lunedì 29 luglio 2013

“Perdita e guadagno” del Cardinal Newman

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Riproponiamo la registrazione  della 243° conferenza
di formazione militante a cura della Comunità Antagonista Padana
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: parla Luca Fumagalli della redazione di Radio Spada
La conferenza è stata tenuta l’11 luglio 2013
Buon Ascolto!
 
 oppure Buona lettura ! 
 
La storia del libro Perdita e guadagno del cardinal Newman inizia nel 1847. Newman, da due anni convertito al cattolicesimo, ha abbandonato qualsiasi velleità carrieristica lasciando l’Oriel College e, soprattutto, la chiesa di St. Mary, all’università di Oxford. Lo ritroviamo a Roma, ospite di un monastero cistercense vicino alla chiesa di Santa Croce di Gerusalemme, alla periferia della città. Sta aspettando il breve pontificio per poter fondare gli oratoriani di San Filippo Neri in Inghilterra.
Quell’anno è importante  anche perché viene pubblicato il romanzo From Oxford to Rome, in forma anonima, scritto in realtà da Elizabeth Herris, una dama che, dall’anglicanesimo, si era convertita al cattolicesimo e poi, delusa, era ritornata alla sua antica fede.
Questo romanzo, che in realtà non è un’opera letteraria particolarmente brillante, fu però un piccolo successo scandalistico nell’Inghilterra dell’epoca perché  – lo si coglie anche dal titolo – vi è un chiaro riferimento non solo all’esperienza dell’autrice ma a una possibile analogia con Newman: Harris sostiene che anche il neoconvertito, dall’università di Oxford dove è cresciuto culturalmente andrà a Roma per poi ritornare anglicano.
Chiamato in causa, Newman sente di dover rispondere. Fermamente convinto della sua conversione, nello stesso 1847 inizia a lavorare ad un romanzo che possa essere una risposta a quello della Harris e l’anno dopo pubblica Loss and gain (Perdita e guadagno), in forma anonima. Secondo la moda vittoriana dell’epoca l’opera è divisa in tre parti ed è molto interessante perché, anche se è un romanzo, tutto lo spessore culturale e teologico di Newman emerge nella forma e nell’idea che sta alla base di esso: la conversione al cattolicesimo di un giovane ragazzo, narrata non dall’azione ma soprattutto da una serie di dialoghi che hanno come oggetto la religione. E’ un romanzo, quindi, che suscita molto l’intelletto e riproduce una serie di ragionamenti che hanno a che fare con la ricerca della verità, con la scoperta della vera Chiesa. In particolare la cultura di Newman emerge anche dal peculiare taglio che dà a questi dibattiti, quasi socratico: spesso emerge l’ironia e si punta nel ridurre all’assurdità le affermazioni degli avversari.
Del resto il cardinale nutriva un qual certo compiacimento davanti a quest’opera, anche se il libro, di non facile plauso, in realtà non raccolse un grande successo se non negli ambienti cattolici. Il desiderio di Newman era quello di scrivere,  per la prima volta, un romanzo cattolico e, di fatto, nell’Inghilterra moderna, Perdita e guadagno è considerato il primo romanzo integralmente cattolico, con il desiderio di competere con gli scrittori protestanti dell’isola.
Con quest’opera  Newman ebbe un altro grande merito – che sarà poi tipico di molti scrittori cattolici inglesi – quello, cioè, di inaugurare il sottogenere del romanzo di conversione, sul modello delle Confessioni di Sant’Agostino.
Una domanda, a questo punto, sorge spontanea. Si sa che Newman è stato un grande apologeta, un grande scrittore e un grande saggista, ma allora perché replicare al libro della Harris utilizzando, a sua volta, un romanzo e non un’apologia saggistica della sua conversione? L’idea che sta alla base di questa scelta innanzitutto è quella di rispondere alla Harris con i suoi stessi strumenti ma, soprattutto, il cardinale scrive un romanzo per avvicinare il racconto del suo protagonista all’esperienza quotidiana delle persone, dimostrando che il going to Rome, come lo chiamavano gli inglesi, cioè il convertirsi al cattolicesimo, è un’esperienza non solo per teologi ma comune, possibile ad ogni persona.
E’ particolarmente interessante anche lo stile con cui scrive: si avvicina molto alle Confessioni di Sant’Agostino perché si rifiuta di usare la metafora del viaggio del pellegrino, tipica della tradizione puritana, per cui l’homo viator, scontrandosi con gli imprevisti della vita, riesce a far emergere un proprio system of belief, cioè una serie di teorie coerentemente organizzate che costituiscono un credo esistenziale puramente soggettivo. Newman invece vuole far comprendere come la Verità, incarnata dalla Chiesa cattolica, non sia frutto della soggettività ma frutto dell’oggettività; è una cosa concreta, evidente, verificabile con la ragione e fisicamente presente su questa terra attraverso il Papa e la gerarchia della Chiesa. Quindi il viaggio del protagonista non è tanto quello del pellegrino ma è la consapevolezza di colui che, per la prima volta, apre gli occhi e si rende conto di come stanno veramente le cose, di com’è la realtà.
Perdita e guadagno meriterebbe di essere letto anche solo per la descrizione che offre dell’università di Oxford in particolare e, in generale, delle università inglesi della prima metà dell’ ‘800. Il romanzo è infatti ambientato durante un arco temporale che va dal 1840 al 1846, ed è interessante perché, oltre a curiosità come, ad esempio, le lezioni tenute integralmente in latino, permette di capire il sistema educativo dell’impero britannico. Innanzitutto va detto che Newman ne parla con cognizione di causa perché lui ha frequentato Oxford  e, anzi, in quell’università ha sperato anche di fare carriera. Il cardinale fa emergere come in ogni singola lezione l’impero britannico avesse come obiettivo, usando i professori, quello di indottrinare gli studenti all’ideologia ufficiale e gli studenti, per poter sperare di far carriera o in ambito ecclesiastico o in ambito accademico, dovevano sottoscrivere i Trentanove articoli della fede anglicana, altrimenti qualsiasi possibilità era loro preclusa.
Allo stesso modo è poi avvincente osservare i riti sociali dell’università: i dialoghi, le lezioni, i rapporti con i tutor, le feste, le celebrazioni … che ci dipingono davvero un ambiente fortemente chiuso nell’ideologia imperiale e religiosa dell’epoca. Il buon cittadino inglese, come emerge nelle pagine di Newman, è fondamentalmente un anglicano convinto. Amante del re non solo dal punto di vista politico ma anche dal punto di vista religioso: anche su questo campo si prova la sua fedeltà di suddito britannico.  
Parlando più nel dettaglio del romanzo, il protagonista, Charles Reding, è uno studente di Oxford che si trova a compiere metaforicamente un cammino che ha come quest, come obiettivo, la scelta radicale della vita, cioè la ricerca della verità. Si tratta, in questo senso, di un romanzo di formazione e il giovane Charles, anglicano convinto, – anche perché il padre è un pastore protestante  – capirà poi gli errori del protestantesimo, si perderà nelle paludi del dubbio e, infine, approderà al cattolicesimo per trovare rifugio e, in un certo senso, per “tornare a casa” presso i Passionisti a Londra.
Il senso del titolo – dopo quello che ho detto può risultare abbastanza evidente se lo paragoniamo all’esperienza di Newman – rispecchia la scelta radicale della vita, in due sensi. Innanzitutto dal punto di vista materiale; pensate all’esperienza di Newman, la perdita di qualsiasi possibilità di carriera in ambito universitario e in ambito ecclesiastico e, d’altro canto, il guadagno dell’aver trovato la vera fede. Ma soprattutto è una perdita e un guadagno dal punto di vista spirituale. A questo proposito viene in mente il famoso passo evangelico dove Cristo invita l’uomo a rinunciare a tutto, anche a se stesso, prendendo la sua croce, pur di seguirlo. Quindi c’è la perdita delle false certezze, la perdita dell’errore e anche la perdita di se stesso per guadagnare tutto: il Paradiso, la Verità, la Vita Eterna. Quindi, in questo senso umano/materiale  e spirituale, si gioca il significato del titolo. Del resto al povero Charles accadrà proprio così: per la sua scelta radicale dovrà rinunciare a tutto: a un ottimo voto al termine degli studi – i docenti faranno di tutto pur di non dargli il massimo alla laurea – agli amici di Oxford e ai buoni rapporti con la famiglia. Sarà ostracizzato da tutti, compresi i giornali che dedicheranno molto spazio al suo caso.
C’è poca azione nel libro e ogni capitoletto, molto breve, è dedicato ad una serie di discussioni teologiche, scritte talmente bene che, anche se il libro consta di parecchie pagine, si legge davvero tutto in un fiato. I personaggi con cui Charles dialoga sono una sorta di allegoria, ognuno di  questi rappresenta una posizione teologica particolare: c’è l’anglicano della high church, quello di tendenze un po’ più protestanti, il puritano, lo scettico radicale e, naturalmente i cattolici. Quindi, attraverso questi dialoghi, questi confronti, esattamente un po’ come accadde a Newman nella sua biografia, anche Charles troverà pian piano la strada verso il cattolicesimo.
Per concludere volevo provare a riprendere, per sommi capi, utilizzando qualche citazione, il percorso di conversione di Charles.
Lui arriva ad Oxford, anglicano convinto, desideroso di fare una brillante carriera accademica. Scopre però, sin dai primi dialoghi e dalle prime esperienze, che l’anglicanesimo non è quell’edificio compatto e certo che lui, giovane studente, aveva creduto. Prima di tutto si imbatte nel cosiddetto latitudinarismo. Faccio solo una breve citazione:
 
Era da questo difetto che nascevano le numerose diffe­renziazioni religiose presenti nel mondo. Le questioni più di­battute in materia di religione erano solo questioni di parole […]. I dogmi ben noti della teologia non conteneva­no né verità né falsità; erano soltanto modalità, di per sé né buone né cattive, ma personali, nazionali o storiche, con le quali l’intelletto ragionava sulle grandi verità della religione; l’errore stava non tanto nell’averle quanto nell’insistere su di loro […]. Dopo quello che aveva detto, era evidente in che modo si dovesse guardare ai formulari anglicani; erano il modo nostro di esprimere le verità eterne, che potevano venire espresse anche in altri modi[1].
 
Il latitudinarismo si presenta come una sorta di relativismo teologico: non esiste una verità che può essere da tutti condivisa nello stesso momento e nello stesso luogo, ma esistono modalità diverse per approssimarsi alla stessa verità. In questo senso la chiesa inglese non pretende di essere la chiesa di Cristo, ma vuole solo essere una modalità, uno sguardo cristiano particolare, storico, nazionale di un popolo. Quindi non esiste la Chiesa di Cristo, ma tutte sono messe più o meno sullo stesso piano, punti di vista differenti sulla stessa questione. Le certezze di Charles iniziano quindi a vacillare.
Ancora di più quando incontra uno scettico che insiste su un tema – tra l’altro molto caro a Chesterton – che è quello della “verità” che muta a seconda della moda del tempo:  « “Vuoi sapere quale moda”, disse Mr. Malcolm; “ma naturalmente la nuova, l’ultima. Ormai questo è diventato il posto delle mode; ne ho viste così tante ormai in vita mia […]. A Oxford non c’è nes­sun principio di stabilità” »[2]. Mr. Malcolm insinua ulteriori dubbi nel giovane Charles. Per lui la verità non esiste, adesso c’è la moda dell’high church, tra un po’ magari si ritornerà un po’ più protestanti, tra qualche tempo i fedeli saranno filocattolici…  la verità, alla fine, è inafferrabile.
Ancora di più si rende conto che all’interno della stessa chiesa anglicana non vi è una certezza dogmatica condivisa: 
 
Nelle conversazioni a cui partecipo sento di tutto e il contra­rio di tutto; poi vado in chiesa, e sento predicatori che si attaccano l’un l’altro; alla fine mi rivolgo agli articoli, e non rie­sco a capire ciò che mi vorrebbero insegnare. Per esempio, non capisco quale sia la loro dottrina sulla fede, sui sacra­menti, sulla predestinazione, sulla Chiesa, sull’ispirazione della Scrittura. E il loro tono è così diverso da quello del Li­bro delle preghiere[3].
 
Il povero Charles capisce che anche gli stessi anglicani, tra loro, non concordano neanche sui sacramenti. Gli è capitato di assistere alla predica di un pastore anglicano che contraddiceva tutto quello che aveva sentito da suo padre, pastore anch’egli. Charles cade quindi nella confusione più totale. Decide di tentare la cosiddetta via media, un’esperienza che farà Newman stesso e che faranno tanti altri anglicani prima di convertirsi al cattolicesimo, come R. H. Benson. La via media è quella della teologia, cioè il tentativo di trovare una strada che stia a metà tra i due eccessi, quelli del cattolicesimo romano, da una parte, e quelli del luteranesimo dall’altra: «Aveva un’idea grandiosa: la verità era la via media, e per imboccarla, era sufficiente rifuggire dagli estremi, anche se non si aveva un termine medio ben definito verso il quale fuggire»[4]. Questo è il tentativo; anche l’high church, la chiesa alta inglese, il ramo più “cattolicizzante” della chiesa anglicana, sperimenta un po’ questa equidistanza.
Il povero Charles scopre però che anche la via media altro non è che una chimera: « “Non te la prendere con me, Bateman”, disse Sheffield, “ma, prima che andiamo via, voglio proporti una parabola. Guarda questa chiesa d’Inghilterra: è una chiesa di stato co­sì protestante che più protestante non si può; lo dicono, che è protestante, i vescovi, e lo dice la gente, tranne poche per­sone come noi; è il corpo vivente stesso che si autoproclama protestante” »[5].
Sheffield, un altro personaggio affascinante del romanzo, parlando con Bateman, il viamediano per eccellenza, membro della chiesa alta inglese, smonta un po’ questo ragionamento. Bateman parla della via media, ma non si rende conto che tutti, dai vescovi ai fedeli anglicani, dicono di essere protestanti. Sentite ora una delle descrizioni più belle, dal punto di vista cattolico, di che cos’è l’high church. Ancora una volta parla Sheffield: «Ora, eccellentissi­mo Bateman, la vuoi ascoltare la mia parabola? […] C’era una volta un negretto che, approfittando dell’as­senza del padrone, si infilò furtivamente nel suo guardaroba, deciso a farsi bello a sue spese. Di lì a poco fu visto per le strade: era nudo come sempre, ma camminava avanti e indie­tro pavoneggiandosi con un cappello a sghembo sulla testa e sulle mani un paio di guanti bianchi di capretto»[6]. Questa è la descrizione dell’high church, una chiesa che cerca di scimmiottare quella cattolica ma è fondamentalmente protestante.
Nella seconda parte del libro, alla luce di quanto abbiamo visto, Charles rischia di cadere nella via della disperazione che, come dice Benson ne La storia dell’eremita Richard Raynal,  è «l’anticristo dell’umiltà»[7]. La verità pare essere veramente inafferrabile, in teologia tutto si può sostenere come il contrario e, ad un certo punto, il ragazzo smette di porsi domande, smette di interrogarsi sulla verità e si getta sullo studio. Ad un certo punto però questa urgenza, questo desiderio di andare al fondo della questione emerge nuovamente. Charles si rende conto allora che, nonostante così tanti pareri diversi, è innegabile l’esigenza umana e razionale della presenza di un’autorità, qualcuno che si esprima in maniera definitiva su questioni importanti come i dogmi della fede: « “Eppure, se c’è una cosa che mi attira nel cattolicesimo romano”, disse Charles, “è proprio quella che a te dispiace tanto: non mi importerebbe niente se qualcuno di cui mi fido mi dicesse: Questo è vero, e questo no. Così almeno ci risparmieremmo questo eterno litigare. Non ti piacerebbe se san Paolo tornasse in vita? Mi sono detto spesso: Se potessi fargli un paio di domande!” »[8]. Più avanti riprende il discorso:
 
«Oh, parla della transustanziazione, del purgatorio, del culto dei santi, e di tutto il resto», disse Carlton; «non accet­terai mica queste cose, vero?».
«Dipende», rispose Charles, adagio; «dipende da quale autorità esse mi giungono». Si fermò, e poi proseguì: «Se mi venissero dalla stessa autorità da cui mi giunge la dottrina della Santissima Trinità, le accetterei senz’altro. Ora, gli ar­ticoli non giungono da parte di nessuna autorità; sono le opinioni di certe persone del Cinquecento; e, di nuovo, non è chiaro fino a che punto siano o no modificate dalle opi­nioni senza autorità dell’Ottocento. E dunque sono costret­to a giudicare da me. E questo, onestamente, è un compito troppo grande per il mio giudizio. Almeno, questo è quello che mi tormenta, ogni volta che ci penso; infatti, l’ho rimos­so».
«Bene», disse Carlton, «allora accettali per fede».
«Secondo te, allora», disse Charles, «dovrei ritenere che la nostra Chiesa è infallibile».
Carlton vedeva la difficoltà; rispose: «No; devi però agire come se lo fosse, per un senso di dovere».
Charles sorrise; poi s’incupì in volto; si fermò e abbassò gli occhi. «Se devo considerare infallibile una Chiesa», disse, «se devo rinunciare al libero esame, se devo agire per fede, al­lora c’è una Chiesa che vanta su noi tutti dei diritti più forti di quelli della chiesa d’Inghilterra»[9].
 
Charles, come potete notare, è ormai indirizzato sulla via del cattolicesimo. Attraverso l’incontro con altri compagni e affrontando esperienze significative, deciderà alla fine di convertirsi al cattolicesimo sacrificando tutto. Trova asilo presso i Passionisti a Londra dove, tra l’altro, ritrova un suo amico di Oxford, anche lui convertito al cattolicesimo. Si ha quindi, al termine del libro, il compimento di quanto descritto nel titolo, la perdita e guadagno di Charles, la perdita e guadagno dei cattolici, la perdita e guadagno dei santi:
 
Sì, lascio la mia casa, lascio tutti coloro che mi hanno conosciuto, mi hanno amato e apprezzato, e hanno voluto il mio bene; e so perfettamente che diventerò lo zimbello di tutti, un reietto […]. Per te sarà uno shock, ma ti devo fare una confidenza: di recente mi è venuta la paura di andare a cavallo, di fare il bagno, di fare cose insolite per timore che succedesse qualcosa, e io potessi andarmene prima di aver compiuto quel mio grande dovere [parla della conversione n.d.r]. No, ormai ho le prove che si tratta di una convinzione autentica. La mia fede  nella Chiesa di Roma è parte di me: non posso andare contro questa fede, sarebbe come andare contro Dio».
 
 

[1] J. H. NEWMAN, Perdita e guadagno, Milano Jaca Book, 1996, p. 99.
[2] Ivi, p. 64.
[3] Ivi, p. 151.
[4] Ivi, p. 104.
[5] Ivi, p. 83.
[6] Ivi, pp. 83-84.
[7] R. H. BENSON, The history of Richard Raynal, solitary, North Hollywood, Aegypan Press, 2011, p. 124.
[8] NEWMAN, Perdita e guadagno, p. 141.