente innanzitutto a Dio, e non a me.
Se nel pathos sentimentale anche l’incontro più consensuale e spontaneo è, segretamente,
una cattura reciproca e feroce; nella castità, per converso, l’altro mi sovrasta, venendo a
me dall’altezza stessa di Dio, a cui appartiene, scendendo come un dono verso la
povertà della mia carne, della mia finitudine desiderante e lacerata. E poiché qui l’altro
rimane altro (dove l’alterità è radicata in Dio stesso, suo Creatore), esso è passibile di
essere conosciuto in verità, di essere veramente incontrato.
Solo se l’altro si sottrae così, grazie alla castità, al linguaggio del dominio e della
distruzione della morte che abita inestricabilmente l’eros, la solitudine può essere infranta
e diviene possibile a due essere “una carne sola”.
Come in una scena infernale, invece, l’eros declinato sentimentalisticamente divide un
essere unico (l’Io che autisticamente e omosessualisticamente incontra se stesso) in due carni
che si divorano a vicenda, che si suppliziano senza poter trovare pace.
questa sovversione di una sana e corretta visione della sessualità. Essa non consiste,
come si pensa, in un semplice edonismo. In una visione goffamente materialistica in cui ciò
che conta è la consumazione, in quanto tale, di atti sessuali, il raggiungimento di un
piacere fisico epidermico e scisso da ogni profondità di impegno affettivo e morale.
L’essenza di quanto tragicamente sta consumando l’Occidente, il cuore di tenebra della
rivoluzione sessuale esplosa in questi ultimi quarant’anni, è il sentimentalismo,
sentimentalismo che è il vero male della modernità, il cancro segreto che la consuma e
ne esaurisce le forze e lo spessore spirituale.
Il predominio del sentimentalismo è quello di una visione della vita nella quale il fine è la
dissoluzione dell’io, del soggetto razionale, nell’unità pleromatica del tutto originario,
secondo un codice matriarcale e regressivo che odia ogni identità personale forte. In tale
contesto la sessualità è più un mezzo che un fine: il fine essendo la distruzione gnostica
dell’idea stesso di soggetto, l’istituzione di una metasoggettività collettiva e
transindividuale, perdendosi nella quale si può trovare l’unica vera pace. (…)
L’amore-passione, l’innamoramento perpetuo e irrisolvibile, è la metafora, la figura dello
spirito, che meglio esprime la tirannia sentimentalista della quale siamo vittime. Questo
clima culturale alimenta una lotta a morte contro tre dimensioni in particolare:
– la ragione, sostituita dall’inconscio, dall’irrazionale, dal semplicemente intuito;
– la volontà, non più coltivata come forza di disciplinare le passioni, ma combattuta e
sostituita dal primato del desiderio, in virtù del quale la vita è pensata come ricca
di valore solo in quanto satura di desideri soddisfatti e soddisfatti in modo
immediato (perché ogni attesa, ogni lavoro, ogni differimento della soddisfazione è
catena che imprigiona e opprime);
– l’autorità, concetto che ricorda ancora troppo e in modo troppo chiaro il mondo
del Padre e la gerarchia in cui le cose, e non solo le persone, dovrebbero essere
disposte.
Ora, il sentimentalismo sessuocentrico che devasta i nostri tempi è però in sé,
segretamente, una forma di onanismo omosessualista: con ciò intendiamo dire che anche la
sessualità dei giovani o delle coppie eterosessuali è in realtà più in profondità, spesso
intimamente omosessuale; l’erotismo diventa qui, dunque, la maschera di un
autoerotismo di massa arido e sterile, dove l’altro non è mai veramente tale, ma solo la
maschera sotto la quale l’Io incontra se stesso, o meglio, un suo Sé illusorio e spettrale,
privo di ogni autentico spessore esistenziale, destinato all’inautenticità.
Il senso ultimo, del resto, dell’amore-passione, non è forse proprio quello di una
solitudine tragica e irredimibile dove, anche se non lo so e non lo voglio, vivo la morte e,
occultamente, odio la vita?
Se dunque la cifra più profonda del sentimentalismo… è l’impossibilità di un incontro
autentico, si può qui osservare come, all’opposto, l’essenza della castità consista proprio
nel pensare l’altro come l’altro, e dunque nell’incontrarlo davvero. L’altro, infatti, è
davvero tale solo se il suo volto è rischiarato nella luce della Carità, potendo così essere
pensato come appartenente innanzitutto a Dio, e non a me.
Se nel pathos sentimentale anche l’incontro più consensuale e spontaneo è, segretamente,
una cattura reciproca e feroce; nella castità, per converso, l’altro mi sovrasta, venendo a
me dall’altezza stessa di Dio, a cui appartiene, scendendo come un dono verso la
povertà della mia carne, della mia finitudine desiderante e lacerata. E poiché qui l’altro
rimane altro (dove l’alterità è radicata in Dio stesso, suo Creatore), esso è passibile di
essere conosciuto in verità, di essere veramente incontrato.
Solo se l’altro si sottrae così, grazie alla castità, al linguaggio del dominio e della
distruzione della morte che abita inestricabilmente l’eros, la solitudine può essere infranta
e diviene possibile a due essere “una carne sola”.
Come in una scena infernale, invece, l’eros declinato sentimentalisticamente divide un
essere unico (l’Io che autisticamente e omosessualisticamente incontra se stesso) in due carni
che si divorano a vicenda, che si suppliziano senza poter trovare pace.
(a cura di Marco Massignan)
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