mercoledì 29 gennaio 2014

Un esercizio di trascendenza...

La maestà di Dio, vista in Luigi XIV.


Dipinto da Charles Le Brun, 1661

Luigi XIV (1643–1715) fu un uomo di somma maestà. Realizzava in sé l’unione molto propizia delle migliori dinastie che vi sono nel mondo: sua madre Anna d’Austria era Asburgo, e suo padre Luigi XIII era Borbone, unendo così due nazioni le cui qualità si equilibrano molto.

 Il Re-Sole si differenziava persino dai francesi, perché all’eleganza del francese aggiungeva qualcosa della solennità compassata e maestosa dello spagnolo. Ciò che Luigi XIV aveva dell’irradiazione del sole si spiegava per questa coesistenza di eleganza francese con una certa grandezza spagnola. Egli incuteva un rispetto talmente straordinario, che a volte doveva tranquillizzare le persone che lo avvicinavano.


In tutto questo non vi entrava nessuna arroganza, vanità o interesse, ma era una rispettabilità che veniva irradiata da una superiorità autentica, nel pieno senso della parola. Non era dovuto alla posizione che egli occupava, poiché chi non sapeva che fosse il re, avvertiva comunque che si trattava di un personaggio superiore.

Il corpo è in qualche modo simbolo dell’anima, e le proprietà dell’anima si irradiano attraverso il corpo; vedendo il fisico, si intravede l’anima; e intravedendo l’anima, si nota una realtà che aleggia su quella fisica, quando qualcuno possiede certi attributi in grado molto elevato. Così, con un discernimento che va al di là dello sguardo orientato verso la fisionomia, si può percepire simbolicamente un bene dell’anima, che nel caso concreto è la maestà e la rispettabilità d’animo del re.

Attraverso le apparenze sensibili, si coglie qualcosa che non è sensibile. Vedendo l’anima maestosa di Luigi XIV, si distingue in fondo qualcosa di molto alto, che è proprio il concetto astratto di maestà. Questo concetto, non lo avrebbe in modo chiaro chi studiasse un trattato sulla maestà, ma lo potrebbe avvertire chi vedesse in Luigi XIV l’anima del re. Si tratta di un fenomeno spirituale, tramite il quale traspare in un uomo una qualità morale che non proviene da una semplice definizione.


In questo modo rendiamo palpabile qualcosa che è astratto e che ci conduce a Dio. Non si può dire che Dio possiede delle qualità, perché Egli è le qualità che possiede; quindi, non diciamo che è maestoso, bensì che Egli è la Maestà; non diciamo che è buono, ma la Bontà stessa; non è saggio, ma la Saggezza stessa.

Dunque, se guardo un uomo e vedo la maestà della sua anima, posso farmi un’idea di ciò che è la maestà in astratto, come pure la maestà in assoluto di Dio. In questo modo, posso avere un’idea della visione beatifica, che è la visone di Dio faccia a faccia.

Concludendo, possiamo dire che in Luigi XIV percepiamo qualcosa della maestà di Dio, e che in questo modo capiamo meglio Dio. È un esercizio intellettuale eccellente, che San Tommaso d’Aquino chiama quarta via.

 (Plinio Corrêa de Oliveira - 23 Marzo 1973, senza revisione dell’autore. Sfondo musicale: Michel Richard Delalande, “Sinfonia per le cene del Re”)