Penetrazione di idee e correnti rivoluzionarie nello Stato della Chiesa
La lotta della Rivoluzione francese contro la religione cattolica si era diretta assai presto non solo contro il Papa quale capo supremo della Chiesa, ma anche come sovrano temporale. La situazione di Pio VI sotto questo rispetto era ancora assai più pericolosa, perché la debolezza finanziaria e militare dello Stato della Chiesa, nonostante i bene intenzionati sforzi riformatori del governo, aveva raggiunto un grado preoccupante. Il Papa quindi, a priori, non poteva pensare ad una partecipazione diretta alle intraprese guerresche di altre Potenze contro la Rivoluzione, e doveva piuttosto esser contento se gli riusciva di preservare il suo territorio dalla infiltrazione delle idee sovvertitrici.L’ambasciatore Bernis
S.S. Pio VI |
Le misure di precauzione prese a questo scopo al principio del 1790 appaiono tanto più comprensibili, in quanto già allora gazzette francesi propalavano, che a Roma scoppierebbe presto una Rivoluzione simile a quella di Parigi. Anche il riformatore framassonico Cagliostro profetò la caduta di Pio VI, dopo il suo arrivo nella residenza pontificia alla fine del maggio 1789. Questo avventuriero, che cercava anche a Roma, come nella maggior parte delle altre capitali, di sfruttare la credulità e l’inclinazione del tempo per le cose misteriose, venne arrestato la notte dal 27 al 28 dicembre 1789 e sottoposto a processo da parte dell’Inquisizione. Contemporaneamente all’arresto di Cagliostro la polizia scoperse, che alunni dell’Accademia artistica francese alla Trinità dei Monti avevano fondato una loggia di framassoni nell’abitazione del pittore Belle. Poiché questa associazione segreta era proibita in Roma sotto le pene più severe dalle Bolle di Clemente XII e di Benedetto XIV, si procedette con rigore. Il Belle, più compresso di tutti, giudicò che il meglio fosse di svignarsela. Si pretendeva di avere trovato fra le carte del Cagliostro la profezia, che Pio VI perderebbe il suo dominio e sarebbe l’ultimo papa. Dalle lettere del cardinale Bernis si rileva quali preoccupazioni suscitassero questi avvenimenti.
Il direttore dell’Accademia artistica francese, Ménageot, faceva la più gran fatica per mantener fermi ai loro studi i suoi alunni infetti d’idee fra massoniche e tenerli lontani dalla lettura di scritti increduli e irreligiosi. Il popolo di qui, aggiunge il Bernis, non è ancora preso dalle idee false, ma queste si sono diffuse negli artisti e nella borghesia ed incominciano a penetrare anche nelle classi superiori. Con quanta ansiosa premura si cercasse di evitare ogni occasione di torbidi, appare da alcune misure del febbraio 1790.
Il 5 di questo mese venne proibita la consueta festa dei moccoli dell’ultimo giorno di Carnevale, descritta così attraentemente da Goethe, la quale negli ultimi era degenerata in un tramestio sfrenato. Per la festa della Cattedra di San Pietro il 22 febbraio a nessun francese fu concesso alla messa del Papa in S. Pietro di entrare nello spazio riservato a stranieri distinti, perché parecchi di quella nazione per la festa di Natale si erano portati colà in maniera estremamente irrispettosa.
A questi divieti si aggiunse ancora nello stesso mese quello di vendere coccarde tricolori.
Altri incidenti esortarono a continuare nella vigilanza. Nel marzo il Legato di Bologna dovette
intervenire contro la diffusione di manifesti sediziosi. Nel maggio si portò in giro a Roma nel rione Regola un individuo, che rappresentava il Papa ed accoglieva suppliche e satire, ciò che ebbe per conseguenza degli arresti. Nel giugno la plebaglia a Rignano presso Roma aperse le prigioni, a Viterbo venne strappato un editore d’imposte, in luglio si ebbero torbidi a Ferrara ugualmente per cagione delle imposte.
L’ambasciatore Bernis
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Il 18 giugno 1790 fu emanata a Roma una proibizione contro le sediziose tragedie del poeta Alfieri vivente a Parigi. Alla fine del giugno 1790 il Bernis riferisce, che il popolo a Roma comincia ad osservare i francesi dimoranti colà con occhi diffidenti quali promotori di disordini. Grande scalpore suscitarono nel luglio 1790 le notizie da Parigi sopra un discorso di Mirabeau, diffuso da manifesti eccitanti, il contenuto del quale era che la Rivoluzione francese si estenderebbe in tutti i paesi di Europa. Poiché contemporaneamente si fu sulla traccia di emissari francesi nello Stato della Chiesa, ebbero luogo espulsioni di sospetti. Alla fine del settembre 1790 il Bernis riferisce, che si esercita rigorosamente la sorveglianza poliziesca sugli stranieri. Apparivano particolarmente sospetti i giovani artisti, come quasi tutti framassoni; tre francesi considerati sospetti erano stati espulsi. <<Ogni sovrano>>, egli aggiunge, <<è padrone in casa sua, ed è naturale che non tolleri gente, la quale eccita contro il governo o disprezza la religione>>. Nel gennaio 1791 si rintracciarono a Roma nuovi emissari dell’Assemblea nazionale. Ma la ripercussione della Rivoluzione francese si faceva sentire anche in altro modo: alla Dataria ed alla Penitenzieria non arrivavano più danari dalla Francia, il che riusciva particolarmente sensibile, data la preoccupante situazione finanziaria.
Il processo dell’Inquisizione contro il Cagliostro terminò nell’aprile 1791 con la sua condanna a morte, che da PIO VI fu commutata nella prigionia perpetua nel forte di S. Leo; anche le pene degli altri implicati in questo affare, e tra i quali si trovava anche un cappuccino, furono mitigate; gli scritti fra massonici del ciarlatano furono bruciati in Campo di Fiori.
Dopodiché il card. Bernis, finora rappresentante della Francia in Roma, era stato congedato nel marzo 1791 per avere ricusato di prestare giuramento incondizionato alla Costituzione civile, il governo di Parigi volle imporre al Papa per successore il conte Sègur, che aveva prestato detto giuramento, ciò che tuttavia fallì per la risoluta resistenza di Pio VI. Il nunzio di Parigi Dugnani lasciò il 31 maggio Parigi, ove rimase solo il suo segretario Quarantotti, come a Roma il Bernard, ex-segretario del cardinale Bernis, fece ancora da incaricato d’affari non ufficiale.
Allorché si formò la coalizione delle Grandi Potenze a favore di Luigi XVI contro la Francia, Pio VI non mostrò nessuna inclinazione a parteciparvi. Evidentemente egli voleva prima attenderne il risultato. Anche la repubblica di Venezia persisté nella neutralità, e il Papa era forse della stessa opinione del rappresentante di quella a Roma, che il nuovo ordine di cose in Francia, perché fondato su falsi principi, sarebbe caduto da sé per una controrivoluzione interna. Queste speranze crebbero allorché si diffuse la notizia che il re di Francia era riuscito a fuggire; ma il cordoglio fu altrettanto grande quanto la gioia precedente, allorché questa notizia risultò falsa. Riuscì di conforto a Pio VI il fatto, che la maggioranza del clero francese si dimostrasse fedele alla Chiesa e che in Inghilterra si preparasse un cambiamento in favore dei cattolici.
A Roma, donde nel maggio 1791 erano stati di nuovo espulsi francesi sospetti, i sentimenti antifrancesi del popolo contro i partigiani della rivoluzione raggiunsero un punto tale quale non si era più sperimentato dal tempo dei Vespri Siciliani. Si pigliavano i francesi a sassate per le strade. Il governatore della città Rinuccini espresse immediatamente al Bernard il suo rincrescimento per questi eccessi della plebe e promise di prendere contromisure. Nello Stato ecclesiastico v’era fermento in diversi luoghi. Alla fine di giugno a Macerata evasero dalla prigione 31 detenuti, che insieme con fuggiaschi napoletani si gettarono a fare i ladri di strada.
(Ludwig VON PASTOR, Storia dei Papi. Dalla fine del medio evo, Desclée, Roma 1955, vol. 16-3, 1775-1799)
Continua....