Isabella I di Castiglia. |
«Le pressioni ebraiche attraverso i media e le proteste di cattolici impegnati nel dialogo con l'ebraismo hanno avuto successo. La causa di beatificazione della regina di Castiglia, Isabella la Cattolica, ha ricevuto in questi giorni uno stop improvviso (...). La preoccupazione di non scatenare le reazioni degli israeliti, già irritati per la beatificazione dell'ebrea convertita Edith Stein e per la presenza di un monastero ad Auschwitz, ha favorito la decisione di una "pausa di riflessione" circa il prosieguo della causa della Serva di Dio, titolo cui Isabella I di Castiglia ha già diritto».
Così, in un articolo su il «Nostro Tempo», Orazio Petrosillo, informatore religioso de «il Messaggero». Petrosillo ricorda che lo stop vaticano è giunto malgrado ci sia già stato il giudizio positivo degli storici, basato su un lavoro di vent'anni che ha prodotto un totale di 27 volumi. «In tutto questo immenso materiale» dice il postulatore della causa, Anastasio Gutiérrez «non si è trovato un solo atto o detto della regina, sia pubblico che privato, che si possa dire in contrasto con la santità cristiana». Padre Gutiérrez non esita a definire «codardi quegli ecclesiastici che, intimoriti dalle polemiche, rinunciassero a riconoscere la santità della regina». Eppure, conclude Petrosillo, «l'impressione è che difficilmente la causa arriverà in porto».
Non si tratta di una notizia confortante: ancora una volta (per restare alla Spagna, Paolo VI - lo vedemmo - aveva bloccato la beatificazione dei martiri della guerra civile) si è creduto che le ragioni del quieto vivere fossero in contrasto con quelle della verità. La quale, in questo caso, è attaccata, con una virulenza che non rifugge dalla diffamazione, non solo dagli ebrei (cui, negli anni di Isabella, fu revocato il diritto di soggiorno nel Paese), ma anche dai musulmani (scacciati dal loro ultimo possesso in terra spagnola, a Granada), e infine da tutti i protestanti e gli anticattolici in genere, da sempre imbestialiti quando si parla di quella vecchia Spagna i cui sovrani avevano diritto al titolo ufficiale di Reyes católicos. Titolo che presero talmente sul serio che una secolare polemica identificò ispanismo e cattolicesimo, Toledo e Madrid con Roma.
Per quanto riguarda l'espulsione degli ebrei, sempre si dimenticano alcuni fatti: come quello che, già ben prima di Isabella, i sovrani di Inghilterra, Francia, Portogallo avevano preso la stessa misura, e tanti altri Paesi la prenderanno, per giunta senza quelle giustificazioni politiche che spiegano il decreto spagnolo, che pur fu un dramma per entrambe le parti.
Occorre ricordare (e già ne parlammo), che la Spagna musulmana non era affatto quel paradiso di tolleranza che hanno voluto dipingerci e che, assieme ai cristiani, anche gli ebrei subirono in quei luoghi periodici massacri. E' però più che provato che, dovendo scegliere tra due mali - Cristo o Maometto - gli israeliti parteggiarono sempre per quest'ultimo, agendo da quinta colonna a svantaggio dell'elemento cattolico. Da qui, un odio popolare che, unendosi al sospetto per coloro che avevano formalmente accettato il cristianesimo pur continuando in segreto a praticare l'ebraismo (los marranos), portò a tensioni che spesso degenerarono sanguinosamente in «matanzas» spontanee e continue alle quali le autorità cercavano invano di opporsi. L'ancora malfermo Regno, appena nato da un'unione matrimoniale tra Castiglia e Aragona, non era in grado di sopportare né di controllare una simile, esplosiva situazione, minacciato com'era - per giunta - da una controffensiva degli arabi che contavano sui musulmani, a loro volta spesso fintamente convertiti.
Alla pari di quanto avveniva in tutti i Regni dell'epoca, anche in Spagna la condizione giuridica degli ebrei era quella di "stranieri", temporaneamente ospitati senza diritto di cittadinanza. E di ciò anche gli israeliti erano perfettamente consapevoli: la loro permanenza era possibile sino a quando non avessero messo in pericolo lo Stato. Ciò che a parere non solo dei sovrani, ma anche del popolo e dei suoi rappresentanti si sarebbe a un certo punto verificato, a causa delle violazioni della legalità sia degli ebrei restati tali che di quelli solo formalmente convertiti e per i quali Isabella ebbe a lungo «una speciale tenerezza», tanto da mettere nelle loro mani quasi tutta l'amministrazione finanziaria, militare e persino ecclesiastica. Pare però che i casi di "tradimento" fossero divenuti così diffusi da non potere più permettere una simile situazione.
In ogni caso, come scrive la Postulazione della causa di santità di Isabella, «il decreto di revoca del permesso di soggiorno agli ebrei fu strettamente politico, di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato: non ci si consultò affatto con il papa, né interessa alla Chiesa il giudizio che si voglia emettere al proposito. Un eventuale errore politico può essere perfettamente compatibile con la santità. Quindi, se la comunità israelitica di oggi volesse fare qualche querela, dovrà presentarla alle autorità politiche, ammesso che quelle attuali siano responsabili dei predecessori di cinque secoli fa».
Aggiunge la Postulazione (la quale, non si dimentichi, ha lavorato con metodi scientifici, con l'aiuto di una quindicina di ricercatori che, in venti anni, hanno esaminato oltre 100.000 documenti negli archivi di mezzo mondo): «L'alternativa, l'aut-aut "o convertirsi o uscire dal Regno", che sarebbe stata imposta dai Re Cattolici è una formula semplicistica, uno slogan volgare: nelle conversioni non ci si credeva più. L'alternativa proposta durante i molti anni di violazioni politiche della stabilità del Regno fu: "O cessate dai vostri crimini o dovrete uscire dal Regno"». A ulteriore conferma sta la precedente attività di Isabella in difesa della libertà di culto ebraica contro le autorità locali, con l'emanazione di un «seguro real» nonché con l'aiuto nell'edificazione di molte sinagoghe.
Significativo, comunque, che l'espulsione sia stata particolarmente consigliata dal confessore reale, quel diffamatissimo Tomàs de Torquemada, primo organizzatore dell'Inquisizione, il quale era però di origine ebraica. E significativo pure (a mostrare quanto la storia sia sempre complessa) che, allontanati dai "Re cattolici", seppure sotto la spinta popolare e per ragioni politiche anche di legittima difesa, le più ricche e influenti famiglie ebraiche chiesero e ottennero ospitalità al solo che gliela concedesse volentieri, sistemandoli nei suoi territori: il Papa... E può sorprendersi di ciò solo chi ignori che la Roma pontificia è la sola città del Vecchio Continente dove la comunità ebraica abbia avuto alti e bassi a seconda dei papi ma non sia mai stata espulsa, anche solo per breve tempo. Occorrerà attendere il 1944 e l'occupazione tedesca per vedere - più di 1600 anni dopo Costantino - gli israeliti dell'Urbe razziati e costretti alla clandestinità: e coloro che scamparono lo dovettero in maggioranza all'ospitalità concessa da istituzioni cattoliche, Vaticano in prima linea.
Ma la strada verso gli altari è preclusa a Isabella anche da coloro (numerosi, oggi, anche tra i cattolici) che hanno finito per accettare acriticamente quella «Leyenda negra» di cui abbiamo cominciato a parlare e che ci impegnerà ancora. Alla sovrana e al consorte, Ferdinando di Aragona, non si perdona di avere dato inizio a quel Patronado, negoziato col Papa, con cui si impegnavano all'evangelizzazione delle terre scoperte da Cristoforo Colombo, la cui spedizione avevano finanziato. Sarebbero i due «Reyes católicos», insomma, gli iniziatori del genocidio degli indios, compiuto brandendo da una parte una croce e dall'altra una spada. E coloro che sfuggirono al massacro sarebbero stati ridotti in schiavitù. Ma, anche qui, la storia vera ha cose diverse da dire rispetto alla leggenda.
Sentiamo, ad esempio, Jean Dumont: «La schiavitù per gli indiani è esistita, ma per iniziativa personale di Colombo, quando aveva i poteri effettivi di vice-re delle terre scoperte: dunque nei soli, primissimi stanziamenti nelle Antille, prima del 1500. Contro questa schiavitù degli indigeni (Colombo ne inviò molti in Spagna, nel 1496) Isabella la Cattolica reagì come aveva reagito facendo liberare, sin dal 1478, gli schiavi dei coloni nelle Canarie. Fece dunque riportare nelle Antille gli indios e li fece liberare dal suo inviato speciale, Francisco de Bobadilla il quale, per contro, destituì Colombo e l'inviò prigioniero in Spagna per i suoi abusi. Da allora, la politica adottata fu ben chiara: gli indiani sono uomini liberi, soggetti come gli altri alla Corona e devono essere rispettati come tali, nei loro beni come nelle loro persone».
E chi sospettasse che il quadro sia troppo idillico, leggerà utilmente il "codicillo" che, tre giorni prima di morire, nel novembre del 1504, Isabella aggiunse di suo pugno al testamento e che così, testualmente, dice: «Poiché, dal tempo in cui ci furono concesse dalla Santa Sede Apostolica le isole e terra ferma del mare Oceano, scoperte e da scoprire, la nostra principale intenzione fu di cercare di indurre i popoli di esse alla nostra santa fede cattolica e inviare là religiosi e altre persone dotte e timorose di Dio per istruire gli abitanti nella fede e dotarli di buoni costumi e porre in ciò lo zelo dovuto; per questo supplico il Re, mio signore, molto affettuosamente, e raccomando e ordino alla principessa mia figlia e al principe suo marito, che così facciano e compiano e che questo sia il loro principale fine e che in esso impieghino molta diligenza e che non consentano che i nativi e gli abitanti di dette terre acquistate e da acquistare ricevano danno alcuno nelle loro persone o beni, ma facciano in modo che siano trattati con giustizia e umanità e se alcun danno hanno ricevuto lo riparino».
E' un documento straordinario, che non trova alcun riscontro nella storia "coloniale" di alcun Paese. Eppure, nessuna storia è diffamata come questa che inizia da Isabella la Cattolica.
Fonte:
http://www.storialibera.it/