Con questo articolo Carlo Di Pietro viene associato alla redazione di Radio Spada. Ci è sembrato utile pubblicarlo, pur se già pubblicato altrove, per la ricchezza dei contenuti e la profondità della sua argomentazione teologica.
Tempi duri per la Chiesa? Con le “dimissioni” di Papa Ratzinger e con l’elezione al Soglio del cardinal Bergoglio, oggi Papa Francesco, numerosi critici e studiosi del cattolicesimo e della cattolicità in tutte le sue espressioni e forme, si sono addentrati in dibattiti e dispute teologiche, dottrinali, liturgiche, disciplinari. Uno dei principali temi affrontati è proprio quello dell’Autorità, requisito che acclude anche elementi quali l’indefettibilità, l’estraneità all’errore, la “tradizionalità”, ecc …
Papa Francesco piace al popolo, è un grande comunicatore, attrae le folle ed affronta tematiche molto care alle classi più disagiate, tanto che se fosse un politico, e perdonatemi il termine, verrebbe definito dai più un “populista”. Ebbene non sta certo a noi giudicare l’operato di un Pontefice o “Vescovo di Roma”, dove per noi intendo quei laici impegnati nel giornalismo, nel missionariato quotidiano, in quell’evangelizzazione laica così fortemente voluta da Montini prima e da Wojtyla poi, tuttavia c’è consentito analizzare, scrivere, confrontarci, crescere insieme.
E’ proprio in quest’ottica ed alla luce della Verità che mi sto interrogando e vorrei porre all’attenzione del lettore una serie di riflessioni, di considerazioni, di appunti che ho preso in questi primi mesi di “doppio pontificato”. Non giungerò dunque ad alcuna conclusione poiché non ne sono all’altezza, ma il mio unico intento è quello di invogliare il lettore a pensare, ad approfondire, a studiare la materia, quella Dottrina a noi così cara e per la Quale tanto ci battiamo, a volte anche “duellando” gli uni contro gli altri, negli stessi ambienti cattolici.
Comincio con una breve citazione tratta da Efesini: “Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio.”
Il 16 Marzo 2013, durante la sua prima Udienza, Papa Bergoglio impartisce una inconsueta benedizione. «Vi avevo detto che vi avrei dato di cuore la mia benedizione. Molti di voi non appartengono alla Chiesa cattolica, altri non sono credenti. Di cuore imparto questa benedizione, nel silenzio, a ciascuno di voi, rispettando la coscienza di ciascuno, ma sapendo che ciascuno di voi è figlio di Dio.» Nella circostanza non benedì con il segno della Croce. (1)
L’Imam di Firenze testimonia di aver incontrato Bergolgio in Vaticano nella Sala Clementina e ci parla di un Francesco emozionante, il cui discorso ha sottolineato l’importanza del dialogo con l’Islam e del perseguimento della povertà e della carità. Nello stesso incontro, avvenuto il 20 Marzo del 2013, “Papa Francesco ha salutato e ringraziato tutti gli appartenenti alle altre tradizioni religiose, ma si è rivolto con attenzione particolare ai fedeli islamici. Mi rivolgo «innanzitutto ai musulmani – ha detto – che adorano un Dio unico, vivente e misericordioso e lo invocano nella preghiera. Apprezzo molto la vostra presenza – ha poi aggiunto – in essa vedo un segno tangibile della volontà di crescere nella stima reciproca e nella cooperazione per il bene comune».” (2) (3)
Il 16 Aprile 2013, l’Osservatore Romano ci riferisce di un Papa Francesco che dice in MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA DOMUS SANCTAE MARTHAE: “il concilio è stato un’opera bella dello Spirito Santo. Pensate a Papa Giovanni: sembrava un parroco buono e lui è stato obbediente allo Spirito Santo”, ed ancora “dopo cinquant’anni abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel concilio, in continuità con quella crescita della Chiesa che è stato il concilio”, terminando con un dura stoccata al mondo della Tradizione “ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama essere testardi, questo si chiama voler addomesticare lo Spirito Santo, questo si chiama diventare stolti e lenti di cuore”. (4)
Il Papa alla Caritas Internationalis, in data 16 Maggio 2013, dice che i pani e i pesci del Vangelo “Non si moltiplicarono. No, non è la verità: semplicemente non finirono, come non finì la farina e l’olio della vedova. Non finirono. Quando uno dice ‘moltiplicare’ può confondersi e credere che faccia una magia … (io più che di magia parlerei di miracolo n.d.r.) No, semplicemente è la grandezza di Dio e dell’amore che ha messo nel nostro cuore, che – se vogliamo – quello che possediamo non termina”. (5)
E così via! Eppure Papa Francesco piace tanto al popolo, è simpatico, sorride e gioca con i fedeli. Cosa vuole Gesù da un Papa? Lascio al lettore più competente di me la risposta.
Io penso che siamo di fronte a delle “simpatiche innovazioni” dottrinali, esegetiche o, se si può dire, ecclesiologiche. In internet molti si stanno interrogando dinanzi ad evidenti “malintesi” e le coscienze si scuotono. Accadde in passato qualcosa di simile? E come andò a finire?
Qui riporto gli studi di Sant’Alfonso Maria de Liguori e li farò precedere da parte del Magistero di Papa Gregorio XVI circa «l’autorità di Alfonso de’ Liguori» [Cfr. Denz., EDB, pp. 974 e 975].
Parte 1 – «Resp. S. Paenitentiariae ad archiep. Vesuntion.»
- «Risposta della S. Penitenzieria all’arcivescovo di Besançon», 5 luglio 1831: “[...] Quando alla seconda risposta, si deve notare che il giudizio della Santa Sede circa la dottrina di un beatificando avviene in vista della beatificazione. A questo fine è sufficiente che la dottrina «sia immune da qualsiasi censura teologica» – «sit immunis a quacumque theologica censura» (cfr. Benedetto XIV, De Servorum Dei beatificatione, II, 28, § 2). Questo è il caso di Alfonso de’ Liguori».
Vedasi il decreto della S. Congregazione dei Riti del 18 maggio circa l’esame delle sue opere, come pure la bolla di canonizzazione Sanctitas et doctrina del 26 maggio 1839 (Gregorio XVI, Acta, a cura di A.M. Bernasconi 2, 305a-309b) e il decreto inter eos qui del 23 marzo 1871, che gli conferisce il titolo di «dottore della chiesa» (Pio IX, Acta, 1/V, 296-298). [...]
«Inoltre ha illuminato questioni oscure e spiegato questioni dubbie, spianando tra le avviluppate opinioni o più lassiste o più rigide dei teologi una via sicura, su cui le guide dei fedeli potessero avanzare senz’inciampo» – «Obscura insuper dilucidavit dubiaque declaravit, cum inter implexas theologorum sive laxiores sive rigidiores sententias tutam straverit viam, per quam Christifidelium moderatores inoffenso pede incedere possent»”.
Lo scritto prosegue con disquisizione circa gli insegnamenti morali di Sant’Alfonso ed emerge chiaramente che “Il confessore [...] legge le opere del beato dottore per conoscere accuratamente la sua dottrina [...] ritiene di comportarsi in modo sicuro per il fatto stesso che la dottrina, che non contiene nulla degno di censura, egli possa prudentemente giudicare che è sana, sicura, per nulla contraria alla santità evangelica”. Il confessore domanda se può “essere molestato [...] se segue tutte le opinioni del beato Alfonso de’ Liguori?”
Appunto 1: all’epoca i preti ben si preoccupavano per la fede del proprio gregge, quindi erano soliti interrogare la Santa Sede o l’Ordinario del luogo per ogni questione; oggi, in periodo “egomenico” alcuni preti, probabilmente soggiogati dalla superbia, agiscono non solo nel dubbio ma spesso si ergono a “papi” fornendo insegnamenti e teologie sovente prossime all’eresia se non sconfinanti.
La risposta al confessore, confermata dal Papa il 22 Luglio 1831, fu: “No, tenendo conto del pensiero della Santa Sede circa l’approvazione degli scritti dei Servi di Dio per il conseguimento della canonizzazione” [Cfr. Denz., EDB, pp. 974 e 975].
Appunto 2: oggigiorno, invece, essendo stato eliminato dai criteri di beatificazione il canone circa la «perfetta ortodossia della fede vissuta e delle opere del beatificando», appare evidente che la risposta fornita nel 1831 da Papa Gregorio XVI è sicuramente non più opportuna; se, nel beatificare, non si tiene più in conto l’ortodossia della fede nella vita pratica e negli scritti del candidato, ne viene che l’affidabilità è sicuramente sminuita.
Riflessioni, opinabili o non, a parte torniamo al caso … Circa le accuse di errore ai Papi Onorio, Vigilio e Liberio (e altri). Il linguaggio è arcaico ma ben si comprende e sarebbe un’offesa ed una presunzione inutile l’adeguamento ai tempi.
Da Sant’Alfonso, “Verità della fede”, parte III, cap. X, 20,ss.:
Ma come va, dicono gli avversarj, che più pontefici hanno errato in definir cose di fede? Ma questo è stato sempre lo studio degli impugnatori dell’autorità de’ pontefici, di ritrovare errori nelle loro definizioni; ma non mai han potuto appurare alcuno errore circa i dogmi, e proferito da alcun pontefice, come pontefice e dottore della chiesa. Dicono che a tempo de’ concilj di Arimino e di Sirmio Liberio papa cadde nell’eresia ariana, sottoscrivendo la formola di fede che gli ariani teneano. Ma, secondo riferiscono s. Atanasio, s. Ilario, s. Girolamo, Severo Sulpizio e Teodoreto, il fatto fu così: fu data allora da sottoscriversi a Liberio e agli altri vescovi cattolici la formola di fede, nella quale diceasi che il Figliuolo non era creatura come le altre, ma era di sostanza simile al Padre; ma vi mancava l’espressione del concilio niceno, che fosse vero Dio come il Padre e consostanziale al Padre. E qui fu l’inganno, col quale Valente capo degli ariani indusse Liberio a sottoscrivere, promettendo che poi nella formola si sarebbero aggiunte tutte le espressioni necessarie; e così il papa e gli altri vescovi per tal promessa, e per liberarsi ancora dalla persecuzione degli ariani e dell’imperator Costanzo, sottoscrissero quella formola. Altri però con Onorato Tournely vogliono che Liberio non sottoscrisse già questa formola, ch’era la terza, perché nell’anno 359, allorché fu proposta da’ padri sirmiensi la suddetta terza formola, già Liberio sin dall’anno precedente era stato liberato dall’esilio, ed aveva ricuperata la sua sede, come narra s. Atanasio; ma che sottoscrisse la prima formola, la quale da s. Ilario fu interpretata in senso cattolico. Sicché Liberio, o che avesse sottoscritta la terza o la prima formola, quantunque peccò, non può dirsi però aver mai approvata l’eresia ariana. Tanto più che Liberio, avvedutosi poi della sua mancanza, si protestò con pubblico manifesto di non aver mai inteso di scostarsi dalla fede nicena, ed espressamente ritrattò la sua sottoscrizione.
Di più incolpano lo stesso Vigilio di essersi contraddetto intorno alla condanna degli scritti e persone d’Iba, di Teodoro e Teodoreto. Qui la risposta sarebbe lunga, ma la sostanza si è che circa tal punto vi furono due concilj generali, il calcedonese e ‘l costantinopolitano II. Nel calcedonese furono condannati gli scritti d’Iba, ne’ quali si scusavano gli errori di Nestorio, ma non fu condannata la persona d’Iba; nel costantinopolitano poi furono condannati così gli scritti, come la persona d’Iba. Vigilio prima aderì al calcedonese e di poi al costantinopolitano; e da ciò l’incolpano di avere errato in cose di fede. Rispondiamo che, incolpando Vigilio di tal errore, si ha da incolpare ancora anche uno de’ concilj di avere errato in materia di fede. Ma la risposta diretta si è che il calcedonese, scusando le persone, ebbe per vero che Iba e gli altri due avessero scritto in buona fede; all’incontro il costantinopolitano, condannando anche le persone, ebbe per vero che avessero scritto in mala fede. Del resto ivi non si trattò positivamente di alcun dogma, come ben dichiarò s. Gregorio, scrivendo: Scire vos volo quod in ea (scil. in synodo chalcedonensi) de personis tantum non autem de fide aliquid gestum est. Ma leggasi quel che si è detto su questo punto di Vigilio nel capo antecedente al §. 4. n. 59.
Né vale opporre una certa lettera di Vigilio, ove apparisce aver egli approvata l’eresia di Eutiche; poiché questa lettera dal Baronio e dal Bellarmino ed anche dal concilio generale VI fondatamente è riprovata come falsa. Ma se taluno volesse tenerla per vera, sappiasi ch’ella si porta scritta da Vigilio, mentre Silverio vero papa era ancor vivo; ma, morto che fu Silverio, Vigilio rinunziò al pontificato, ed allora di comun consenso del clero fu eletto per papa, ed egli poi apertamente detestò l’eresia eutichiana. Si aggiunge che la supposta lettera si vede scritta da Vigilio privatamente, e con condizione che a niuno si fosse fatta nota: Oportet ergo (così leggesi nella stessa lettera) ut haec quae vobis scribo nullus agnoscat. Sicché quantunque ella fosse stata vera, neppure potrebbesi da quella dedurre alcun argomento contro l’infallibilità delle definizioni pontificie ex cathedra, le quali, per aver forza, debbono esser pubbliche, non private.
Inoltre incolpano Onorio papa di aver aderito nelle sue lettere a Sergio capo de’ monoteliti, che seminava l’errore di essere stata in Cristo una volontà ed una operazione. Ma s. Massimo e Giovanni IV difesero Onorio, dicendo che le sue lettere ben poteano spiegarsi nel senso cattolico. Il fatto fu che Onorio tenea già la retta sentenza, che in Cristo fossero due volontà e due operazioni; ma, essendo sorto l’errore di Sergio, Onorio per sedare lo scisma, ed all’incontro per non dar sospetto ch’egli aderisse o agli eutichiani che voleano una sola natura in Cristo, o a’ nestoriani che voleano in Cristo due persone, nella sua epistola 2 a Sergio volle che non si fossero nominate né una, né due operazioni, e scrisse così: Referentes ergo, sicut diximus, scandalum novellae adinventionis, non nos oportet unam vel duas operationes praedicare, sed pro una, quam quidam dicunt, operatione nos unum operatorem Christum Dominum in utrisque naturis veridice confiteri, et pro duabus operationibus, ablato genuinae operationis vocabulo, ipsas potius duas naturas, id est divinitatis et carnis assumptae, in una persona Unigeniti Dei Patris, confuse, indivise et inconvertibiliter nobiscum praedicare propria operantes. Sicché Onorio dicea che in Cristo vi era un operatore, ma due operazioni, secondo le due nature in esso copulate, delle quali ciascuna avea le sue operazioni proprie: oportet unum operatorem Christum in utrisque naturis confiteri, et pro duabus operationibus ipsas potius duas naturas in una persona Unigeniti Dei Patris praedicare propria operantes. E lo stesso accennò in breve nella prima lettera che scrisse a Sergio, dicendo: In duabus naturis (Christum) operatum divinitus, atque humanitus. E che Onorio veramente sentisse che in Cristo vi erano due operazioni, e per conseguenza due volontà, della divinità e dell’umanità, apparisce maggiormente dalle altre parole che scrisse nella 2 lettera: Utrasque naturas in uno Christo in unitate naturali copulatas, atque operatrices confiteri debemus: divinam quidem quae Dei sunt operantem, et humanam quae carnis sunt exequentem… naturarum differentias integras confitentes. Se dunque dice che in Cristo vi erano due nature operanti secondo le loro intiere differenze, conseguentemente teneva ancora essere in Cristo due volontà. Ed in tanto scrisse quelle parole: Non nos oportet unam, vel duas operatones predicare, in quanto ebbe timore col dire una operazione di favorire l’eresia di Eutiche, e col dire due operazioni di favorire l’eresia di Nestorio.
Né osta che Onorio nella stessa lettera avesse scritto aver Gesù Cristo avuta una volontà: Unam tantum voluntatem fatemur Domini nostri Iesu Christi. Poiché ciò disse a rispetto di quel che aveagli scritto Sergio, cioè che taluni voleano che Cristo come uomo ebbe due volontà contrarie, quali sono in noi di spirito e di carne, e contro questo errore rispose Onorio che Cristo ebbe una sola volontà, cioè la sola di spirito e non quella di carne, ch’è in noi per la colpa di Adamo, così attestarono Giovanni IV papa e s. Massimo ne’ luoghi citati; e così anche lo difendono il Tournely, e il p. Berti, e lo stesso scrive lo stesso Natale Alessandro nel secolo VII, dicendo: Locutus est (Honorius) mente catholica, siquidem absolute duas voluntates Christi non negavit, sed voluntates pugnantes. E ciò apparisce chiaro dalla stessa ragione che di tal detto addusse Onorio nella sua lettera: Quia profecto a divinitate assumpta est nostra natura, non culpa; illa profecto quae ante peccatum creata est, non quae post praevaricationem vitiata… Non est itaque assumpta, sicut praefati sumus, a Salvatore vitiata natura, quae repugnaret legi mentis eius etc.
Ma replicano gli avversarj che ciò non ostante Onorio già fu condannato come eretico dal sinodo VI. insieme con Ciro, Sergio, Pirro ed altri monoteliti. Ma vuole il Baronio, Binio, Frassen ed altri, e il Bellarmino tiene per certo che il nome di Onorio fraudolentemente fu inserito in quell’azione dagli emoli della chiesa romana, e l’argomenta da più motivi e specialmente dal vedere che la condanna di Onorio ripugna a quel che scrisse s. Agatone successore di Onorio all’imperator Costantino Ponolegate, cioè che la fede de’ pontefici romani non era mai mancata, né potea mai mancare, giusta la promessa di Cristo: Apostolica Christi ecclesiae quae nunquam errasse probabitur, sed illibata fine tenus permanet, secundum ipsius Domini pollicitationem, quam suorum discipulorum principi fassus est: Petre etc. E questa epistola di s. Agatone ben fu approvata dal concilio, e dissero i padri essere stata dettata dallo Spirito santo. Di più l’argomenta dal vedere che dal concilio romano, celebrato da s. Martino papa prima del predetto sinodo V., furono condannati i mentovati Ciro, Sergio ecc., ma non fu nominato Onorio.
Ma, anche dato per vero che fra gli eretici fosse stato dal concilio posto insieme il nome di Onorio, dicono il Bellarmino, il Tournely e il p. Berti ne’ luoghi citati col Turrecremata, ch’egli fu condannato per errore di fatto di falsa informazione che n’ebbero i padri del sinodo; il quale non errò in ciò con errore di fatto dogmatico (nel che non può errare né il papa, né il concilio ecumenico), ma di fatto particolare di falsa informazione, presa dalla mala traduzione della lettera di Onorio da latino in greco, ch’egli avesse scritto a Sergio con animo eretico; nel quale errore tutti consentono che anche i concilj generali possono errare. E che in tale errore di fatto particolare abbia errato il concilio si prova da quel che scrissero in difesa di Onorio Giovanni IV, Martino I, s. Agatone, Nicola I e ‘l concilio romano sotto lo stesso Martino, i quali meglio intesero le lettere di Onorio, che i padri greci del sinodo. E perciò gli scrittori più antichi, che furono in maggior numero de’ moderni, hanno esentato Onorio dalla nota di eretico, come s. Massimo, Teofane Isaurico, Zonara, Paolo Diacono, ed anche Fozio nemico della chiesa romana, tutti citati dal Bellarmino; il quale aggiunge che tutti gli storici latini, Anastasio, Beda, Blondo, Nauclero, Sabellico, Platina ed altri chiamano Onorio papa cattolico. Tanto più (dicono il Bellarmino, il Turrecremata, il Cano, il Petit-dider e ‘l Combefisio) che, se mai Onorio in quelle lettere avesse abbracciato l’errore di Sergio, avrebbe errato come uomo privato con quelle lettere private e non encicliche, ma non già come pontefice e dottore universale della chiesa. Ma, attese le parole delle lettere di Onorio di sopra considerate, non sappiamo intendere come Onorio possa condannarsi da eretico. Il vero è quel che scrisse Leone II che, sebbene Onorio non cadde nell’eresia de’ monoteliti, non fu però esente da colpa, perché flammam (come disse Leone II) haeretici dogmatis non, ut decuit apostolicam auctoritatem, incipientem extinxit, sed negligendo confovit. Egli dovea sul principio sopprimere l’errore, ed in ciò mancò.
Di più dicono che Nicola I avesse insegnato esser valido il battesimo conferito in nome di Cristo, senza esprimere le tre divine persone. Ma si risponde che Nicola ivi non fu già interrogato circa la forma del battesimo, ma se era valido il battesimo conferito da un pagano o giudeo. Il papa rispose che sì, e ciò solamente definì allora circa il valore del battesimo, e parlò incidentemente circa la forma; e non si nega che il papa può errare in quelle cose che dice per incidenza, ma non definisce di proposito.
Dicono che Gregorio XIII, permise al marito per l’infermità della moglie di prendersene un’altra. Si risponde che il caso era che quella moglie avea un’impotenza perpetua per causa della sua infermità, e la sua impotenza era antecedente al matrimonio, il quale perciò era senza dubbio nullo.
Dicono che Innocenzo III, stimò esser tenuti i cristiani alla legge mosaica. Si risponde che il papa allega in questo testo le leggi del vecchio testamento, non già come obbligatorie, ma come esemplari, secondo le quali debbono osservarsi nel nuovo testamento alcuni riti nuovamente istituiti.
Dicono che Stefano VII dichiarò irriti gli atti di Formoso papa; ed ordinò che quelli che da Formoso avean presi gli ordini di nuovo fossero ordinati; ma Giovanni IX disse il contrario, dichiarando che Formoso fu legittimo papa. Venne di poi Sergio III, e di nuovo lo dichiarò illegittimo. Onde concludono che o l’uno o gli altri due pontefici hanno errato. Rispose il cardinal Bellarmino che Formoso, benché fosse stato degradato avanti al suo pontificato, fu nondimeno poi vero pontefice, e furono validi gli ordini da lui conferiti, onde errarono Stefano e Sergio, ma il loro errore non fu di legge, ma di puro fatto. E così si risponde a certe simili opposizioni degli avversarj, cioè che se mai alcun pontefice ha errato, o non ha parlato ex cathedra, o l’errore è stato di puro fatto.
Papa San Gregorio VII insegna che la Chiesa romana non ha mai errato, e che non si deve ritenere come cattolico chi non sta unito a questa Chiesa.
I Papi Evaristo, Alessandro I, Sisto I, Pio I, Vittore, Zeffirino, Marcello, Eusebio ed altri sostengono la medesima dottrina.
Abbiamo dunque appreso parte del lavoro di Sant’Alfonso apologeta. Ad ogni “errore”, mi sembra di capire, v’è un rimedio, basta che l’errante o chi per lui lo voglia.
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