domenica 21 luglio 2013

Gesù Cristo in alcune fonti storiche pagane ed ebraiche (parte 1)

Gesù Cristo in alcune fonti storiche pagane ed ebraiche (parte 1)



Introduzione. Al giorno d’oggi si rende sempre più necessaria la riscoperta della Vera Fede Cattolica, tanto che è addirittura “di moda” il disquisire finanche sulla figura storica di Gesù, sulla Sua reale esistenza, sulla Sua stessa vita e sul cardine che Egli è nella “trasformazione”, in positivo, anche dell’intero genere umano.
Nella lettera ai Romani, Capitolo I, San Paolo enuncia la tesi “[17]E’ in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede e successivamente ci presenta la logica correlazione fra la miscredenza, l’abbandono alle ingiustizie ed il giusto castigo presente e futuro, del corpo e dell’anima.
Negare Gesù così come lo conosciamo secondo il santo Magistero della Chiesa, significa auto procurarsi il giusto castigo, sia in vita che dopo la morte.
Si legge “[18]In realtà l’ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell’ingiustizia, [19]poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato”“[21]essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa.
Da qui la condanna “[24]Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, [25]poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli.”
Ammonimento. L’ammonimento attualissimo, l’uomo che “relativizza la Fede” che sposta il giusto culto in Dio nel culto dell’ “uomo che è dio”, “io faccio ciò che io ritengo giusto”, “la legge umana può decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato”, “il dogma è mutevole”, ecc… [dice] e finisce per perdersi nei meandri delle falsità, della menzogna, di certo ispirata dal maligno che, come sappiamo è “padre della menzogna”. Ne parlò già Gesù ai Giudei che, evocando un presunto “solo padre”, non Lo riconoscevano e volevano crocifiggerLo, come poi fecero.
“... voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna (Gv. VIII, 37 e succ.).
Il demonio, che ottenebra le menti dei deboli in spirito, agisce, per permissione di Dio, su vari piani sia oggi che in eterno: si avrà quindi oggi la soggiacenza alla menzogna, alla carne, domani la pena del danno, la pena del senso e si avranno le pene accessorie; scopo del demonio è, oggi, condurre alla miscredenza, all’abominio, al predominio delle passioni e del sentimento; egli vuol padroneggiare della vita che non gli appartiene, ma in visione futura egli ha lo scopo unico di “ottenere per noi l’Inferno”, la “giusta condanna” è questa la sua nefasta missione, poiché egli è “omicida sin dal principio”, conosce la debolezza della carne umana e, per permissione di Dio, ci tenta.
Castighi e condanne. A cosa porta l’essere figli della menzogna, giacere sotto il potere del demonio, sotto l’egemonia di colui che è “omicida sin dal principio”, sempre San Paolo in Romani I fornisce nello stesso tempo descrizione precisa e profezia “[26]Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. [27]Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. [28]E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, [29]colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, [30]maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, [31]insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. [32]E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa”.
Intelligenza depravata che parte dalla negazione di Dio o dall’indifferentismo, un “negazionismo” [del Sacrificio] ingiustificabile che oggigiorno addirittura spinge l’uomo anche a giustificare miseramente la turpe vita, adducendo le più incredibili teorie; da qui “GESU’ NON E’ ESISTITO”, “E’ UNA INVENZIONE DELLA CHIESA”, ecc … ecc … ecc …
Scusanti inutili. Ma in Romani cap. II San Paolo spiega chiarissimamente che non è il non riconoscere Gesù che potrà mai scusare l’uomo per le sue “passioni depravate” e per la sua “vita di menzogna”, poiché “[12]Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge; quanti invece hanno peccato sotto la legge, saranno giudicati con la legge. [13]Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati” , legge che è presente “insita” nella natura umana anche del pagano o miscredente “[14]Quando i pagani, che non hanno la legge [IGNORANZA INVINCIBILE N.d.A.], per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; [15]essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori [LEGGE NATURALE N.d.A., cfr. Romani 1:32; 1Corinzi 5:1; 1Timoteo 5:8; Atti 28:2] come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. [16]Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo” [se rubo o se stupro, anche se dico "GESU' NON ESISTE", sempre ladro e stupratore sono e ne subirò le conseguenze].
Falsi profeti. In Matteo XXIV Cristo ci aiuta, ci spiega ciò che accadrà “[4]Guardate che nessuno vi inganni”“[24] Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. [25]Ecco, io ve l’ho predetto.”
Conoscere e riconoscere [col Battesimo] Gesù Cristo ci porta ad una missione che San Paolo ben spiega in Romani cap. VI “[19]Parlo con esempi umani, a causa della debolezza della vostra carne. Come avete messo le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità a pro dell’iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione”, mentre il non riconoscerLo e addirittura il negarNe l’esistenza annienta oggi e in eterno: “[23]Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore”.
Pazienza e speranza. Dominare istinti e passioni, sopportare tribolazioni e castighi, non cedere la demonio che porta alla disperazione, non perdere la speranza, non inimicarsi (casomai negando Gesù) i favori di Dio, poiché “[18] … le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” poiché “[28] … tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno … ad essere conformi all’immagine del Figlio suo”. (Romani VIII:18; Rif. Mat 5:11,12; At 20:24; 2Co 4:17,18; Eb 11:25,26,35; 1P 1:6,7, Col 3:4; 2Te 1:7-12; 2:14; 1P 1:13; 4:13; 5:1; 1G 3:2)
E sulle obiezioni di coloro che non vogliono comprendere la sofferenza e che quindi, sempre più spesso, negano addirittura Gesù poiché, dicono, “SE DIO E’ BUONO COME PUO’ PERMETTERE IL MALE … QUINDI DIO O GESU’ NON ESISTONO”, San Paolo “[17] … Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra. [18]Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole … Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: «Perché mi hai fatto così?». [21]Forse il vasaio non è padrone dell’argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare?” (Rm. Cap. IX) “[14]Che diremo dunque? C’è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! [15]Egli infatti dice a Mosè: «Userò misericordia con chi vorrò,e avrò pietà di chi vorrò averla».” (ibid.)
Ottenere salvezza. “Ad essere conformi all’immagine del Figlio suo”, è questa la chiave per ottenere la Salvezza e per vivere in Grazia di Dio, vivere nell’amore perché “[10]L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore” (Rm. Cap. XIII), ma sapendo che “Amerai il prossimo tuo come te stesso” riassume “il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento …” (ibid., 9). Conformi a Gesù, proprio come Egli fece quando bevve il calice amaro, accettando la volontà del Padre: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» (Lc. XXII,42), «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc. XIV,36)
Raccomandazione. Al Capitolo XVI di Romani troviamo uno degli ultimi avvertimenti di San Paolo “[17]Mi raccomando poi, fratelli, di ben guardarvi da coloro che provocano divisioni e ostacoli contro la dottrina che avete appreso: tenetevi lontani da loro. [18]Costoro, infatti, non servono Cristo nostro Signore, ma il proprio ventre e con un parlare solenne e lusinghiero ingannano il cuore dei semplici.
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Il falso profeta
Il falso profeta
 
 
 
Conclusione. Falsi teologi cattolici, storici imbroglioni, “finti preti”, scandalosi e ingiusti, TV e internet, giornali e riviste, tutto potrebbe insinuare la menzogna nella mente di chi poi dice “GESU’ NON E’ MAI ESISTITO”, ma noi dobbiamo essere saldi nella Fede e non dobbiamo confidare negli anti-cristi, che sono tanti, ma dobbiamo confidare in Colui “[4]che ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro” (Gal. , Cap. I)
Quindi se oggi, dietro ispirazione dei mentitori e del demonio, dire “GESU’ NON E’ ESISTITO” o “GESU’ FORSE …” o “ NUOVI [presunti] STUDI DIMOSTRANO CHE …” porta alla notorietà, alla apparente comodità, al favore, all’applauso, al consenso, alla facile propaganda, alla giustificazione delle proprie bestialità (furto, adulterio, sesso sfrenato, omicidio, truffe, ecc…) noi dobbiamo sapere “… che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. [8]Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! [9]L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! [10]Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!” (ibid.)
Vangelo è quindi la strada difficile, è accettare i Comandamenti; 1Giovanni V,3: “perché in questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi”; è sopportare con pazienza qualsiasi atroce cattiveria del mondo; “Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”” (Lc. XIII, 22 e succ.) e oltre la “porta stretta” ci sarà “pianto e stridore di denti” (Ibid.).
Cerchiamo di essere ragionevoli se proprio non vogliamo aderire liberamente alla fede; è proprio la ragione che, escludendo il sentimento, ci porterà a credere in Gesù e nella Chiesa con l’aiuto della Grazia di Dio; Dio non vuole che l’uomo perisca, ma è misericordioso e concede questa possibilità prima della morte, non dopo. Fede è libera adesione «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo» (Mc I,15), «Credere dipende dalla volontà» (San Tommaso d’Aquino), non lasciamoci affascinare da comode seduzioni e da teorie perniciose e che ci porteranno all’autodistruzione di oggi ed eterna.
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Cristo RE
Cristo RE
 
 
 
GESU’ IN ALCUNE FONTI STORICHE
[Vita di Gesù Cristo, Abate G. Ricciotti, Rizzoli, 1941, pp. 101 e succ.]
Di Gesù parlano numerosi scritti antichi, che spontaneamente si raggruppano in due categorie: scritti non cristiani, e scritti cristiani. Questo criterio morale di raggruppamento ha un’evidente im­portanza scientifica, per valutare l’imparzialità delle rispettive testimonianze; tuttavia non può essere l’unico, perché insieme con esso dovrà anche applicarsi il criterio cronologico, secondo il quale una testimonianza è di solito tanto più autorevole e preziosa, quanto più è antica e vicina ai fatti attestati. Nel caso nostro è praticamente più agevole seguire il criterio morale, che lascia campo a poche contestazioni, mentre l’assegnazione cronologica dei vari scritti implica questioni numerose assai dibattute: naturalmente di tali questioni bisognerà tener conto anche seguendo la ripartizione fra scritti non cristiani e cristiani.
FONTI NON CRISTIANE. I Giudei, conterranei e coetanei di Gesù, dovrebbero offrirci riguardo a lui le prime testimonianze; ma purtroppo non è così, giacché le fonti giudaiche, pur non essendo del tutto mute in proposito, sono taciturne e avare di notizie attendibili, quasi quanto le fonti pagane.
GIUDAISMO UFFICIALE
Con la distruzione di Gerusalemme e dello Stato giudaico avvenuta nel 70 dell’Era Volgare, cioè un quarantennio dopo la morte di Gesù, la vita spirituale del giudaismo palestinese rimase rappresentata esclusivamente dalla corrente dei Farisei; i quali, conforme ai loro principii, si dedicarono totalmente a raccogliere e perpetuare la “tradizione” orale che, insieme con la Bibbia, formava ormai l’unico patrimonio morale del giudaismo. I dottori farisei, datisi a questo lavoro lungo i secoli I-III, furono chiamati i Tannaiti, e ad essi tennero dietro gli Amorei, che operarono fino al termine del secolo V. Ai Tannaiti è dovuto il codice della Mishna; agli Amorei, il commento alla Mishna; dall’unione della Mishna col suo com­mento è sorto il Talmud, nella doppia recensione palestinese e ba­bilonese. Ma il Talmud, pur contenendo materiali che possono risalire a prima della distruzione di Gerusalemme, non fu messo definitivamente in iscritto che tra i secoli V e VI, giacché in precedenza il suo contenuto era stato trasmesso solo oralmente, affidato alla memoria dei vari dottori, benché con fedeltà verbale. Il Talmud, così redatto, divenne la roccaforte spirituale del giudaismo e ricevette, insieme con la Bibbia, carattere ufficiale. Ma contemporaneamente al Talmud si elaborava altro materiale, che parimenti fu messo in iscritto soltanto dopo una lunga trasmissione esclusivamente orale, sebbene i suoi primi elementi possano risalire all’epoca dei Tannaiti. Gli scritti così sorti, fra cui primeggiano per estensione e numero i vari Midrashim, non rivestirono carattere ufficiale come il Talmud, tuttavia ricevettero un valore subordinato e complementare.
Troviamo pertanto che, in questi scritti del giudaismo ufficiale, la persona e l’opera di Gesù sono certamente note, sebbene spesso si alluda ad esse solo indirettamente ed in maniera anonima e velata. Riunendo poi i dati precisi che se ne possono estrarre, si trova che essi non hanno riscontro in nessun altro documento an­tico, e non senza contraddizioni e incongruenze se ne ottiene il seguente schema biografico. Gesù il Nosri (Nazareno) nacque da una pettinatrice di nome Ma­ria; il marito di questa donna è chiamato talvolta Pappos figlio di Giuda e talvolta Stada, sebbene si trovi anche la donna stessa chiamata col nome di Stada. Il vero padre di Gesù fu un certo Pantera;i perciò si trova che Gesù è chiamato tanto figlio di Pan­tera, quanto figlio di Stada. Recatosi in Egitto, Gesù studiò colà magia sotto Giosuè figlio di Perachia. Quanto alla cronologia è da rilevare che, mentre questo Giosuè fiorì verso l’anno 100 avanti l’Era Volgare, il suddetto Pappos fiorì circa 230 anni più tardi. Tornato in patria e respinto dal suo maestro, Gesù esercitò la ma­gia traviando il popolo. Per tali ragioni fu giudicato e condannato a morte. Prima che la condanna fosse eseguita, si attesero quaranta giorni durante i quali un araldo invitava la gente a esporre qualsiasi giustificazione in favore del condannato. Non essendosi presentato alcuno, il condannato fu lapidato e poi appeso al patibolo a Lydda, il giorno di preparazione alla Pasqua. Al presente egli si trova nella Gehenna, immerso in una melma bollente. In relazione con questi dati, e specialmente con la maniera velata con cui sono esposti, si trova che Gesù è designato con l’indicazione di un tale, o con l’epiteto di Balaam (l’antico mago di Numeri, 22 segg.), e con gli appellativi di pazzo, di bastardo, e con un altro anche più obbrobrioso.
Di questo strano nome, che appare anche sotto le varianti di Pantri, Pan­tori, Pandera, è stata data la seguente spiegazione. Dopo il definitivo distacco del cristianesimo dal giudaismo, i Giudei udivano dai cristiani di lingua greca asserire che Gesù era figlio di “parthènou”, ossia d’una vergine; e quindi il nome comune fu creduto nome proprio, e da appellativo della madre divenne nome personale del padre illegittimo. Questa spiegazione è molto verosimile, e dimostrerebbe una volta di più che il giudaismo non ebbe un suo particolare patrimonio di notizie riguardo a Gesù, ma le prese dal cristianesimo deformandole tendenziosamente.
Il seguente aneddoto può essere un esempio di come si alludeva a fatti e dottrine di Gesù in maniera anonima, ma non per questo meno precisa. A Rabbi Giosuè figlio di Anania, che fiorì verso l’anno 90 dell’Era Volgare, fu chiesto in Roma da alcuni sapienti: Raccontaci qualche cosa di favoloso! – Egli disse: Ci fu una volta una mula che fece un figlio; a questo fu appesa un’etichet­ta su cui era scritto che esso doveva ereditare dalla famiglia paterna 100.000 “zuz” (una moneta). – Gli fu risposto: Ma una mula può partorire? – Quello disse: Appunto si tratta d’una favola! – (Poi gli fu chiesto:) Se il sale diventa insipido, con che cosa si dovrà salarlo? – Quello rispose: Con la placenta d’una mula. – (Gli si disse:) Ma una mula (sterile qual e’) ha la placenta? – (Quello rispose:) E il sale può diventare insipido? In questo aneddoto è evidente l’allusione al detto di Gesù: Se il sale sia diventato insi­pido, con che si salerà? (Matteo, 5, 13), di cui si vorrebbe far rilevare l’insensatezza; ma è anche chiaro che i due animali sono un beffardo adombramento di Maria e Gesù, e che tutto l’aneddoto vuol mostrare come il giudaismo sia il genuino sale che non diventerà mai insipido, e come ad ogni modo Gesù meno di ogni altro avrebbe potuto rendergli il naturale sapore. Anche fuori degli scritti giudaici, questi dati sono attestati par­zialmente come provenienti dal giudaismo. A metà del secolo II il palestinese Giustino martire, nel suo Dialogo col (giudeo) Trifone, vi accenna più d’una volta, accusando i dottori giudei di diffondere ovunque calunnie e bestemmie a carico di Gesù. Più nettamente si ritrovano gli stessi dati impiegati dal pagano Gelso nel suo Discorso veritiero scritto poco prima dell’anno 180, di cui si tratterà in seguito; sembra certo che Celso abbia attinto questi dati ad una fonte scritta. Finalmente, ampliati sempre più, gli stessi dati costituirono il libello intitolato Toledoth Jeshua, «Generazioni (cioè, Storia) di Gesù», che circolava in varie recensioni già verso i se­coli VIII-IX, e che per il giudaismo rimase quale ufficiosa biografia di Gesù fino a poche decine d’anni addietro. Ora, tutte queste affermazioni potranno attestare le disposizioni d’a­nimo che il giudaismo aveva verso Gesù nei primi secoli cristiani; ma non sarebbe cosa né seria scientificamente né dignitosa moral­mente anche solo discuterli quali autorevoli documenti per la biografia di Gesù. Del resto la discussione sarebbe oggi inutile: ormai gli stessi Israeliti dotti e coscienziosi considerano questi elementi co­me del tutto leggendari; altrettanto fanno dal canto loro gli stu­diosi razionalisti, che di solito aggiungono allo stesso verdetto parole molto severe, come ad esempio il Renan che definisce l’insieme di questi racconti una leggenda burlesca ed oscena.
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Il noto storico Giuseppe Flavio
Il noto storico Giuseppe Flavio
 
 
FLAVIO GIUSEPPE
Giuseppe, sacerdote gerosolimitano, figlio di Mattia, nacque tra il 37 e il 38 dell’Era Volgare. Scoppiata nel 66 la rivolta della sua patria contro Roma, egli fu a capo delle truppe insorte che per prime si scontrarono con i Romani nella Galilea; dopo alcune sconfitte ricevute, si consegnò al generale nemico, il futuro imperatore Vespasiano, del quale rimase poi sempre fedele servitore. Distrutta Gerusalemme sotto i suoi occhi, Giuseppe venne a Roma insieme col vincitore Tito, figlio di Vespasiano, e alla loro gens Flavia – il cui nome egli, come liberto, aveva aggiunto al suo di Giuseppe – prestò i propri servizi di stipendiato storico aulico. Fra gli anni 75 e 79 Giuseppe pubblicò la Guerra giudaica, ove narra le vicende precedenti e tutto lo svolgimento della guerra di cui era stato attore e spettatore; la quale opera, pur essendo macchiata di moltissimi e gravissimi difetti, è insostituibile e di singolare utilità per conoscere lo sfondo storico dei tempi di Gesù. Fra gli anni 93 e 94 Giuseppe pubblicò le Antichità giudaiche, ove narra la storia della nazione ebraica dalle origini fino allo scoppio della guerra contro Roma, ricollegandosi perciò a questo punto con lo scritto precedente. Poco dopo l’anno 95 pubblicò il Contra Apionem ch’è uno scritto polemico in difesa del giudaismo, e dopo l’anno 100 pubblicò la Vita (propria) ch’è un’apologia della sua condotta po­litica. In tutti questi scritti Giuseppe, benché parli moltissimo di persone del mondo giudaico o romano nominate anche nei vangeli, non nomina mai né Gesù né i cristiani, salvo in tre passi. In uno parla con onore di Giovanni il Battista e della sua morte (Antichità giud., XVIII, 116-119); in un altro riferisce, egualmente con onore, la mor­te violenta di Giacomo fratello di Gesù, chiamato il Cristo (ivi, XX, 200): e sull’autenticità di questi due passi, nonostante l’incertez­za di pochi studiosi moderni, non vi sono ragionevoli dubbi.
Diversamente stanno le cose riguardo al terzo passo ch’è il seguente, reso in traduzione letterale: Ora, ci fu verso questo tempo Gesù, un uomo sapiente, seppure bisogna chiamarlo uomo: era infatti facitore di opere straordinarie, maestro di uomini che accol­gono con piacere la verità. E attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei Greci. Costui era il Cristo. E avendo Pilato, per denunzia degli uomini principali fra noi, punito lui di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti comparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già detto i divini profeti queste e migliaia d’altre cose mirabili riguardo a lui. E ancora adesso non e’ venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati i Cristiani (Antichità giud., XVIII, 63-64). Questo passo, conosciuto comunemente come testimonium flavia­num, è contenuto in tutti i codici delle Antichità giudaiche, e nel secolo IV era già noto ad Eusebio che lo cita più d’una volta (Hist. eccl., i, Il; Demonstr. evang., III, 3); né, fino al secolo XVI, alcuno studioso dubitò mai della sua autenticità. In quel tempo furono mossi i primi dubbi, ma fondati soltanto su ragioni interne, in quan­to cioè sembrava che il giudeo e fariseo Giuseppe non potesse par­lare in modo cosi onorifico di Gesù: si concluse, quindi, che il passo era stato interpolato da un’ignota mano cristiana. La questione si è prolungata fino ai nostri giorni, e oggi esistono sia fautori sia avversari dell’autenticità in ogni campo: ad esempio, il razionalista Harnack ha difeso l’autenticità, mentre il cattolico Lagrange ha supposto l’interpolazione. Una soluzione incontrastabile non si troverà probabilmente mai, sia per mancanza di documenti, sia perché le ragioni addotte contro l’autenticità sono soltanto di ordine morale e quindi variamente giudicabili. Non essendo qui il caso di sottoporre a nuovo esame i vari argomenti, rimandiamo il lettore a quello che ne facemmo noi stessi altrove, limitandoci a riportare qui il periodo finale: «In conclusione, a noi sembra che il testimonium com’è oggi possa es­sere stato interpolato da mano cristiana, benché il suo fondo sia certamente genuino; tuttavia la stessa possibilità, e anche una mag­giore probabilità, concediamo all’altra opinione secondo cui esso sarebbe integralmente genuino e vergato, cosi come oggi, dallo stilo di Giuseppe» (Flavio Giuseppe tradotto e commentato, vol. I, pag. 185).
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Colosseo in una ricostruzione digitale
Colosseo in una ricostruzione digitale
 
 
SCRITTORI ROMANI ED ALTRI
Nel secondo decennio del secolo Il tre scrittori romani par­lano di Cristo e dei cristiani. La celebre lettera scritta verso il 112 da Plinio il Giovane all’imperatore Traiano (Epist., X, 96) non dice nulla circa la persona di Gesù; attesta soltanto che nella Bitinia, governata da Plinio, erano molto diffusi i cristiani, i quali erano soliti stato die ante lucem convenire carmenque Christo quasi deo dicere.
Poco anteriori all’anno 117 sono gli Annali di Tacito, che è il meno avaro sull’argomento. Trattando di Nerone e dell’incendio di Ro­ma dell’anno 64, egli dice che quell’imperatore, per dissipare le voci che l’incendio fosse stato comandato, ne presentò come rei e colpì con supplizi raffinatissimi coloro che il volgo, odiandoli per i loro delitti chiamava Cristiani. L’autore di questa denominazione, Cristo, sotto l’impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; ma, repressa per il momento, l’esi­ziale superstizione erompeva di nuovo, non solo per la Giudea, ori­gine di quel male, ma anche per l’Urbe, ove da ogni parte confluiscono e sono esaltate tutte le cose atroci e vergognose (Annal., XV, 44); segue poi la descrizione dei supplizi usati contro i cristiani nella persecuzione neroniana. Come appare subito, questa testimo­nianza pagana della lontana Roma conferma alcune fondamentali notizie della vita di Gesù che circolavano in Palestina già nel secolo precedente.
Qualche anno dopo, verso il 120, Svetonio conferma genericamente che sotto Nerone furono sottoposti a supplizi i Cristiani, razza d’uo­mini d’una superstizione nuova e matefica (Nero, 16); ma, quando tratta del precedente impero di Claudio, fornisce una notizia nuo­va, riferendo che costui espulse da Roma i Giudei i quali, ad im­pulso di Cristo, facevano frequenti tumulti (Claudius, 25). Questa espulsione, confermata da quanto dicono gli Atti, 18, 2, avvenne fra gli anni 49 e 50. Non si può ragionevolmente dubitare che l’ap­pellativo di Cristo di Svetonio sia il termine greco « christòs », traduzione etimologica del termine ebraico “messia”; tanto più che, come ha già fatto Tacito nel passo qui sopra riportato, anche in seguito i cristiani saranno chiamati cristiani (Tertulliano, Apolog., 3). Si può concludere quindi che a Roma, circa un ven­tennio dopo la morte di Gesù, i Giudei ivi dimoranti avevano assi­dui e clamorosi contrasti riguardo alla qualità di “Cristo”, o Mes­sia, attribuita allo stesso Gesù, la quale evidentemente da alcuni gli era riconosciuta e da altri negata: i primi erano senza dubbio i cristiani, specialmente quelli convertiti dal giudaismo. Svetonio, che scrive 70 anni dopo gli avvenimenti ed è ben poco informato del cristianesimo, s’immagina che il suo Cristo sia stato presente personalmente a Roma e vi abbia provocato i tumulti. Dell’imperatore Adriano abbiamo una lettera indirizzata verso l’an­no 125 al proconsole d’Asia, Minucio Fundano, e conservataci da Eusebio (Hist. eccl., IV, 9): vi si impartiscono solo norme per i processi contro i cristiani. Allo stesso imperatore è attribuita una lettera indirizzata verso il 133 al console Serviano (Flavio Vopisco, Quadrigee tyrannorum, 8, in Script. Hist. Aug.), ove sono inciden­talmente nominati Cristo e cristiani. Si noti pertanto come questi scrittori romani non riportino mal il nome di Gesu’, ma solo quello di Cristo (Cresto).
Da scrittori non romani dei primi due secoli non si ricava di più. Il sarcastico Luciano, semita ellenizzato, beffeggia spesso i cristia­ni, ma fa rare allusioni a Gesù: le più sicure sono quelle contenute nel Peregrino (11 e 13), di circa l’anno 170, ove si ricorda che il primo legislatore dei cristiani, sofista e mago, fu crocifisso in Palestina. Di un altro semita, Mara figlio di Serapione, abbiamo una lettera in siriaco, indirizzata a suo figlio Serapione, che contiene un’allu­sione a Gesù (in Cureton, Spicilegium syriacum, pag. 43 segg.); in­sieme con Socrate e Pitagora vi è nominato, in maniera onorifica, un sapiente re dei Giudei messo a morte dalla propria nazione, la quale perciò è stata punita da Dio con la distruzione della capitale e con l’esilio. E’ chiaro, dunque, che la lettera fu scritta dopo gli avvenimenti palestinesi del 70; ma è impossibile una datazione più precisa della lettera, che può essere benissimo del secolo II molto inoltrato, come neppure risulta con sicurezza se l’autore sia un cri­stiano dissimulato oppure un pagano stoico ammiratore del cristianesimo.
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Origene Adamanzio, greco Ὠριγένης (Ōrigénēs)
Origene Adamanzio, greco Ὠριγένης (Ōrigénēs)
 
 
FONTI CRISTIANE
Documenti estranei ai Nuovo Testamento
Di Gesù trattano molti scritti cristiani composti nei primi secoli, ma che non fanno parte del Nuovo Testamento: essi talvolta si presentano sotto forme analoghe a quelle del Nuovo Testamento, come Vangeli, Atti, Lettere, Apocalissi, costituendo i cosiddetti libri Apocrifi, talvolta sotto forma di scritti ecclesiastici, come Costitu­zioni, Canoni, ecc., costituendo i cosiddetti libri Pseudo-epigrafi; tal­volta, infine, consistono in piccoli detti o fatti attribuiti a Gesù i quali, senza aver riscontro nel Nuovo Testamento, si ritrovano in maniera staccata o in opere di antichi Padri, o in codici particolari del Nuovo Testamento, oppure in frammenti di papiri antichi re­centemente scoperti, e tali minime particelle sono designate con nomi di Agrafa o di Logia. Gli studiosi recenti si sono molto occupati di queste diverse serie di scritti, ai quali invece nel secolo passato si prestava scarsa atten­zione; ma queste nuove indagini, se hanno indubbiamente contri­buito a far conoscere sempre meglio i vari ceti cristiani che pro­dussero quegli scritti, hanno messo in luce sempre più chiara la deficienza d’autorità storica ch’è alla base degli scritti apocrifi, e per contrapposto la sodezza su cui poggiano quelli del Nuovo Testamento. Fra le due categorie di scritti, in realtà, c’e un abisso, come già ai suoi tempi giudicò il Renan; il quale, istituendo un con­fronto fra esse sotto l’aspetto puramente storico, trovava che i van­geli apocrifi sono volgari e puerili amplificazioni fatte sulla trama dei vangeli canonici, senza aggiungervi alcunché di serio. Né a questo antico giudizio hanno apportato alcuna modificazione so­stanziale gli studi recenti.
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GLI APOCRIFI
In generale i vangeli apocrifi devono la loro origine al de­siderio o di presentare alcune particolari dottrine come giustificate dalla vita e dall’insegnamento di Gesù stesso, oppure di accrescere con altri particolari biografici le notizie che i vangeli canonici co­municano su Gesù, e che alle plebi cristiane sembravano troppo parsimoniose; nel primo caso si hanno gli scritti d’origine eretica o almeno tendenziosa, che sono i più numerosi: nel secondo i rac­conti di carattere popolare, amanti del meraviglioso. I due casi spesso si fondono insieme, senza che oggi si possano separare con certezza. Occasione a coteste fantastiche costruzioni era fornita sia dalle ammonizioni di uno degli stessi vangeli canonici, il quale avverte che molti altri fatti di Gesù non sono contenuti in esso (Gio­vanni, 20, 30) e che a contenerli sarebbero necessari infiniti altri libri (ivi, 21, 25), sia anche dall’aver osservato che S. Paolo in un suo discorso riporta un aforisma di Gesù non contenuto in nessuno dei vangeli canonici (Atti, 20, 35). Questo ampio ricamo immaginativo cominciò ben presto, già nel secolo II, per accrescersi sempre più in seguito e prolungarsi fino al Medioevo; ma a noi ne è pervenuta solo una minor parte, della quale spesso è difficile definire, oltreché la tendenza dottrinale, an­che il tempo preciso. Essendo pertanto inutile scendere a molti par­ticolari, ci limiteremo a brevi cenni sulle più antiche di queste composizioni.
Di un Vangelo secondo gli Ebrei parlano vari scrittori anti­chi, che ce ne hanno pure trasmesse alcune poche citazioni ma per questa scarsezza e per confusioni sorte più tardi è difficile farsi un concetto approssimativo dello scritto. Certamente era redatto in aramaico, e doveva circolare già nel secolo I. Pare che avesse stretta affinità col vangelo canonico di Matteo, se pure non era in sostanza questo stesso vangelo rimanipolato in varie maniere, con accorciamenti e con aggiunte di provenienza incerta. Una di que­ste aggiunte, ad esempio, diceva che Gesù era stato trasportato, sospeso per uno dei suoi capelli, al monte Tabor per opera di sua madre, che sarebbe stato lo Spirito Santo: in aramaico, infatti, “spirito” è voce di genere femminile, come giustamente ricorda S. Girolamo, il quale riporta l’aggiunta dopo Origene. Non risulta con sicurezza se recensione particolare di questo apocrifo, ovvero opera ben diversa, fosse il Vangelo dei Nazarei o Nazorei, ch’erano membri di una comunità giudeo-cristiana accentrata attorno a Berea (Aleppo). Il Vangelo degli Ebioniti era particolare a questa setta, di cui propugnava idee e norme, ad esempio quella del vegetarianismo. Fu composto nel secolo II, ma ne rimangono pochi frammenti in cita­zioni di Epifanio. Era chiamato dagli Ebioniti Vangelo secondo gli Ebrei, ma pare che fosse ben diverso dal precedente: ad ogni modo era certamente anch’esso una tenderiziosa rimanipolazione del Mat­teo canonico. Il Vangelo degli Egiziani era usato dagli eretici Encratiti, Valen­tiniani, Naasseni e Sabelliani. Fu composto in Egitto, verso la metà del secolo II; dai pochissimi frammenti superstiti si rileva che l’istituzione del matrimonio vi era condannata, conforme ai principii degli Encratiti. Il Vangelo di Pietro, già noto agli antichi e del quale nel 1887 fu ritrovato un esteso tratto relativo alla morte e resurrezione di Gesù, sembra che fosse composto in Siria verso l’anno 130 o poco dopo. L’autore si serve sostanzialmente dei vangeli canonici, né appare con sicurezza che mirasse a propugnare idee eretiche; tuttavia cade in er­rori storici grossolani (ad es. fa condannare e condurre al patibolo Gesù da Erode) e aggiunge vari particolari chiaramente fantastici.
Assai importante ed uscito da ambiente ortodosso è il Pro­tovangelo di Giacomo, che risale a circa la metà del secolo II. Si diffonde molto sui fatti di Maria e dell’infanzia di Gesù nel ciclo liturgico della Chiesa sono tuttora rispecchiati taluni fatti da esso narrati, quale la presentazione di Maria al Tempio, di cui i vangeli canonici non fanno parola. La trama fondamentale della narrazio­ne è quella dei vangeli canonici, ma arricchita specialmente da gran quantità di prodigi, sempre inutili, spesso anche indecorosi; ad esempio, si finge che la perpetua verginità di Maria, che l’orto­dosso autore vuol mettere in sommo rilievo, sia sottoposta ad una prova tanto decisiva quanto sconveniente (cap. 20). Questo apo­crifo fu molto diffuso nella Chiesa antica, e in tempi più recenti ricevette varie rimanipolazioni, quali lo pseudo Vangelo di Matteo, del secolo VI, e il Libro della natività di Maria, del secolo IX. Di un Vangelo di Tommaso parlano antichi scrittori, segnalandolo come opera di eretici gnostici, composto verso la metà del secolo II. Ma le due recensioni che sono pervenute a noi di questo scritto – una più ampia, l’altra meno – non mostrano alcuna idea gnostica, e contengono solo numerosi miracoli, quasi tutti puerili, attribuiti appunto alla puerizia di Gesù dall’età di cinque anni in su. Più recenti, ma non più autorevoli, sono altri apocrifi non sempre bene noti che basterà nominare: il Vangelo di Filippo, del seco­lo III; il Vangelo di Bartolomeo, del secolo IV; gli Atti di Pilato, in parte anteriori al secolo IV, che si presentano come un resoconto del processo e della resurrezione di Gesù; le Lettere tra Abgar re di Edessa e Gesu’ (in Eusebio, Hist. eccl., I, 13), e la Dottrina di Addai, d’origine siriaca, del secolo IV; altre narrazioni scendono dal secolo V in giù. Numerosi scritti apocrifi, sotto la denominazione di Atti, Lettere, Apocalissi, oppure di Costituzioni, Canoni, Dida­scalie, si riportano direttamente ai vari Apostoli più che a Gesù stesso; ma di lui parla molto la cosiddetta Lettera degli Apostoli, che contiene dialoghi di Gesù con i discepoli e che, scritta in greco nel secolo II, è giunta a noi in una recensione copta ed una etio­pica (quest’ultima è incorporata nell’apocrifo Testamento di nostro Signore Gesu’ Cristo). Escludendo già anticamente dal canone delle Scritture sacre questa congerie di scritti apocrifi e pseudo-apocrifi, la Chiesa ha fatto un’opera eccellente anche dal semplice punto di vista della scienza storica; in essi infatti, anche quando non si riscontrano concetti aper­tamente ereticali o tendenziosi, si ritrovano quelli che già S. Giro­lamo chiamava i sogni degli apocrifi.
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SCRITTI CHE SOPRA CHIAMAMMO AGRAFA O LOGIA
Una classe particolare, che può richiedere un giudizio parti­colare, è costituita da quei brevissimi scritti che sopra chiamammo Agrafa o Logia. Per amor d’esattezza bisogna distinguere. Stando al significato delle rispettive parole gli Agra fa, cioè i “non scritti”, sono quei brevi detti o aforismi attribuiti a Gesù che si ritrovano trasmessi fuori della sacra Scrittura (Grak’), o, secondo un’altra norma, fuori dei soli quattro vangeli canonici. I Logia, cioè i “det­ti”, sono egualmente brevi sentenze attribuite a Gesù e tutte appartenenti alla classe degli Agrafa; ma oggi questo termine è con­venzionalmente riservato a designare quelle sentenze che si vengono man mano scoprendo, da un quarantennio in qua, nei frammenti di antichi papiri ricuperati nell’inesauribile Egitto. Gli Agrafa in­vece si ritrovano in altri documenti antichi, anche fuori della let­teratura apocrifa, come in opere di taluni Padri e in qualche sin­golare codice del Nuovo Testamento. Poiché S. Paolo stesso cita come parole di Gesù la sentenza ignota ai vangeli: E’ cosa più beata dare che ricevere (Atti, 20, 35), non è astrattamente impossibile che altre di siffatte brevi sentenze si siano conservate a lungo oralmente nella Chiesa antica, per poi esser fissate in iscritto lungo i primi secoli del cristianesimo. Ve­nendo poi al caso pratico, si riscontrano in realtà citazioni di questo genere in antichi Padri, lontani tra loro per tempo e per luogo. Cosi troviamo che, nel secolo I, Clemente romano attribuisce a Gesù il detto: “…. Come farete, cosi sarà fatto a voi; come darete, cosi sarà dato a voi; come giudicherete, cosi sarete giudicati; come sarete benigni, cosi si sarà benigni con voi” (I Corinti, 13); nel se­colo II, il palestinese Giustino martire gli attribuisce la sentenza: In quali (opere) io vi sorprenderò, in quelle vi giudicherò (Dialog. cum Tryph., 47); nel secolo III, l’alessandrino Origene gli assegna l’aforisma: Chi è vicino a me, e’ vicino al fuoco; chi e’ lungi da me, e’ lungi dal regno (in Jer., xx, 3), aforisma che nel secolo suc­cessivo si ritrova in Didimo il cieco, egualmente alessandrino; e ancora nel secolo IV il siro Afraate, il “Sa­piente Persiano”, presenta come detta da Gesù la seguente ammo­nizione: Non dubitate, si che affondiate dentro il mondo, a somiglianza di Simone che dubitando cominciò ad affondare dentro il mare (Demonstr., I, 17). E le citazioni, che talvolta contengono an­che piccole particolarità della biografia di Gesù, potrebbero esten­dersi ad altre epoche e regioni.
Che pensare di questi Agrafa di antichi scrittori cristiani?
Un giudizio generale non si potrebbe dare, ed è necessario riportarsi a singoli casi. Molto spesso si tratta certamente di cita­zioni di vangeli canonici fatte, non con quell’aderenza letterale che oggi sarebbe di rigore, bensì in maniera larga e oratoria, si da mi­rare al concetto sostanziale più che alla parola materiale. Altre volte sembra che la citazione, specialmente se contiene una parti­colarità biografica, sia tolta da qualche scritto privato di edifica­zione, o anche da qualche apocrifo perduto. In altri casi potrà dipendere da una tradizione soltanto orale, senza però che oggi si possa decidere se quella tradizione risalisse veramente alle origini oppure fosse una pia elaborazione cristiana. In conclusione, pur rimanendo la possibilità astratta che taluni Agrafa siano autorevoli, la rispettiva dimostrazione è assai difficile a raggiungersi. Questa generica diffidenza è giustificata anche di fronte a taluni brevi tratti particolari, contenuti solo in qualche codice del Nuovo Testamento ma ignoti a tutti gli altri antichi documenti. Ad esem­pio, il codice D detto di Beza, del secolo VI, al passo di Luca, 6, 4, soggiunge questo tratto: In questo stesso giorno, avendo (Gesù) visto un tale che lavorava di sabato, gli disse: Uomo, se tu sai ciò che lai, sei beato; se poi non lo sai, sei maledetto e trasgressore della Legge. Tanto caratteristica è l’idea qui espressa, quanto è singo­lare il tratto che l’esprime, ignoto a tutti gli altri codici. Un’altra celebre aggiunta, caratteristica e del tutto solitaria, è quella con­tenuta nel manoscritto W (Freer) e messa appresso a Marco, 16, 14. Anche per questi tratti speciali di solitari codici, in forza delle stesse ragioni accennate sopra, sarà ben arduo dimostrare che l’autenti­cità astrattamente possibile debba considerarsi nei singoli.
Una messe abbondante è fornita anche dai Logia, che si stanno ricuperando da un quarantennio e talvolta raggiungono una notevole ampiezza. Se ne ritrovarono già a Banhesa, l’antica Ossirinco (pubblicati da Grenfeli e Hunt nella collezione Oxyrhynchus Papyri, dal 1897 in poi); in seguito l’Egitto ha largheggiato, oltreché con antichissimi papiri (Chester Beatty) strettamente neotestamentari, an­che con altri che contengono sia brevi sentenze staccate, sia passi più ampi e ben connessi. Quest’ultimo è il caso del papiro (Egerton) pubblicato come ”frammenti di un Vangelo sconosciuto” da Idris Belì e Skeat nel 1935, e che risale ad un’antichità eccezio­nale, essendo certamente non posteriore e forse anteriore alla metà del secolo II. Gli altri Logia si distribuiscono in genere fra i seco­li Il e III, ma sono costituiti da sentenze staccate e brevi che di solito cominciano con le parole: “Dice Gesu’…” E’ stato supposto che il papiro (Egerton) del “Vangelo sconosciuto” contenga una parte dell’apocrifo Vangelo degli Egiziani; l’o­pinione è discutibile, mentre è certo che il suo contenuto dipende più o meno direttamente dai quattro vangeli canonici, e special­mente da Giovanni. I restanti comuni Logia, invece, sono avanzi del naufragio che ha sommerso antiche raccolte di detti di Gesù: i cristiani dei primi secoli componevano quelle raccolte a proprio uso privato, estraendone il materiale da varie parti, anche dai vangeli apocrifi, non senza adattarlo e modificarlo secondo le attitudini e gli scopi personali. Quando i primi di tali Logia cominciarono a tornare alla luce, pa­recchi studiosi li giudicarono reliquie di antichi repertori anteriori ai vangeli canonici, e da cui questi dipenderebbero: credettero quin­di d’entrare in possesso parziale o dei Logia di Matteo, di cui parlerebbe Papia , o degli scritti di quei molti che secondo Luca (1, 1-4) avevano narrato prima di lui i fatti di Gesù. Ma, purtroppo, quella rosea ipotesi e l’entusiasmo che l’accompagnava non erano giustificati. Oggi, che il materiale è notevolmente cre­sciuto e si può giudicare con migliore cognizione di causa, l’opi­nione quasi unanime è che la relazione fra i due gruppi di scritti sia l’inversa a quella allora supposta, ritenendosi cioè che questi Logia siano posteriori e dipendano dai vangeli canonici, oltreché da altre fonti.
Diamo come saggio il primo frammento di papiro pubbli­cato nel 1897 (in Oxyrhynchus Papyri, I, n. 1), ricordando a fianco ai singoli detti i luoghi dei vangeli canonici da cui dipendono: (Dice Gesu’:) … e allora tu vedrai bene d’estrarre la pagliuzza che e’ nell’occhio del tuo fratello (cfr. Matteo, 7, 5; Luca, 6, 42). Dice Gesu’: Se non digiunate dal mondo, non troverete il regno di Dio; e se non sabbatizzerete il sabbato (cioè, se non santificherete tutta la settimana) non vedrete il Padre. (Il concetto di digiunare dal mondo ritorna in Clemente Alessandrino, Stromata, in, 15, 99; al concetto del sabato spirituale allude Giustino, Dialog. cum Tryph., 12). Dice Gesu’: Stetti in mezzo al mondo e apparvi ad essi nella carne; e li trovai tutti ubriachi, e nessun assetato trovai fra loro; e l’ani­ma mia e’ afflitta a causa dei figli degli uomini, perché sono ciechi nel loro cuore e non vedono… (?) e la povertà. Dice Gesu’: Ove siano (due, essi non) sono senza Dio, e ove sia uno soltanto, dico che io sono con lui. Solleva la pietra, e là mi troverai; spacca il legno, e io sono colà (cfr. Matteo, 18, 20). Dice Gesu’: Non c’é profeta accetto nella patria sua, nè un medico opera guarigioni fra quei che lo conoscono (cfr. Matteo, 13, 57; Marco, 6, 4; Luca, 4, 23-24; Giovanni, 4, 44). Dice Gesu’: Una città costruita su cima d’alto monte e raffarzata, non può crollare né restare occulta (cfr. Matteo, 5, 14). Dice Gesu’: Tu ascolti con uno dei tuoi (orecchi), ma (l’altro tieni serrato?). In ultima conclusione, le fonti cristiane estranee al Nuovo Testa­mento siano esse scritti apocrifi, o Agrafa, o Logia – sono prive nella loro enorme maggioranza di autorità storica riguardo alla biografia di Gesù. In qualche caso può rimanere una certa pos­sibilità in loro favore: ma tali casi sono cosi rari, e la dimostra­zione della loro autorità effettiva è cosi difficile, che praticamen­te non se ne può trarre alcun vantaggio apprezzabile. Questo van­taggio, nella migliore delle ipotesi, equivarrebbe ad una coppa d’ac­qua aggiunta in un lago: cioè, quand’anche i pochissimi passi me­glio accreditati si potessero accettare come sicuramente autentici, acquisteremmo qualche decina di righe da aggiungere come appendice ai vangeli canonici, senza per altra che tal minuscola appendice modificasse il contenuto di quelli o ne accrescesse notevolmente il patrimonio biografico o concettuale.
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Fine della prima parte
Introduzione, ricerca e pubblicazione a cura di Caro Di Pietro
 
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