a cura di Massimo Micaletti
“Rimosso dalla commissione d’esame perché negazionista”: così, con l’usuale sommarietà, viene dipinta dai media locali e nazionali la vicenda del prof. Franco Damiani, docente di italiano, latino, storia e geografia nella scuola superiore e “reo” di professare tesi in qualche modo dirompenti per le coscienze senza dubbio serene e civicamente impeccabili dei ragazzi delle superiori.
Ora, chi scrive ha avuto qualche esperienza diretta delle sette od otto spanne che separano la realtà dalla cronaca giornalistica, perciò è stato naturale chiedere allo stesso Damiani come siano andate realmente le cose.
“Nessun caso – si schermisce immediatamente il professore – solo una vicenda contorta, su cui la stampa ha ricamato per costruire lo “scoop” Sono stato nominato presidente di commissione per gli esami di maturità presso il liceo scientifico “Curiel” di Padova : come mio solito mi sono dunque documentato sull’istituto di destinazione e sui programmi d’esame. Proprio sul sito ho letto che in una delle due classi che avrei dovuto esaminare s’era svolto un laboratorio didattico dal tema “Negazionismi: un problema storico e filosofico”, con riferimento sia all’”Olocausto” sia al genocidio armeno. Relatori del laboratorio erano due autrici di pubblicazioni sull’argomento: per il genocidio degli armeni Antonia Arslan, autrice del libro “La masseria delle allodole”; sulla Shoah, Valentina Pisanty. La signora Pisanty è una docente universitaria di semiologia, esperta di favole, che nel 1998 scrisse, senza alcuna competenza, il libro “L’irritante questione delle camere a gas”: un goffo tentativo di critica storica sotto le apparenze di una disamina semiologica. Era evidente oltretutto che nel seminario non c’era contraddittorio: erano presentate due diverse forme di “negazionismi” ma non c’era nessun relatore, per dir così, “negazionista” (termine in realtà abominevole che in nulla rende giustizia ad una ricerca storiografica accurata ed alle sue reali motivazioni). Si dà il caso che il sottoscritto conosca la replica, dello stesso anno, di Carlo Mattogno alla Pisanty, dal titolo “L’ “irritante questione” delle camere a gas, ovvero da Cappuccetto Rosso ad… Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty[“, nel quale lo storico, uno dei massimi conoscitori della seconda guerra mondiale e in particolare dei campi di concentramento tedeschi, smonta seccamente e in maniera irreprensibile la ricerca della Pisanty dimostrandone l’inconsistenza storiografica e la malafede dell’autrice. Sollevavo questi rilievi in un post su Facebook, dunque non direttamente agli insegnanti o al preside del “Curiel”, ma sulla mia bacheca Facebook, riservandomi di parlarne in sede di commissione, e che cosa accade? Accade che qualcuno – non so chi – legge il mio post su Facebook e ne riferisce a chi “di dovere”. Morale: a due giorni dall’esame vengo convocato dalla scuola – dalla mia scuola, dall’istituto dove insegno io, non dal “Curiel” – ove mi si consegna un provvedimento della direzione regionale che mi notifica la nomina a presidente in un istituto agrario (!) di Montebelluna, fuori dalle province di Padova e Venezia, luogo lontano dalla mia residenza e dove comunque non potrei arrivare perché non guido. Invio così un fax di rinuncia. Il giorno 17 giugno, ad esami ormai iniziati, mi giunge una telefonata della direzione che mi offre la nomina a presidente di commissione in un istituto tecnico nel pieno centro di Padova, dunque facilmente raggiungibile: ma a quel punto, a esami iniziati, non me la sono sentita di arrivare in commissione senza essermi minimamente documentato, e in ogni caso, dopo una simile “destituzione”, non avevo più lo spirito adatto per assolvere un compito così impegnativo come la presidenza di una commissione d’esame. Così ho rifiutato ”.
E’ stato un caso isolato? Ha avuto in precedenza altre vicende che in qualche modo possano rifarsi all’impostazione che dà alle sue lezioni?
“Data la delicatezza del tema e le reazioni che suscita ho imparato a lasciare accuratamente da parte il tema olocaustico. Cerco soprattutto di ispirare il mio insegnamento ai principi (anche pedagogici) del Cristianesimo, che troppo spesso vengono deformati da una certa storiografia (e non solo: l’impronta laicista nella scuola di Stato è pesante in tutte le materie). Indico testi e autori di riferimento, e agli studenti (almeno ad alcuni) il messaggio arriva; certo si deve dar loro materiale di prima mano, non rielaborazioni. Non ritengo peraltro sia un caso io sia stato spostato da tempo dal triennio al biennio, ove la storia contemporanea non si insegna (anche se, dopo il mio trasferimento al liceo, dove la storia al triennio è associata alla filosofia, cattedra per cui non ho l’abilitazione, quella del biennio è una scelta). Quando insegnavo a Mestre lessi agli studenti dell’ultimo anno (istituto turistico) alcune righe di un testo revisionista nell’ambito di una lezione sulla seconda guerra mondiale: la cosa si riseppe a fine anno durante gli esami di maturità e finì sulla stampa: ne nacquero una campagna di stampa contro di me della durata di tre mesi, una manifestazione di duemila persone contro la mia scuola per chiedere il mio licenziamento e due ispezioni ministeriali; ci furono anche due interrogazioni parlamentari (favorevoli: on. Serena e on. Delmastro Delle Vedove). In tutto le ispezioni da me subite sono state cinque, due delle quali approdate al consiglio di disciplina a Roma: in entrambi i casi la presidente di tale organismo, dopo aver esaminato i dossier, mi chiese sorridendo perché mai l’ispezione fosse stata richiesta e che cosa ci facessi lì: non c’era infatti nessuna mancanza disciplinare, ma soltanto questioni ideologiche e metodologiche che rientravano nella sfera della libertà d’insegnamento. Quando poi, vinta la cattedra liceale, insegnavo a Piazzola sul Brenta, nel 2004, accadde quanto segue: in una lezione di storia di seconda liceo sulle origini del Cristianesimo, giacché il libro di testo affermava che il Cristianesimo era una deviazione del giudaismo e che la Resurrezione era un fatto “metastorico”, non realmente accaduto, mi permisi di chiarire che i dati storici sulla Resurrezione esistono e che anche gli argomenti propri della religione cattolica non sono esclusivamente di fede. Aggiunsi un’approfondita spiegazione dei rapporti teologici tra Cristianesimo e giudaismo. Ebbene, a séguito di quella lezione si arrivò al punto che i genitori ordinarono agli studenti di uscire dall’aula quando io entravo, mentre il preside non prendeva alcun provvedimento: i ragazzi andavano in giro per l’istituto e nessuno faceva niente! Andò avanti per due mesi. Alla vigilia degli scrutini del primo trimestre, non avendo io potuto neppure interrogare gli allievi, si prospettava lo spettro del “non classificato” per tutti, al che il preside pensò bene di far sospendere (“cautelarmente”, ma comunque a metà stipendio) me (non gli studenti che andavano a spasso per la scuola!) senza neppure precisare quanto sarebbe durata la sospensione; solo a séguito di ricorso in Tribunale fu ordinato (dopo sei mesi e mezzo di sofferenze e battaglie) il mio reintegro, con pieno ripristino e rimborso anche del trattamento economico, ma si era ormai a giugno e le lezioni erano state tenute da un altro insegnante, ritenuto evidentemente innocuo”.
Per quali ragioni un insegnante di scuola superiore dovrebbe complicarsi la vita fino a questo punto? Cosa la spinge a continuare su questo binario?
“Non ritengo di far nulla di straordinario. Certo, quel che insegno rappresenta un’eccezione rispetto a quello che i ragazzi si sentono dire quotidianamente, è un’impostazione diversa, ma solida e documentata; non si tratta di stravolgere i fatti, ma di raccontarli nella loro interezza. E non posso tacere che la motivazione principale è la mia fede. Mi sono accostato alla tradizione cattolica non per una via estetica, come altri, ma per una via morale, amareggiato e disorientato dallo scadimento che vedevo attorno a me, anche da parte di certo clero. Mi avvicinai a “Famiglia e civiltà” tramite il caro amico Palmarino Zoccatelli (che fu anche mio testimone di nozze) e da lì ho conosciuto diverse persone (cito in particolare Maurizio G. Ruggiero e Antonio Diano) che mi hanno introdotto ad un modo di vivere la fede che ho sentito subito mio ed autentico, una sorta di ritorno alle origini della mia educazione “preconciliare”, poi annacquata da un ambiente familiare, scolastico e studentesco (i “gruppi cattolici”) modernista, ma mai sepolta del tutto. Ricordo in particolare un convegno “legittimista” organizzato da Pucci Cipriani a Firenze nel 1994, in cui conobbi tra l’altro il collega e scrittore Enrico Nistri, e più ancora il giorno in cui su “Controrivoluzione” lessi una recensione di “Sodalitium”. Queste “scoperte”, specialmente la seconda, mi entusiasmarono al punto che contattai don Francesco Ricossa, direttore di “Sodalitium” e superiore dell’IMBC, per chiedere… se potesse concelebrare il mio matrimonio! Potete immaginare come rispose… Il 26 novembre 1995 ci fu un grande convegno “unitario” della tradizione cattolica a Ferrara, in cui conobbi lo stesso don Ricossa, don Nitoglia, Paolo Baroni, Siro Mazza, Luigi Copertino, Raimondo Gatto e tante altre figure di rilievo di questo mondo. Nell’ottobre ’96 partecipai per la prima volta al convegno di Rimini della FSSPX, dove l’amico Antonio Diano mi informò che a Lanzago di Silea (TV) c’era tutte le domeniche una Messa tradizionale. Da allora non ho più assistito, se non per dovere di stato, a “messe” moderne. Devo aggiungere che le maggiori “complicazioni” – se il vocabolo calza – non sono state sul piano professionale, ma su quello umano: ho dovuto rivedere molti rapporti, troncare amicizie di una vita, riconsiderare molte scelte. Niente peraltro sarebbe stato possibile se non avessi avuto al fianco mia moglie Daniela, una compagna serena e forte (razza friulana) che mi ha sempre convintamente assecondato nelle scelte di vita e mi ha sostenuto con il suo amore nei momenti difficili (che sono stati tanti: parlo ovviamente del piano professionale) dandomi la forza e il coraggio di non cedere allo sconforto e di proseguire la battaglia. E’ certamente un immeritato dono del Signore.
Potrebbe indicare qualche testo di riferimento per chi volesse documentarsi sulla storiografia integrale sulla Shoa, sui rapporti tra cattolicesimo ed ebraismo e sulla Tradizione cattolica?
“Sono filoni molto ricchi. Per limitarmi all’essenziale, posso indicare gli scritti di Carlo Mattogno e di Robert Faurisson, quanto alla questione olocaustica; gli studi di don Curzio Nitoglia e di don Ennio Innocenti sull’ebraismo e sulla gnosi spuria; il testo di Epiphanius “Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia” più gli altri consimili di Pierre Virion, di Mons. Delassus, di Mons. Meurin e di Etienne Couvert; certi studi di Roberto de Mattei e di Massimo Viglione, nonostante la differente posizione dottrinale; i preziosi volumetti divulgativi curati dall’amico Paolo Baroni (oh, i bei banchi cattolici dei convegni tradizionalisti, sempre pieni di tanta buona stampa e di tante chicche librarie!); ”tanti articoli di “Sodalitium” di “Sì sì no no” e di “Chiesa Viva”, qualcuno della “Tradizione cattolica” e di “Instaurare omnia in Christo”; le omelie stesse dei nostri sacerdoti. Di grande importanza fu per me, già nel lontano 1985, il volume “Iota unum” di Romano Amerio, che mi aprì gli occhi su quelle che egli chiamava “le variazioni della Chiesa nel XX secolo” (ero allora catechista in una parrocchia di Venezia e mordevo il freno sentendomi sempre meno in sintonia con l’ambiente). Negli anni successivi (seconda metà dei Novanta) di altrettanta importanza furono la rubrica “Vivaio” di Vittorio Messori su “Avvenire” (poi confluita nel libro “Pensare la storia” e negli altri due della stessa serie) e la fitta corrispondenza con l’Autore, benché questi poi abbia fatto scelte che mi hanno deluso; per il filone “fascista” almeno i libri di Rutilio Sermonti, di Franco Monaco, di Enzo Erra e di Filippo Giannini, quelli di Massimo Filippini su Cefalonia, la rivista “L’Uomo libero” … e potrei continuare a lungo. Credo in conclusione di avere avuto una speciale grazia del Signore, tramite la Beatissima Vergine, quella cioè di vedere con occhi nuovi la mia vita e il mio lavoro, e il mio compito è solo quello di non essere troppo impari a questo singolare dono ricevuto”.
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