Ad un giorno di distanza dal 194° anniversario della nascita di Francesco V d'Asburgo-Este(1° giugno 1819) , Duca di Modena e Reggio , e a pochi giorni dalla nefasta ricorrenza del suo esilio (11 giugno 1859) , Noi dell'A.L.T.A. vogliamo dedicare a questo grande sovrano una breve biografia.
Primi anni e giovinezza.
Francesco Ferdinando Geminiano nacque a Modena il 1 giugno 1819, in un clima di rinascita socio-culturale dopo l'occupazione napoleonica che , come del resto tutta la penisola italiana, il Ducato Estense subì per lungo tempo. Egli era figlio maggiore del Duca Francesco IV d'Asburgo-Este e della Duchessa Maria Beatrice nata Principessa di Savoia.
Francesco IV di Modena e Maria Beatrice di Savoia
Il padre, Duca di Modena dal 1814 , di grandi principi etici e morali, fervente Cattolico , severo con i perturbatori dell'ordine e amato dai fedeli sudditi, gli impartì un'educazione degna del suo rango , fondata sulla fede Cattolica Apostolica Romana e sull'adempimento dei doveri che ad egli erano stati affidati per grazia di Dio; doveri ai quali non avrebbe potuto rinunciare.
Francesco frequentò anche l'accademia militare di Modena anche se egli non era molto propenso al mestiere delle armi .
Ritratto olio su tela senza cornice di S.A.R. l'Arciduca Francesco, futuro Francesco V di Modena . Indossa una divisa militare (che sembra essere l'uniforme da cadetto della Real Accademia Militare di Modena). |
Francesco Ferdinando Geminiano d'Asburgo-Este in giovane età. |
Nel 1840 , alla morte della madre, la Duchessa Maria Beatrice di Savoia, Francesco divenne legittimo pretendente al Trono d'Inghilterra , Scozia e Irlanda con il nome di Francesco I .
Il 30 marzo 1842 Francesco sposò la Principessa Adelgonda di Baviera, ed in occasione del matrimonio venne eretto l'obelisco che ancora oggi si erge maestoso a Reggio Emilia.
Adelgonda di Baviera. |
L'obelisco eretto per celebrare le nozze di Francesco Ferdinando Geminiano d'Asburgo-Este e Adelgonda di Baviera.
L'ascesa al Trono e gli anni di regno.
Francesco V di Modena. |
L'anno seguente , alla morte di sua cugina la Duchessa di Parma Maria Luigia d'Asburgo-Lorena, il 18 dicembre 1847, annetté ai domini Estensi , secondo le disposizioni del Trattato di Firenze del 1844, la Guastalla , acquisendo quindi il titolo di Duca di Guastalla.
Il Duca Francesco V , pur essendo di carattere più mite del padre Francesco IV, era consapevole che il suo diritto a Regnare era di emanazione divina, ed era per questo che egli si rese conto della necessità di reprimere i moti settari che minacciavano la quiete dei suoi sudditi e la prosperità dello Stato Estense. Egli , come altri Principi italiani, sapeva che il progetto unitario era deleterio e andava a ledere la legittimità e i diritti dei Sovrani d'Italia e dei loro popoli , quindi, presentò il progetto di confederazione italiana capeggiata dall'Austria e scrisse una ponderosa memoria intitolata "Piano per una confederazione austro italica".
Due anni dopo la sua ascesa al Trono la situazione nel Ducato era cambiata: le sette avevano preso piede nei suoi stati e dovette fronteggiare le sollevazioni liberal-settarie che, come del resto successe in tutta l'Europa dilaniata dalle Rivoluzioni massoniche del 1848, si manifestarono anche a Modena, capeggiate dai soliti irriducibili alto borghesi , senza la ben che minima partecipazione popolare, con la richiesta di una costituzione liberale. In un primo momento , per sicurezza, pensò di rispondere con un intervento militare facendo piazzare i cannoni attorno al Palazzo ducale, ma volendo evitare inutili spargimenti di sangue , dopo avere emanato un editto col quale si promettevano moderate riforme e amnistie per i detenuti politici e per gli esuli, nominò una reggenza provvisoria del ducato e con la moglie Aldegonda e lo zio arciduca Ferdinando lasciò Modena dirigendosi a Bolzano. La Reggenza , contaminata da elementi inaffidabili e corrotti, nominò un governo provvisorio presieduto da Giuseppe Malmusi, che trovandosi in difficoltà di fronte al persistere dell'anarchia nella quale il Ducato era stato gettato dalle mire borghesi e settarie, chiamò Carlo Alberto di Savoia-Carignano il quale , non facendosi sfuggire l'occasione di mettere le mani sugli Stati Estensi, inviò a Modena un contingente di soldati e un Commissario straordinario nella persona del conte Ludovico Sauli. Quando i piani del Carignano durante la così detta "Prima guerra d'indipendenza italiana" fallirono, costrinsero i piemontesi ad abbandonare Modena che fu liberata dagli Imperial-Regi . Francesco V ritornò allora a Modena e riprese il legittimo governo del Ducato in modo più autoritario di prima verso quella classe di "signori" che lo avevano tradito.
Francesco V di Modena. |
Nel 1849 il Duca si accinse ad iniziare una profonda riforma legislativa del Ducato, affrontata già dal padre, e che si rivelò una grande opera. Di tutta l’attività legislativa di Francesco V, la codificazione riveste un’importanza assoluta e primaria. I lavori di questa riforma, affidati ad una commissione, durano fino alla seconda metà del 1855 e si chiusero con la stesura di quattro codici, che portarono il Ducato di Modena a livelli di prestigio maggiormente alti , dotandolo di una codificazione completa: la codificazione estense.
La codificazione non esaurì la legislazione di Francesco V. Tra i provvedimenti possiamo ricordare: la proclamazione, 8 agosto 1848, dell’amnistia generale, con esclusione per i capi dei moti e per i colpevoli di delitti comuni; la legge sul reclutamento militare del 3 aprile 1849 e la legge sulla costituzione della milizia di riserva del 10 aprile 1849; la legge del 24 febbraio 1851 con la quale sono stabilite le relazioni tra Stato e Chiesa; il Regolamento di Polizia del 1854, redatto dal Ministero del Buon governo, con l’affidamento della competenza a giudicare e a punire agli stessi organi di polizia al fine di garantire una capacità di intervento rapida, efficace e mirata; la legislazione speciale d'emergenza, per quanto concerne la materia dei delitti contro l’ordine pubblico e contro la stabilità del potere e del sistema politico, compendiata e razionalizzata nel decreto del 4 gennaio 1854, caratterizzata da tecniche di giudizio semplici e giuste. Il 3 marzo 1859, infine, viene promulgato il Codice di Commercio, compilato a cura dei Ministri di Grazia e Giustizia e delle Finanze, che, a seguito dell'usurpazione dello Stato Estense, non solo non entrò in vigore, ma ebbe una pubblicazione solo parziale.
Litografia memoriale della visita di Pio IX a Modena nel 1857. |
La guerra del 1859 , la fedeltà della Brigata Estense , l'usurpazione del Ducato di Modena e l'esilio.
Il Duca di Modena Francesco V D'Asburgo-Este già l'11 Giugno 1858 scriveva al suo ministro Teodoro Bayard De Volo, "io vedo un temporalone formarsi lentamente. La Francia è di giorno in giorno più insolente e provocatoria, l'Inghilterra la vedo una ben infida alleata per chiunque, ma temo più la Francia che altri...". L'esercito del Ducato di Modena alla metà di Gennaio del 1859 contava nelle terre dell'Oltrappennino quattro compagnie: la 4° Dragoni, la 3° d'Artiglieria, e la 11° e 12° Cacciatori, per un totale di 584 uomini. Di essi circa duecento presidiavano Massa, altrettanti Carrara, settanta i forti e le batterie del litorale, mentre i restanti prestavano servizio di gendarmeria nelle varie località. Il comando era tenuto dal Maggiore Messori.
Tenente Colonnello Casoni.
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Le truppe del Duca erano continuamente prese di mira dai rivoltosi, i quali cercavano tra l'altro di provocare la diserzione dei soldati.
"Lettere anonime, e allora e dipoi, dal Sardo, quando lusinghiere, quando minacciose, pervenivano a diversi militari per eccitarli alla defezione ed al tradimento", si legge nel giornale della Reale Ducale Brigata Estense.
I disordini più preoccupanti per i soldati estensi in quel burrascoso inizio dell'anno 1859, accaddero a Sarzana, dove correva voce che dovesse arrivare Garibaldi con seimila uomini e quattrocento cavalli. Francesco V non credeva che stesse veramente per scoppiare una guerra in Italia e definiva "ciarlatanesche millanterie" le voci che ritenevano imminente un attacco sardo. Anche Casoni , che pure guardava con maggiore preoccupazione alla situazione in Lunigiana, giudicava in verità Garibaldi un po' come "il Messia degli Ebrei, sempre aspettato e non ancora arrivato".
Non mancarono comunque le misure precauzionali, come appunto l'aumento delle truppe di guarnigione o le direttive emanate per i casi di sommossa, anche i soldati a disposizione non erano sufficienti.
L'11 Febbraio a vari Ufficiali e sotto Ufficiali vennero fatti pervenire stampati sediziosi, che essi prontamente consegnarono ai loro superiori, mentre nella notte tra il 13 e il 14 Febbraio i sacerdoti Don Giacomo e Don Giovanni Chiari ricevettero scritti e libelli con minacce di morte e dovettero fuggire da Carrara.
Il 16 Febbraio invece un centinaio di rivoltosi armati innalzarono una bandiera tricolore sul monte di Fontia, a pochi passi dal confine estense, in modo che la si potesse scorgere bene da Carrara. Uno di loro varcò poi il confine e si recò dalle truppe estensi chiedendo in tono provocatorio se avrebbero avuto il coraggio di togliere quella bandiera. L'uomo fu immediatamente arrestato e condotto a Carrara, mentre i suoi complici sparavano alcuni colpi sull'esercito estense. Saputo quanto stava accadendo, il Comandante da Carrara mandò quarantacinque uomini, che per quella volta bastarono a mettere in fuga i rivoltosi, il 16 Febbraio 1859 a Sarzana , "ove ormai" scriveva il Casoni, "nessuno che non sia conosciuto dagli emigrati del loro colore, può più andarvi senza pericolo di uscirvi la pelle..." . Vari sudditi estensi a Sarzana rimasero vittima di pestaggi.
Francesco V auspicava un rapido intervento dell'Austria e scriveva al Conte Bayard De Volo il 16 Aprile 1859: " Io già credo e spero che il Piemonte se non altro non accetterà il disarmo e che quindi l'Austria si dichiarerà dégagé dalla difensiva e, dopo un'intimazione al Piemonte , se questo è infruttuosa, farà la guerra , cioè grazie a Dio prenderà l'iniziativa e non starà più a disposizione del Conte Cavour. E veramente ciò è una necessità per noi. Debbo dirle francamente che le mie truppe nell'Oltrappennino non resistono ad ogni maniera di seduzione che s'impiega per corromperle... Ella vede che la cancrena fa progressi, io non voglio incancrenire altri battaglioni che finora sembrano sani , poiché da Modena a Reggio non v'è diserzione... Dunque alla lunga è inevitabile uno scandalo se non si viene a battersi, ed io non potrei più compromettermi, massime nell'Oltrappennino colle mie sole truppe..." .
Intanto anche nel Granducato di Toscana la situazione stava degenerando, agenti piemontesi da tempo erano penetrati clandestinamente nello stato lorenese preparando una serie di finte insurrezioni messe in scena con la complicità dei liberali rivoluzionari Toscani, anche diverse centinaia di Carabinieri appositamente congedati si arruolarono nell'anonimato nelle fila del piccolo esercito Granducale per crearvi disordini .
Fra Piemonte e Toscana , Massa e Carrara rischiavano di diventare una vera e propria trappola per le truppe estensi che le presidiavano. Fu dato quindi ordine di partire: le truppe stanziate a Massa e Carrara abbandonarono quella località nel pomeriggio del 28 Aprile, dopo avere inchiodato le artiglierie del castello e dei forti del litorale e avere distrutto le munizioni, e il 29 giunsero a Fivizzano, dove si ricongiunsero con gli uomini di Casoni. Lo stesso 28 Aprile arrivarono i Commissari Piemontesi: Giusti a Massa e Brizzolari a Carrara, e assunsero il governo. Ad appoggiarli era giunto anche un distaccamento di carabinieri Piemontesi. Venne subito istituita la Guardia Civica e in entrambe le città estensi sventolò il tricolore.
La notizia fu accolta con grande allarme a Modena. Francesco V non sapeva che già un anno prima, nel Luglio del 1858 , al Convegno di Plombières, Cavour e Napoleone III° avevano scelto proprio i territori dell'Oltrappennino del Ducato Estense per provocare deliberatamente quegli incidenti che avrebbero dovuto giustificare agli occhi dell'opinione pubblica l'intervento del Piemonte e della Francia in territorio straniero.
Alle dieci e trenta del 30 Aprile 1859, partiva da Modena la sovrana Adelgonda. Si recava a Mantova,e non avrebbe mai più fatto rientro nei suoi stati. " Questa partenza consigliata dalle gravi circostanze politiche del giorno , riuscì dolorosa a quanti conservavano un resto di sentimenti leali , e che avevano cuore e coscienza": la popolazione "rispettosa e dolente" riempiva il cortile del Palazzo Ducale e la piazza per l'estremo saluto." né è certo esagerato il dire che in quel giorno ed a quella partenza la città intera fu in duolo". Francesco V accompagnò l'amatissima consorte per un breve tratto di strada, poi rientrò in città.
Generale Saccozzi.
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Il primo Maggio giunse la notizia che anche la Duchessa di Parma, Luisa Maria Teresa di Borbone-Francia , aveva dovuto lasciare i suoi Stati, per motivi di sicurezza personali, sempre a causa di insurrezioni architettate da agenti filo-piemontesi infiltrati nelle province Parmensi. Alla Reggenza da lei nominata era stato impedito di esercitare il potere, e il governo era stato presto assunto da un Comitato Nazionale di Parma a nome del Re di Sardegna. Le truppe rimaste fedeli alla Duchessa ristabilirono il legittimo governo Ducale due giorni dopo, ma intanto la notizia produsse grande agitazione nei domini estensi, soprattutto a Reggio , dove si erano riuniti rivoluzionari e liberali a manifestare davanti all'albergo della posta. Il Duca ordinò che venisse inviata a Reggio la 2° divisione del 1° battaglione di linea , forte di trecentoquaranta uomini. Appena entrate in Reggio le truppe sfilarono per la città inneggiando a Francesco V° , poi si radunarono " di moto spontaneo" in Piazza del Duomo dove, dopo aver lanciato "evviva" al Duca di Modena e all'Imperatore d'Austria, passarono "a grida insultanti, e le espressioni più frequenti erano merda e morte, verso il Piemonte, i soldati Piemontesi, il suo Re, all'Italia, alla sua Nazionalità, alla Francia..." . Recita il rapporto compilato sull'accaduto dal Generale Saccozzi: "Gli Ufficiali tentarono di calmare questo bollore, ma non vi riuscirono; la gente fu spaventata e si chiusero le botteghe . Il Maggiore Melotti trovò necessario di far battere la ritirata un quarto d'ora prima del necessario , onde avesse fine questo baccano , che ebbe a continuare anche lungo le strade e fino a che entrarono in Quartiere".
Avendo il Duca mandato rinforzi a Reggio, Modena si ritrovò sguarnita . Francesco V risolse a chiedere aiuto all'Austria, e il 2 Maggio giunse nella capitale estense un battaglione dell'Imperiale Reale Reggimento Fanti Conte Giulay, accolto dal Duca in persona e dal generale Saccozi: "Colla venuta di un battaglione Austriaco potei mettere un cerotto al mio Stato" scriveva Francesco V°.
Il 3 Maggio cominciò a spargersi la voce inquietante che le truppe Piemontesi dalla Toscana volessero entrare in Modena attraverso l'Abetone. Il 7 Maggio il Tenente Colonnello Casoni ricevette una lettera del Generale Sardo Ribotti che lo invitava ad unirsi alle sue truppe , minacciando di costringerlo con la forza a deporre le armi se avesse rifiutato. Ad arte si faceva circolare la voce che le truppe Sarde a Massa e Carrara contassero oltre duemila uomini. I lavori di fortificazione , diretti personalmente dall'Arciduca Massimiliano D'Asburgo-Lorena, si moltiplicarono a Brescello . Erano stati demoliti gli argini e spianato il terreno nei dintorni della piazzaforte , erano state alzate le palizzate e costruite nuove postazioni per l'artiglieria sull'argine del Po.
Francesco V° era comunque ancora fiducioso e cercava anzi di rassicurare il suo Ministro residente a Vienna. Scriveva infatti l'8 Maggio al Conte Bayard De Volo: "Essa si affligge per Massa, ma interroghi qualunque militare e gli chieda se con due compagnie , fra paesi rivoluzionati, vi si può stare, e poi mi dica la loro risposta. Se lasciavo che fossero ivi oppresse e tagliate fuori sacrificavo anche quelle truppe, e Casoni con due sole compagnie non poteva stare a Fivizzano dove è tuttavia ed in buona posizione militare...Rinforzarlo era impossibile avendo da presidiare Modena, Reggio, Brescello. Qui ho ora quattro compagnie mie, sei austriache , e ciò basta, per ora. Sfido a far di più , di difendere più terreno, di agire con più vigore d quello che faccio. Le mie truppe non sono demoralizzate da che v'è la guerra; lo sarebbero state se v'era il Congressi. Ora sono animatissime e fraternizzano cogli Austriaci. Fuor di Massa Carrara ovunque profonda quiete, perfino in Garfagnana, che confina con la Toscana e nella quale vi sono circa venti Dragoni in tutto". L'ottimismo di Francesco V° era destinato ad essere presto deluso. il 10 Maggio il Generale Ulloa, inviato dal governo Piemontese ad assumere il comando dell'esercito in Toscana, aveva diretto le sue forze tra Perretta e l'Abetone. il 17 Maggio aveva ricevuto l'ordine di partire per Livorno il Principe Gerolamo Napoleone , comandante del V° corpo d'armata Francese, con il compito di affrettare lo sgombero dei Ducati. A disposizione del Principe stavano la divisione Uhrich e la brigata di cavalleria Dalmas e La Pèrouse, per un totale di oltre diecimila uomini , che cominciarono a sbarcare a Livorno il 23 Maggio.
Alla notizia che i Francesi avevano cominciato ad invadere la Toscana , Francesco V , per non lasciare le sue fedeli truppe esposte al nemico, ordinò che lasciassero immediatamente l'Oltrappennino. Il Tenente Colonnello Casoni si ritirò sopra a Bagnolo né Monti, lasciando come avanguardia una compagnia al Cerreto. Prima di abbandonare i due piccoli forti in Val di Magra, il sottotenente d'artiglieria Corradini fece inchiodare i pezzi e distruggere le munizioni. Prima di partire da Fivizzano, il Tenente Colonnello Casoni incaricò il Potestà Barbieri di rappresentare il Governo estense e di preoccuparsi soprattutto di curare il mantenimento dell'ordine. Subito dopo il ritiro delle truppe tuttavia le Guardie Nazionali piemontesi si opposero alle autorità nominate dal Duca e imposero in Lunigiana il governo rivoluzionario. Il 22 Maggio le truppe della Garfagnana dovettero ritirarsi sopra Pievepelago e furono mantenuti solo due posti di Dragoni, alla foce delle Radici e a San Pellegrino.
Buona parte degli abitanti dell'Oltappennino non gradì il nuovo stato delle cose. Raccontava Francesco Selmi il 24 Maggio:"Ho trovato il paese morto e zeppo di Duchisti, in specie nella campagna.So che ivano ripetendo fra di loro: Vedremo come andrà a finire! E speravano nel ritorno di Casoni. La sveltezza del Delegato alla Questura e la fermezza di Giusti sventarono due moti reazionari, manipolati da famiglie Duchiste, d'inteligenza coi contadini.Ora, colla ritirata di Casoni, colle altre notizie, non ardiscono più; nondimeno la scorsa Domenica, e non più tardi, alcuni ubriachi del contado gridarono: Viva Francesco V° e strapparono alcuni proclami del Commisario". Scriveva ancora il Selmi a Giuseppe La Farina "...la città di Massa conta buon numero di Duchisti; moltissimi nel contado circostante. In alcune ville, specialmente all'intorno di Massa , in Fosdinovo , in Tendola ed in altri paesucoli, può dirsi che si sopporta per timore la dominazione piemontese, e che ivi le disposizioni sarebbero a pigliare anche le armi contro di noi..." .
Il 26 arrivarono i dipacci telegrafici che portavano la notizia che, all'alba di quel giorno, era passato da Brescello il Duca Roberto I di Borbone-Parma, diretto in Svizzera, accompagnato dal Marchese Malaspina. La Duchessa reggente Luisa Maria Teresa di Borbone-Francia era ancora a Parma, ma i piemontesi avevano già occupato Pontremoli.
Il 31 Maggio il Ministro estense Conte Forni , scriveva al Ministro residente a Vienna , Conte De Volo: "Quanto a noi ecco cosa sappiamo. In Toscana si concentra il corpo del Principe Napoleone, che unanimemente si dice diretto per la via dell'Abetone a Modena, per agire poi sopra Piacenza prendendo così di fianco gli Austriaci. A Firenze deve esso Principe Napoleone essere arrivato soltanto ieri, mentre fino dal 23 giunse a Livorno. Il 29 poi alcuni ufficiali Francesi verso il mezzogiorno arrivarono in carrozza all'Abetone, e fra essi vi era un Borghese, che molti pretendono potesse essere lo stesso Principe Napoleone" .
Il 1 Giugno , alla notizia che i Francesi rinforzavano le truppe nemiche sull'Abetone , Francesco V° decise di inviare truppe da Modena, passandole in rassegna il giorno successivo con un ordine del giorno che suscitò fra i soldati entusiastiche acclamazioni:
Francesco V di Modena. |
"Il nemico minaccia di penetrare nel Nostro Stato dal lato dell’Abetone, ove ha spinto la sua avanguardia.
"Il 1° battaglione del reggimento di linea con una sezione d’artiglieria e un distaccamento di dragoni a cavallo avrà l’onore di affrontarlo pel primo, ov’egli si avanza.
"Soldati! Voi meritate fin d’ora la mia fiducia, ed aspetto che in quest’occasione non smentirete le qualità che fanno il vero soldato, cioè valore unito alla fermezza, ed inconcussa fedeltà al giuramento e alle vostre bandiere. Voi formerete l’estrema avanguardia di un corpo che fra pochi giorni vi sosterrà efficacemente in queste pianure, e che sarebbe, se verrà il caso, testimonio della vostra bravura, della vostra fedeltà e della vostra disciplina. Io voglio che siano i soldati estensi che affrontino pei primi lo straniero invasore del Nostro territorio che è pure Nostra e vostra patria. Esso sarà forse preceduto da masnade rivoluzionarie. Se pur doveste ripiegare in buon ordine dinanzi al primo, permetterò che non si contino i secondi, dei quali vi lascerò fare buona giustizia.
"Modena, 2 giugno 1859.
"Francesco."
Guidate dal Colonnello Foghieri le truppe si misero in marcia verso la montagna e giunsero a Pavullo a mezzogiorno del 3 Giugno.
Colonnello Foghieri.
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Il 5 Giugno il battaglione Giulay era sulla strada del Frignano , un altro battaglione Austriaco era diretto a Reggio e il giorno successivo una compagnia avanzava fino a Puianello. Tutto ciò aveva trasmesso alla maggioranza fedele della popolazione "le più lusinghiere speranze" che tuttavia vennero presto disattese dalla tragica notizia della sanguinosa battaglia di Magenta , che fece mutare radicalmente la situazione nello Stato estense e non solo.
Soldati del Ducato di Parma e Piacenza.
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Francesco V venne informato degli avvenimenti di Parma il giorno stesso da un telegramma del Casoni. Il giorno successivo il Duca apprese che, nella notte, le truppe Ducali avevano abbandonato totalmente Parma, per cui il nemico poteva transitare attraverso il Parmense senza essere intercettato: Francesco V comprese così che gli sarebbe stato impossibile rimanere a Modena. Alle cinque del pomeriggio riceveva inoltre dal Quartiere Generale Austriaco l'avviso ufficiale che l'Armata Imperiale si ritirava oltre il Mincio. Le truppe Austriache abbandonavano cioè la città di Modena e lo Stato Estense. Lo sgombero delle Legazioni Pontificie delle Romagne, che erano state oggetto di sovversioni organizzate del tutto simili alle finte insurrezioni prima citate, "era sinonimo della vittoria della rivoluzione in quelle provincie", si legge nel Giornale della Reale Ducale Brigata Estense. Il ritrovarsi privo di supporti militari convinse infatti suo malgrado il Duca a dare ordine di evacuare Modena e Reggio.
"Ogni ulteriore esitazione sarebbe stata inutile e forse fatale", scriveva il Giornale della Reale Ducale Brigata Estense.
Consapevoli di governare un piccolo Stato con un piccolo esercito, da sempre gli Estensi di fronte alla minaccia dell'invasione straniera preferivano ritirarsi dalle loro terre, onde evitare guerre civili o inutili spargimenti di sangue. Il mite Francesco V poi era particolarmente avverso alla guerra e alla violenza, così lasciò spontaneamente il Trono di fronte alla minaccia dell'invasione Piemontese. Qualcuno ritiene che, se non lo avesse fatto , con la fedeltà del popolo estense , sarebbe riuscito a mantenere il potere. E' di questo parere ad esempio Filippo Curletti, l'agente segreto di Cavour che al termine del processo risorgimentale scrisse le sue confessioni, rivelando peraltro vari aspetti oscuri e scandalosi del cosi detto risorgimento. Secondo il Curletti , Francesco V , lasciando le sue terre , avrebbe fatto suo malgrado il gioco del nemico: "Nel mentre che si compivano le rivoluzioni di Firenze e di Parma , Francesco V Duca di Modena , abbandonava i suoi Stati, lasciando così il campo libero ai Zini e ai Carbonieri; maravigliati di un successo così inaspettato. La condotta del Duca in questa occasione è inconcepibile, se non si suppone che egli sia stato ingannato sulla vera situazione delle cose. Io sono convinto , per mia parte, che sarebbe bastato un colpo di fucile per mandare a vuoto la cospirazione di Modena, come del pari quella di Firenze e di Parma".
Nella sera del 10 Giugno, quella che precedeva il momento dell'esilio definitivo, Francesco V si rivolgeva alle sue truppe con un ordine del giorno che le riempì di fervore:
Ordine del giorno
Soldati!
"La campagna prevista da qualche tempo è incominciata. Il vostro Sovrano è colle fedeli sue truppe per dividere con esse la sorte della medesima, e per difendere i diritti suoi più sacri contro l’indegna violenza d’uno straniero conquistatore, e della rivoluzione di cui si fece capo.
Francesco V di Modena. |
"Verrà giorno in cui il mondo vi renderà giustizia esso pure; la vostra coscienza e la parte più onorata della società ve la rendono fin d’ora.
"Soldati! Io confido dunque doppiamente in voi nei presenti giorni, che sono di prova bensì, ma che potranno essere insieme giorni di gloria.
"Cedendo al numero, ci ripiegheremo intanto sul Po, pronti a combattere l’inimico, dove le circostanze l’esigessero, a fianco della fedele e prode I. R. armata austriaca, nostra alleata.
"Accompagnati dai voti di ogni uomo onesto, potremo, a Dio piacendo, in breve riavere il perduto, e voi, dopo sostenute onorate fatiche godere in seno dei vostri della quiete e dell’ordine, al ristabilimento del quale potrete gloriarvi di aver contribuito a costo ancora del vostro sangue.
"Modena, 10 giugno 1859.
"Francesco".
Il giorno successivo , l'11 Giugno 1859 Francesco V all'alba lasciava le terre del Ducato di Modena , quelle terre che gli appartenevano "non tanto per avito legittimo retaggio, quanto assai più perché ne aveva conquistato colla giustizia e coi benefizi l'amore e la gratitudine" . Narrava il funzionario Ducale Raffaele Vaccari: " Il Duca a cavallo vestiva l'uniforme da Generale dè suoi Cacciatori: un cappello guarnito ad oro, ed un gran pennacchio a piume cadenti, nuda la sciabola, con cera aggrondata , burbera, e sdegnosa, l'occhio scintillante per ira, pallido piuttosto che no, e di atti sprezzanti". Era seguito dalle sue fedelissime truppe, oltre tremila soldati che lasciavano a Modena quato possedevano di più caro e prezioso: i beni e la famiglia.
La Brigata Estense fu l'unico fra gli eserciti Italiani(fatta eccezione per la breve parentesi dei soldati Parmensi)a seguire il Sovrano in esilio e lo fece esclusivamente per incondizionato amore verso il Principe e per rispetto dei giuramenti prestati, offrendo un esempio straordinario che meravigliò anche i più accesi antiduchisti. Chi voleva far credere che l'allontanamento dei Sovrani dalle proprie terre avvenisse per volontà popolare, che essi rappresentassero esempio di tirannia da sconfiggere, che i plebisciti organizzati ad arte dai Piemontesi per usurpare i troni agli altri Principi Italiani ritraessero l'effettiva volontà della gente, ebbe nella vicenda delle truppe estensi, la più grande ed esemplare contestazione: "Se ancor si rifletta che a ciò non furono nè violentate nè costrette, ma vi si condussero con generosa e spontaneo entusiasmo; non si può non iscorgere in questa loro abnegazione un plebiscito solenne, assai più splendido e spontaneo di quanti ebbero in seguito a porsi in iscena con menzognero prestigio", scriveva il ministro residente a Vienna Teodoro Bayard De Volo per poi aggiungere: " ... una truppa la quale segue il proprio sovrano non il giorno del trionfo ma in quello della sventura, che rinunzia per lui alle alternative di patria , ed agli affetti di famiglia , che rsiste alle seduzioni dell'usurpatore, che sopporta le ingiustizie dei partiti, che stretta intorno alle sue bandiere tiensi, senza esitare un istante, pronta a qualsiasi evento , non protesta essa forse con tutta l'energia di una fede antica, contro alla vituperevole cedevolezza dei tempi nuovi?" .
La colonna Estense partita da Modena giunse a Carpi alle dieci del mattino. Riportava Francesco V° nel suo diario: "L'11 Giugno lasciai Modena colle mie truppe. Erano appena le cinque del mattino. Alle quattro e mezzo sortendo dal palazzo per la porta verso il Corso Estense v'era poca gente: facchini o dell'infima plebe. L'attitudine era del tutto passiva e tra il malinconico ed il cupo, l'aspetto era come di gente avente ansietà sulla loro sorte avvenire. In campagna parevano i più non comprendere la gravità del momento ed il passaggio, chi sa per quanto tempo, dal potere legittimo ad un governo rivoluzionario ed estero. Però vi erano eccezioni e vidi dei vecchi contadini al vedermi passare stender le mani al celo e piangere dirottamente, uno fra gli altri in Villa Quartirolo, presso Carpi".
Il 12 Giugno, il giorno di Pentecoste, le truppe estensi assistettero alla messa a Carpi, poi ripresero la marcia e sostarono a Novellara per il pasto. All'una lasciarono Novellara e alle quattro arrivarono a Guastalla, dove rimasero per tutto il giorno successivo.
Una colonna formata da una parte della guarnigione di Reggio l'11 Giugno aveva invece raggiunto Brescello, dove era ad attenderla un reggimento Austriaco. Francesco V sperava che il Comando Imperiale non avesse intenzione di abbandonare completamente la riva destra del Po e che fosse possibile tentare una resistenza a Brescello. L'armamento della fortezza era stato recentemente rinforzato e Francesco V contava molto sulla possibilità di resistere nella piazzaforte di Brescello , se non altro per dimostrare all'opinione pubblica che non cedeva alle forze nemiche senza combattere. Il giorno 13 le truppe Austriache vennero però ritirate da Brescello e le truppe Estensi vennero avvisate che due giorni dopo sarebbe stato distrutto il ponte di Borgoforte. Francesco V si vide così costretto ad evacuare Brescello .
Fra Borgoforte e Guastalla la truppa Estense incontrò l'esercito Parmense che si recava a Mantova al seguito della Duchessa Luisa Maria , dove per l'ultima volta sarebbero stati resi gli onori militari alle insegne dei Borbone-Parma.
La Brigata Estense che seguì il Duca in esilio a Mantova era composta precisamente da: 510 uomini del Real corpo Dragoni, 335 uomini del Real corpo Artiglieria, 169 uomini del Real corpo Pionieri, 2453 soldati del Real Reggimento di linea , 156 delle Milizie di riserva. Erano in tutto 3623 uomini, cui si aggiungevano gli Ufficiali dello Stato Maggiore generale, gli Ufficiali dell'Amministrazione militare e dell'Auditorato, i Superiori delle Milizie di riserva, il Comandante, gli Ufficiali e dodici Sottufficiali e comuni del Corpo Trabanti.
Avevano inoltre seguito i Duca : il Generale Conte Luigi Forni, Aiutante Generale Maggiordomo Maggiore; la Guardia Nobile d'Onore: il Conte Giacomo Molza, il Conte Giuseppe Abbati Marescotti , il Conte Ferdinando Galvani , il Marchese Luigi Coccapani Imperiali, il Conte Luigi Alberto Gandini, il Cavallier Carlo Santyan y Velasco , il Conte Scipione Scapinelli , il Nobile Giulio Besini, il Nobile Enrico Borsari. Sulla bandiera della Guardia Nobile d'Onore , il cui nastro era stato intessuto dalle mani della Duchessa Maria Beatrice, campeggiava la scritta: "Onoro e fedeltà".
Anche i Cavalieri della Guardia che scelsero di restare a Modena diedero prova di lealtà e devozione al Duca e quando il governo Sardo costrinse la Guardia Nazionale di Modena al giuramento di fedeltà al Re Vittorio Emanuele II , nessun cavaliere della Guardia Nobile fu visto nelle sue file: " L'Europa accetti nella lunga e ognor durevole esistenza del nobile corpo di cui parlammo , una prova di più per seguire a credere che il Trono degli Estensi a Modena aveva ed avrebbe per base l'amore e la venerazione dei sudditi".
Anche nel Ducato di Modena il popolo prese le armi in pugno per combattere il governo usurpatore, per riottenere la loro indipendenza, e per il loro legittimo sovrano, al grido di: "Viva Francesco V, morte ai liberali".
Cerimonia di scioglimento della Brigata Estense. |
Ultimi anni in esilio.
Francesco V di Modena. |
Francesco V non rinunciò mai ai suoi legittimi diritti e trascorse al fianco della moglie Adelgonda gli ultimi anni della sua vita tra il Castello del Catajo a Battaglia Terme presso Padova e Vienna dove morì il 20 novembre 1875 all'età di cinquantasei anni . Venne sepolto nella Cripta Imperiale della Chiesa dei Cappuccini dove tutt'oggi riposano i suoi resti accanto a quelli dell'amata consorte.
Fonte:
Wikipedia.
In esilio con il Duca - La storia esemplare della Brigata Estense. Elena Bianchini Braglia.
Scritto da:
Redazione A.L.T.A.