Il 29 giugno è uscita, sul quotidiano Rinascita, questa intervista realizzata da Angela Corrias.
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In questi anni alcune tue pubblicazioni hanno suscitato un certo clamore. I temi affrontati, in effetti, sembrano piuttosto scottanti. Come potremmo inquadrarli brevemente?
L’Asse Roma Berlino Tel Aviv e Il fez e la kippah parlano dei rapporti delle organizzazioni ebraiche e sioniste con l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista.
Alcuni tra i temi affrontati sono: la presenza massiccia di ebrei tra i dirigenti dello Stato fascista, il caso del giornale ebraico-fascista La Nostra Bandiera, i progetti di fascistizzazione del sionismo, gli intensi scambi tra i dirigenti sionisti e l’Italia in campo politico, il rapporto privilegiato dei sionisti-revisionisti di Jabotinsky (la cosiddetta “destra” del movimento) con le organizzazioni di regime e in particolare la nascita, presso la scuola marittima di Civitavecchia, di un corso ebraico, nucleo della futura marina israeliana.
In ambito tedesco: l’esistenza di gruppi organizzati di ebrei “assimilati” favorevoli all’instaurazione del nazionalsocialismo, la presenza tutt’altro che ridotta di esponenti di origine ebraica nelle forze armate tedesche, le fonti finanziarie del regime hitleriano, l’importante accordo “nazi-sionista” dell’Haavara (per il trasferimento delle proprietà ebraiche in Palestina), gli Umschulungsläger (campi di addestramento per i pionieri sionisti presenti in Germania), le collaborazioni con i sionisti-revisionisti ed in particolare le proposte di alleanze di guerra avanzate dal gruppo sionista Lehi al Terzo Reich in cambio d’aiuto per la creazione dello Stato ebraico. Ovviamente a questi esempi se ne aggiungono molti altri che nell’insieme compongono un quadro di relazioni tutt’altro che trascurabile.
Recentemente ho scritto il saggio introduttivo che ha accompagnato la ripubblicazione di Sionismo Bifronte (1935), un libro di Ettore Ovazza: firma de La Nostra Bandiera, banchiere israelita, antisionista convinto e fascista fierissimo.
Come descritto nella Nota Editoriale, Ovazza era stato “marciatore su Roma, probo cittadino, silenzioso mecenate, fedele ed entusiasta combattente della milizia politica” e onorato “da due udienze del Duce”.
Nel testo conduce una dura polemica contro il “sionismo nazionalista”, visto come movimento pericolosamente ambiguo e fomentatore indiretto di sentimenti antiebraici.
Quali sono stati i problemi che hai incontrato dopo la pubblicazione?
Diciamo che le polemiche non sono mancate. Parlare di questi temi significa toccare direttamente alcuni dei miti su cui si fonda una parte non secondaria degli attuali rapporti politici, in particolare nell’area vicinorientale. Per certi versi si può dire che lo spettro della Seconda Guerra Mondiale non è stato ancora scacciato dall’agone della politica internazionale. A questo aspetto si aggiunge una certa forma mentis, sovraccarica di conformismo, in base alla quale non si può concepire l’ebraismo se non in forma di “eterna vittima della storia”. Si tratta di una evidente deformazione della realtà, deformazione che viene denunciata anche dai più avveduti studiosi ebrei. Nonostante questo, continua a sussistere una irriducibile e potente tendenza, in particolare in Europa e in Nord America, a vedere come pericolosa qualunque ricerca che vada in una direzione diversa rispetto a quanto voluto da certi censori.
Di cosa sei stato accusato e da chi?
La lista dovrebbe essere lunga, facciamo alcuni esempi. Quando presentai il mio primo libro nella città in cui sono nato, l’Associazione dei partigiani antifascisti arrivò a scrivere un comunicato in cui si diceva che le teorie del convegno a cui avevo partecipato potevano addirittura favorire la diffusione di fenomeni terroristici. Quando poi uscirono le locandine del mio secondo libro si arrivò nell’ambito del comico. Il vice-presidente della Comunità ebraica di Milano chiese sulla stampa la rimozione dei manifesti pubblicitari e l’annullamento della presentazione, all’albergo dove doveva tenersi la conferenza arrivò una lettera in cui si accusava il proprietario di ospitare la “feccia nazista e antisemita”. Un importante sito d’informazione come Lettera43 arrivò a pubblicare un articolo dal titolo “Milano, nazi alla Padana”. I quotidiani Repubblica e Il Giorno non furono da meno, il primo parlò di “manifesti antisemiti”, il secondo di “attacco agli ebrei”. Diversi siti come FocusOnIsrael, Osservatorio Antisemitismo e Mosaico (sito della comunità ebraica) ripresero la notizia denunciando a vario titolo il presunto “pericolo antisemitismo”.
Quello stesso giorno un deputato del Partito Democratico – attraverso un comunicato dell’Agenzia di stampa parlamentare – parlò del cartellone raffigurante la copertina de Il fez e la kippah dicendo: i manifesti “apparsi oggi nell’atrio dell’Università Cattolica di Milano rappresentano un episodio gravissimo, sul quale mi auguro ci saranno conseguenze in applicazione della cosiddetta legge Mancino [legge che punisce l’istigazione all’odio razziale]. Auspico che gli inquirenti vogliano verificare la natura e le finalità di questo gruppo studentesco e il contenuto del convegno che in questi manifesti si annuncia. Nei prossimi giorni chiederò un incontro al ministro della Giustizia Severino per verificare la possibilità di una approvazione del disegno di legge presentato dal Pd per una revisione che renda più efficace la legge Mancino contro ogni forma di discriminazione e di intolleranza”.
Fu poi la volta del Coordination Forum for Countering Antisemitism, organo composto da rappresentanti del Governo israeliano, Anti-Defamation League, Agenzia Ebraica: preparò una scheda sui “fatti di Milano” tradotta in diverse lingue tra cui francese, spagnolo, ebraico, arabo e, credo, russo.
Questi alcuni degli episodi. Si potrebbero aggiungere anche le quasi continue richieste di mobilitazione fatte da alcuni fora contro le presentazioni dei miei libri e altri fatti affini.
Perché secondo te le accuse di razzismo e di antisemitismo non sono fondate?
Con la ricerca storica il razzismo non dovrebbe avere alcuna inerenza. Quanto all’ “antisemitismo” bisogna chiarirsi sul significato della parola a prescindere dell’uso comune. Etimologicamente significa “contro i semiti”. È interessante notare che tradizionalmente vengono catalogati come semiti non solo gli ebrei ma anche gli arabi, molto più numerosi. Se ogni atteggiamento antiarabo, ad esempio nell’area vicinorientale, venisse catalogato come “antisemita” ci troveremmo di fronte ad alcuni curiosi paradossi.
L’uso che viene fatto qui in Europa della parola antisemita è distorto ed esagerato, ormai vengono marchiati come “antisemiti” anche tutti quegli ebrei (israeliani compresi) che si dissociano da certi schemi. La definizione di “ebreo che odia se stesso” [self-hating jew], ha colpito ormai molti giornalisti, studiosi e ricercatori. È di alcuni mesi fa l’uscita su un sito ebraico italiano di un articolo dal titolo: “Sono ebrei, antisemiti e molti insegnano nelle università israeliane” [G. Meotti, su Kolòt]. In esso si distinguono diversi nomi tra cui Naomi Chazan, Shlomo Sand, Nevè Gordon, Ze’ev Sternhell, Ilan Pappe, Norman Finkelstein, Noam Chomsky.
Negli ultimi anni è stato particolarmente celebre il caso del prof. Ariel Toaff, duramente ed ingiustamente attaccato per il suo libro Pasque di Sangue, sugli omicidi di bambini cristiani nel Medio Evo.
Quali sono le influenze che la lobby ebraica ha sul parlamento italiano?
Ci sono Stati in cui esistono lobbies ebraiche dichiarate (e non solo ebraiche) che agiscono pubblicamente per l’ottenimento dei loro scopi. Negli Stati Uniti il caso dell’AIPAC è eclatante.
In Italia gli ebrei sono pochi, qualche decina di migliaia. Non credo che la sera si trovino dopo cena per elaborare le loro strategie. È però evidentissimo che anche nel nostro Paese ci sono alcuni agguerritissimi esponenti che di tanto in tanto fanno sentire la loro voce per cercare di imporre questo o quel provvedimento. Ciò che ho detto prima ne è in parte la prova.
Ciclicamente in Italia si parla di proposte di legge pericolosamente liberticide, per ora senza nessun risultato concreto. In questo momento è allo studio il ddl Amati, una sorta di legge-bavaglio che vuole imporre la storia per decreto.
Quali sono i provvedimenti che le autorità italiane possono prendere per l’accusa di antisemitismo?
Nel caso in cui il presunto “antisemitismo” rientri sotto la categoria di “odio razziale” si fa riferimento alla già citata legge Mancino, una legge penale: prevede il carcere per chi la trasgredisce. Detto questo, va sottolineato che è non è frequente l’utilizzo di questa legge in casi concreti. Quando l’On. Fiano ne richiese l’applicazione in relazione alla locandine e alla presentazione del mio libro, il fatto fu giustamente ignorato dalle autorità competenti.
Nel resto d’Europa però la situazione è diversa ci sono Stati in cui non è difficile essere penalmente perseguiti per le proprie opinioni o per i risultati delle proprie ricerche.
Quali sono secondo te le conseguenze che tali provvedimenti e l’atteggiamento generale hanno nei confronti della libertà di informazione – espressione – ricerca?
In Italia – nonostante i tentativi descritti poco fa in relazione al disegno di legge Amati – c’è ancora una sostanziale libertà in questo campo ma il problema non è solo legale, è anche mediatico. Qualunque ricercatore o giornalista che voglia uscire dal selciato – definito da certi censori dell’ortodossia storica e politica – deve prepararsi ad essere attaccato pubblicamente ed esposto a contestazioni gratuite e pregiudiziali. Quasi mai questi censori si assumono la fatica di leggere i testi e di ascoltare le conferenze che condannano. Dopo le polemiche del 2011-2012, quando le presentazioni dei miei libri ebbero luogo non si presentò al dibattito nessuno degli esponenti della comunità ebraica e nessuno dei giornalisti che avevano scritto contro l’evento.
Strano, ero convinto che avessero qualche argomentazione da esporre.
L’Asse Roma Berlino Tel Aviv e Il fez e la kippah parlano dei rapporti delle organizzazioni ebraiche e sioniste con l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista.
Alcuni tra i temi affrontati sono: la presenza massiccia di ebrei tra i dirigenti dello Stato fascista, il caso del giornale ebraico-fascista La Nostra Bandiera, i progetti di fascistizzazione del sionismo, gli intensi scambi tra i dirigenti sionisti e l’Italia in campo politico, il rapporto privilegiato dei sionisti-revisionisti di Jabotinsky (la cosiddetta “destra” del movimento) con le organizzazioni di regime e in particolare la nascita, presso la scuola marittima di Civitavecchia, di un corso ebraico, nucleo della futura marina israeliana.
In ambito tedesco: l’esistenza di gruppi organizzati di ebrei “assimilati” favorevoli all’instaurazione del nazionalsocialismo, la presenza tutt’altro che ridotta di esponenti di origine ebraica nelle forze armate tedesche, le fonti finanziarie del regime hitleriano, l’importante accordo “nazi-sionista” dell’Haavara (per il trasferimento delle proprietà ebraiche in Palestina), gli Umschulungsläger (campi di addestramento per i pionieri sionisti presenti in Germania), le collaborazioni con i sionisti-revisionisti ed in particolare le proposte di alleanze di guerra avanzate dal gruppo sionista Lehi al Terzo Reich in cambio d’aiuto per la creazione dello Stato ebraico. Ovviamente a questi esempi se ne aggiungono molti altri che nell’insieme compongono un quadro di relazioni tutt’altro che trascurabile.
Recentemente ho scritto il saggio introduttivo che ha accompagnato la ripubblicazione di Sionismo Bifronte (1935), un libro di Ettore Ovazza: firma de La Nostra Bandiera, banchiere israelita, antisionista convinto e fascista fierissimo.
Come descritto nella Nota Editoriale, Ovazza era stato “marciatore su Roma, probo cittadino, silenzioso mecenate, fedele ed entusiasta combattente della milizia politica” e onorato “da due udienze del Duce”.
Nel testo conduce una dura polemica contro il “sionismo nazionalista”, visto come movimento pericolosamente ambiguo e fomentatore indiretto di sentimenti antiebraici.
Quali sono stati i problemi che hai incontrato dopo la pubblicazione?
Diciamo che le polemiche non sono mancate. Parlare di questi temi significa toccare direttamente alcuni dei miti su cui si fonda una parte non secondaria degli attuali rapporti politici, in particolare nell’area vicinorientale. Per certi versi si può dire che lo spettro della Seconda Guerra Mondiale non è stato ancora scacciato dall’agone della politica internazionale. A questo aspetto si aggiunge una certa forma mentis, sovraccarica di conformismo, in base alla quale non si può concepire l’ebraismo se non in forma di “eterna vittima della storia”. Si tratta di una evidente deformazione della realtà, deformazione che viene denunciata anche dai più avveduti studiosi ebrei. Nonostante questo, continua a sussistere una irriducibile e potente tendenza, in particolare in Europa e in Nord America, a vedere come pericolosa qualunque ricerca che vada in una direzione diversa rispetto a quanto voluto da certi censori.
Di cosa sei stato accusato e da chi?
La lista dovrebbe essere lunga, facciamo alcuni esempi. Quando presentai il mio primo libro nella città in cui sono nato, l’Associazione dei partigiani antifascisti arrivò a scrivere un comunicato in cui si diceva che le teorie del convegno a cui avevo partecipato potevano addirittura favorire la diffusione di fenomeni terroristici. Quando poi uscirono le locandine del mio secondo libro si arrivò nell’ambito del comico. Il vice-presidente della Comunità ebraica di Milano chiese sulla stampa la rimozione dei manifesti pubblicitari e l’annullamento della presentazione, all’albergo dove doveva tenersi la conferenza arrivò una lettera in cui si accusava il proprietario di ospitare la “feccia nazista e antisemita”. Un importante sito d’informazione come Lettera43 arrivò a pubblicare un articolo dal titolo “Milano, nazi alla Padana”. I quotidiani Repubblica e Il Giorno non furono da meno, il primo parlò di “manifesti antisemiti”, il secondo di “attacco agli ebrei”. Diversi siti come FocusOnIsrael, Osservatorio Antisemitismo e Mosaico (sito della comunità ebraica) ripresero la notizia denunciando a vario titolo il presunto “pericolo antisemitismo”.
Quello stesso giorno un deputato del Partito Democratico – attraverso un comunicato dell’Agenzia di stampa parlamentare – parlò del cartellone raffigurante la copertina de Il fez e la kippah dicendo: i manifesti “apparsi oggi nell’atrio dell’Università Cattolica di Milano rappresentano un episodio gravissimo, sul quale mi auguro ci saranno conseguenze in applicazione della cosiddetta legge Mancino [legge che punisce l’istigazione all’odio razziale]. Auspico che gli inquirenti vogliano verificare la natura e le finalità di questo gruppo studentesco e il contenuto del convegno che in questi manifesti si annuncia. Nei prossimi giorni chiederò un incontro al ministro della Giustizia Severino per verificare la possibilità di una approvazione del disegno di legge presentato dal Pd per una revisione che renda più efficace la legge Mancino contro ogni forma di discriminazione e di intolleranza”.
Fu poi la volta del Coordination Forum for Countering Antisemitism, organo composto da rappresentanti del Governo israeliano, Anti-Defamation League, Agenzia Ebraica: preparò una scheda sui “fatti di Milano” tradotta in diverse lingue tra cui francese, spagnolo, ebraico, arabo e, credo, russo.
Questi alcuni degli episodi. Si potrebbero aggiungere anche le quasi continue richieste di mobilitazione fatte da alcuni fora contro le presentazioni dei miei libri e altri fatti affini.
Perché secondo te le accuse di razzismo e di antisemitismo non sono fondate?
Con la ricerca storica il razzismo non dovrebbe avere alcuna inerenza. Quanto all’ “antisemitismo” bisogna chiarirsi sul significato della parola a prescindere dell’uso comune. Etimologicamente significa “contro i semiti”. È interessante notare che tradizionalmente vengono catalogati come semiti non solo gli ebrei ma anche gli arabi, molto più numerosi. Se ogni atteggiamento antiarabo, ad esempio nell’area vicinorientale, venisse catalogato come “antisemita” ci troveremmo di fronte ad alcuni curiosi paradossi.
L’uso che viene fatto qui in Europa della parola antisemita è distorto ed esagerato, ormai vengono marchiati come “antisemiti” anche tutti quegli ebrei (israeliani compresi) che si dissociano da certi schemi. La definizione di “ebreo che odia se stesso” [self-hating jew], ha colpito ormai molti giornalisti, studiosi e ricercatori. È di alcuni mesi fa l’uscita su un sito ebraico italiano di un articolo dal titolo: “Sono ebrei, antisemiti e molti insegnano nelle università israeliane” [G. Meotti, su Kolòt]. In esso si distinguono diversi nomi tra cui Naomi Chazan, Shlomo Sand, Nevè Gordon, Ze’ev Sternhell, Ilan Pappe, Norman Finkelstein, Noam Chomsky.
Negli ultimi anni è stato particolarmente celebre il caso del prof. Ariel Toaff, duramente ed ingiustamente attaccato per il suo libro Pasque di Sangue, sugli omicidi di bambini cristiani nel Medio Evo.
Quali sono le influenze che la lobby ebraica ha sul parlamento italiano?
Ci sono Stati in cui esistono lobbies ebraiche dichiarate (e non solo ebraiche) che agiscono pubblicamente per l’ottenimento dei loro scopi. Negli Stati Uniti il caso dell’AIPAC è eclatante.
In Italia gli ebrei sono pochi, qualche decina di migliaia. Non credo che la sera si trovino dopo cena per elaborare le loro strategie. È però evidentissimo che anche nel nostro Paese ci sono alcuni agguerritissimi esponenti che di tanto in tanto fanno sentire la loro voce per cercare di imporre questo o quel provvedimento. Ciò che ho detto prima ne è in parte la prova.
Ciclicamente in Italia si parla di proposte di legge pericolosamente liberticide, per ora senza nessun risultato concreto. In questo momento è allo studio il ddl Amati, una sorta di legge-bavaglio che vuole imporre la storia per decreto.
Quali sono i provvedimenti che le autorità italiane possono prendere per l’accusa di antisemitismo?
Nel caso in cui il presunto “antisemitismo” rientri sotto la categoria di “odio razziale” si fa riferimento alla già citata legge Mancino, una legge penale: prevede il carcere per chi la trasgredisce. Detto questo, va sottolineato che è non è frequente l’utilizzo di questa legge in casi concreti. Quando l’On. Fiano ne richiese l’applicazione in relazione alla locandine e alla presentazione del mio libro, il fatto fu giustamente ignorato dalle autorità competenti.
Nel resto d’Europa però la situazione è diversa ci sono Stati in cui non è difficile essere penalmente perseguiti per le proprie opinioni o per i risultati delle proprie ricerche.
Quali sono secondo te le conseguenze che tali provvedimenti e l’atteggiamento generale hanno nei confronti della libertà di informazione – espressione – ricerca?
In Italia – nonostante i tentativi descritti poco fa in relazione al disegno di legge Amati – c’è ancora una sostanziale libertà in questo campo ma il problema non è solo legale, è anche mediatico. Qualunque ricercatore o giornalista che voglia uscire dal selciato – definito da certi censori dell’ortodossia storica e politica – deve prepararsi ad essere attaccato pubblicamente ed esposto a contestazioni gratuite e pregiudiziali. Quasi mai questi censori si assumono la fatica di leggere i testi e di ascoltare le conferenze che condannano. Dopo le polemiche del 2011-2012, quando le presentazioni dei miei libri ebbero luogo non si presentò al dibattito nessuno degli esponenti della comunità ebraica e nessuno dei giornalisti che avevano scritto contro l’evento.
Strano, ero convinto che avessero qualche argomentazione da esporre.
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