«Il Magistero ecclesiastico è quello principalmente orale affidato da Cristo, “Parola-Incarnata”, alla Chiesa nei suoi ministri, per comunicare il contenuto della Rivelazione pubblica quanto alle verità da credere ed ai doveri da compiere in ordine alla salvezza eterna. Alle origini, il Magistero degli Apostoli inaugura la Tradizione della “Parola di Dio”, che poi, essendo stata scritta, ci ha dato i libri del Nuovo Testamento.
Duplice è la forma del Magistero ecclesiastico: solenne ed ordinaria. La prima è esercitata personalmente dal Papa quando parla ex cathedra, e dal Concilio ecumenico che sentenzia sotto la sua presidenza. La seconda consiste nel Magistero dell’episcopato cattolico disperso nel mondo, che svolge la sua missione in sintonia col Vescovo di Roma» [Dizionario del cristianesimo, Synospis, 1992, v. Magistero].
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«Poiché l’uomo dipende totalmente da Dio, suo Creatore e Signore, e la ragione creata è sottomessa completamente alla verità increata, quando Dio si rivela, dobbiamo prestargli, con la fede, la piena soggezione dell’intelletto e della volontà. Quanto a questa fede —inizio dell’umana salvezza— la Chiesa Cattolica professa che essa è una virtù soprannaturale, per cui, sotto l’ispirazione di Dio e con l’aiuto della grazia, crediamo vere le cose da lui rivelate.
Con fede divina e cattolica deve credersi tutto ciò che è contenuto nella parola di Dio scritta o tramandata, e che è proposto dalla Chiesa come divinamente rivelato sia con giudizio solenne, sia nel suo Magistero ordinario universale.
Poiché senza la Fede è impossibile piacere a Dio e fare parte dei suoi figli, senza di essa nessuno può essere mai giustificato, come nessuno conseguirà la vita eterna, se non persevererà in essa fino alla fine. Perché poi potessimo soddisfare al dovere di abbracciare la vera Fede e di perseverare costantemente in essa, per mezzo del Figlio suo Dio istituì la Chiesa, provvedendola delle note di una istituzione divina, perché potesse essere conosciuta da tutti come la Custode e la Maestra della parola rivelata.
La stessa Chiesa, anzi, con la sua ammirabile propagazione, con la sua eminente santità, con la sua inesausta fecondità in ogni bene, con lo spettacolo della sua unità e della sua incrollabile stabilità, è un grande, perenne motivo di credibilità ed una irrefragabile testimonianza della sua missione divina.
Per cui, non è affatto uguale la condizione di quelli che attraverso il celeste dono della Fede hanno aderito alla Verità Cattolica e di quelli che, mossi da considerazioni umane, seguono una falsa religione. Quelli, infatti, che hanno ricevuto la Fede sotto il Magistero della Chiesa non possono mai avere giustificato motivo di mutare o di dubitare della propria Fede. Stando così le cose, rendiamo grazie a Dio Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei suoi Santi nella luce e non trascuriamo una così abbondante salvezza; ma, guardando all’autore della Fede e al suo perfezionatore, Gesù, teniamo forte la confessione della nostra speranza». [Concilio Vaticano Primo — Definizione della dottrina della fede cattolica e del primato e dell’infallibilità Papale — SESSIONE I, 8 dicembre 1869; Denzinger, 3008 e succ.].
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«[…] i padri del concilio Costantinopolitano IV, seguendo le orme dei predecessori, emisero questa solenne professione: “Prima condizione per la salvezza è quella di custodire la norma della retta Fede. E poiché non si può trascurare la espressione del Signore Nostro Gesù Cristo, che dice: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, questa affermazione si verifica nei fatti, perché nella Sede Apostolica la Religione Cattolica è stata sempre conservata pura e la dottrina santa tenuta in onore. Non volendo separarci affatto, perciò, da questa Fede e dottrina, speriamo di essere nell’unica comunione che la Sede Apostolica predica, nella quale è la intera e vera solidità della Religione cristiana.
[...] aderendo fedelmente ad una tradizione accolta fin dall’inizio della Fede cristiana, a gloria di Dio, nostro salvatore, per l’esaltazione della religione cattolica e la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del Santo Concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato che il Romano pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani, in virtú della sua suprema autorità apostolica definisce che una dottrina riguardante la Fede o i costumi dev’essere ritenuta da tutta la Chiesa, per quell’assistenza divina che gli è stata promessa nel beato Pietro, gode di quella infallibilità, di cui il divino Redentore ha voluto dotata la sua Chiesa, allorché definisce la dottrina riguardante la Fede o i costumi. Quindi queste definizioni sono irreformabili per virtú propria, e non per il consenso della Chiesa.
Se poi qualcuno —Dio non voglia!— osasse contraddire questa nostra definizione: sia anatema». [Ibid. - SESSIONE IV, 18 luglio 1870; ibid.]
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«In entrambe le forme, il Magistero, contenuto nei limiti di un’interpretazione autentica della parola di Dio in materia di Fede e costumi e valido per tutti i credenti, non può non essere infallibile in quanto continua l’opera illuminante del Verbo, suprema e assoluta Fonte di verità e di certezza.
Se per assurdo tutta la Chiesa (Pastori e fedeli) cadesse in errore per un solo momento, l’opera redentrice del Cristo risulterebbe vana, e menzognere dovrebbero ritenersi le sue promesse di assistenza» [Dizionario del cristianesimo, Synospis, 1992, v. Magistero].
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«L’infallibilità di tutta la Chiesa
Dio stesso, dunque, l’assolutamente infallibile, ha voluto dotare il suo Popolo nuovo, che è la Chiesa, di un’infallibilità partecipata, circoscritta alle cose riguardanti la Fede e i costumi […]. “L’universalità dei fedeli, che hanno l’unzione ricevuta dal Santo (cf. 1Gv. II,20 e 27), non può ingannarsi nel credere, e manifesta questa sua singolare proprietà mediante il soprannaturale senso della Fede di tutto il popolo, quando ‘dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici’ (S. Agostino, De Praed. Sanct. XIV,27) esprime l’unanime suo consenso in cose riguardanti la fede e i costumi”. [...] Cristo ha stabilito in Pietro “il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità di Fede e di comunione” [...] “il Magistero dei Vescovi è, per i credenti, il segno e il tramite che consente loro di ricevere e di riconoscere la parola di Dio”.
L’infallibilità del Magistero della Chiesa in sintesi
Gesù Cristo, nell’affidare ai Pastori l’incarico di insegnare il Vangelo a tutto il suo Popolo e all’intera famiglia umana, volle dotare il loro Magistero di un adeguato carisma di infallibilità in cose riguardanti la Fede e i costumi. [...] Nell’esercizio della loro funzione i Pastori della Chiesa sono convenientemente assistiti dallo Spirito Santo; e questa assistenza raggiunge il vertice, quando ammaestrano il Popolo di Dio in modo tale che, per le promesse di Cristo a Pietro e agli altri Apostoli, il loro insegnamento è necessariamente immune da errore.
Questo si verifica quando i Vescovi dispersi nel mondo, ma in comunione di Magistero col Successore di Pietro, convergono in un’unica sentenza da ritenersi come definitiva. Lo stesso avviene ancora in modo più evidente, sia quando i Vescovi con atto collegiale —come nel caso dei Concili ecumenici— unitamente al loro Capo visibile definiscono che una dottrina dev’esser ritenuta [certa, cattolica], sia quando il Romano Pontefice “parla ex cathedra, quando cioè, nell’adempimento dell’ufficio di pastore e dottore di tutti i cristiani, con la sua suprema potestà apostolica definisce che una dottrina sulla fede o sui costumi dev’esser tenuta dalla Chiesa universale” [...]. Secondo la dottrina cattolica, l’infallibilità del Magistero della Chiesa si estende non solo al deposito della Fede, ma anche a tutto ciò che è necessario perché esso possa esser custodito od esposto come si deve.
Fondandosi appunto su questa verità, il Concilio Vaticano I definí qual è l’oggetto della Fede cattolica: “Si devono credere con fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o trasmessa, e che dalla Chiesa, con solenne giudizio o nel Magistero ordinario e universale, sono proposte a credere come divinamente rivelate”. Di conseguenza, l’oggetto della fede cattolica —che specificamente va sotto il nome di dogmi— come necessariamente è ed è sempre stato la norma immutabile per la fede, altrettanto lo è per la scienza teologica» [Congregazione per la Dottrina della Fede, DICHIARAZIONE CIRCA LA DOTTRINA CATTOLICA SULLA CHIESA PER DIFENDERLA DA ALCUNI ERRORI D'OGGI, Prefetto Francesco Card. Seper, 24.06.1973, Ratifica e conferma Paolo VI, 11.05.1973).
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«L’indefettibilità è la proprietà per la quale la Chiesa, nonostante i limiti dei suoi membri e l’ostilità delle circostanze, è capace di reagire, propagarsi e compiere la sua missione, come le è stato assicurato dal suo Fondatore e la storia finora ha dimostrato ampiamente (cf. Mt XVI,18)» [Dizionario del cristianesimo, Synospis, 1992, v. indefettibilità].
«Infallibilità è quella prerogativa personale goduta dal Papa quando parla “ex cathedra”, cioè si rivolge a tutti i fedeli quale loro Pastore e Dottore universale, interprete della Rivelazione in materia di Fede e costumi, indipendentemente dal consenso della Chiesa.
L’infallibilità spetta pure al Concilio ecumenico, se d’accordo col Papa che ne approva le decisioni…, e al Magistero universale-ordinario quando —sempre in materia di Fede e morale— si svolge sotto la tacita approvazione del Vicario di Cristo. L’infallibilità pontificia è dogma di fede, solennemente definito da Pio IX nel Concilio Vaticano I, il 18 luglio 1870 [Denzinger, 3074].
Da notarsi che: a) l’infallibilità non è la santità…; b) non è l’onniscienza…; c) non è l’abilità politica, diplomatica (Denzinger, 3116). Si tratta di un “carisma” personale, il cui esercizio si rivela attraverso varie condizioni:
1) il Papa deve parlare come Pastore e Dottore universale, nella piena affermazione del suo potere di Organo dello Spirito Santo per tutti i fedeli. Dunque, non è infallibile quando si esprime con la parola e gli scritti come teologo privato, e molto meno come “sovrano temporale”;
2) il Papa deve interpretare il senso della Parola di Dio tramandata e scritta riguardante le verità da credere e i doveri da compiere per conseguire la salvezza. A tale oggetto primario (= diretto) è associato quello secondario (= indiretto) relativo alle verità necessariamente connesse con quelle rivelate;
3) il Papa deve esprimersi in modo tale da far capire chiaramente e certamente che parla come supremo e universale Pastore dei fedeli. [...] Per ritenere che il Papa parla ex cathedra e il suo insegnamento è infallibile, non è necessario che si valga di formule specifiche: basta che la sua dottrina sia proposta in maniera categorica a tutti i fedeli quale eco e incisiva conferma del costante Magistero della Chiesa. Uno degli esempi più recenti riguarda le pratiche onanistiche-contraccettive condannate da Pio XI nell’enciclica Casti connubii, del 31 dicembre 1930» [Dizionario del cristianesimo, Synospis, 1992, v. infallibilità].
Concludendo: perché si abbia locuzione ex cathedra si richiedono quattro condizioni: — che il Papa parli alla Chiesa universale; — che usi tutta la sua suprema autorità apostolica; — che intenda definire; — che si tratti di una cosa riguardante la Fede e la morale.
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Sull’infallibilità nel dettaglio nel Magistero ordinario
Come insegna il concilio Vaticano I, «ai successori di Pietro non fu promesso lo Spirito Santo perché, per sua rivelazione, manifestassero una nuova dottrina, ma perché, per la sua assistenza, custodissero inviolabilmente ed esponessero con fedeltà la rivelazione trasmessa dagli apostoli, ossia il deposito della Fede» [Concilio Vaticano I, De Eccl. Christi. cap. 4]. Pertanto dal consenso universale del Magistero ordinario della Chiesa si trae un argomento certo e sicuro.
«[...] abbiamo citato le parole del concilio Vaticano, da cui risulta che dobbiamo credere per fede divina e cattolica tutto ciò che è contenuto nella Sacra Scrittura e nella tradizione, e che la Chiesa col Magistero universale ci propone a credere come da Dio rivelato. Esiste, dunque, nella Chiesa un Magistero ordinario infallibile, che ha quindi il potere di proporre dei dogmi di fede.
La Chiesa esercita il suo Magistero ordinario in diversi modi.
1) Magistero ordinario per dottrina espressa.
Il Magistero ordinario si esercita prima di tutto per mezzo della dottrina espressamente proposta e che viene comunicata, fuori delle definizioni formali, dal sommo pontefice o dai vescovi per tutta la Chiesa. [...] Nel comunicare la dottrina cattolica ai fedeli la Chiesa accetta la partecipazione degli autori sacri, specialmente di quelli da lei espressamente approvati, come sono i santi padri, i dottori e i grandi teologi.
Ora, anche il Magistero ordinario della Chiesa può, di diritto, bastare perché la verità che viene proposta sia di fede cattolica, sebbene la Chiesa più volte abbia giudicato necessario intervenire con una definizione solenne; quindi tutto ciò che riguarda la Fede e i costumi, e che dal Magistero ordinario viene infallibilmente insegnato come rivelato, deve considerarsi verità da tenersi di fede divina e cattolica, benché di fatto molti non lo dicano.
Nell’enciclica Diuturnum illud (del 1881) di Leone XIII s’insegna che l’origine divina della potestà civile è con evidenza attestata dalla Sacra Scrittura e dai monumenti dell’antichità cristiana. Nell’enciclica Arcanum divinae sapientiae (del 1880) dello stesso Leone XIII, sul matrimonio cristiano, s’insegna la divina istituzione di questo sacramento, la sua indissolubilità e il diritto esclusivo e integrale della Chiesa sul matrimonio dei cristiani. Nell’enciclica Providentissimus Deus (del 1893), sempre di Leone XIII, questi due punti sono sicuramente di fede cattolica: la nozione cattolica dell’ispirazione e l’assenza di ogni errore nel testo scritturale fedelmente conservato. Perciò che i libri della Scrittura godano in tutto di autorità infallibile è di fede cattolica, quantunque non sia solennemente definito. Nell’enciclica Immortale Dei (del 1885), anch’essa di Leone XIII, s’insegna la massima indipendenza della Chiesa dall’autorità civile, e che essa per istituzione divina ha piena e assoluta autorità nel campo suo. Il Simbolo atanasiano, approvato dal Magistero ordinario dei sommi pontefici, che lo fanno recitare ai sacerdoti nel breviario, ha valore dogmatico.
Così dal Magistero ordinario vengono insegnate quelle verità dogmatiche che sono contenute nelle formule di professione di Fede richieste dalla Santa Sede, come per esempio, nel simbolo di Papa Ormisda sull’infallibilità del romano pontefice, nella professione di Fede tridentina di Pio IV, nel giuramento contro i modernisti. Le proposizioni contenute in questi documenti, quando certamente si può provare esservi insegnate come rivelate, sono di fede cattolica. Se inoltre vi si trova qualche verità non rivelata, questa è sempre una verità certissima; e anche in questa il Papa è infallibile, e il negarla sarebbe peccato mortale.
2) Magistero ordinario per dottrina implicita.
La Chiesa esercita il suo Magistero ordinario non soltanto dichiarando espressamente la dottrina da tenersi per Fede, ma anche mediante la dottrina implicitamente contenuta nella prassi, ossia nella vita stessa della Chiesa.
La dottrina divina, infatti, comunicata alla Chiesa dalla parola di Dio, o il deposito della fede, può essere trasmessa per tradizione scritta, per tradizione orale e anche per tradizione pratica. Modi questi dei quali l’uno non esclude l’altro; anzi la trasmissione che avviene per mezzo della pratica, almeno suppone sempre qualche altra dottrina esplicita trasmessa per iscritto o attraverso la predicazione, in seguito alla quale si sia venuta formando la pratica [...].
Così per ciò che riguarda la liturgia, quantunque non si possa dire, come pensano i modernisti, che essa crea i dogmi, tuttavia, appunto perché la liturgia riflette la fede della Chiesa, è prova di molti dogmi e perciò di molte verità teologicamente certe. Non c’è dubbio che nel modo con cui la Chiesa prega e loda il Signore, esprime ciò che crede e come lo crede e in base a quali concetti essa onora pubblicamente Dio. E benché non ripugni che talvolta la Chiesa, in cose di poca importanza, tolleri in orazioni antiche qualche espressione non del tutto esatta, non può tuttavia permettere che in suo nome si usino nella liturgia modi di dire contrari a ciò ch’essa ritiene e crede.
Quanto alla vita giuridica della Chiesa, bisogna dire che i concili generali e il Papa non possono stabilire leggi la cui osservanza sia peccato. Cristo, infatti, dette alla Chiesa la potestà di giurisdizione per condurre gli uomini alla vita eterna; ma se la Chiesa nelle sue leggi includesse il peccato mortale, obbligherebbe gli uomini a perdere la vita eterna. Né, d’altra parte, Dio può dispensare dalla legge naturale. Perciò la Chiesa non può definire come vizio ciò che è onesto, né, al contrario, onesto ciò che è vizio; non può approvare ciò che sia contrario al Vangelo o alla ragione.
Quindi nel Codice di Diritto Canonico non può esservi nulla che si opponga in qualche modo alle regole della Fede e alla santità del Vangelo, poiché la legislazione ecclesiastica deve necessariamente avere un nesso di dipendenza dai principi morali rivelati, che la Chiesa ha il compito d’interpretare e applicare per tutti i fedeli.
Di più vi sono nel Codice alcune cose che possiamo chiamare fatti dogmatici, in quanto la Chiesa determina in specie alcune osservanze che nella legge divina o naturale sono promulgate soltanto in termini generali, come, per esempio, il precetto di accostarsi alla Santa Comunione. E finalmente la Chiesa nel Codice deduce anche delle conclusioni più o meno necessarie dalle verità rivelate e le impone. Perciò ogniqualvolta il Codice propone qualche dottrina riguardante la Fede e la morale come fondamento delle sue prescrizioni, questa dottrina va ritenuta come insegnata infallibilmente dal Magistero ordinario.
3) Magistero ordinario per approvazione tacita.
Il Magistero ordinario viene finalmente esercitato dalla Chiesa anche in modo tacito, cioè per una tacita approvazione ch’essa dà alla dottrina dei santi padri, dei dottori e dei teologi. Ciò risulta dal permettere essa che tale insegnamento venga diffuso in tutta la Chiesa. Si capisce però che quest’approvazione tacita non sarebbe da sé sufficiente per avere un dogma di fede.
Conclusione: quando dunque si dice che una verità va creduta per fede divina e cattolica vuol dire ch’essa è un dogma di fede, cioè una verità rivelata da Dio e proposta dalla Chiesa. In due modi la Chiesa propone le verità da credersi per Fede: o solennemente o per mezzo del Magistero ordinario; se avviene solennemente, allora la verità si dice di fede definita; se invece viene proposta dall’insegnamento ordinario nei vari modi sopra esposti potrebbe senz’altro dirsi dogma di Fede cioè di Fede divina e cattolica» [Sisto Cartechini S.I., Dall'opinione al Domma. Valore delle Note Teologiche, Roma, Civiltà Cattolica, 1953].
Conclusione: quando dunque si dice che una verità va creduta per fede divina e cattolica vuol dire ch’essa è un dogma di fede, cioè una verità rivelata da Dio e proposta dalla Chiesa. In due modi la Chiesa propone le verità da credersi per Fede: o solennemente o per mezzo del Magistero ordinario; se avviene solennemente, allora la verità si dice di fede definita; se invece viene proposta dall’insegnamento ordinario nei vari modi sopra esposti potrebbe senz’altro dirsi dogma di Fede cioè di Fede divina e cattolica» [Sisto Cartechini S.I., Dall'opinione al Domma. Valore delle Note Teologiche, Roma, Civiltà Cattolica, 1953].
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Conclusione
C’è confusione e ne ho già parlato in vari articoli, per di più sembrano esserci taluni che praticamente si sono inventati un “interruttore dell’infallibilità”, come se un Pontefice potesse accendere o spegnere questo “interruttore” a suo piacimento. Bé, non è così e cercherò di spiegarlo in parole molto semplici e, forse, anche con “ingenuità”, alla luce del, seppur brevissimo, studio qui presentato [si può approfondire studiando le note].
L’infallibilità, dalla dottrina cattolica, dice che Dio non consente che il Papa e la Chiesa inducano ufficialmente in errore i fedeli; quindi un Pontefice in qualità di dottore privato potrebbe errare ma, sebbene lo scandalo, non sarebbe colpevole di condurre ufficialmente il gregge al peccato.
Evitare l’errore ufficiale è certo tema che riguarda anzitutto Dio, poiché potremmo dire semplicemente che spetta a Dio “organizzarsi”, e lo fa, affinché tutto sia “come deve essere” e come la Rivelazione ci ha insegnato.
Più semplicemente si può affermare che un Papa, quando guida la Chiesa universale in modo definitivo su Fede e costumi, viene assistito da Dio infallibilmente (abbiamo appreso il come).
Non esiste una “formula magica” da dire o da citare per rendere infallibile un’azione papale, ad esempio non è necessario usare obbligatoriamente e sempre frasi del tipo “in virtù dell’apostolica autorità” o aggiungere a conclusione “chi crederà il contrario è in anatema”; ciò che conta per avere l’infallibilità è quello che il Papa sta facendo o dicendo e non la formula scritta o verbale che usa per farlo, come abbiamo appreso dal breve studio sul Magistero.
Cosa fa quindi il Papa quando è infallibile?
Egli sta vincolando tutta la Chiesa universale in modo definitivo su un qualcosa; Dio dunque lo assiste, perché altrimenti, in caso di fallo, potrebbe indurre in errore le anime, potrebbe condurle al peccato mortale.
La astutissima novità che pare essere stata introdotta negli ultimi anni è la seguente: si dice che il Papa parla in modo definitivo, al punto da invocare a rafforzamento delle sue dichiarazioni universali o ordinarie finanche la divina Rivelazione ma, per il fatto che aggiunge la “contro-formula” che non si tratta di dichiarazioni “dogmatiche” ma di “pastorali”, non è necessario che egli sia assistito infallibilmente. Ad esempio, ciò sembrerebbe essersi verificato nel Concilio Vaticano II.
Se è così, il risultato sembra non essere “cosa buona”. E lo spiegherò:
- Nel caso su indicato si può dire che il Papa ha parlato come dottore privato? La risposta è no, poiché si è espresso, ad esempio, in un Concilio universale, i cui documenti sono stati approvati dal Papa con la firma;
- Si può dire che in questo caso non ha vincolato? No, perché ha invocato la Rivelazione che è vincolante (e lo vedremo nello specifico); ed ancora no perché i Papi successivi hanno sempre confermato con la prassi, con i documenti e con le parole esplicitamente quella dottrina espressa;
- Si può dire che non è un atto universale? Assolutamente no, perché se si parla di Concilio ecumenico, quindi universale e non provinciale o diocesano, c’è universalità diretta ed esplicita.
Dunque il risultato quale potrebbe essere?
È evidente che nell’esempio su posto, sebbene si parli di Concilio “pastorale” e non “dogmatico”, comunque: 1) Ha parlato il Papa come pastore universale; 2) Ha parlato la Chiesa tutta ufficialmente ed universalmente.
Provi un vescovo ufficialmente ad emanare successivi testi vincolanti per la sua comunità locale, che in qualche modo possano discostarsi dai documenti di quel Concilio. Avrà vita breve ed è già successo molte volte, poiché il vescovo verrebbe accusato di aver emanato un magistero non in sintonia e armonia con quello del Pontefice.
Ma allora come mai molti sostengono che, come nel caso di alcuni documenti del Concilio Vaticano II, vi siano errori che hanno stravolto l’ecclesiologia?
Si potrebbe pensare ad un inganno di Satana, studiato a tavolino, proprio per indurre in futuro a negare in un qualche modo l’infallibilità del Pontefice. Tanto più che noi sappiamo esserci due tipi di infallibilità coinvolte:
- Quella del Papa senza la Chiesa (senza Concilio);
- Quella della Chiesa universale (a patto che vi sia il Papa a ratificare, altrimenti il Concilio non è universale).
Per capire meglio rileggiamo un breve estratto dal Concilio Vaticano Primo, Pio IX, Pastor Aeternus: «[…] Perciò Noi, mantenendoci fedeli alla tradizione ricevuta dai primordi della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio proclamiamo e definiamo dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la Fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla Fede e ai costumi: pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per sé stesse, e non per il consenso della Chiesa».
Gode dunque di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la Sua Chiesa; da qui possiamo dire che il Papa è infallibile, come abbiamo visto, quando si esprime da solo, come è infallibile la Chiesa quando si esprime col Papa.
Ci sono due precise infallibilità: ebbene nel Concilio Vaticano II, ad esempio, sembrano essersi manifestate tutte e due le infallibilità, in modo sia definitivo che universale, pertanto è quantomeno strano trovarci davanti ad un presunto “pastorale”.
Dunque sarebbero incorsi in errore Papa e Chiesa in contemporanea, stando alle opinioni di alcuni?
V’è di più. Stando alle numerose eccezioni sollevate da vari fronti, sembrerebbe addirittura che [Giovanni XXIII prima e] Paolo VI avrebbe proferito una confusa e ambigua affermazione di base, e lo avrebbe fatto proprio quando ha stranamente dichiarato che il Concilio Vaticano II “non è dogmatico”. Si legge: «Vi è chi si domanda quale sia l’autorità, la qualificazione teologica, che il Concilio ha voluto attribuire ai suoi insegnamenti, sapendo che esso ha evitato di dare definizioni dogmatiche solenni, impegnanti l’infallibilità del magistero ecclesiastico. E la risposta è nota per chi ricorda la dichiarazione conciliare del 6 marzo 1964, ripetuta il 16 novembre 1964: dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità; ma esso ha tuttavia munito i suoi insegnamenti dell’autorità del supremo magistero ordinario il quale magistero ordinario e cosí palesemente autentico deve essere accolto docilmente e sinceramente da tutti i fedeli» [Paolo VI, Udienza generale, 12.01.1966].
Potrebbe essere ignoranza?
1) Questi [Paolo VI e Giovanni XXIII] avrebbero dimostrato, probabilmente, di non sapere che non esistono documenti o concilii totalmente dogmatici e non dogmatici, poiché tutto dipende da cosa si esprime in essi. Ci può essere, ad esempio, addirittura un documento definito “non dogmatico” (una lettera ad una singola diocesi), in cui però anche se solo in un “paragrafo” il Papa vincola [in qualche modo] tutti in modo definitivo su qualcosa, ebbene in quel preciso punto si manifesta l’infallibilità;
2) Ci può essere diversamente un documento “dogmatico” in cui in alcuni punti il Papa parla sì, ma senza vincolare nessuno; ebbene in quei precisi punti non sta parlando infallibilmente.
È ovvio che la dogmaticità non dipende affatto dal “titolo” o dalla “presentazione” che si vuol dare ad un Concilio, ma anzi dipende da cosa dice e da come lo dice in ogni singolo rigo di documento.
Ebbene, anche se volessimo passare il titolo di “Concilio non dogmatico”, in alcuni punti è evidentemente certo che ha vincolato ed ha parlato universalmente, quindi sarebbero stati (Papa e Chiesa con Papa) comunque assistiti!
Esempio: in Dignitatis Humanae al n° 9 si legge: «Quanto questo Concilio Vaticano [secondo] dichiara sul diritto degli esseri umani alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più chiaramente attraverso l’esperienza dei secoli. Anzi, una tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con sacro impegno dai cristiani». Ha vincolato !!!
Ci si può rendere conto, anche solo leggendo, che il Concilio ed il Papa invocano universalmente la Rivelazione e, come dice Leone XIII in Satis Cognitum: «Per questo i padri del concilio Vaticano (Primo) nulla hanno decretato di nuovo, ma solo ebbero in vista l’istituzione divina, l’antica e costante dottrina della Chiesa e la stessa natura della Fede, quando decretarono: “Per Fede divina e cattolica si deve credere tutto ciò che si contiene nella parola di Dio scritta o tramandata, e viene proposto dalla Chiesa o con solenne definizione o con ordinario e universale magistero come verità da Dio rivelata”».
Sembrerebbe dunque che se [Giovanni XXIII o] Paolo VI con il suo “pastorale e non dogmatico” cercava di dire che quel magistero ordinario e universale non è infallibile, forse stava aggiungendo probabilmente errore ad errore, proprio perché è stata addirittura citata la Rivelazione, in una sua implicita interpretazione [«Quantunque, infatti, la Rivelazione non affermi esplicitamente il diritto all'immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa, fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà umana degli esseri umani nell'adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci insegna lo spirito che i discepoli di una tale Maestro devono assimilare e manifestare in ogni loro azione»] a conferma di una dichiarazione universale e vincolante.
Si possono comunque interpretare “bonariamente” le loro parole: «Dato il carattere pastorale del Concilio, esso ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità [...] ma esso ha tuttavia munito i suoi insegnamenti dell’autorità del supremo magistero ordinario». Bé, in questo caso verrebbe da rispondere “bonariamente” che questo Concilio [Vaticano II] ha evitato di pronunciare in modo straordinario (i dogmi dotati della nota di infallibilità)… e questo è vero visto che “il modo straordinario” prevede proprie formule espositive, ma comunque si è pronunciato in modo ordinario supremo ed universale. Dunque, ogni qual volta, il Concilio si è espresso in modo definitivo invocando la Rivelazione, doveva essere infallibilmente assistito, altrimenti nel definire avrebbe indotto il popolo al peccato mortale.
Potrebbe quindi essere possibile che questo evidente supremo magistero ordinario si è espresso invocando la Rivelazione ed ha errato? Si deve quindi negare l’inerranza della Rivelazione? Si deve negare il carattere di magnificenza e di vincolo della Rivelazione? Si deve quindi stravolgere l’ecclesiologia?
Si deve negare l’infallibilità o forse si deve negare l’autenticità dei documenti, o la stessa verità che gli autori fossero “Chiesa“?
Pare più ovvio che chi pensa esserci un “interruttore dell’infallibilità” e quindi pensa disobbedire “a piacimento” voglia far “appoggiare” la certezza della Fede più sul proprio parere personale che sull’infallibilità del Papa e della Chiesa universale.
Questi signori spesso citano San Bellarmino per giustificare la probabile “disobbedienza a rate”, ed ancor più sembrano sbagliare, poiché il Bellarmino difende a tal punto l’autorità del Papa, in una delle sue ipotesi, che arriva ad affermare che qualora il Pontefice affermasse da privato dottore eresie, non sarebbe più Papa, poiché sono incompatibili il ruolo di Papa e l’eresia pubblica pertinace.
San Roberto Bellarmino nel De Romano Pontifice (Cap. XXX): “La quinta opinione (riguardo all’ipotesi del papa eretico) pertanto è vera; un papa che sia eretico manifesto, per quel fatto (per se) cessa di essere Papa e capo (della Chiesa), poiché a causa di quel fatto cessa di essere un cristiano e un membro del corpo della Chiesa. Questo è il giudizio di tutti gli antichi Padri, che insegnano che gli eretici manifesti perdono immediatamente ogni giurisdizione”.
Il Bellarmino, e Sant’Alfonso con lui, sostiene che molto probabilmente è impossibile che il Papa cada in eresia “occulta”. Alfonso Maria de’ Liguori nel libro Verità della Fede scrisse, con riferimento a quanto detto dallo stesso Bellarmino: «Che poi alcuni pontefici sieno caduti in eresia, taluni han cercato di provarlo, ma non mai l’han provato, né mai lo proveranno; e noi chiaramente proveremo il contrario nel fine del cap X. Del resto, se Dio permettesse che un Papa fosse notoriamente eretico e contumace, egli cesserebbe d’essere Papa, e vacherebbe il pontificato. Ma se fosse eretico occulto, e non proponesse alla chiesa alcun falso dogma, allora niun danno alla Chiesa recherebbe; ma dobbiamo giustamente presumere, come dice il cardinal Bellarmino, che Iddio non mai permetterà che alcuno de’ pontefici romani, anche come uomo privato, diventi eretico né notorio né occulto».
Il fatto che il Papa non possa cadere in eresia nemmeno personalmente, è molto probabile (concetto sostenuto da Bellarmino, Sant’Alfonso e altri, soprattutto rifacendosi alla promessa di Gesù a Pietro: «Pietro, ho pregato che la tua fede non venga meno»), ma non siamo obbligati a crederlo, perché su questo specifico argomento (eresia personale del Papa: possibile o no?) la Chiesa o un Papa non si sono mai espressi definitivamente. Sant’Alfonso nel testo prima citato spiega anche esattamente cosa avvenne realmente nei casi che la storia ricorda di Papi incorsi in eresia per errore, come si manifestò realmente l’errore e come si “rimediò”.
“L’uomo dell’interruttore” sembra scartare le varie ipotesi plausibili:
1) quella che il Papa non può cadere in eresia nemmeno personalmente. Fin qui va bene, poiché è ipotesi non vincolante;
2) quella che il Papa è infallibile anche nel magistero universale ordinario, ed in questo caso erra, poiché si tratta di argomento definitivo di Fede cattolica;
3) E persino la notissima Dottrina cattolica, anch’essa di Fede, che un eretico non è più membro della Chiesa, al pari di un apostata, di un giudeo, di un infedele, di uno scismatico o di uno scomunicato.
Carlo Di Pietro
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