domenica 16 ottobre 2016

[TOLKIENIANA] Gimli, i nani e il Tesoro nascosto

gimli



Con questo (as)saggio, la rubrica Tolkieniana giunge al termine. Ma non finisce… [RS]

di Isacco Tacconi - Fonte: http://www.radiospada.org/

Nella nostra passata riflessione intorno agli Elfi e alla figura di Legolas ho accennato al fatto che, anche in merito alla figura di Gimli il Nano, avrei seguito la medesima impostazione metodologica. Pertanto nella presente trattazione non mi soffermerò lungamente sulla singola figura del figlio di Glòin, poiché ritengo non sia tanto oggetto da parte di Tolkien di una particolare intenzione pedagogica. Tuttavia può certamente essere il pretesto e l’occasione per parlare della sua stirpe, di quel popolo solitario e schivo, non meno che tenace, che gli Elfi chiamano «Naugrim».
Nel percorso che abbiamo compiuto fin qui abbiamo avuto modo di vedere come l’intero «corpus tolkienianum» stilli la larghezza e la profondità di un animo profondamente radicato in Dio e nella fede della Santa Chiesa cattolica romana. Eppure, tra i tanti suoi scritti, il Silmarillion è forse quello più ricco di spiritualità e quasi, oserei dire, di mistica. Rileggendo ora queste pagine che allietarono non poco la mia gioventù, mi accorgo di come in esse traspaia una visione realmente soprannaturale dell’esistenza, della creazione e del fine ultimo cui essa è ordinata. All’epoca non ero ancora in grado di coglierne intellettualmente la profondità né, perciò, di apprezzarne tutto il valore spirituale, eppure intuivo la verità in essa racchiusa e che esercitava su di me un’attrazione irresistibile perché veicolata dal mezzo ad essa più affine: la bellezza.
La cosmologia del Silmarillion è complessa, articolata, ricca di genealogie dislocate in una geografia tanto immaginaria quanto, a tratti, palpabile e in un certo senso “familiare”. Il sentimento di «nostalgia» credo sia quello che pervadeva maggiormente la mia anima mentre nella quiete di ormai lontane serate invernali, alla flebile luce di una lampada, sfogliavo sul mio letto con tranquilla avidità le pagine odorose di inchiostro sulle quali mi era giunto, come una inaspettata lettera da un lontano amico, il racconto del Quenta Silmarillion.
Ma che cos’è esattamente la “nostalgia”? Il termine origina dal greco «nòstos» con il quale si intende “il ritorno al paese” derivante dalla radice «nas» cioè “andare a casa”. In letteratura indica generalmente uno stato d’animo d’insoddisfazione che si volge al passato percepito come stabile, sicuro e fonte in certo modo di consolazione. Il Vocabolario etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Pianigiani (1907) definisce la nostalgia come: “il desiderio melanconico e violento di tornare in patria, ossia di rivedere i luoghi dove passammo l’infanzia e dove albergano oggetti cari, il quale è cagione di profonda tristezza”. Tale sentimento è una costante essenziale e caratteristica dell’animo umano che ricorre frequentemente nella letteratura antica e moderna, manifestandosi sotto forme a volte molto differenti a seconda che il periodo storico in cui esso viene rappresentato è caratterizzato dalla fede, dal cinico razionalismo o dal vuoto sentimentalismo romantico. Il sentimento di nostalgia è tanto importante poiché introduce e rende attuale anche il fondamentale tema del valore della «memoria» nella formazione dell’identità tanto individuale che collettiva dell’essere umano. Ma a fortiori ratione esso è parte integrante inseparabile dell’eredità della nostra fede cattolica giacché noi sappiamo di vivere in questa terra come dei “migranti” in esilio, senza cioè una stabile dimora come dice l’Apostolo: “non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (Eb 13,14).
Mi par giusto sottolineare che la Chiesa, in quanto divino ambasciatore, tra le molteplici verità che ha avuto il compito di insegnare, non ha mai omesso di ricordare agli uomini che essi, a causa del peccato originale, sono stati come sradicati dalla loro patria d’origine (il Cielo) per essere mandati a combattere una guerra in una terra straniera (la Terra) in cui sono venuti a trovarsi malgrado loro. Quel vivido dolore che deve aver lacerato il cuore di Adamo ed Eva consapevoli di aver perso, per loro colpa, il diritto a vivere nella propria patria avrebbe accompagnato l’esistenza loro e di tutti i loro discendenti fino alla fine del mondo. Ed è anche per questa tensione verso la «casa paterna» che ci rendiamo conto di quanto la Fede cattolica sia di origine divina e non umana. Noi infatti non tendiamo verso una caricatura di paradiso terrestre dove ambiamo ai godimenti terreni dei potenti di questo mondo come insegna la dottrina coranica dell’Islam, né, tantomeno, verso l’irrazionale e vago vuoto esistenziale del Nirvana buddista. Queste sono risposte umane caricaturali e, in definitiva, erronee riguardo al destino ultimo dell’uomo. Noi invece, in virtù della Divina Rivelazione, possediamo una vera e propria «memoria storica» della nostra patria, e sapendo con c e r t e z z a da dove veniamo possiamo anche intraprendere la via del ritorno. Soltanto in Cristo e nella Sua Chiesa quel vago desiderio senza nome che interroga e inquieta l’animo umano, che chiamiamo nostalgia, trova la sua risposta definitiva e il riposo cercato ma non trovato altrove. Non è un caso che il Signore degli Anelli termini con le parole «sono tornato», ad indicare il termine del corso del tempo che si conclude con il «reditus» al nostro Dio, Padre e Redentore.
Ma sarà bene ora volgere il nostro sguardo ad Est, o più esattamente a Nord-Est, verso quella landa semi sconosciuta e inospitale dove i colli cominciano ad innalzarsi come una muraglia alle spalle di Erebor, la Montagna Solitaria. Laggiù, oltre le Terre Selvagge spuntano i Colli Ferrosi, e più su ancora verso le Montagne Grigie dove la leggenda si mescola agli antichi racconti e si perde la cognizione dello spazio e del tempo; orbene laggiù pose la sua dimora l’antica razza dei Nani.
Fra le tante pagine scritte dall’inclito professor Tolkien ritengo che quella in cui si narra la genesi dei Nani sia certamente fra le più belle e profonde. Come accennavo all’inizio, infatti, il Silmarillion possiede una carica simbolica impressionante e la sua ricchezza non risiede esclusivamente nella elaborata fantasia del suo autore, ma soprattutto nella sua profondità contemplativa capace di tramutare in fiaba, forse non del tutto consciamente, delle verità del più alto valore teologico. Ma vorrei lasciar parlare direttamente il testo:
Si narra che i Nani furono inizialmente creati da Aulë nell’oscurità della Terra-di-mezzo; infatti, tant’era il desiderio che nutriva per l’avvento dei Figli[1] onde avere allievi cui insegnare la propria dottrina e le proprie arti, da essere poco propenso ad attendere il compimento dei disegni di Ilùvatar. E fece i Nani tali e quali sono tuttora, perché le forme dei Figli a venire non erano ancora chiare nella sua mente, e il potere di Melkor si stendeva pur sempre sulla Terra; e desiderava pertanto che fossero forti e inflessibili. Ma, per tema che gli altri Valar biasimassero la sua opera, lavorò in segreto: e produsse per primi i Sette Padri dei Nani in un’aula sotto le montagne della Terra-di-mezzo.
Ora, Ilùvatar sapeva quel che si stava compiendo e, nel momento stesso in cui l’opera di Aulë fu terminata, ed egli ne era compiaciuto e già prendeva a insegnare ai Nani il linguaggio che aveva elaborato per loro, Ilùvatar gli parlò; e Aulë ne udì la voce e s’azzittì. E la voce di Ilùvatar gli disse: «Perché hai fatto questo?» Perché hai tentato ciò che sai trascendere il tuo potere e la tua autorità? Ché tu hai avuto da me quale dono il tuo proprio essere soltanto, e null’altro; sicché le creature della tua mano e della tua mente possono vivere soltanto grazie a tale essere, muovendosi quando tu pensi di muoverle e, quando il tuo pensiero sia altrove, giacendo in ozio. È dunque questo il tuo desiderio?».
Allora Aulë rispose: «Non desideravo un siffatto dominio. Desideravo cose diverse da me, da amare e ammaestrare, sì che anch’esse potessero percepire la bellezza di Eä, da te prodotta. Mi è parso infatti che in Arda vi sia spazio sufficiente per molte creature che in essa possano gioire, eppure Arda è per lo più ancora vuota e sorda. E nella mia impazienza, sono caduto preda della follia. Ma la creazione di cose è, nel mio cuore, frutto della creazione di me per opera tua; e il figlio di torpida mente che riduce a balocco le imprese di suo padre può farlo senza intenti derisori, ma solo perché è il figlio di suo padre. E che cosa farò io ora, per modo che tu non sia irato con me per sempre? Come un figlio a suo padre, io ti offro queste cose, l’opera delle mani che tu hai creato. Fanne ciò che vuoi. O preferisci che io distrugga la fattura della mia presunzione?».
E Aulë diede di piglio a un grande martello per ridurre in pezzi i Nani; e pianse. Ma Ilùvatar provò compassione per Aulë e il suo desiderio, a cagione della sua umiltà; e i Nani si rattrappirono alla vista del martello e provarono timore, e chinarono il capo e implorarono mercé. E la voce di Ilùvatar disse ad Aulë: «Ho accettato la tua offerta fin dal primo momento. Non t’avvedi che queste cose hanno ora una vita loro propria e che parlano con voci proprie? Altrimenti, non si sarebbero rannicchiate al tuo gesto e a ogni suono della tua volontà». Allora Aulë lasciò cadere il martello e fu lieto, e rese grazie a Ilùvatar dicendo: «Che Eru benedica il mio lavoro e lo emendi!».
Ma Ilùvatar tornò a parlare e disse: «Come ho conferito essere ai pensieri degli Ainur all’inizio del Mondo, così ora ho accolto il tuo desiderio e gli ho assegnato un posto in esso; ma in nessun altro modo emenderò l’opera delle tue mani e, quale l’hai fatta, tale rimarrà. Non tollererò che la comparsa di costoro preceda quella dei Primogeniti da me progettati, né che la tua impazienza sia ricompensata. Queste creature ora dormiranno nella tenebra sotto il sasso, e non ne sortiranno finché i Primogeniti non siano apparsi sulla Terra; e fino allora tu ed esse attenderete, per lunga che possa sembrare l’attesa. Ma, quando il tempo sarà venuto, io le risveglierò, ed esse saranno come tuoi figli; e frequenti discordie scoppieranno tra i tuoi e i miei, i figli da me adottati e i figli da me voluti»[2]

Con questo (as)saggio, la rubrica Tolkieniana giunge al termine. Ma non finisce:
potrete leggere tutto il testo, insieme a tantissimo altro materiale inedito, in un libro che Isacco Tacconi pubblicherà prossimamente per i tipi delle Edizioni Radio Spada.
Vi abbiamo incuriositi? Bene!

Continuate a seguirci, allora, per prenotarlo non appena sarà uscito!


[1] Qui Tolkien si sta riferendo agli Elfi non ancora creati da Ilùvatar, o Eru, il Dio unico che fa da sfondo a tutta l’epopea della Terra di Mezzo, e destinati ad essere i “Primogeniti”.
[2] J.R.R.Tolkien, Il Silmarillion, Bompiani, Milano 2002, pp. 45-46.