1859 - Ufficiale, sottufficiale portabandiera, sergente e fucilieri del reale reggimento di linea in grande uniforme.
Il territorio
della provincia di Massa Carrara durante la Seconda guerra di espansionismo
sabaudo.
Il territorio rispondente
all’attuale provincia di Massa e Carrara riveste un ruolo determinante alla
luce degli eventi della Seconda guerra d’espansionismo sabaudo; è infatti la
zona geografica nella quale il machiavellico Cavour, tra il gennaio e l’aprile
del 1859, mirava a dar fuoco alle polveri della guerra contro l’Austria, con
tentate insurrezioni organizzate dai suoi agenti e con la mobilitazione
dell’esercito piemontese.
Altro aspetto che rende rilevante lo studio di questa area geografica è il
fatto che essa, pur essendo coinvolta nei grandi accadimenti europei, sia stata
a lungo caratterizzata da una configurazione politico-amministrativa piuttosto
autonoma (Guerra 2009, 13-18). L’area aveva, inoltre, una importante valenza
strategica a livello militare, rappresentando un canale di accesso alla Pianura
Padana e al Lombardo-Veneto ed essendo stretta nella morsa delle truppe unitariste
schierate nella vicina Sarzana (Sforzosi 1864).
Territorio del Ducato di Modena e Reggio: cerchiata in rosso ve l'area di Massa e Carrara.
La popolazione apuana e lunigianese, che aveva strenuamente resistito nel 1796 alla calata di Napoleone con insorgenze represse con numerose esecuzioni capitali (Viglione 1999, 138), non avrebbe di certo accolto le truppe unitariste senza ostilità. Il Cavour era probabilmente consapevole che la dipartita strategica delle truppe estensi davanti alle soverchianti forze unitariste non avrebbe consentito, comunque, una facile gestione del territorio apuano e lunigianese. Pertanto, i commissari Giusti e Brizzolari, una volta instaurata la dittatura filosabauda, emanarono atti severissimi volti al restringimento delle libertà di espressione, manifestazione e stampa, istaurando un clima di dura repressione nei confronti dei simpatizzanti per il governo legittimo.
Camillo Benso di Cavour
È interessante riportare di seguito uno dei bandi affissi nelle strade cittadine dalle illegittime autorità per comprendere il subitaneo clima di controllo e repressione instaurato, che, pur esulando dagli obiettivi primari del presente studio sul volontariato nella Brigata estense, è utile per chiarire il contesto sociale in cui le scelte di volontariato maturarono.
I COMMISSARI PROVVISORII PER LA PROVINCIA DI MASSA CARRARA E LUNIGIANA NOTIFICANO
Che in virtù dei poteri dittatoriali assunti dal Governo del Re VITTORIO EMANUELE II.
I. È proibito adunarsi con armi.
II. È proibita la fondazione dei circoli, e dei giornali politici.
III. È istituito un Consiglio di Guerra permanente sotto la Presidenza del Comandante Signor Luigi di MERZLYAK per giudicare e punire entro 24 ore tutti gli attentati contro la Causa Nazionale, e contro la vita e le proprietà dei pacifici Cittadini.
IV. Il Consiglio di Guerra procederà a tenore delle Leggi militari contro i colpevoli senza distinzione di rango e ceto.
Massa 28 Aprile 1859
V. GIUSTI E. BRIZZOLARI
La situazione, come emerge dai dati
di archivio rintracciati, si presenta assai complessa e denota, oltre ai sentimenti
filounitari di pochi , una forte opposizione da parte dei filoestensi con atti
di sabotaggio alle linee telegrafiche,
manifestazioni popolari in nome della Casa d’Estee vere e proprie rivolte armate come quella di Antona, paese montano sopra
Massa.
Questi eventi, assieme ai “reati” di opinione e alle ingiurie rivolte da
cittadini alle borghesi Guardie nazionali,
portarono ad un affollamento delle carceri cittadine che richiedette
l’incremento di secondini per il mantenimento dell’ordine interno.
Non è difficile stabilire, alla luce delle ultime ricerche d’archivio, quale delle due componenti, la filounitaria o la filoestense, fosse maggioritaria nel comprensorio apuo-lunense, e si può quindi con certezza affermare che il fenomeno antiunitario era maggioritario. Il volontariato militare nella Reale e Ducale Brigata Estense, avvenne in un quadro sociale di forti tensioni se non di vero e proprio conflitto.
Non è difficile stabilire, alla luce delle ultime ricerche d’archivio, quale delle due componenti, la filounitaria o la filoestense, fosse maggioritaria nel comprensorio apuo-lunense, e si può quindi con certezza affermare che il fenomeno antiunitario era maggioritario. Il volontariato militare nella Reale e Ducale Brigata Estense, avvenne in un quadro sociale di forti tensioni se non di vero e proprio conflitto.
I volontari apuani
e lunigianesi nella Reale e Ducale Brigata Estense dal 1859 al suo scioglimento.
Quando, il 27
aprile 1859, le truppe Estensi agli ordini del colonnello Casoni lasciarono,
per motivi strategici, le città di Massa e Carrara per riparare a Fivizzano, si
verificarono numerose partenze di uomini che, lasciandosi alle spalle le
proprie dimore ed i propri averi, si arruolarono nell’Esercito di Francesco V
d’Asburgo-Este. Anche successivamente, quando era ormai chiaro che il territorio
apuano e lunigianese era soggetto alla autorità dell’usurpatore Vittorio
Emanuele II, le partenze clandestine dei volontari per il Veneto continuarono.
Le autorità sabaude, non appena preso possesso del territorio apuo-lunense, redassero
atti iniqui sia inerenti i singoli volontari nelle truppe Estensi sia al
fenomeno nella sua interezza, evidenziando preoccupazione per la consistenza di
tali esodi di volontariato militare.
Tenente Colonnello Casoni
L’atto n. 55, del 9 maggio 1859, redatto dal regio delegato di Pubblica sicurezza (Ps) della città di Massa ed indirizzato al regio commissario straordinario ha per oggetto: “Emigrazione di contadini”. Nell’atto si legge: “Dietro la Notificazione pubblicata per l’arruolamento alla Guardia Nazionale, interpretata malamente da alcuni di questi campagnoli, cioè obbligatoria per dover andare alla guerra, corre voce che un buon numero sonosi portati, dicesi, in Lombardia, o sotto Casoni, scegliendo piuttosto militare sotto quest’ultimo, che per l’attuale Governo”
.
Da questa nota si evidenzia, oltre ad un tentativo delle autorità regie di far
passare tale fenomeno come conseguenza di una presunta “svista” del popolo, come sin dai primi giorni della ritirata Estense
da Massa e Carrara sia presente un forte canale migratorio tra le città apuane
e due destinazioni: le ancora vicine truppe Estensi del colonnello Casoni ed i
territori del Lombardo-Veneto soggetti alla sovranità asburgica. Vi è un numero
consistente di giovani che percorrono le strade dell’emigrazione politica per
arruolarsi volontari nelle truppe Estensi e talvolta questa scelta viene anche
dichiarata apertamente dalle madri durante gli interrogatori effettuati dai sabaudi
funzionari di polizia. È il caso di Giacinta Caccialuini e di Angela Gazzoli
che, esasperate dai ripetuti interrogatori, non nascosero che i rispettivi
figli si fossero uniti clandestinamente alle truppe Estensi.
Il 5 luglio 1859, con atto n. 498, il regio commissario straordinario di Massa richiese all’intendente generale di Reggio di agire al fine di arrestare Domenico Guerra di Massa che, “persona sempre avversissima all’idea nazionale e costantemente ligia e devota all’assolutismo, allorquando le truppe Estensi nel 27 aprile, abbandonarono questa città egli le seguitò colla propria famiglia”. Questo è un caso esemplare di emigrazione di un intero nucleo famigliare che avvenne il giorno stesso della dipartita delle truppe Estensi e nel quale la figura maschile assume il ruolo di volontario di guerra. La maggior parte di coloro che partirono in questo primo momento è costituita da uomini abili a combattere che seguono la ritirata Estense in Fivizzano. A riguardo, ad esempio, il sottocommissario straordinario di Massa, in una nota, richiese al regio delegato cittadino di Pubblica sicurezza informazioni su un certo Antonio Mannucci. In risposta gli venne riferito che l’individuo in questione, appropriandosi di alcuni strumenti, si è messo a disposizione delle truppe Estensi, ed in particolare del Maggiore Messori, in qualità di telegrafista lungo la ritirata Estense.
Anche nel 1860 negli atti redatti dalle autorità sabaude vengono segnalati frequentemente casi di espatri nel mantovano ed in data 5 maggio l’intendente generale di Massa e Carrara incaricò il regio delegato di Pubblica sicurezza di Massa di fare approfondite indagini perché “alcuni emisarj ed agenti segreti promuovono la diserzione dalle Regie Truppe” e l’arruolamento nell’Esercito di Francesco V. In data 8 agosto i Carabinieri reali della luogotenenza di Massa redassero il verbale di arresto di alcuni individui sospettati di essere in procinto di arruolarsi nelle truppe del Duca Francesco V e nel rapporto inviato all’intendente generale scrissero : “verso le ore 10 ½ poi, nel Borgo del Ponte altra folla di cittadini, fra cui diversi militi della Guardia Nazionale, arrestarono altri sette individui citati qui contro, e li condusse direttamente in carcere per sospetto che volessero emigrare in Austria, quantunque essi dichiarassero essere assolutamente falso”. Sempre nel 1860, l’intendente generale della provincia di Massa Carrara, di fronte ad una situazione che perdurava tanto da essere divenuta nota a livello ministeriale, raccomandava una migliore sorveglianza perché “costa al R. Ministero […] che varj reclutati siano già diretti a Mantova ed ivi arruolati”.
Il 5 luglio 1859, con atto n. 498, il regio commissario straordinario di Massa richiese all’intendente generale di Reggio di agire al fine di arrestare Domenico Guerra di Massa che, “persona sempre avversissima all’idea nazionale e costantemente ligia e devota all’assolutismo, allorquando le truppe Estensi nel 27 aprile, abbandonarono questa città egli le seguitò colla propria famiglia”. Questo è un caso esemplare di emigrazione di un intero nucleo famigliare che avvenne il giorno stesso della dipartita delle truppe Estensi e nel quale la figura maschile assume il ruolo di volontario di guerra. La maggior parte di coloro che partirono in questo primo momento è costituita da uomini abili a combattere che seguono la ritirata Estense in Fivizzano. A riguardo, ad esempio, il sottocommissario straordinario di Massa, in una nota, richiese al regio delegato cittadino di Pubblica sicurezza informazioni su un certo Antonio Mannucci. In risposta gli venne riferito che l’individuo in questione, appropriandosi di alcuni strumenti, si è messo a disposizione delle truppe Estensi, ed in particolare del Maggiore Messori, in qualità di telegrafista lungo la ritirata Estense.
Anche nel 1860 negli atti redatti dalle autorità sabaude vengono segnalati frequentemente casi di espatri nel mantovano ed in data 5 maggio l’intendente generale di Massa e Carrara incaricò il regio delegato di Pubblica sicurezza di Massa di fare approfondite indagini perché “alcuni emisarj ed agenti segreti promuovono la diserzione dalle Regie Truppe” e l’arruolamento nell’Esercito di Francesco V. In data 8 agosto i Carabinieri reali della luogotenenza di Massa redassero il verbale di arresto di alcuni individui sospettati di essere in procinto di arruolarsi nelle truppe del Duca Francesco V e nel rapporto inviato all’intendente generale scrissero : “verso le ore 10 ½ poi, nel Borgo del Ponte altra folla di cittadini, fra cui diversi militi della Guardia Nazionale, arrestarono altri sette individui citati qui contro, e li condusse direttamente in carcere per sospetto che volessero emigrare in Austria, quantunque essi dichiarassero essere assolutamente falso”. Sempre nel 1860, l’intendente generale della provincia di Massa Carrara, di fronte ad una situazione che perdurava tanto da essere divenuta nota a livello ministeriale, raccomandava una migliore sorveglianza perché “costa al R. Ministero […] che varj reclutati siano già diretti a Mantova ed ivi arruolati”.
Francesco V d'Asburgo-Este
In novembre vengono arrestati a Castelnuovo ne’ Monti tali Vincenzo Zeni, Gio Antonio Piccioli, Ermenegildo Borselli e Giulio Baldassini che si stavano dirigendo nell’Oltrepò. Secondo la delegazione mandamentale di Pubblica sicurezza di Castelnuovo ne’ Monti il Baldassini “era il condottiero delli Biselli, Zeni, e Piccioli per farli passare oltre Po’, onde arruolarsi sotto le bandiere del Duca Francesco” e “consegnarli nell’oltre Po’ a certo Tenente Rapetti di Gragnana che trovasi al servizio delle truppe Estensi”. Secondo la medesima delegazione “complici istigatori di loro emigrazione sono per primo e sembra il capo certo Donati Raffaello di Pallerone (?), il secondo certo Angelo di cui s’ignora il cognome / ma garzone di certi Felliccioni di Gragnana / terzo certa Maria Rosa Bernucci di Gragnana e per ultimo / finora / certo Massimiliano Frediani di Gragnana”
.
Nel 1860 si verificarono diversi casi di arresto e segnalazione di persone che
funsero da arruolatori e guide per i volontari che dovevano recarsi
nell’Oltrepò e tra essi figurava anche un certo Pietro Gaboardi di Fontanelle
(Parma), che serviva ad Aulla come mozzo di stalla per l’albergatore Pietro
Gavani ed era sospettato di aver condotto in Veneto Don Odoardo Grilli,
divenuto poi cappellano militare nelle truppe del Duca di Modena.
Alla base del desiderio di arruolarsi nella Brigata Estense dei cittadini apuani e lunigianesi vi era la fedeltà al buon governo della Casa d’Asburgo-Este e del suo Duca Francesco V unita alla decisione di fuggire da un clima sociale repressivo e avverso specie verso coloro che parteggiavano per il legittimo governo. La situazione di sorveglianza con grande ingerenza nella sfera privata, la discriminazione in ambito occupazionale ed il fatto che bastava essere sospettati di aver pronunziato frasi di simpatia per la Casa d’Asburgo-Este per essere tradotti in carcere erano certamente cause che contribuirono a rafforzare la decisione di fuggire per arruolarsi nelle truppe Estensi (Guerra 2009, 21-55).
Il 17 maggio 1860 il regio delegato di Pubblica sicurezza di Massa impartì istruzioni affinché si trasmettessero all’intendente generale i connotati di Pier Angelo Gemelli, quarantaseienne di Montagnoso, “ex cursore politico, il quale giorni sono varcò il confine per recarsi a Mantova”. Nel giugno dello stesso anno fuggiva nel mantovano un gruppo di persone composto da Domenico Rognoni del Colle di Massa, Ernesto Giusti, Domenico Corazzini, entrambi di Massa, ed un certo Ribolini di Carrara. Spesso i volontari filoestensi si muovevano in gruppo ma altre volte tentarono la fuga in solitario come avvenne nel caso del massese Domenico Giusti, riguardo al quale la regia delegazione di P.s. del circondario di Guastalla, in data 24 agosto 1860, comunicava al regio delegato di Ps in Massa l’avvenuto arresto mentre “tentava di varcare il confine ed era sprovvisto di carte”.
Il 3 luglio Ferdinando Massa espose alle autorità sabaude che per motivi famigliari doveva recarsi dal fratello Gaetano che si trovava a Mantova e non aveva possibilità di sostentamento dopo la morte del padre. Un giorno dopo l’intendente generale rifiutò il rilascio del nulla osta ed il regio delegato di Ps ipotizzò che “anziché interessi col fratello, che non vengono giustificati in alcuna guisa, voglia il petente Massa recarsi a Bassano per servire la causa dello Duca, cui è assai devoto”. Per tutto il 1860 il fenomeno dei volontari apuani e lunigianesi nelle truppe Estensi continuò, dunque, ad allarmare le nuove autorità sabaude.
Il 1861 si aprì con una relazione dell’intendente generale, datata primo gennaio, nella quale si legge: “È a notifica di questo General Uffizio che diversi giovani di questa città e dintorni appartenenti alla leva, vannosi assentandosi dalle loro case e dirigendosi nel Mantovano per arruolarsi nelle truppe dell’ex Duca assicurati che non sarebbero condotti a combattere. Li medesimi sono tutti sprovvisti di passaporti”. Il 10 gennaio dello stesso anno la sezione di Pubblica sicurezza della prefettura di Reggio rendeva noto l’avvenuto arresto di alcuni massesi: Luigi Massa, Sante Scufietti, Batta Borghini, Vincenzo Borzoni, Sante Gozzani, Pietro Tongiani e Pietro Nari. L’accusa mossa loro era quella di “tentata evasione dallo Stato onde sottrarsi alla leva”. Dopo i primi interrogatori e le prime indagini risultò che il gruppo era diretto nell’Oltrepò sotto la guida di Giacomo Manini di Pariana (Massa) e che i giovani vennero istigati da Pietro Lombardini e da certo abate Franciò, che risulterà essere la persona di Giovanni Manfredi, abitante alla Rocca. Questi venne accusato, inoltre, di aver condotto nel mantovano altri dieci giovani alcuni giorni prima. Altri giovani vennero fermati nello stesso anno mentre venivano condotti in Veneto da certo Luigi Mantovani, accusato anche di aver fatto espatriare Giovanni Manfredi della Rocca. Risultarono essere volontari anche Giacomo Fazzi di Pariana, Luigi Bugliani, Gio Cantarelli e Franco Curtopassi, tutti e tre del Ponte, arrestati mentre tentavano di raggiungere l’Oltrepò. Anche le donne parteciparono ad organizzare l’espatrio dei volontari filoestensi ed il 20 agosto 1861 un informatore delle autorità piemontesi riferì di aver incontrato, vicino a Casola, tre giovani di circa venticinque anni, certamente volontari di guerra, guidati verso il mantovano da un’anziana donna che avrebbe confidato essere diretta dal figlio milite Estense.
Dai documenti d’archivio emerge una fitta corrispondenza telegrafica tra le autorità locali e quelle poste nelle aree di confine con i territori asburgici per la richiesta di informazioni su persone che figuravano assenti dal territorio. Nell’anno 1862 risultava ancora presente, in modo continuativo, un canale migratorio tra Massa, Carrara e la Lunigiana e l’Oltrepò ed il 24 dicembre la sottoprefettura di Casalmaggiore, rispondendo ad una precedente nota del prefetto di Massa Carrara, comunicava di aver attuato tutte le misure per impedire che renitenti e fuggiaschi passino all’estero per la vicina frontiera mantovana. Precedentemente il prefetto di Massa Carrara aveva indirizzato una nota al prefetto del circondario di Mirandola, Guastalla e Casalmaggiore per “far raddoppiare la vigilanza nell’intento d’impedire che i medesimi [i coscritti] abbiano ad evadere Oltre Po'”. Nel 1862, dunque, ancora molti giovani preferivano emigrare, pronti a combattere in nome del legittimo loro Sovrano Francesco V d’Asburgo-Este, piuttosto che assoggettarsi alle illegittime autorità sabaude.
Questi dati reperiti presso l’Archivio di Stato di Massa dimostrano come si verificò, dal territorio rispondente alla attuale provincia di Massa Carrara, una persistente affluenza di giovani volontari nelle armate di Francesco V e come questi scelsero di servire il loro Duca per combattere una battaglia di indipendenza dei loro territori piuttosto che divenire “italiani” per forza ed essere coscritti in un esercito usurpatore.
È importante tenere presente, come precedentemente accennato, che il territorio apuano è caratterizzato per lungo tempo, dal lontano 1452 al 1859, da una configurazione politico amministrativa che, pur vedendolo coinvolto nei grandi accadimenti europei, era piuttosto autonoma. L’azione amministrativa del Duca Francesco V, proseguendo quella del padre, si tradusse nei territori di Massa e Carrara in una intensa opera di bonifica e canalizzazione in virtù della quale si moltiplicarono le piantagioni di gelsi ed aumentarono le aree dedicate ai vigneti con conseguente miglioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione. Molti sostenitori della causa Estense ripetevano un detto che racchiude in sé alcuni motivi dell’avversione per i Savoia e della fedeltà agli Asburgo-Este: “Principini, palazzi e giardini; Principoni, fortezze e cannoni” (Difesa del Duca di Modena MDCCCLXII, 71-73).
Le vicende della Brigata Estense, considerate nel periodo che va dall’inizio della Seconda guerra di espansionismo sabaudo (1859) al settembre 1863, quando venne congedata dal Duca di Modena, non possono dunque prescindere dalle storie personali dei massesi, carraresi e lunigianesi che in essa si arruolano come volontari. Se quando giunse a Mantova, infatti, la Brigata Estense era costituita da un effettivo di 3.623 uomini essa cresceva, grazie ai molti volontari, fino ad essere composta di circa 5.000 uomini (Giornale storico della r.d. Brigata estense 1866, 79). Il fenomeno dei volontari nelle truppe Estensi venne commentato dallo stesso Francesco V che si pose un interrogativo piuttosto chiaro: “se il mio governo fosse stato così arbitrario […] perché le mie truppe [… avrebbero abbandonato] il loro paese e le loro famiglie per un tempo indefinito, resistendo a seduzioni di ogni sorta e minacce di vendetta rivoluzionaria, perché in fine, truppe tenute lontane dal proprio paese dovrebbero continuare a rinforzare i loro ranghi persino molto meglio di quando io teneva il potere nelle mie mani”? (Difesa del Duca di Modena MDCCCLXII, 25).
Alla base del desiderio di arruolarsi nella Brigata Estense dei cittadini apuani e lunigianesi vi era la fedeltà al buon governo della Casa d’Asburgo-Este e del suo Duca Francesco V unita alla decisione di fuggire da un clima sociale repressivo e avverso specie verso coloro che parteggiavano per il legittimo governo. La situazione di sorveglianza con grande ingerenza nella sfera privata, la discriminazione in ambito occupazionale ed il fatto che bastava essere sospettati di aver pronunziato frasi di simpatia per la Casa d’Asburgo-Este per essere tradotti in carcere erano certamente cause che contribuirono a rafforzare la decisione di fuggire per arruolarsi nelle truppe Estensi (Guerra 2009, 21-55).
Il 17 maggio 1860 il regio delegato di Pubblica sicurezza di Massa impartì istruzioni affinché si trasmettessero all’intendente generale i connotati di Pier Angelo Gemelli, quarantaseienne di Montagnoso, “ex cursore politico, il quale giorni sono varcò il confine per recarsi a Mantova”. Nel giugno dello stesso anno fuggiva nel mantovano un gruppo di persone composto da Domenico Rognoni del Colle di Massa, Ernesto Giusti, Domenico Corazzini, entrambi di Massa, ed un certo Ribolini di Carrara. Spesso i volontari filoestensi si muovevano in gruppo ma altre volte tentarono la fuga in solitario come avvenne nel caso del massese Domenico Giusti, riguardo al quale la regia delegazione di P.s. del circondario di Guastalla, in data 24 agosto 1860, comunicava al regio delegato di Ps in Massa l’avvenuto arresto mentre “tentava di varcare il confine ed era sprovvisto di carte”.
Il 3 luglio Ferdinando Massa espose alle autorità sabaude che per motivi famigliari doveva recarsi dal fratello Gaetano che si trovava a Mantova e non aveva possibilità di sostentamento dopo la morte del padre. Un giorno dopo l’intendente generale rifiutò il rilascio del nulla osta ed il regio delegato di Ps ipotizzò che “anziché interessi col fratello, che non vengono giustificati in alcuna guisa, voglia il petente Massa recarsi a Bassano per servire la causa dello Duca, cui è assai devoto”. Per tutto il 1860 il fenomeno dei volontari apuani e lunigianesi nelle truppe Estensi continuò, dunque, ad allarmare le nuove autorità sabaude.
Il 1861 si aprì con una relazione dell’intendente generale, datata primo gennaio, nella quale si legge: “È a notifica di questo General Uffizio che diversi giovani di questa città e dintorni appartenenti alla leva, vannosi assentandosi dalle loro case e dirigendosi nel Mantovano per arruolarsi nelle truppe dell’ex Duca assicurati che non sarebbero condotti a combattere. Li medesimi sono tutti sprovvisti di passaporti”. Il 10 gennaio dello stesso anno la sezione di Pubblica sicurezza della prefettura di Reggio rendeva noto l’avvenuto arresto di alcuni massesi: Luigi Massa, Sante Scufietti, Batta Borghini, Vincenzo Borzoni, Sante Gozzani, Pietro Tongiani e Pietro Nari. L’accusa mossa loro era quella di “tentata evasione dallo Stato onde sottrarsi alla leva”. Dopo i primi interrogatori e le prime indagini risultò che il gruppo era diretto nell’Oltrepò sotto la guida di Giacomo Manini di Pariana (Massa) e che i giovani vennero istigati da Pietro Lombardini e da certo abate Franciò, che risulterà essere la persona di Giovanni Manfredi, abitante alla Rocca. Questi venne accusato, inoltre, di aver condotto nel mantovano altri dieci giovani alcuni giorni prima. Altri giovani vennero fermati nello stesso anno mentre venivano condotti in Veneto da certo Luigi Mantovani, accusato anche di aver fatto espatriare Giovanni Manfredi della Rocca. Risultarono essere volontari anche Giacomo Fazzi di Pariana, Luigi Bugliani, Gio Cantarelli e Franco Curtopassi, tutti e tre del Ponte, arrestati mentre tentavano di raggiungere l’Oltrepò. Anche le donne parteciparono ad organizzare l’espatrio dei volontari filoestensi ed il 20 agosto 1861 un informatore delle autorità piemontesi riferì di aver incontrato, vicino a Casola, tre giovani di circa venticinque anni, certamente volontari di guerra, guidati verso il mantovano da un’anziana donna che avrebbe confidato essere diretta dal figlio milite Estense.
Dai documenti d’archivio emerge una fitta corrispondenza telegrafica tra le autorità locali e quelle poste nelle aree di confine con i territori asburgici per la richiesta di informazioni su persone che figuravano assenti dal territorio. Nell’anno 1862 risultava ancora presente, in modo continuativo, un canale migratorio tra Massa, Carrara e la Lunigiana e l’Oltrepò ed il 24 dicembre la sottoprefettura di Casalmaggiore, rispondendo ad una precedente nota del prefetto di Massa Carrara, comunicava di aver attuato tutte le misure per impedire che renitenti e fuggiaschi passino all’estero per la vicina frontiera mantovana. Precedentemente il prefetto di Massa Carrara aveva indirizzato una nota al prefetto del circondario di Mirandola, Guastalla e Casalmaggiore per “far raddoppiare la vigilanza nell’intento d’impedire che i medesimi [i coscritti] abbiano ad evadere Oltre Po'”. Nel 1862, dunque, ancora molti giovani preferivano emigrare, pronti a combattere in nome del legittimo loro Sovrano Francesco V d’Asburgo-Este, piuttosto che assoggettarsi alle illegittime autorità sabaude.
Questi dati reperiti presso l’Archivio di Stato di Massa dimostrano come si verificò, dal territorio rispondente alla attuale provincia di Massa Carrara, una persistente affluenza di giovani volontari nelle armate di Francesco V e come questi scelsero di servire il loro Duca per combattere una battaglia di indipendenza dei loro territori piuttosto che divenire “italiani” per forza ed essere coscritti in un esercito usurpatore.
È importante tenere presente, come precedentemente accennato, che il territorio apuano è caratterizzato per lungo tempo, dal lontano 1452 al 1859, da una configurazione politico amministrativa che, pur vedendolo coinvolto nei grandi accadimenti europei, era piuttosto autonoma. L’azione amministrativa del Duca Francesco V, proseguendo quella del padre, si tradusse nei territori di Massa e Carrara in una intensa opera di bonifica e canalizzazione in virtù della quale si moltiplicarono le piantagioni di gelsi ed aumentarono le aree dedicate ai vigneti con conseguente miglioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione. Molti sostenitori della causa Estense ripetevano un detto che racchiude in sé alcuni motivi dell’avversione per i Savoia e della fedeltà agli Asburgo-Este: “Principini, palazzi e giardini; Principoni, fortezze e cannoni” (Difesa del Duca di Modena MDCCCLXII, 71-73).
Le vicende della Brigata Estense, considerate nel periodo che va dall’inizio della Seconda guerra di espansionismo sabaudo (1859) al settembre 1863, quando venne congedata dal Duca di Modena, non possono dunque prescindere dalle storie personali dei massesi, carraresi e lunigianesi che in essa si arruolano come volontari. Se quando giunse a Mantova, infatti, la Brigata Estense era costituita da un effettivo di 3.623 uomini essa cresceva, grazie ai molti volontari, fino ad essere composta di circa 5.000 uomini (Giornale storico della r.d. Brigata estense 1866, 79). Il fenomeno dei volontari nelle truppe Estensi venne commentato dallo stesso Francesco V che si pose un interrogativo piuttosto chiaro: “se il mio governo fosse stato così arbitrario […] perché le mie truppe [… avrebbero abbandonato] il loro paese e le loro famiglie per un tempo indefinito, resistendo a seduzioni di ogni sorta e minacce di vendetta rivoluzionaria, perché in fine, truppe tenute lontane dal proprio paese dovrebbero continuare a rinforzare i loro ranghi persino molto meglio di quando io teneva il potere nelle mie mani”? (Difesa del Duca di Modena MDCCCLXII, 25).
Questa fedeltà alla casa d’Asburgo-Este viene confermata al momento dello scioglimento della Brigata Estense, decretato il 14 agosto ed effettuato il 24 settembre 1863, quando gran parte degli ufficiali, dei graduati e dei soldati che ancora la componevano passavano al servizio dell’Austria accettando di militare nell’Armata imperiale e restando sul suolo dell’Impero (Giornale storico della r.d. Brigata estense 1866, 305-306; Cinquantadue mesi d’esilio delle ducali truppe estensi MDCCCLXIII:,36).
L’ammirazione degli Asburgo per la lealtà dei militari Estensi a Francesco V era grande e per questo ad essi venne proposto di entrare a far parte dell’esercito imperiale a parità di grado e funzione, senza essere penalizzati dalla non conoscenza della lingua tedesca (Cinquantadue mesi d’esilio delle ducali truppe estensi MDCCCLXIII, 31-33).
Il rilevante
fenomeno dei volontari filoestensi apuani e lunigianesi, insieme al moto di
resistenza antisabauda sorto sul territorio, consente di affermare che, nei
territori considerati, mancava, come in tutta la Penisola, una volontà popolare coesa da sentimenti e
idee comuni essenziali alla creazione e vita dello Stato e si assisteva
piuttosto ad un processo costitutivo dello Stato nazionale come affermazione
dei vincitori sui vinti che sarebbe inappropriato qualificare come
unificazione. Anche volendo considerare gli “italiani”, in questo caso gli
apuani ed i lunigianesi, come entità di popolo, cosa che non è, si può affermare che questi eventi siano più
tipici di una guerra civile che di un moto unitario di liberazione.
Senza indugiare
in riferimenti alla storia antica, che vide la nazione ligure-apuana opporre
una strenua resistenza all’espansionismo di Roma e infliggere una dolorosa
sconfitta militare alle truppe romane nella battaglia di Saltus Marcius
(Marcuccetti 2008), appare chiaro che gran parte della popolazione apuana e lunigianese è
animata da sempre da una forte identità locale che rifiuta di diluirsi in
sovrastrutture, nel caso preso in esame in mostruoso stato nazionale, viste
come lontane dalla popolazione ed anche pericolose. Testimonianza di ciò si
ritrova anche nel già citato detto, “Principini, palazzi e giardini;
Principoni, fortezze e cannoni”, che può rappresentare una delle tante
spiegazioni di tanta fedeltà popolare al
Duca Francesco V d’Asburgo-Este.
Fonte:
http://www.storiaefuturo.com/it/
Scritto da:
Redazione A.L.T.A.