Anche quest’anno ho seguito il Concerto di Capodanno da Vienna, conclusosi com’è tradizione con la Marcia di Radetzky. Il concerto della Filarmonica di Vienna, diretto dal maestro Daniel Baremboim, ha avuto ancora una volta la magia di riportare alla mente il mondo calmo e ordinato della Mitteleuropa, di cui fece parte anche il Lombardo-Veneto; un mondo che nostalgicamente contrasta per stile e concezione col “bordello” italiano.
Un susseguirsi di emozioni e di immagini che hanno appunto il loro momento culminante nella trascinante “Radetzky Marsch”, diretta argutamente da Baremboim e ritmata entusiasticamente dal pubblico in teatro. Contro la marcia di Radeztky hanno regolarmente protestato ad ogni inizio d’anno i “patrioti” italiani che avrebbero voluto che l’orchestra di Vienna la cancellasse dal suo programma di Capodanno. Il motivo era che la marcia offendeva i sentimenti degli italiani. Niente di più cretino. Al provincialismo si aggiungeva il ridicolo. Sarebbe come abolire le opere “patriottiche” verdiane per non offendere gli austriaci. Se l’identità italiana è debole, o inesistente, non è colpa di Radeztky che sul campo di battaglia sconfisse più volte i vili e fiacchi italiani e Johann Strauss lo celebrò giustamente come il più popolare eroe dell’Impero, dopo il principe Eugenio. Radetzky non è stato il mostro descritto dalla propaganda italiana che non ha trovato metodi meno ripugnanti e falsi per denigrare un prode soldato.
Il dominio austriaco ha lasciato tracce profonde nella città, nel costume, nella civiltà dei comportamenti, che col tempo e sotto l’influenza italiana, si sono affievoliti. Le tasse erano gravose ma restavano sul territorio.Venezia rinacque sotto la buona politica territoriale di Vienna. Maria Teresa aveva introdotto il catasto del quale ancora oggi non c’è traccia in gran parte del Sud Italia. Le grandi istituzioni culturali milanesi e lombarde risalgono all’epoca austriaca: il Teatro alla Scala, la Biblioteca di Brera, il Palazzo Reale, la Villa Reale di Monza. Solo dopo la definitiva partenza degli austriaci dalla Lombardia, nel 1859, i milanesi si accorsero di ciò che avevano perduto. Avevano rinunciato alla civile Austria per darsi alla torva e levantina Italietta, famosa in Europa come fedifraga e ladra di terre.
Radetzky appartiene alla storia, legittimamente anche alla nostra. Parlava perfettamente italiano, amava Milano, abitava in via Brisa, una piccola strada che incrocia l’attuale corso Magenta, amava le partite a carte, la buona tavola, le osterie popolari; conviveva con una milanesona, la Giuditta Meregalli, che faceva la stiratrice. Ogni mattina andava a piedi, senza scorta, fino al Castello e all’ingresso i mendicati gli andavano incontro ed egli, uomo di buon cuore, dava un obolo a tutti. Morì nel 1858 e volle restare a Milano, finchè gli avvenimenti politici glie lo consentirono. I suoi resti vennero traslati a Vienna nel 1859, quando la Lombardia, con il solito imbroglio italiano, venne annessa al Piemonte.
Leonardo Sciascia diceva che Milano è diversa perché ha avuto Maria Teresa e il dominio austriaco, lo diceva da siciliano; Napoli è quella che è perché ha avuto gli spagnoli e i Borboni. La differenza si vede. Stoffa diversa. Radeztzy era il leale difensore dell’Impero, di gran lunga il più civile e tollerante del nefasto regno d’Italia. Bava Beccaris è stato dimenticato, Radetzki vive nella memoria e nella devozione degli antichi ex sudditi dell’Impero.