martedì 11 giugno 2013

Battaglia di Magnano




Verona con il suo territorio, all'incrocio di primarie vie di transito, è stata fin dai tempi antichi teatro d’importanti battaglie. Le sue mura, la sua campagna, i suoi casolari hanno visto muoversi e scontrarsi romani e barbari, scaligeri e visconti, veneziani e imperiali, francesi e austriaci. Una di queste grandi battaglie si svolse circa due secoli fa a Magnano, in comune di Buttapietra. Magnano è una piccola frazione, ricordata per questo dalla storia, ma legata anche ad una "vicenda" artistica del Canova, che pure riferiamo nelle note che seguono.
Il 17 ottobre 1797 a Campoformido si concludeva la prima campagna napoleonica in Italia. La Repubblica di Venezia cessava di esistere come stato; i Francesi estendevano il loro dominio su gran parte dell'Italia settentrionale, mentre gli Austriaci, in cambio della Lombardia, s’insediavano nel Veneto, in Istria e in Dalmazia, diventando padroni dell'Adriatico.

Firmato il trattato, Austria e Francia stabilirono di proseguire nel Congresso di Ramstad l'esame dei problemi inerenti all'applicazione dell'accordo. I lavori del Congresso, aperti nel dicembre 1797, furono interrotti nell'aprile del 1799, senza avere conseguito nessun risultato, a seguito dell'assassinio di tre delegati francesi per mano di un gruppo di militari austriaci.

Nel corso del 1798 la diplomazia di Vienna era riuscita a tessere una ben calcolata rete d’alleanze in funzione antifrancese, coagulando intorno all'Impero Asburgico, Inghilterra, Regno delle Due Sicilie, Impero Ottomano e Russia. Lo Czar Paolo I, inoltre, aveva disposto l'invio all'Austria di un'intera armata agli ordini del più celebre generale russo del tempo, il leggendario Alessandro Suvarov Rymnisckoy.

La situazione strategica agli inizi del 1799 era nettamente favorevole alla coalizione austriaca. La Francia, infatti, disponeva di una sola armata in Olanda, di un'altra sul Reno comandata dal generale Jourdan, di una in Svizzera agli ordini del Massena, e, infine, dell'armata d'Italia affidata al vecchio generale Scherer.

Le forze francesi erano distribuite su un fronte troppo vasto, mentre quelle più numerose dell'alleanza austriaca erano concentrate su un obiettivo preciso. Inoltre l'armata d'Egitto, guidata dal Bonaparte, era stata bloccata in Africa dal Nelson, che n’aveva distrutto la flotta davanti alle foci del Nilo; la Francia si trovava così privata temporaneamente del suo migliore generale e delle sue truppe più efficienti.

Nonostante l'evidente svantaggio militare, due fatti indussero il governo di Parigi a precipitare gli eventi nel febbraio 1799, prima che accadesse il peggio. Infatti, la regione svizzera dei Grigioni, dopo una lunga indecisione tra i due contendenti, aveva chiesto la protezione dell’Austria, che naturalmente si era affrettata a farvi affluire le sue truppe: i Francesi inviarono a Vienna un "ultimatum" per l'immediato ritiro degli Imperiali, ma il documento cadde nel vuoto; il Direttorio ordinò allora al Massena di passare all'attacco. Il secondo fatto che scosse i governanti francesi fu la notizia dell'arrivo in Moravia dell'armata russa del Suvarov.

Da Parigi fu inviata una nota di protesta al Congresso di Ramstad e a Francesco Il, che pure rimase inascoltata. Scaduto il tempo concesso per la risposta, il generale Jourdan ricevette l'ordine di attaccare le armate austriache dell'arciduca Carlo. Il 12 marzo 1799 il Corpo Legislativo francese votò ufficialmente la dichiarazione di guerra all'Austria.

La situazione politico-militare era precipitata al punto che il Direttorio giudicava prossima un'offensiva austriaca sul fronte italiano. La linea di demarcazione tra i due belligeranti partiva all'incirca da Lazise sul lago di Garda e proseguiva lungo il corso dell'Adige, con le due poderose teste di ponte di Verona e Legnago in mano agli Austriaci. L'allineamento era dunque nettamente favorevole agli Imperiali che, in attesa dell'imminente arrivo del primo contingente dell'armata russa, composto di quarantamila uomini, erano già dislocati in 60.000 unità lungo l'Adige a fronteggiare i 55.000 francesi dello Scherer. Dirigeva le operazioni da parte austriaca il Feld-Maresciallo Melas, che, caduto malato all'inizio delle ostilità, fu rimpiazzato dal Tenente Maresciallo Carlo de Kray, uno dei più brillanti generali asburgici.

Il Direttorio ordinò di passare l'Adige per sconvolgere le linee austriache prima che si congiungessero con l'armata russa. Lo Scherer, fidando nella sorpresa, la notte tra il 25 e il 26 marzo 1799 fece varcare il fiume alle sue truppe, riuscendo in un primo momento a cogliere in contropiede gli ImperIalI, tanto da impadronirsi di quasi tutte le fortificazioni della prima linea austriaca. La supremazia francese durò qualche giorno, ma il 30 marzo gli Austriaci passarono alla controffensiva, recuperando via via il terreno perduto.

Lo Scherer fu costretto ad ordinare la ritirata di là del fiume Tione, sulle cui sponde si rinnovò lo scontro tra i due eserciti. L'esito della battaglia (5 aprile 1799), nota col nome di Magnano, una località nei pressi di Buttapietra, arrise agli Imperiali e i Francesi dovettero ripiegare sulla linea del Mincio, ritirandosi poi, per timore di essere assaliti alle spalle dall'armata del Tirolo, fino all'Adda, abbandonando le piazzeforti di Peschiera, Mantova e Pizzighettone, che furono subito cinte d'assedio.

La battaglia di Magnano segnò un grande successo per la coalizione austriaca, mentre per i Francesi avviò la progressiva ritirata dall'Italia. Infatti, sopraggiunta qualche giorno dopo l'armata russa, il Suvarov lanciò una travolgente offensiva con la quale sospinse l'esercito francese verso i confini occidentali d'Italia. Il 14 aprile 1799 il Suvarov fece il suo ingresso a Verona dalla Porta del Vescovo: egli giungeva con il titolo di Feld-Maresciallo, conferitogli pochi giorni prima da Francesco Il assieme alla nomina a comandante in capo delle forze congiunte austro-russe in Italia. L'accoglienza di Verona fu entusiastica: il popolo assiepato lungo le strade fu contenuto a stento da uno schieramento d’ussari. Intorno all'Arena il generale Melas aveva fatta disporre le salmerie e i cannoni catturati ai Francesi. Alcuni cittadini riuscirono a staccare i cavalli dalla carrozza del Suvarov e si sostituirono agli animali gridando "evviva il nostro liberatore".

L'euforia dei Veronesi per il successo degli imperiali a Magnano non sorprende se si pensa all'ostilità endemica che la città nutriva contro la Francia, clamorosamente scoppiata nelle celebri "Pasque" (17-24 aprile 1797). Alle manifestazioni popolari di giubilo fece eco il governo cittadino, che volle sancire ufficialmente la gratitudine di Verona deliberando di erigere un monumento "a eterna memoria delle vittoriose Armi Austriache " in Piazza Bra’. Sulla decisione dell’"Aulico Provvisorio Consiglio Generale" dovette influire anche la volontà di ridare alla piazza un monumento che sostituisse quello distrutto dai Giacobini nel maggio del '97, durante la reazione seguita alle "Pasque", e che rappresentava " Venezia e l'Adige".

Per il nuovo monumento si voleva un grande artista; venne fuori il nome del Canova, allora già celebre a livello europeo. La suggestione della recente vittoria era tale che Canova si volle a ogni costo. A mediare le trattative con lo scultore fu chiamato il padovano Giovanni de Lazara, autorevolissima figura di critico d'arte e di cittadino. Nelle intenzioni dei governanti veronesi, il monumento avrebbe dovuto rappresentare "Sua Maestà (Francesco Il) con de' simboli significanti la battaglia del 5" ma, qualora l'idea non fosse piaciuta a Canova, si era disposti a mutarla.

Il Canova si trovava allora a Possagno, in attesa che la fluida situazione politico-militare in cui si trovavano gli stati italiani, maturasse. Reso partecipe della richiesta veronese, dal conte Tiberio Roberti di Bassano, suo familiare, cui il de Lazara si era rivolto, Canova rimase colpito e lusingato per la scelta; al punto che, pur essendo oberato di commissioni, escogitò un compromesso. Nel suo studio di Roma era in lavorazione dal 1795 un gruppo marmoreo raffigurante Ercole e Lica, commissionatogli dal duca Onorato Caetani di Sermoneta. La scultura, destinata a Parigi, avrebbe dovuto simboleggiare l'Ercole francese che gettava al vento Lica, ossia la monarchia. Canova proponeva ora di invertire i valori simbolici: Lica rappresentare la "licenziosa libertà" ed Ercole il difensore dell'ordine, cioè l'Impero. Un fitto scambio di lettere tra Canova, Roberti, de Lazara e municipalità veronese assicurò l'accordo.

Ma da ultimo sarebbe occorsa pur sempre l'approvazione imperiale: un dispaccio da Vienna del 22 giugno 1799 vietava perentoriamente di innalzare il monumento perché l'Imperatore era "troppo sensibile ai danni sofferti... da codesta Provincia onde permettere per ora un nuovo aggravio a codesti abitanti", fornendo prova di "cuor pietoso" e di "paterna singolar amorevolezza" verso i sudditi veronesi.

L'ordine dell’"Augusto Sovrano" irritò non poco quei veronesi che tanto avevano sostenuto l'erezione del monumento e colse di sorpresa tutti i promotori dell'iniziativa. Canova comprese la situazione e ritirò la propria offerta con molto garbo. Nel frattempo, rientrato sul suolo di Francia dall'Egitto, Napoleone, ottenuta la nomina a Primo Console, era corso alla testa dell'armata delle AIpi. Invidie cortigiane avevano Indotto Francesco Il a rimuovere il Suvarov dal comando supremo della coalizione con conseguenze disastrose per le truppe imperiali.

Il 15 giugno 1800, a Marengo, Napoleone rovesciò la situazione militare a favore della Francia e si aprì la via alla conquista della Lombardia fino alla linea del Mincio. Verona rimase ancora sotto l'Austria, ma il 24 dicembre di quell'anno i Francesi, dopo un nuovo attacco, giunsero alle porte della città. Il 18 gennaio 1801 tutto il territorio veronese era in loro mano; il 9 febbraio la Francia sottoscriveva con l'Austria il trattato di Lunéville, in base al quale il confine tra la Repubblica Cisalpina e il Veneto austriaco era rigidamente segnato dal corso dell'Adige; Verona, di conseguenza, venne tagliata a metà: la parte sinistra restò all'Austria, la destra passò alla Francia. Fu durante quella forzata separazione che s’impose nell'uso il nome di "Veronetta" per designare il settore cittadino a sinistra Adige.

Il Canova, rimasto libero dall'impegno assunto con Verona, portò a termine il colossale gruppo di Ercole e Lica nel 1802, che però rifinì solo dieci anni più tardi, cioè quando la scultura venne acquistata da don Giovanni Torlonia, duca di Bracciano, che la collocò in una sala appositamente costruita nel suo palazzo di piazza Venezia a Roma. Oggi il grandioso gruppo plastico è esposto al pubblico nell'atrio d'ingresso della Galleria Nazionale d'arte moderna di Valle Giulia in Roma.
Fonte: Notiziario BPV numero 2 anno 1985