La Civiltà Cattolica, anno XX, serie VII, vol. VIII (fasc. 469, 18 sett. 1869) Roma 1869, pag. 5-19.
R. P. Matteo Liberatore d.C.d.G
RIPUGNANZA DEL CONCETTO DI CATTOLICO LIBERALE
Noi abbiamo detto più volte che l'unione dell'idea di cattolico con quella di liberale era un accozzamento non solo bizzarro e mostruoso, ma del tutto ripugnante. Giova tornare sopra un tal punto, per rimuovere sempre più un errore, il quale tenderebbe a introdurre il nemico nelle nostre stesse trincee; di che nulla è più esiziale ad un esercito in tempo di guerra.Il Liberalismo non è un sistema politico, inteso a conseguir più o meno forme libere, nel reggimento civile dei popoli. Se così fosse, non sarebbe un prodotto moderno, in opposizione del medio Evo. Quelli che ci piace di chiamare tempi barbari, erano più gelosi di libertà, che nol sono i presenti, soliti averla continuamente sul labbro, ma di calpestarla nel fatto. Ogni regno in Europa aveva a quei dì la sua costituzione, le sue franchigie, il suo parlamento, e l'Italia in ispecie era costituita in gran parte a popolare governo. Aprite i libri che trattavano di diritto pubblico: non ne troverete pur uno, che esaltasse il dispotismo e non richiedesse temperamenti all'esercizio del supremo potere. Ci contenteremo di citare il solo Bellarmino; il quale nondimeno scriveva quando chiudevasi l'età di mezzo, e i poteri sociali, per influenza del protestantesimo, cominciavano ad essere assorbiti nel principe. Egli dimostra che quantunque fra le semplici forme di Governo la più prestante sia la puramente monarchica; nondimeno, attesa la corruzione dell'umana natura, è più utile all'umano consorzio la forma mista, di monarchia, di aristocrazia e di democrazia. Ex tribus simplicibus formis gubernationis Monarchiam ceteris anteponimus; quamquam propter naturae humanae corruptionem, utiliorem esse censemus hominibus hoc tempore Monarchiam temperatam ex Aristocratia et Democratia, quam simplicem Monarchiam [1]. I temperamenti adunque governativi pel godimento delle libertà civili e politiche, che nella dottrina e nella pratica son cosa antica, non sono ciò che s'intende col nome di Liberalismo, nel senso che suol darglisi ai giorni nostri.
Il Liberalismo, a dir veramente, è un sistema morale applicato agli ordini politici della società. Esso, in rigore parlando, non riguarda le forme di governo, bensì riguarda i principii che debbono regolarne l'azione; o se riguarda le forme, le riguarda in quanto esse valgono ad attuare i principii. E quale è la somma di cotesti principii? L'esclusione d'ogni influenza religiosa dai rapporti sociali; la piena emancipazione della ragion politica dalla rivelazione divina; la libertà assoluta che il potere civile si attribuisce. Questo è ciò, che nel gergo liberalesco si chiama libero Stato; lo Stato non sottoposto a veruna legge che non venga da lui; lo Stato incredulo e senza Dio. Date un'occhiata a ciò che sta accadendo in Italia, in Austria, nella Spagna, dappertutto, dove il Liberalismo è riuscito ad impadronirsi della cosa pubblica; e avrete una prova evidente di quanto affermiamo. Il criterio per determinare la natura d'una cagione sono gli effetti che essa stabilmente produce. Ex fructibus eorum cognoscetis eos. Ciò basta per intendere l'impossibilità di comporre insieme e conciliare Liberalismo e Cattolicismo: e però giustamente nell'ultimo paragrafo del Sillabo è condannata la proposizione: Romanus Pontifex debet cum Liberalismo... se conciliare et componere. Non è possibile l'accordo tra due elementi contrastanti per tal maniera fra loro, che l'uno involga la rimozione dell'altro. Così avviene nel caso presente. L'opera del Cattolicismo è la ristaurazione in Cristo d'ogni cosa, sia che si ritrovi in cielo, sia che sulla terra: Instaurare omnia in Christo, quae in caelis et quae in terra sunt [2]. Il rinnovamento della creatura ragionevole e d'ogni sua pertinenza o relazione, secondo la verità apportataci da Cristo. Redento l'uomo e sollevato allo stato di grazia, la pura natura non può più essere la suprema norma di quanto all'uomo appartiene. E ciò ha luogo altresì rispetto allo Stato sociale; perchè questo non è che un'espansione e un riverbero dell'uomo individuale nei suoi rapporti cogli altri uomini. Io sono alfa ed omega, principio e fine, dice Cristo, nella natura rinnovellata. Da lui dunque prender le mosse e tutto a lui richiamare e sottoporre, è ciò che costituisce il compito della Chiesa. E però la legge evangelica deve reggere e governare non solo l'uomo individuo, ma l'uomo domestico altresì e civile: il matrimonio, la famiglia, l'educazione, la scuola, i tribunali, i Senati, i Gabinetti: i rapporti interni ed esterni delle nazioni debbono essere governati dalle sue massime. In tal modo il regno di Dio è ristabilito sulla terra; a cui l'uomo pel peccato si era fatto ribelle. Se tale è il carattere e la missione del cattolicismo, come è possibile comporlo in lega ed amistà col Liberalismo? L'incredulità e la fede possono informare lo stesso soggetto, ed esser regola delle stesse azioni?
Nè solo è impossibile l'accordo tra il Cattolicismo e il Liberalismo, ma è inevitabile la guerra. Tra due Potenze, che si disputano lo stesso impero, non può esserci che conflitto. È questa la ragione per cui Cristo disse: Non veni pacem mittere, sed gladium [Matth. X, 34. N.d.R.]. Il Cattolicismo vuole nel mondo il regno di Cristo; il Liberalismo il regno dell'uomo. Il Liberalismo costituisce propriamente quello che nel Vangelo si chiama mondo, il quale disconosce Cristo. Ora di questo mondo è predetto che esso odierà la Chiesa: Nolite mirari si odit vos mundus; e l'odio non può non prorompere in atti ostili. Quindi non è da fare le meraviglie, se dappertutto dovunque il Liberalismo sale al potere, non si contenta di escludere la Chiesa dall'ordine sociale, ma tosto le si scaglia contro con feroce persecuzione. La spoglia de' suoi beni, ne lacera e diffonde le membra, l'affligge con ogni sorta di vessazioni, e non permette che goda neppur del conforto del misero Giobbe, a cui il diavolo lasciò almeno libera la favella: Derelicta sunt tantummodo labia circa dentes meos.
Ciò posto, che senso ha la denominazione di cattolici liberali? Se non vogliam dire che essa contenga o una vergogna o un'insidia, siam costretti a dire che essa si assume, senza capirne bene il concetto. E a questa opinione veramente ci conduce il vedere il sofisma, onde coloro che se l'appropriano, cercano di giustificarsi. Essi dicono: Noi siamo cattolici; ma siamo ancor cittadini. Come cittadini possiamo avere un amore e un'aspirazione politica, nel giro degli ordini sociali. Quest'amore e quest'aspirazione è per noi il Liberalismo; nè a ciò contraddice la Chiesa, la quale per sè non riprova nessuna forma legittima di civil reggimento. Come vedete, l'equivoco sta nel credere che qui si tratti di puro meccanismo governativo, di sistema opposto all'autorità assoluta e senza temperamenti. Se così fosse i Governi liberaleschi non ripugnerebbero ad informarsi de' principii evangelici; come non vi ripugnavano gli ordini liberi di altri tempi, sicchè perfino repubbliche, sommamente democratiche, potevano avere a base della loro legge fondamentale la profession di cattolico. Ma la bisogna corre altrimenti. Non nella forma politica, come vedemmo, ma nel principio anticattolico, onde è animato, consiste il moderno liberalismo. Di qui proviene, che qualunque sia l'indifferenza della Chiesa per le diverse forme di civil reggimento, essa non può estendersi mai al Liberalismo, non puro organismo, ma teorica sociale, e teorica anticristiana, figliata dal Protestantesimo.
Dirassi: ma quei Cattolici che professano il Liberalismo, intendono purgarlo dai suoi cattivi principii. Altra volta dimostrammo come ciò non può farsi; non essendo possibile nel linguaggio sociale volgere a senso retto un vocabolo informato universalmente e stabilmente da senso reo. L'equivoco regnerà sempre nel discorso, e dal discorso si rifletterà sull'idea, e dall'idea sull'azione. E così con tutte le buone intenzioni del mondo, cotesti uomini si veggono sempre altalenare tra il bene ed il male, la verità e l'errore.
Senonchè ora vogliamo procedere per altra via; e diciamo: checchè sia dell'intendimento, quanto al fatto i cattolici liberali accettano il Liberalismo secondo il suo principio anticattolico, benchè espresso con parola più mite. E vaglia il vero, non ammettono i cattolici liberali la separazione della Chiesa dallo Stato? La libertà de' culti? L'astenimento, per parte del Governo, da coercizione a protezion della Chiesa? Or che altro è ciò se non accettare sott'altro vocabolo il principio liberalesco dello Stato ateo, del rinnegamento politico di Cristo, dell'incredulità applicata alle relazioni sociali? Lo Stato separato dalla Chiesa, vale altrettanto che uno Stato, il quale come tale, non riconosce che sè medesimo. Egli prescinde dalla Fede, prescinde dal Vangelo, prescinde dall'autorità e dai Canoni della Chiesa. Fa le sue leggi indipendentemente da tutto ciò, e indipendentemente da tutto ciò ne esige l'osservanza. Questo solo è bastevole per capire la convenienza d'un tal sistema con l'apostasia da Cristo, che notavamo più sopra, e la lotta inevitabile che dovrà seguirne, con chi ha missione di sostenere nell'umana società i diritti di esso Cristo.
Sopra questo argomento abbiamo sott'occhio un magnifico discorso di un illustre oratore francese, il cui assunto in particolare è appunto di mettere in mostra la necessità dell'unione delle due spade, quella della verità, maneggiata dalla Chiesa, e quella della forza materiale, maneggiata dallo Stato; inquantochè posta quest'unione, colla repressione degli empii è assicurata la pace e la salute dei popoli; e per contrario rotta che sia, non può fare che la Chiesa non sia perseguitata ed oppressi i fedeli. Tanta è l'evidenza delle pruove, con cui il detto assunto è dimostrato, e così fatta l'efficacia dell'argomentazione ond'è inculcato, che noi non sappiamo resistere al desiderio di offrirne ai nostri lettori un saggio di larghi tratti. Ed anzi, se dobbiam confessare tutta intera la verità, una delle ragioni che ci ha fatto tornare sopra questo soggetto, è stata appunto di far conoscere in Italia un autore che ha saputo trattarlo, entro i termini di un breve discorso, con tanta forza e pienezza. Niuno dunque si meravigli, se questa volta abbonderemo, più che non è il nostro uso, in citazioni.
«Unite, egli dice, le due forze (quella della Chiesa e quella dello Stato): esse operano l'opera di Dio nella giustizia e nella pace. Allora la spada materiale non ha mestieri di coprirsi di sangue. Essa brilla nella mano dei Re come un'arma sensibile, che tiene in rispetto gli empii e permette alla verità religiosa d'operare senza scossa la trasformazione morale della società. Separate le due spade, bastano ancora; poichè s'ingaggiano bentosto in una lotta sanguinosa, e fanno cadere dappertutto una messe di martiri; feconda semenza di nuovi cristiani. Tal è la ragione d'essere di questo fatto misterioso. La separazione della Chiesa e dello Stato produce sempre il martirio, e la famosa massima: Libera Chiesa in libero Stato, è una formola menzognera, che convien tradurre in queste parole: Chiesa perseguitata in Stato persecutore; Chiesa piena di martiri in Stato pieno di carnefici [3].» Quindi ripiglia: «Per conseguenza della corruzion naturale noi ci troviamo di fronte ad un dilemma terribile, che S. Agostino esprime in questi termini: Semper mali persecuti sunt bonos, et boni persecuti sunt malos. Sempre i cattivi han perseguitato i buoni, e i buoni han perseguitato i cattivi [4]. Ma aggiunge il S. Dottore: La persecuzione esercitata dai cattivi è ingiusta, è disastrosa, è crudele, siccome quella che viene ispirata dalla passione. Per contrario, la persecuzione, che i buoni esercitano contro i cattivi, è un atto di saggia prudenza; essa si fa secondo la legge; essa è sempre accompagnata da moderazione, perciocchè è ispirata dalla carità [5].
«Di queste due persecuzioni conviene scegliere l'una; giacchè il dilemma è inevitabile. Voi non volete che lo Stato dia mano alla Chiesa per esercitare una repressione qualunque? Sia. Facciamo la separazione che voi desiderate. In pochi giorni la persecuzione degli empii prenderà proporzioni sì grandi, che la Chiesa, tutta intera, si troverà nella necessità del martirio..... Da diciotto secoli l'istoria ci porge ogni dì una pruova novella di questa mia proposizione. Ma questo non è il luogo nè il tempo di tessere sì fatta storia; e d'altra parte, io ho una pruova più concludente da offrirvi.
«Quando un fatto si ripete dappertutto e sempre, nelle stesse circostanze, esso obbedisce a una legge, che è la ragione del suo essere. La legge, nel caso presente, è quella del martirio, che mi piace di studiare con voi. Questa legge io la trovo nel cuore dell'uomo. Il martirio infatti è frutto dell'odio e dell'amore.
«Da prima, esso è frutto dell'odio. La vera empietà è di sua natura odiatrice. La sua sete non si estingue che col sangue. Gli empii cominciano l'assalto colla menzogna; alla menzogna aggiungono ben presto le ingiurie; dopo l'ingiuria, snudano il ferro, e chieggono alla forza brutale ciò che non possono ottenere colla violenza della parola. Gettate uno sguardo di là dalle Alpi; vedete le camice rosse degli avventurieri, armati contro il Pontefice romano. Quel colore solo non vi dice abbastanza ciò che vogliono così fatti uomini? Del resto, il capobanda che li comanda, lo proclama ben alto: a lui fa mestieri il sangue dei preti; egli non iscrive una linea senza esprimere questo orribile desiderio in un orribile linguaggio. Ecco il cuore degli empii!
«Per compiere questi barbari disegni, l'empietà ha bisogno del concorso dei Governi. Dunque i settarii si mettono all'opera: essi dimandano la separazione della Chiesa dallo Stato. Fa d'uopo che i Re la rompano con noi, per legarsi con loro: fa d'uopo che escano dai nostri templi, per entrare nelle loro società segrete: essi debbono cessare d'essere cristiani, per divenir frammassoni. Così, io l'affermo senza esitare, i Governi, che ritirano dalla Chiesa la loro amistà, giungono per fatale necessità a perseguitarla. Indarno essi cercheranno di osservare una perfetta indifferenza tra la verità e l'errore. Si vuole oggigiorno che lo Stato non abbia nessuna religione, e che posto in mezzo a tutti i culti, non inchini da nessun lato. Questo sistema d'equilibrio è una chimera. Se la religione non fosse che una sterile scienza, nascosta nei libri, i Governi potrebbero lasciarla dormire. Ma la religione è cosa vivente, la quale agita lo spirito e passiona il cuore. È Dio, Dio stesso, manifestante la sua presenza in seno dell'umanità con impressioni irresistibili. Non è in poter di niuno di strappar Dio dalla coscienza e seppellirlo in un feretro. Sempre la creatura si troverà in faccia del suo Creatore, e converrà che essa scelga tra l'amore e l'odio, tra l'adorazione e la rivolta. Gli uomini di Governo soggiaceranno a questa legge, come gl'infimi dei loro sudditi. Si vedrà verificata in essi la parola di nostro Signore: Qui non est mecum, contra me est. Chi non è meco, è contro di me [6].»
L'Autore passa poscia a parlare dell'altro elemento produttore del martirio, cioè dell'amore. A parlar più propriamente, l'odio di cui si è ragionato, non produce che dei carnefici; il solo amore di Dio e dei prossimo produce il martirio. Esso è necessaria conseguenza d'una condizione politica, in cui il ministero sacro è lasciato senza difesa. Il banditore evangelico non trova altro mezzo per fare accettare dai popoli la sua parola, che offrire a confermazione di quella il proprio sangue. Senza ciò, essa resta soffocata dalle calunnie degli empii. Facciamo anche qui parlare il nostro eloquente oratore.
«L'insegnamento cattolico, così egli, ha manifestato al mondo le grandezze di Dio, esso ha aperto ai popoli le vie della civiltà, alle anime il cammino del cielo. Così la carità non saprebbe fare niente di più grande, che propagare questa dottrina. È questa l'opera, che testimonii generosi degni d'essere creduti, intraprendono. Essi divengono Padri della fede, e soli possono farla nascere nei cuori. Ci ha una scienza religiosa, retaggio di alcune intelligenze elette, ed anche sì fatte intelligenze debbono cominciare dalla fede, cioè dall'accettazione d'un testimonio. Quanto alla moltitudine, essa non potrà mai acquistare una tale scienza. Istruitela quanto volete; noi non dimandiamo nulla di meglio: il maggior beneficio è per noi, e voi alleggerite d'assai il nostro peso; perciocchè nella propagazione dell'insegnamento religioso noi non troviamo niente di più arido che d'avere a catechizzare animi incolti. Istruite dunque il popolo; ma voi non lo renderete giammai capace di penetrare nella profondità della teologia. Egli dovrà sempre ascoltare e credere ai testimonii, incaricati egualmente d'insegnare ai savii e agl'ignoranti le verità rivelate dalla bontà divina. Il primo testimonio è Dio, cioè, Gesù Cristo . — Io son venuto, diceva egli a Pilato, per rendere testimonianza alla verità [7]. — Gli Apostoli lo furono dopo lui. Gesù avea detto loro: — Voi sarete miei, testimonii in Gerusalemme, nella Giudea e nel mondo intero [8]. — Così è stato in tutti i tempi. Ci ha presentemente un sacerdozio, il cui Capo è in Roma, e i membri dappertutto, un sacerdozio che corre da S. Pietro a Pio IX, e che attesta dinanzi al popolo la verità della fede cattolica.
«Non si crede al testimonio, che in virtù del suo valor personale. È egli dotto di tale scienza, che gl'impedisca d'ingannarsi? È egli sincero di quella sincerità che procede da una grande virtù? E se egli parla a nome di Dio, porta egli seco qualche segno della sua missione divina? A queste condizioni egli sarà creduto sulla parola; se queste condizioni gli mancano, si rifiuta la sua testimonianza.
«Or un testimonio può possedere tutte queste condizioni in maniera luminosa; egli può avere la scienza, la santità, la potenza del miracolo; e nondimeno, dovendo egli presentarsi alla moltitudine, se egli è abbandonato senza resistenza alla calunnia, la moltitudine non vedrà nulla in lui delle qualità che possiede, e sconoscendo il suo carattere respingerà la sua dottrina. Allora che resta a cotesto testimonio, per aprire gli occhi ad un popolo traviato? Gli resterà l'argomento supremo del martirio. Voi rigettate la testimonianza della scienza, della virtù, del miracolo. Ebbene; io vi darò la testimonianza del sangue; io vado a morire per la verità. La mia morte sarà più eloquente della mia vita, e voi cesserete d'essere increduli alla dottrina della salute [9].»
Il valente Oratore ne reca in prova l'esempio stesso di Gesù Cristo. «Io ho, prosiegue egli, una prova senza replica per dimostrare queste proposizioni, in modo perentorio. Io ho l'esempio di nostro Signor Gesù Cristo. Contempliamo alcun poco questo augusto testimonio delle verità eterne. Egli apparve sulla terra circondato di nemici. Gli Scribi e i Farisei, occupati ad osservarlo con occhio geloso, lo laceravano senza posa davanti al popolo, snaturando le sue parole e le sue azioni. Non vi avea Governo per chiudere la bocca ai calunniatori: il potere civile apparteneva a Pilato, il quale si lavava le mani di tutto ciò. Non era questa la piena separazione appunto della Chiesa dallo Stato? Libera Chiesa in libero Stato? Gesù Cristo fu libero di predicare, durante tre anni; ed egli si valse largamente di questa libertà, predicando tutti i giorni, dovunque e ad ogni classe di persone. Vediamo un poco il frutto di questo sistema. Se la verità non ha bisogno d'alcun presidio umano per giungere fino al popolo, noi siamo per ammirarne il trionfo; giacchè è la verità eterna, la verità incarnata nel Figlio di Maria che viene a parlare ai Giudei.
«Egli ci ha da prima in Gesù un'eloquenza incomparabile, che getta nello stupore la folla. I satelliti inviati per catturarlo, s'arrestano vinti dall'incantesimo delle sue parole: essi esclamano: — Non mai uomo ha parlato, come quest'uomo [10]. — E nondimeno il popolo ricusa di convertirsi: di che Gesù si lamenta per bocca d'Isaia con profonda tristezza. — Io ho parlato, egli dice, colla voce e col gesto, durante gl'interi giorni, a questo popolo, il quale ricusa di credermi e non cessa di contraddirmi [11]. —
«Qual santità agguagliò giammai la santità del Figliuolo di Dio? Ebbene! Ingannato dalla calunnia il popolo non aveva molta fiducia nella sua virtù. Cristo medesimo cel fa sapere. — Giovanni Battista, egli dice, si presentò a questo popolo, osservando il più rigoroso digiuno, ed essi dissero di lui: È un pazzo, posseduto dal diavolo. Si presenta il Figliuol dell'uomo, mangiando e bevendo come gli altri; ed essi dissero: È un ghiottone, che non ama che il vino e far buona cera [12]. —
«I miracoli almeno avrebbero dovuto guadagnargli la fede del popolo. Gesù non li risparmiò punto; e tuttavia essi rimasero inutili. I Farisei l'accusavano di farli in nome di Belzebù, e il popolo credeva questa stupida calunnia.
«Ecco dunque il Figliuol di Dio, dante al popolo inutilmente, per lo spazio di tre anni, la testimonianza della scienza, della santità, dei miracoli. Alcuni discepoli solamente, e dodici Apostoli accolgono la sua dottrina e si stringono a lui, ma sì debolmente, che l'uno tra essi lo tradisce per trenta denari, e tutti gli altri lo abbandonano nel momento della prova.
«Che farà dunque Gesù per trionfare delle intelligenze ribelli, le quali rigettano ostinatamente la verità? Ah! gli resta un ultimo argomento, la testimonianza suprema, dinanzi alla quale tutti gli spiriti sinceri cadranno in ginocchio. Gli resta la testimonianza del sangue.
«Egli lo sa; e si consola del poco successo delle sue fatiche pel successo futuro del suo martirio. — Quando io sarò sospeso alla croce, egli dice, tirerò a me tutti i cuori [13]. — A lui tarda l'arrivo di questo momento solenne. Questa morte crudele egli la chiama battesimo. Il battesimo è una professione di fede; vi si prende l'obbligo d'esser testimonio della verità cattolica. Ebbene il battesimo di Gesù è il martirio. — Io debbo essere battezzato d'un battesimo di sangue; e quanto tarda a me, che si compia così la mia testimonianza [14]. — Non solo egli desidera questa morte; egli la cerca. L'amore pel povero popolo lo sorprende d'una santa collera contro gli empii che ingannavano le anime: egli si volge ai Farisei; strappa loro violentemente la maschera; li chiama ipocriti, sepolcri imbiancati, serpenti, razza di vipere [15]. Egli, se così è lecito esprimermi, non risparmia nulla per sospingerli in certa guisa al termine, per menarli sulla palestra del martirio, per forzarli quasi a prendere la spada di ferro, a fine di misurarla sulla croce colla spada della verità. Egli giunge finalmente all'appagamento di questo desiderio. Egli muore, e la sua morte diviene il principio della vita delle anime. Le conversioni cominciano sul Calvario, per non più arrestarsi. D'oggi innanzi tutti i Martiri porteranno questi frutti di salute. Questa sarà la gran legge della misericordia divina sopra i popoli disviati; legge invariabile, che Tertulliano, dopo due secoli di persecuzione, espresse con queste belle parole: Il sangue de' martiri è il seme de' cristiani [16].»
Sul finire del suo ragionamento l'Oratore si muove la dimanda, se siamo ora in tempo di pace o di guerra; e soggiugne: «Io rispondo che, i Governi non proteggendo più la Chiesa, noi siamo in tempo di guerra. Allorchè la Chiesa, protesta contro la calunnia, è circondata d'un giusto rispetto, è per essa il tempo d'una dolce carità. I cristiani allora non debbono aver nel cuore e sulle labbra, che parole di tenerezza. Non avendo nulla a temere per la fede del popolo dai tentativi dei loro nemici, essi debbono mostrarsi magnanimi, scusandoli molto e perdonandoli anche più. Ma allorchè la Chiesa è abbandonata senza difesa alle violenze de' calunniatori, ella si trova nella condizione di Gesù, e per conseguenza ella è obbligata ad agire e parlar come lui. Ella dee dire come il Figliuolo di Dio: Io non son venuto a recar la pace, ma la spada. Tener un'altra condotta, aver un altro linguaggio si è dar prova d'insipienza e di viltà. È viltà da parte di quei cristiani mondani, i quali vogliono goder della vita, andare a teatri e a danze, gustare un paradiso quaggiù, aspettandone un altro nel cielo, e però dimandano la pace a qualunque prezzo. È insipienza da parte di quei cristiani generosi, i quali vogliono la salute delle anime e il trionfo della Chiesa, e sperano ottenerlo per via di conciliazione. No; le anime si perdono, la Chiesa stessa si perderebbe, se ella cessasse di combattere quando i suoi nemici trionfano. Ella non ha il diritto d'accettare una pace vergognosa. Spetta a lei il dettare da vincitrice le condizioni della pace. Ella ha in mano l'onor di Dio, la salute delle anime, la libertà del mondo. Tutto questo è fatto il vessillo di Gesù Cristo. Finchè un tal vessillo è insultato, il cristiano dee sostenere la battaglia colla risoluzione di lasciarvi la vita.
«Ah! voi vi fidate nella forza della verità, e non volete nè lotte violente, nè protezione di Stato. Ebbene il Papa san Felice III v'insegna che la verità, quando non è difesa, è oppressa. Ella soggiace necessariamente alla stessa sorte de' suoi testimonii. Se essi cadono sotto i colpi della calunnia, ella altresì cade con loro. Come non temete voi questa sorte miseranda? L'audacia degli empii non ci spaventa punto. Ma per qual prodigio sareste voi più felice, che Gesù Cristo? Che? Il Figliuolo di Dio, colla sua sapienza infinita e i suoi miracoli, la sua santità; il Figliuol di Dio per essere stato bersaglio dei calunniatori, non ha potuto convertire il popolo; e voi sperate, per essere gli uomini della conciliazione, voi sperate che i popoli moderni, ingannati da menzogne più accanite e più artificiose di quelle de' Farisei, riconoscano nondimeno la vostra scienza e i vostri meriti e tornino alla fede! Ah! i fatti preparano alle vostre illusioni amari disinganni [17].»
E qui faremo fine, ricordando, a confermazione delle cose discorse, quello che abbiamo veduto ultimamente per le calunnie sparse dagli empii sopra il fatto della monaca di Cracovia. Quante bestemmie, quanti insulti alla religione non si sono sparsi a voce e in iscritto, e quanto dispregio gettato sulla professione santissima dei consigli evangelici! Aizzate le plebi contro le spose di Cristo e i sacerdoti di Dio, messe le violente mani sopra cose e luoghi e persone sacre; violate le leggi canoniche; pervertito il senso morale del popolo con sacrileghe rappresentanze; suscitata una furiosa tempesta contro gli Ordini religiosi in generale. Tutto ciò credete voi che poco danno abbia recato all'efficacia del ministero ecclesiastico, alla pratica delle virtù cristiane, alla salute eterna delle anime, al culto di Dio? E donde un sì gran male? Dalla licenza lasciata agli empii, mercè la separazione dello Stato dalla Chiesa, d'imperversare a talento e tutto osare senza ritegno. Indarno le loro calunnie sono state poscia smentite, e i tribunali, benchè sotto l'influenza massonica, sono stati costretti dall'evidenza del vero a scagionare con pubblica sentenza le innocenti vittime della malvagità menzognera. I fatti, di già compiuti, non si ristorarono per questo; e nelle classi popolari la pietà, scossa una volta, difficilmente ripiglia l'antico vigore. Satana sa meglio di noi ciò che conferisce all'adempimento de' suoi disegni. Egli non ispingerebbe i suoi satelliti a promuovere con tanto calore di opere ed artifizio di sofismi il divorzio della Chiesa dallo Stato, se nol ravvisasse mezzo acconcissimo per isnervare nel fatto l'azione del Cristianesimo e aprirsi libero campo al pervertimento dei popoli. Data balìa all'errore di propalarsi impunemente e al vizio di correre senza freno, viene a formarsi a poco a poco nella società un'atmosfera morale infetta, che si aspira e respira necessariamente da chi vi si trova nel mezzo. Quindi che cosa accade? Quel medesimo che ai corpi circondati da aere pestilenziale. Quelli che sono di valida complessione e possono e sanno valersi di nutrimenti e preservativi opportuni; più o meno probabilmente si manterranno in sanità. Ma gli ammalaticci, i cagionevoli, i dilicati, a cui ogni disagio dà presa al male; e quelli che difettano di mezzi a sodamente sostentarsi e ad adoperar cautele e pronti rimedii; saranno preda senza dubbio del contagio. In tal condizione sono universalmente i popoli. Nè solo le classi basse e più numerose dell'umana convivenza, ma anche le più elevate, nelle quali si trovano sempre moltissimi, a cui manca o la robustezza di spirito, o la volontà o la prudenza per l'uso de' mezzi valevoli a preservarli. Pertanto non vi è mestieri di spirito profetico per predire che, introdotta la separazione dello Stato dalla Chiesa, l'effetto immancabile dovrà esserne un ampliamento di perversione, massime nelle moltitudini, bisognose sempre di protezione e tutela, non meno nell'ordine morale che nel fisico. Di che la perdizione eterna d'un numero sempre maggiore di anime e la decadenza del culto divino è l'effetto proprio e naturale d'un tal sistema.
Laonde la Chiesa, istituita per procurare la gloria di Dio e la salute delle anime, non può non abborrire l'anzidetta separazione; e per contrario il liberalismo, che all'uno e all'altro di quei due fini è avverso, la vuole e la cerca per ogni verso. Oltre a questo guadagno immediato, esso se ne impromette un altro mediato; ed è che spogliata la Chiesa d'ogni umano presidio, egli spera assaltarla poscia ne' suoi stessi recinti e trionfarne; e così dopo averla cacciata dalla società, cacciarla dal mondo. Noi sappiam bene che l'empio divisamento non può avere successo; ma è sempre un gran male dargli di spalla come che sia, con quei pessimi effetti che ne sono inseparabili a danno dei popoli. La Chiesa non può perire; ma ben può perire la fede di questo o quel popolo, di tale o tal parte d'una stessa nazione. Di sì fatta colpa sono per conseguenza partecipi, sino a un certo grado, anche quei cattolici che, per improvvido amore di conciliare l'inconciliabile, si accostano al liberalismo e intendono amalgamarlo col cattolicismo. La lega non può sussistere: e la ragione si è perchè il liberalismo, come dicemmo, non è un sistema puramente politico, ma un sistema politico-morale, diametralmente opposto al cattolicismo. Niuno può professarlo sinceramente, senza accettarne in parte almeno i principii. E così infatti adoperano i cattolici liberali, propugnando ancor essi la separazione della Chiesa e dello Stato. Con ciò si son di già messi in opposizion della Chiesa, la quale ha sempre riprovato e riprova tuttavia cotesta massima, siccome opposta essenzialmente al fine adequato della Chiesa, e sommamente pregiudizievole alla salute delle anime.
Nè per altro cotesti cattolici posson sperare di tenersi a lungo in quella loro professione di liberalismo temperato. Perciocchè dato una volta un primo sdrucciolo sul pendio dell'errore, non può essere se non rovinoso il termine, in cui vassi finalmente a parare. Il liberalismo è come la tisi; consuma l'infermo lentamente, senza che egli se ne risenta; anzi riputandosi non rado volte sano e vivace. E così noi vedemmo molti fervidi cattolici digradare a poco a poco nella sanità de' principii per maligna influenza del Liberalismo, a cui da prima, senza sospetto, appigliaronsi. Un recentissimo esempio ce ne porge l'indirizzo de' cattolici liberali di Coblentz e di Bonn, compilato per l'occasione del prossimo Concilio. Esso scandalizzò tutti i buoni per l'arroganza del fatto e la temerità delle massime che professa e dei desiderii che esprime [18]. Nondimeno vedemmo pubblicamente aderirvi qualcuno, la cui specchiata ortodossia, lo zelo della religione e la pietà cattolica non avrebbero fatto mai sospettare nulla di somigliante. Onde ciò? Perchè alla profession di cattolico avea voluto aggiungere quella di liberale. Un tale innesto è infelice. La buona pianta, a cui vien fatto, non può non restarne viziata, e con meraviglia scorgerà i suoi rami rivestirsi di straniere foglie, e dar frutti non pria creduti: Miraturque novas frondes et non sua poma.
NOTE:
[1] Controver. lib. 1. Tertia Controversia generalis, c. 1.[2] Ad Ephes. I, 10.
[3] L'Union de l'Église et de l'État, ou le martyre par le R. P. Ludovic, Frère Mineur Capucin. Paris 1869.
[4] Epist. 43.
[5] Ivi.
[6] Pag. 19 e seg.
[7] Ioann. XXII, 37.
[8] Act. I, 8.
[9] Pag. 26.
[10] Ioann. VII, 46.
[11] Ad Rom., X, 21.
[12] Matth. XI, 19.
[13] Ioann., XII, 32.
[14] Luc. XII, 50.
[15] Matth. XXVII, 33.
[16] Pag. 24.
[17] Pag. 33.
[18] Vedi il precedente fascicolo della Civiltà Cattolica, pag. 586.