Da: Les doctrines romaines sur le libéralisme envisagées dans leur rapports avec le dogme chrétien et avec les besoins des societesmodernes, Paris 1870 pag. 1-19.
Prima di tutto è importante fare chiarezza a vantaggio di quei cattolici che non colgono il legame tra la questione del liberalismo ed il dogma cattolico e che credono seriamente di difendere gli interessi della Chiesa consigliandole di staccarsi, su questo punto, dalla propria tradizione.
I. — Origine del liberalismo.
Per far loro comprendere che s'ingannano, basta ricordar loro la storia recente; ci dicano loro come la dottrina che vorrebbero fosse accettata dalla Chiesa s'è introdotta nel mondo. Lo sanno bene come noi; fino al secolo scorso essa non aveva trovato un solo difensore, nè all'interno del cristianesimo nè in seno al paganesimo. Nel mondo barbaro come in quello civilizzato ci si era sempre accordati a fondare la garanzia delle istituzioni sociali nelle credenze religiose; e Rousseau, quando afferma che nessuno Stato fu mai fondato senza che la religione gli facesse da base, non fa che constatare la testimonianza certissima della storia e riassumere gli insegnamenti dei filosofi pagani, come pure dei dottori cristiani.Quando dunque si è pensato di ripudiare questa costante ed universale persuasione del genere umano? Chi sono quei nuovi saggi che si sono inventati una teoria ignorata o respinta dall'unanime suffragio dei maestri dell'antica saggezza?
Sappiamo bene chi siano questi saggi; sono coloro che, nel secolo scorso, hanno dichiarato a Gesù Cristo ed alla sua Chiesa una guerra mortale e che, per trionfare in questa guerra, intrapresa secondo loro per il trionfo della verità e della giustizia, hanno fatto uso delle più malvagie calunnie e delle più audaci menzogne.
Già quest'origine è assai sospetta, ed i cattolici che oggi si fanno promotori di una dottrina inventata dai nemici più mortali del cattolicesimo hanno veramente bisogno di tutta la generosità del loro cuore per non rendersi conto del grosso rischio che corrono di essere zimbelli di una mistificazione infernale.
II. — Tattica dei primi autori del liberalismo.
Questo timore non può che aggravarsi se, prima di lasciarsi conquistare dalle speciose apparenze del liberalismo, ci si prendesse la pena di studiare, negli scritti dei suoi primi autori, l'empio piano che costoro celano sotto questo aspetto seducente. Tuttavia nulla v'è di più certo: queste persone, le meno liberali e le più intolleranti del mondo quando era in gioco la loro cupidigia o il loro amor proprio, si misero a predicare il liberalismo o, come allora si diceva, la tolleranza in fatto di religione, solo al fine di poter con ciò giungere più sicuramente a distruggere ogni religione. «Écrasons l'infâme!» [Distruggiamo l'infame], tale era il loro motto; e l'infame era per loro la Chiesa di Gesù Cristo. — Ma questo motto era riservato alla loro corrispondenza segreta. All'esterno costoro affettavano verso la religione cristiana ogni forma di rispetto. Era solo per devozione alla dottrina di Gesù Cristo che reclamavano la tolleranza in favore degli errori che attaccavano questa stessa dottrina . «Più siamo legati alla santa religione di Nostro Signore Gesù Cristo, più dobbiamo aborrire l'abominevole uso che si fa della sua legge divina.» Così si esprimeva Voltaire in una lettera destinata ad essere letta dai profani, e proprio nel momento in cui si accordava con d'Alembert per diffondere una delle sue più empie pubblicazioni, il Testamento di Jean Meslier. E d'Alembert era perfettamente d'accordo col suo maestro riguardo al miglior mezzo per ingannare i cristiani: «Sono bambini che non bisogna rendere ostinati, gli scriveva (il 22 febbario 1764)..., a parer mio bisognerebbe trattarli con molta cortesia, dir loro che hanno ragione, che ciò che credono e ciò che predicano è chiaro come il giorno... ma che, data la perversità e la testardaggine umana, è bene permettere a ciascuno di pensare come gli piace.»III. — Abilità di questa tattica.
Di fatto questa tattica, se non si distingue per sincerità, non manca almeno di una certa abilità; si reclamerà la libertà per l'errore fino a che, a forza di menzogne, esso sia riuscito a reclutare un'armata: e non appena avrà dei soldati, si metterà loro in mano le armi dell'intolleranza per perseguitare i discepoli della verità. Ecco il segreto della grande cospirazione dei primi apostoli del liberalismo quale ci è stata rivelata dal corrispondente principale e più intimo confidente dei congiurati. «Tutti i grandi uomini sono stati intolleranti, scrive Grimm, e bisogna esserlo. Se si trova sul proprio cammino un principe bonaccione, occorre predicargli la tolleranza affinchè cada nella trappola, e che il partito distrutto abbia il tempo di risollevarsi e a sua volta di distruggere l'avversario. Così il discorso di Voltaire, che insiste sulla tolleranza, è un discorso fatto ai fessi, o a gente ingannata, o a persone che non hanno alcun interesse nella cosa [1].» Ma il segreto della setta ci è stato consegnato in modo ben più completo ancora dal suo patriarca stesso, nell'opera destinata a fungere da manifesto alla nuova dottrina, cioè nel trattato della Tolleranza, ove afferma che la libertà è dovuta a tutte le opinioni, ma che non può essere accordata alla fede cristiana, designata, secondo l'abitudine costante della setta, col nome di fanatismo. All'inizio del capitolo intitolato: Solo caso in cui l'intolleranza è di diritto umano, egli formula la seguente tesi:«Perchè un governo non abbia il diritto di punire gli errori degli uomini, è necessario che questi errori non siano dei delitti, e sono dei delitti solo quando essi turbano la società; essi turbano la società quando ispirano il fanatismo; è necessario dunque che gli uomini la finiscano di essere fanatici per meritare la tolleranza.» È chiaro: quando certi liberali moderni, una volta giunti al potere, proprio nel momento in cui proclamavano ogni sorta di libertà, si sono permessi di perseguitare i sacerdoti cattolici, di abbattere le chiese e di privare le povere religiose del riparo in cui si erano ritirate per lavorare e pregare in comune, costoro non hanno fatto altro che mostrarsi fedeli al programma tracciato da molto tempo dal loro principale maestro di liberalismo. Ma più questa pratica della scuola è fedele e costante, più ci si stupisce che abbia conservato il potere di ingannare indefinitamente proprio coloro che ogni giorno possono attendersi di diventarne le vittime.IV. — Il liberalismo mira a provocare l'indifferenza, che è più pericolosa dell'ostilità.
Bisogna però ammettere che non tutti gli apostoli del liberalismo nascondono, sotto le loro ipocrite attestazioni di tolleranza, il secondo fine di diventare persecutori; ve ne sono alcuni che sono più sinceri poichè ci offrono di accordare uguali diritti alla verità ed all'errore. Ma si rischierebbe di ingannarsi se si volesse vedere in quest'offerta una prova di una maggior benevolenza nei confronti della religione; può essere invece il risultato di un odio più profondo e più abile. La verità ha di fatto un nemico più mortale dell'errore: è l'indifferenza. Colui che sostiene un'idea erronea con ciò stesso proclama, in una certa misura, i diritti della verità; poichè sforzandosi di far accettare come vera una cosa falsa, suppone come principio evidente che solo la verità ha il diritto di imporsi all'adesione dell'intelligenza. Ma se l'intelligenza giunge in uno stato tale per cui non fa più distinzione tra la verità e l'errore e per cui, mancandogli la forza di affermare o negare qualcosa, si lascia andare alla deriva ove la conduce l'onda del dubbio ed il vento dell'opinione: allora nulla può più salvarla da un completo naufragio: e quel tesoro che è la verità, e che Dio le aveva affidato, è necessariamente inghiottito completamente e senza scampo nell'abisso dell'indifferenza.Non ne dubitiamo: l'imparzialità sfoggiata da un gran numero di partigiani anche sinceri del liberalismo non è altro che il risultato di un simile assoluto disprezzo per la verità; e se essi attribuiscono tanto pregio alle libertà moderne, è perchè le giudicano più atte della stessa persecuzione a provocare definitivamente ed irrimediabilmente il divorzio tra la fede cristiana e le società dell'avvenire. E bisogna ben riconoscere che danno prova in ciò di una conoscenza della natura umana che è mancata ai più feroci persecutori; invece di esporsi alle inevitabili reazioni che provoca la violenza, costoro preferiscono attendere il completo rovesciamento della religione da parte dell'azione, sì più lenta ma anche irresistibile, dell'ambiente sociale. Essi comprendono che l'individuo, potendo nascere e crescere solo all'interno della società, ne subisce inevitabilmente le incessanti influenze; chi non si rende conto, in effetti, quanto pochi siano gli uomini capaci di pensare da sè e di sottrarsi completamente alla tirannia dell'opinione? Basandosi su questa verità esperienziale, molti dei più intelligenti fra i nemici della Chiesa non sono partecipi dell'impazienza dei loro complici più desiderosi di farla finita; essi sperano, e finora gli avvenimenti non hanno smentito le loro speranze, che, ovunque la società si porrà in uno stato di completa indifferenza nei confronti di Gesù Cristo, le masse subiranno inevitabilmente il contagio di questa atmosfera e si staccheranno, poco a poco, dalla religione. La distruzione della regalità sociale di Gesù Cristo rappresenta dunque per costoro il preliminare obbligatorio ed infallibile della totale decadenza della religione; e la tolleranza civile è per essi un mezzo certo, benchè possa essere un po' lento, per giungere alla tolleranza dottrinale, cioè all'indifferenza assoluta.
V. — Opposizione diretta tra il principio del liberalismo ed il dogma cristiano.
Ma non è solamente per la sua origine e per le sue conseguenze pressochè inevitabili che il liberalismo è contrario alla religione di Gesù Cristo, è anche per la sua essenza; non solo esso fornisce ai nemici della Chiesa delle armi per distruggerla, ma l'attacca di per sè nei dogmi più essenziali.Di fatto è sufficiente esaminare questa dottrina nel suo principio per comprendere che essa nega i diritti sovrani di Gesù Cristo quando dichiara che le società temporali sono indipendenti dal di Lui dominio. Secondo questo principio la società civile è meramente terrestre, e non deve occuparsi in nessun modo, nè direttamente nè indirettamente, dei diritti della verità e degli interessi eterni; il suo unico e supremo fine è la felicità temporale dei propri membri, e la ragione è la sua unica fiaccola: Gesù Cristo per questa società è dunque un estraneo. Che egli sia Dio o no, essa non lo sa, non se ne occupa, non è affar suo, ma unicamente affare degli individui; e se un numero più o meno grande dei suoi membri riconosce Gesù Cristo come Figlio di Dio, il potere pubblico non permetterà che si usi la violenza per impedirglielo, proprio come farebbe se altri cittadini volessero riconoscere Maometto come loro profeta.
Questa è la teoria che fa da base alle libertà che la Chiesa non cessa di riprovare in linea di principio, benchè di fatto le possa tollerare in quelle società che hanno cessato di essere cristiane. Pio IX ha espresso nettissimamente questa teoria nell'Enciclica Quanta cura, condannando coloro i quali osano insegnare «che la perfezione dei governi ed il progresso civile esigono assolutamente che la società umana sia costituita e governata senza tener conto della religione, come se non esistesse, o almeno senza fare alcuna differenza tra la vera religione e le false. In più, contrariamente alla dottrina della Scrittura, della Chiesa e dei santi Padri, non temono di affermare che il miglior governo è quello in cui al potere non è riconosciuto l'obbligo di reprimere, con sanzione di pene, i violatori della religione cattolica, se non quando l'ordine pubblico lo richieda.»
Questa dottrina, che Pio IX qualifica come empia ed assurda, sarebbe verità se la regalità di Gesù Cristo fosse perfettamente estranea alla sfera in cui opera la società; ma poichè il Figlio di Dio, facendosi uomo e fondando la sua Chiesa perchè continuasse la sua opera sulla terra, ha voluto aprire alle società, come pure agli individui che le compongono, quest'unica via della perfezione e della salvezza, è evidente che non si può erigere a principio la completa indipendenza delle società civili nei suoi confronti senza rendersi colpevoli di una vera e propria apostasia.
Quindi si deve anche rinunciare ad esaltare come preziose conquiste quelle libertà che Pio IX, come Gregorio XVI, chiama delirio, cioè la libertà assoluta di pensiero, di stampa e di culto.
Che sono in effetti queste libertà? — Esse non hanno nulla in comune con la libertà morale propriamente detta, che la Chiesa non ha mai cessato di difendere contro gli errori che in tutti i secoli ed anche oggi non hanno cessato di attaccarla; non si tratta del diritto di ricercare la verità nell'ambito storico, scientifico, filosofico e perfino nell'ordine religioso: la Chiesa ha incoraggiato l'esercizio di questo diritto più di ogni altra istituzione umana; e le opere dei grandi genii cristiani stanno a dimostrare con quale fiera indipendenza essi hanno saputo profittarne. La libertà che la Chiesa condanna come libertà di perdizioneè invece quella che si arroga il diritto di attaccare la dottrina di Gesù Cristo, di oscurarla col sofisma, di travestirla con la calunnia, di allontanarne le anime per le quali essa è l'unica via di salvezza. Non è forse manifesto che, se Gesù Cristo è capo e re delle società, queste ultime non possono riconoscere ai loro membri il diritto di attaccare la dottrina di questo Re divino e di insultare la sua autorità? Tutto ciò che si può consentir loro è di tollerare, in determinate circostanze, questi attacchi e questi insulti come un male minore che non potrebbe essere combattuto senza comportare disordini ancor maggiori; ma investire queste iniquità della maestà del diritto, e coronarle con l'aureola del progresso, ciò significa evidentemente proclamare decaduto il Dio-Uomo e fondare sull'anticristianesimo tutto l'edificio della società moderna.
La dottrina liberale è dunque realmente la negazione della sovranità sociale di Gesù Cristo. È vero che i liberali cattolici non esprimono questa negazione così nettamente quanto i loro confratelli non cattolici; noi crediamo perfino che ve ne siano assai pochi che, nel caso in cui la questione della regalità sociale di Gesù Cristo fosse loro nettamente posta, esiterebbero a risolverla affermativamente. Abbiamo avuto più di una volta l'occasione di convincerci che il maggior numero di essi non sospettano neppure che le loro teorie li conducono fino alla negazione di questo dogma; vi sono in loro, a questo riguardo, molte più illusioni che errori volontari; ed è per questo che ci pare di soverchia importanza dissipare l'illusione riportando la discussione al suo principio, sul quale non vi può essere, tra cristiani, alcuna divergenza.
Sia questo principio chiaramente ed universalmente ammesso, insieme alle sue conseguenze necessarie, e la Chiesa non penserà nemmeno di impedire a quelli dei suoi figli che sono più legati alle libertà moderne di difenderle come fatto e come conseguenza del nostro stato sociale [2].
Giammai ella impedirà ai vescovi degli Stati Uniti e dell'Inghilterra di rivendicare, come una preziosa conquista, la libertà di cui gode la Religione in quei paesi in cui fu un tempo sottomessa alla più iniqua oppressione; nè saranno da biasimarsi tutti coloro che nelle libertà moderne riconosceranno solo un fatto in rapporto ad un particolare stato della società. Disgraziatamente l'interpretazione più benevolente non può impedirci di notare tutt'altro nelle parole e negli scritti di un certo numero di cattolici liberali; se i più saggi evitano le formule di cui si servono i caporioni del liberalismo anticristiano per erigere le loro teorie in principii assoluti, dimostrano però chiaramente, con tutto il loro linguaggio, che ai loro occhi questi pretesi principii sono tutt'altro che eresie e così, ben lungi dall'unirsi alla condanna della Chiesa, sembrano farle una grande concessione contentandosi di supporre la verità senza affermare questi stessi principii troppo apertamente; e si stupiscono che una connivenza così discreta con l'errore possa scontentare la Chiesa, che tuttavia san Paolo chiama«colonna e fondamento della verità.» Ma l'insistenza e l'apparente severità della Chiesa cesseranno di stupirli quando comprenderanno che si tratta, per lei, di un dogma sul quale non le è permesso di transigere come su quello della stessa divinità del Salvatore.
VI. — Conseguenza di questo modo di porre la questione.
Non è ancora venuto il momento di provare la verità di questo dogma, ma il solo modo di porre la questione dovrebbe già essere sufficiente per aprire gli occhi dei cattolici che credono a questo riguardo di poter seguire un partito opposto a quello loro indicato dal vicario di Gesù Cristo. Noi certo non ammettiamo che, anche nelle questioni di condotta, e soprattutto quando si tratta di interessi generali della Chiesa, sia consentito ad un cattolico di rifiutare la propria obbedienza a colui che Gesù Cristo ha investito della sua suprema autorità; ma anche supponendo che su di ciò fosse possibile farsi delle illusioni, non lo sarebbe certamente su questioni riguardanti il dogma: e però che il dogma sia in questione è certissimo, ed è difficile spiegarsi come dei cattolici illuminati abbiano potuto ingannarsi in ciò.Nella suprema battaglia che la Chiesa sostiene da un secolo sul terreno sociale è in causa il dogma, come lo era nelle lotte contro il paganesimo degli imperatori romani e contro l'arianesimo dei Cesari diBisanzio; è sempre la stessa guerra e sempre lo stesso nemico. L'orgoglio della ragione umana, che non vuole in alcuna maniera sottomettersi al Dio vivente, rifiuta per prima cosa di riconoscere la Sua esistenza e la Sua unità; vinto in questa prima lotta, esso cerca di salvaguardare la propria indipendenza negando la divinità di colui al quale Dio suo Padre ha dato il dominio di tutte le cose; ed ecco che oggi esso pretende di ricuperare tutti i vantaggi perduti nelle sue due prime lotte, privando almeno il Dio-Uomo della sua regalità sociale, appoggio necessario della Sua autorità sulle anime e condizione indispensabile del suo regno universale sull'umanità.
In queste tre battaglie l'Anticristianesimo, per spaventare e sedurre i servi di Gesù Cristo, ha fatto uso delle stesse promesse e delle stesse minacce; si è detto loro che sostenendo con una fermezza troppo assoluta i diritti di Dio essi impedivano il dominio della società umana, e che essi, al contrario, avrebbero tratto ogni sorta di vantaggi da sagge concessioni fatte allo spirito dei tempi; oggi ancora si fa ai cristiani lo stesso discorso, con la differenza che la ricompensa delle concessioni che sono richieste non è più il favore dei Cesari quanto quello dell'opinione, sola potenza sovrana in seno alle società moderne. Ma qualunque cosa si faccia, non si riuscirà nè a spaventarci nè a corromperci; i favori e gli anatemi dell'opinione troveranno tutti i veri cristiani altrettanto inamovibili quanto le promesse e le minacce dei Cesari; e noi difenderemo la sovranità sociale del Dio-Uomo con altrettanta fermezza di quanta ne dimostrarono i cristiani dei primi secoli nel confessare la sua divinità.
[Traduzione: C.S.A.B.]
NOTE:
[1] Corrispondenza di Grimm, lettera del 1 giugno 1772, citata dal conte de Maistre nel preambolo alle Lettere sull'Inquisizione spagnola. Questo brano è stato eliminato dalle ultime edizioni di Grimm.[2] Mons. de Ségur nel suo rimarchevole libro dal titolo: La Libertà si esprime proprio come noi su questo argomento: «Se accettassero le libertà moderne come un fatto che è conseguenza del nostro stato sociale, ma senza erigerlo a principio, sarebbero liberali quanto il Papa e la Chiesa.» (§ XXXVII, pag. 175.)