mercoledì 19 giugno 2013

L' esercito di Franceschiello una storia di onori e calunnie!



Francesco II delle Due Sicilie.
«Fare la fine dell' esercito di Franceschiello»: era un modo di dire napoletano per indicare un completo e ridicolo insuccesso. Ma nel crollo borbonico del 1860 fu, al contrario, fù proprio l' esercito l' unico elemento del regime allora caduto a salvare l' onore della dinastia e del Paese, con un notevole esempio di valor militare e ...di fedeltà morale e politica. Ingiusto e calunnatorio, quel modo di dire. L' esercito di Francesco II di Borbone, ultimo sovrano del Mezzogiorno, meritava e merita rispetto. Era stato mal comandato in Sicilia, ma si era battuto bene, mantenendo anche inespugnata la cittadella di Messina. Nello scontro decisivo che Francesco II decise di affrontare sul Volturno, l' esercito combatté con grande impegno, anche se, pur superiore di numero, e solo per poco non riuscì a prevalere sui 20.000 uomini di Garibaldi. Coi suoi fedeli Francesco II si chiuse allora nella fortezza di Gaeta, dove il sopraggiunto esercito inviato da Cavour, al comando del generale Cialdini, lo assediò. Cavour voleva così dare il colpo di grazia all' ultima resistenza borbonica e prendere in mano le cose del Sud. Temeva, eventuali colpi di testa di Garibaldi (un attacco a Roma con conseguente intervento francese e ritorno in forze dell' Austria nella penisola, oppure un' azione conforme alle sue note idee repubblicane, minacciose sia per l' unità italiana sotto i Savoia, sia per le posizioni di liberali e moderati nel nuovo Stato nazionale). Con l' arrivo di Cialdini la partita si chiuse. La resistenza di Gaeta, da una parte, mirava a suscitare una reazione europea all' espansione dei Savoia e alla formazione di un grande Stato unitario in Italia: reazione che non vi fu, vi era anche l' idea che si potesse ripetere il miracolo del 1799, quando l' appoggio popolare aveva consentito in pochi mesi a Ferdinando IV, bisnonno di Francesco II, il recupero del Regno. La resistenza di Gaeta fu accanita, animata anche dalla bella e balda regina Maria Sofia di Baviera, energica e determinata. Il Re Francesco era un perfetto gentiluomo, scrupoloso e leale, non un criminale assetato di sangue, come il nemico, forse per indole e per l'età, non idoneo a quelle prove, ma nonostante tutto diede prova di coraggio e lealtà verso i suoi uomini ed il suo amato popolo, ma a metà febbraio si dovette capitolare. Il Re e la Regina si rifugiarono a Roma. La cittadella di Messina si arrese il 12 marzo. A resistere rimase solo Civitella. Non vi era un grosso contingente. Il comandante, il maggiore Luigi Ascione, aveva ai suoi ordini all' incirca 500 uomini di varie armi e corpi, con 21 cannoni, 2 obici, 2 mortai e una colubrina in bronzo. Le forze degli assedianti, al comando del generale Ferdinando Pinelli, erano superiori e con armi migliori, fra cui cannoni rigati, di vario calibro, e 2 obici da montagna. La resistenza di Civitella assunse rilievo, specie dopo la caduta di Gaeta, ancor più di quella di Messina, anche per i suoi echi internazionali, che però non furono ascoltati. Pinelli adottò misure durissime anche contro la popolazione civile, per cui nel gennaio 1861 lo si sostituì con il generale Luigi Mezzacapo, un ex ufficiale borbonico, passato a quello sabaudo quando Ferdinando II di Borbone si era ritirato dalla coalizione antiaustriaca degli Stati italiani nel 1848. Con lui l' assedio si fece più energico, sostenuto dal fuoco dei nuovi potenti cannoni a tiro rapido, e da forze armate crescenti, che giunsero a oltre 3.500 uomini. In realtà, piuttosto di un continuo bombardamento che di un' azione di assedio manovrata: alla fine, furono 7.800 i proiettili caduti sulla fortezza per circa 6.500 chilogrammi di esplosivo. Anzi, furono piuttosto gli assediati a condurre un' azione militare di qualche rilievo, fomentando atti di guerriglia nei paesi vicini e cercando di opporsi, dove si poteva, al plebiscito per l' unità italiana il 21 febbraio. Si riuscì pure a tenere qualche rapporto con Gaeta, d' onde giunsero lodi e incoraggiamenti, mentre il capitano Giuseppe Giovene, già capo della gendarmeria, fu promosso colonnello e sopravanzò l' Ascione, promosso solo a tenente colonnello. Intanto, la caduta di Gaeta e, il 13 marzo, quella della cittadella di Messina toglievano sempre più ragione a quella resistenza. Gli ultimi giorni furono piuttosto convulsi. Anche da parte del decaduto Francesco II giunse, tramite il generale Giovan Battista Della Rocca, l' invito agli assediati a deporre le armi, ma nella fortezza non tutti lo accolsero. Per la difesa di Gaeta e di Messina erano state opera di forze armate regolari ed erano state tenute sul piano strettamente militare. A Civitella la guarnigione operò insieme a molti civili e in rapporto con bande e legittimisti delle zone contigue. In questo senso la resistenza di Civitella è più importante, in quanto preluse a ciò che nel Mezzogiorno accadde nei seguenti cinque anni di guerra contro il brigantaggio e il borbonismo superstite, in un connubio non sempre chiaro, ma indubbio, fra loro. Finalmente, l' Ascione poté, però, stipulare la resa e il 20 marzo i bersaglieri entrarono in Civitella. Quel che seguì non fu un modello di comportamento liberale. Alcuni dei resistenti furono giustiziati, altri furono incarcerati ed ebbero varie sorti. La storica fortezza di Civitella, che risaliva al 1574, fu minata e fatta in gran parte crollare, danneggiando anche le mura angioine della città. Intanto, il Regno d' Italia, proclamato tre giorni prima della resa di Civitella, muoveva i suoi primi difficilissimi passi. Nel 1866 vi fu la sua prima prova bellica, in alleanza con la Prussia, con la sfortunata guerra contro l' Austria. Ma i piemontisi che derisero un grande esercito, certamente non erano meglio dei loro nemici, tanto che il loro alleato Garibaldi ebbe modo di lamentarsi sui suoi volontari piemontesi:
"E' difficilissimo perfino insegnare ai piemontesi a distinguere la destra dalla sinistra. Sul campo di battaglia mi hanno fatto perdere molti bravi soldati calabresi e reggiani, e romani e genovesi, e friulani e veneti e piemontesi stessi, proprio perché, ordinando di attaccare a sinistra, i comandanti, che erano tutti piemontesi e raccomandati, facevano avanzare le truppe del lato opposto!" (Giuseppe Garibaldi)


Fonte:
 
Un Popolo distrutto