mercoledì 5 giugno 2013

Rivolta di Milano : Tentativo mazziniano-socialista di sovversione nella Milano Asburgica del 1853.






Introduzione



La rivolta dipinto di Honoré Daumier
La rivolta dipinto di Honoré Daumier.
Il  Tentativo mazziniano-socialista di sovversione , conosciuto come rivolta di Milano, del 6 febbraio 1853 fu un episodio facente parte del periodo rivoluzionario che colpì la penisola italiana e che la storiografia di regime chiama  "Risorgimento italiano" dove ai già infausti motivi nazional-settari   si associarono le prime nefaste idealità socialiste.
Questo avvenimento all'epoca ebbe vasta risonanza presso l'opinione pubblica moderata settaria-borghese che vide in esso la possibilità di affrettare i tempi di unificazione coatta della penisola  mettendo ai margini sia il movimento mazziniano sia quei movimenti d'ispirazione socialista che si erano già fatti notare durante le Rivoluzioni settarie del  1848 e che all'alba del 1853 sembravano volersi riproporre in Italia utilizzando la buona fede  della classe operaia.




Antefatti



File:Milano - San Fedele (1704) - da - Zanchi, Giovanni Cristostomo - De Orobiorum, sive Cenomanorum, origine - Leiden 1704.jpg
A sinistra: Palazzo Marino (Milano) in una litografia del XVIII secolo.
Il Comitato insurrezionale formato da esponenti della massoneria locale tra i quali : Piolti, capo civile; Brizi, capo militare; Fronti, logistica; Vigorelli, cassiere, aveva pensato in un primo momento di approfittare del gran ballo che si sarebbe tenuto a Palazzo Marino il 31 gennaio e a cui avrebbero certamente partecipato tutti gli alti gradi dell'esercito Imperial-Regio. I sovversivi meditarono per trovare un sistema in grado di avvelenarli tutti e in questo modo la guarnigione asburgica a Milano, rimasta senza guida, si sarebbe potuta sopraffare facilmente. A qualcuno,  più "prudente" rispetto agli altri,  il piano dell'omicidio di massa apparve irrealizzabile e dall'esito incerto, per cui fu abbandonato.
Altri pensarono per accendere la miccia della rivoluzione di assassinare tre aristocratici milanesi, scegliendoli tra i personaggi più importanti tra quelli fedeli al governo legittimo  in modo da suscitare la reazione del governo, che si sperava talmente dura da suscitare un'indignazione popolare. Ma anche di questo progetto i sovversivi  non  ne fecero nulla.
Nel frattempo i fucili promessi che si attendevano da Genova e dalla Svizzera non arrivarono: i mazziniani e i repubblicani fuoriusciti, in nessun modo ansiosi di mettersi in gioco anche perché era palese la scarsa probabilità di partecipazione popolare, furbescamente,  fecero sapere di non condividere le motivazioni politiche della insurrezione che si decise comunque di mettere in atto confidando in un improbabile partecipazione degli operai e del proletariato milanese: se c'era una cosa che i milanesi avevano imparato nel 1848 era di non fidarsi di coloro che portano in se ideali vuoti che non portano altro che sovversione e miseria.





Sovversivi all'opera



Orso Teobaldo Felice Orsini .
Seguendo l'insegnamento del bombarolo Felice Orsini, il quale finirà ghigliottinato in Francia per aver attentato alla vita di Napoleone III,  che sosteneva
« la prima legge della cospirazione, la quale vuole, che dove mancano armi, dove sono proibiti i bastoni, egli è lecito ricorrere ad ogni mezzo che valga a distruggere il nemico »
una marmaglia di un migliaio di uomini, per la maggior parte forestieri,  tra delinquenti , artigiani ed operai, armati solo di coltelli e pugnali la domenica del 6 febbraio 1853, alle ore 16.45, aizzati da manutengoli della setta, diedero l'assalto ai posti di guardia e alle caserme Imperial-Regie sperando anche che i soldati ungheresi, che si speravano nazionalisti,  inquadrati nell'esercito si ammutinassero in nome delle aspirazioni dei soliti frammassoni all'indipendenza nazionale da Vienna e collaborassero con loro: tentarono lo stesso con i soldati Milanesi e Lombardi .
Ma così ovviamente non fu ed anzi venne a mancare anche il promesso aiuto di un ingegnere del Municipio, collegato all'ambiente settario,  che con i suoi operai addetti alla manutenzione delle strade avrebbe dovuto aiutare gli insorti a costruire le barricate e a tagliare i tubi del gas per lasciare al buio la città: soppesando i rischi l'ingegnere si tirò abilmente fuori dal gioco.
Porta Romana agli inizi del Novecento.
Da Porta Romana a Piazza del Duomo, da Porta Ticinese a Porta Vercellina gruppetti di insorti si scontrano con la polizia e i soldati sciamando per le strade della città in diversi scontri, sperando nella collaborazione del popolo che non solo non appoggio la loro folle e sovversiva impresa ma si schierò più volte a favore del governo legittimo, e la loro  impresa si dimostrò inefficace e debole . All'interno delle fila dello stesso gruppo di sovversivi milanesi vi erano delle divisioni nette: i mazziniani milanesi , sempre pronti a tirarsi indietro se la bolgia da loro aizzata non era sufficientemente grande da permetterli un'adeguata protezione, ostili all'ideologia socialista degli insorti assistettero inerti al fallimento della rivolta che si concluse il giorno dopo senza che il governo legittimo  ricorresse ai rinforzi.


 
 
 

Conseguenze



Fucilazione dei sovversivi del 6 febbraio
1853.

Tra i soldati Imperiali 10 furono i morti e 47 i feriti: tra i quali diversi di origine Lombardo-Veneta. Furono arrestati complessivamente 895 sovversivi , di questi sedici furono correttamente giudicati secondo le leggi del Regno e giustiziati con l'impiccagione e la fucilazione. Essi erano:

  • Antonio Cavallotti, anni 31, falegname di pianoforti, celibe.
  • Cesare Faccioli, anni 42, garzone di caffè, celibe.
  • Pietro Canevari, anni 23, facchino, celibe.
  • Luigi Piazza, anni 29, falegname, celibe.
  • Camillo Piazza, suo fratello, anni 26, stampatore di caratteri, celibe.
  • Alessandro Silva, anni 32, cappellaio, coniugato.
  • Bonaventura Broggini, anni 57, garzone di macellaio, celibe.
  • Luigi Brigatti, anni 26, liquorista. Secondo un lontano parente in base alla sentenza da questi posseduta si tratterebbe in realtà di Eligio Brigatti di mestiere falegname di pianoforti.
  • Alessandro Scannini, anni 56, maestro ginnasiale privato.
  • Benedetto Biotti, anni 40, garzone falegname.
  • Giuseppe Monti, anni 36, garzone falegname.
  • Gaetano o Girolamo Saporiti, anni 26, lavorante in pettini.
  • Siro Taddei, anni 27, lattaio.
  • Angelo Galimberti, calzolaio.
  • Angelo Bissi, facchino.
  • Pietro Colla, fabbro.






Karl Marx: critica propagandistica.


Karl Marx.
Karl Marx,  satanista , settario-rivoluzionario che aveva in odio tutto ciò che era Cattolico e legittimo,  in un articolo sul New York Daily Tribune dell'8 marzo 1853, intitolato I moti di Milano, in evidente polemica con Teopompo, l'inviato di Dio, come ironicamente chiamava Mazzini,  così scriveva con le classiche parole di propaganda lontane dalla realtà e oltremodo anticristiane:
« L’insurrezione di Milano è significativa in quanto è un sintomo della crisi rivoluzionaria che incombe su tutto il continente europeo. Ed è ammirevole in quanto atto eroico di un pugno di proletari che, armati di soli coltelli, hanno avuto il coraggio di attaccare una cittadella e un esercito di 40.000 soldati tra i migliori d’Europa [...] Ma come gran finale dell’eterna cospirazione di Mazzini, dei suoi roboanti proclami e delle sue tirate contro il popolo francese, è un risultato molto meschino. È da supporre che d’ora in avanti si ponga fine alle revolutions improvisées, come le chiamano i francesi [...] In politica avviene come in poesia. Le rivoluzioni non sono mai fatte su ordinazione. »
Ma le potenze reazionarie europee non illudessero se stesse:
« Esse sentono che i troni d’Europa vacillano dalle fondamenta alle prime avvisaglie del terremoto rivoluzionario. Circondate dai loro eserciti, dalle loro fortezze, dalle loro prigioni, tremano di fronte a quel che esse chiamano i tentativi sovversivi di pochi miserabili prezzolati, La calma è ristabilita. Lo è, infatti: è la sinistra, terribile calma che subentra tra il primo e il secondo più violento scoppio del temporale. »

Conclusione.

L'insurrezione di Milano del 1853 mostrò in faccia ai mazziniani-socialisti, ma anche a tutti i sovversivi di colore diverso,  la dura realtà dei fatti: nessuno a Milano , che non fosse un borghese settario o un nobile traditore, aveva intenzione di sollevarsi contro il buon governo Asburgico perché grande fu la lezione impartita dagli avvenimenti di quel 1848.





Fonte:
 
  • Bruni Bontempelli, Storia e coscienza storica. Vol.3.
  • Leo Pollini La rivolta di Milano del 6 febbraio 1853. Ceschina, Milano 1953, pp.337.
  • K.Marx, L’insurrezione italiana, 11.2.1853, New York Daily Tribune.
  • K.Marx,I moti a Milano, 8.3.1853, ibidem.
  • F.Engels-K.Marx, Lettera 11.2.1853.
  • Centro studi San Giorgio.
  •  "IL TRAMONTO DI UN REGNO" IL LOMBARDO-VENETO DALLA RESTAURAZIONE AL RISORGIMENTO (1814-1859). FEDERICO MOTTA EDITORE PUBBLICATO DA CARIPLO.
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    Scritto da:
     
    Redazione A.L.T.A.