Abbiamo già avuto modo di presentare il nuovo libro di Rodney Stark, storico e uno dei maggiori sociologi delle religioni viventi, chiamato “A Gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitù” (Lindau 2011). In questi giorni lo ha fatto anche lo scrittore Francesco Agnoli su Il Foglio, concentrandosi sul tema della schiavitù. Ha sottolineato come la ricerca storica sull’argomento è stata abbastanza parziale e spesso indaffarata a stanare le eventuali omissioni della chiesa cattolica, accusata di non essere stata“sufficientemente” contraria allo schiavismo stesso. Stark invece propone una visione globale dello schiavismo, sviscerando e comparando una sterminata quantità di studi.
Emerge dunque che lo schiavismo è stata «una
caratteristica quasi universale della civiltà»: Roma e la Grecia
antica prevedevano un uso estensivo del lavoro degli schiavi,
considerati oggetti, beni di proprietà, e come tali, privi di qualsiasi diritto
e sottoposti all’arbitrio più totale da parte dei padroni. In epoca
pagana non esisteva neppure il sospetto che la schiavitù fosse iniqua:
i ribelli come Spartaco miravano alla propria liberazione, non certo alla
condanna della schiavitù medesima, che anzi praticarono in prima persona. Lo
stesso nell’islam, dove «i musulmani raccoglievano un gran
numero di schiavi nelle regioni slave dell’Europa, come pure europei presi
prigionieri in battaglia o catturati dai pirati». Per non parlare degli
schiavi africani e della preferenza per donne da destinare agli harem e alla
servitù domestica, dei bambini che spesso venivano «evirati al momento della
cattura o dell’acquisto». Anche l’islam, come pure i popoli
politeisti, non ha mai conosciuto alcun movimento
abolizionista. Nell’Africa animista, molte delle società
pre-coloniali, se non tutte, si reggevano su sistemi schiavistici e, anzi, lo
schiavismo europeo si innestò sempre su quello islamico e interafricano.
Per quanto riguarda l’Europa,
le condizioni peggiori furono vissute dagli schiavi dei britannici “anglicani”,
mentre quelle migliori erano quelle degli schiavi spagnoli e francesi. Questo a
causa della pressione esercitata dalla chiesa cattolica, in
prima linea nel difendere la natura umana e di creature di Dio anche degli
schiavi, come abbiamo dimostrato in questa pagina. Ricorda dunque le bolle
papali, spesso trascurate, dalla “Sicut Dudum” di Eugenio IV a
quelle di Pio II, Sisto IV e Paolo III, in cui lo schiavismo appare una grave
colpa suggerita agli uomini da Satana stesso. Dice il non cattolico Stark:
«Il problema non era che la chiesa non condannava la schiavitù, quanto
piuttosto che erano in pochi ad ascoltarla», e anzi, questa condanna
-totalmente assente nel resto del mondo- generò spesso ire e
persecuzioni verso i cattolici nell’ Inghilterra anglicana o nella Danimarca
protestante.
Stark conclude analizzando con cura il
movimento abolizionista ottocentesco: mette in luce la sua
unicità (non è nato mai nulla di simile in nessun’altra cultura), la sua carica
di idealismo e la sua origine prettamente religiosa. Tutti i
leader abolizionisti ottocenteschi, americani e inglesi in particolare, erano
credenti e fondarono le loro argomentazioni su categorie evangeliche (Dio,
Creazione, peccato…), e non su motivazioni filosofiche di altro tipo. D’altra
parte abbiamo già avuto modo di sottolineare come i
leader della cultura atea e positivista del tempo
sponsorizzassero apertamente lo schiavismo (e alcuni lo praticavano in prima
persona): Voltaire, Marx, Nietzsche, Galton, Hume, Locke, Arthur de Gobineau
ecc..
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