Foto di gruppo della Legione Trentina sotto al monumento di Dante nella Trento occupata.
Fonte: http://www.welschtirol.eu/
Molti Tirolesi Meridionali finirono così in Sardegna e nell’Italia meridionale. Altri, nel nord Italia (Torino, Alessandria, Milano). In totale furono circa 50 mila. Erano vecchi, bambini, donne tra le quali maestre, ostesse, albergatrici, mogli, madri e figlie di amministratori, di medici, di gendarmi e di soldati. Furono deportate perché ritenute capaci di dare vita ad una propaganda filo-austriaca. Chi aveva cognome austriaco veniva internato perché considerato pericoloso e non fedele alla causa italiana, oppure nella migliore delle ipotesi gli fu modificato il cognome stesso per renderlo “italiano”.
La situazione dei deportati era delle peggiori, numerosi furono i morti di malaria, meningite, difterite e tubercolosi.
I Tirolesi Meridionali deportati in qualità di austriaci che vivevano nei nuovi territori italiani, erano sottoposti a dure persecuzioni e costretti a vivere in pessime condizioni igieniche ed alimentari.
Gli internati erano, nella mentalità popolare il nemico in armi oppure i padri, le madri, le mogli, i figli, le figlie, i fratelli e le sorelle di coloro che indossarono la divisa austriaca e quindi nemici degli italiani. Questo creò conseguenze che aggravarono ulteriormente la già durissima esistenza dei deportati, in quanto la popolazione li ritenevano responsabili della morte dei loro cari al fronte. Molte furono le persecuzioni indotte dalla stessa popolazione italiana.
Lo strumento della deportazione, fu anche utilizzato per liberare posti di lavoro soprattutto pubblici a vantaggio dei primi immigrati italiani nella nostra terra. Tra i primi gli insegnanti che iniziarono a diffondere la “verità” storica italiana nelle scuole.