Fu decisa, quindi, un'azione navale. Una flotta composta di navi di vario tipo e da diverse cannoniere il 22 agosto si schierò su due file di fronte al porto di Tripoli. Verificata l'indisponibilità del bey ad una composizione pacifica della vertenza, il 23 agosto iniziò il cannoneggiamento contro i fortini del porto. L'attacco contnuò per una settimana. Il 28 agosto i tripolini tentarono una sortita, ma furono respinti.
La flotta napoletana si ritirò, ma il problema non era stato risolto: il bey, infatti, continuò ad aggredire le navi mercantili che transitavano nello Jonio e nel canale di Sicilia. Il 27 settembre la "Regina Isabella" ed il "Principe Carlo" intercettarola la "Mabrouka", goletta tripolina con 56 uomini d'equipaggio, la catturarono e la trasportarono nel porto di Trapani. A questo punto, il bey venne a piú miti consigli ed il 28 ottobre 1828 si decise a firmare a diverse condizioni un nuovo trattato di pace.
Ma, non era ancora finita. Il 23 marzo 1833 fu sottoscritto un accordo di reciproca assistenza contro la pirateria con il Regno di Sardegna: fu decisa un'azione navale congiunta contro il bey di Tunisi. L'iniziativa si concluse positivamente il 10 maggio, mentre il 17 novembre veniva sottoscritto a Tunisi un trattato di pace e di amicizia fra il bey ed il Regno delle Due Sicilie. Con quell'accordo si confermava una precedente convenzione, sottoscritta il 17 aprile 1816, in base alla quale la bandiera delle Due Sicilie era considerata come quella della "nazione piú favorita".
L'epoca della pirateria impersonata nei barbareschi del Nord Africa era, ormai, al tramonto. Tuttavia, si ebbe ancora un colpo di coda. Nel 1834, infatti, sorsero nuovi "dissensi" con il Marocco. Materia del contendere: il rispetto della libertà di navigazione nelle acque mediterranee ed atlantiche di quel paese. Si sapeva che il sultano Mulay Abdel Rahman stava armando navi da guerra.
Fu deciso pertanto che un raggruppamento navale delle Due Sicilie effettuasse una "dimostrazione" davanti alle coste marocchine. La divisione composta da una fregata, da una corvetta e da una goletta partí da Napoli il 13 maggio. Il retro ammiraglio Giavan Battista Staiti, giunto a Gibilterra, prese contatto con Mulay Abdel Rahman attraverso il console delle Due Sicilie per sapere se il sultano accettava le proposte del governo di Napoli per il rinnovo del trattato di amicizia. La fregata "Regina Isabella" uscí in Atlantico e costeggiò, verso sud, i litorali marocchine fino a Salè, effettuandovi delle manovre. Poi si ricongiunse con le altre unità della divisione a Cadice.
Il 23 giugno il trattato era sottoscritto dagli emissari del Sultano e dai rappresentanti di Ferdinando II: le basi erano le stesse di un precedente trattato del 1782. Un consolato delle Due Sicilie era aperto a Tangeri, alle navi "dalla Real bandiera napolitana coverte" si riconosceva piena libertà di navigazione ed al Sultano si accordava un donativo di 16.000 colonnati "una tantum".
Da quel momento non si hanno piú notizie di aggressioni da parte di pirati barbareschi contro navi, paesi e beni delle Due Sicilie. Un'epoca si chiude, mentre si profilano i presupposti per la nascita di un'epoca nuova. I prigionieri musulmani catturati durante le incursioni erano stati utilizzati per la costruzione della Reggia di Caserta, cosí come i militari e civili delle Due Sicilie catturati dai barbareschi erano stati venduti come schiavi a Tripoli, a Tunisi o ad Algeri.
Da parte del Regno delle Due Sicilie, però, non c'erano mai stati tentativi di prevaricazione nei confronti dei popoli del Nord Africa: le radici del colonialismo si sarebbero manifestate soltanto all'indomani del 1860 e sarebbero nate in altri contesti, a partire dalle velleità imperialistiche dell'ex garibaldino Francesco Crispi, sensibile esecutore degli interessi della nascente economia industriale "padana": il governo borbonico, per un secolo, si era limitato ad esercitare esclusivamente il proprio diritto alla legittima difesa.
Il suo obiettivo era sempre stato quello di salvaguardare i propri interessi nazionali e commerciali. Strumento privilegiato per il conseguimento di questi scopi era sempre stato quello di stabilire accordi diplomatici con tutti i governi disseminati sulle sponde orientali e meridionali del Mediterraneo: dalla Sublime Porta di Costantinopoli fino al Sultano del Marocco. Suo interesse strategico era sempre stato quello di stabire con tutti gli stati rivieraschi accordi di amicizia e di collaborazione.
Risolti gli spinosi problemi posti dalla pirateria che dominava i mari circostanti il Regno, le Due Sicilie - superata qualsiasi forma di rancore per le negative esperienze del passato - si stavano avviando su una strada del tutto nuova: quella del dialogo, della tolleranza, del rispetto per i diritti umani e dei diritti dei popoli. Non ci sono trattati a dimostrarlo, ma qualcosa di molto piú importante, eloquente e convincente. Alcuni fatti, per la verità, poco noti, che riguardano la vita di Ferdinando II.
Ce ne parla Michele Topa, giornalista e biografo degli ultimi Borboni di Napoli. Uno degli impegni che caratterizzò la vita del penultimo Sovrano delle Due Sicilie fu la lotta contro la tratta degli schiavi. Nessun libro di storia lo dice, ma egli, sin da quando cinse la corona, si occupò di quel problema che lo angosciava ed il 14 febbraio 1838, in una convenzione stipulata con l'Inghilterra e la Francia, assunse con piacere l'impegno ci cooperare, tanto con rilevanti somme di denaro quanto con la forza delle armi, alla lotta per l'abolizione di quel nefando, odioso commercio. Nel Reame introdusse pene severissime contro coloro che avessero esercitato quel turpe mercato.
Un'altra testimonianza che mette in evidenza lo spirito con cui i Borboni si erano posti nei confronti delle popolazioni di colore è costituita dall'accoglimento, nell'ambito della famiglia reale, di due moretti schiavi, donati a Ferdinando II dal generale Paolo Avitabile.
Costui, nativo di Agerola, dopo essere stato ufficiale nell'esercito borbonico era emigrato nel Medio Oriente, dove era divenuto vice re del Peshawar, molto agevolando il commercio con il Regno delle Due Sicilie. Ritornato in patria, offrí al Re i due piccoli mori, che si chiamavano Marghian e Badhig. Ferdinando fece immedietamente liberi i due fanciulli, li tenne al fonte battesimale e fu anche loro padrino di cresima. Al piú grandicello, Marghian, diede il proprio nome. All'altro, quello del principe ereditario Francesco.
Li fece istruire nel collegio dei Gesuiti e successivamente in quello dei Barnabiti. Prima di morire, nel 1859, accordò loro una pensione dalle sue sostanze private. Sia lui che la Regina Maria Teresa, parlando dei due moretti, dicevano 'i nostri figli neri'. Finiti gli studi, Ferdinando Marghian ebbe un'impiego nella biblioteca privata del Sovrano. L'altro, cagionevole di salute, fu affidato al guardarobiere del Re, Gaetano Galizia. Entrambi, diventati adulti, restarono fedeli alla famiglia reale anche nella sventura. Seguirono Francesco II a Capua ed a Gaeta e, dopo la resa della fortezza, nel 1861, a Roma.
I fatti, è noto, parlano piú di tante parole. Ed a questi fatti si affida la conclusione di una storia che era iniziata con il racconto del tentativo dei pirati algerini di catturare, nelle acque del golfo di Napoli, Carlo di Borbone, il restauratore dell'autonomia del Regno delle Due Sicilie, mentre ritornava a casa dopo una battuta di caccia al fagiano nell'isola di Procida. Fatti inoppugnabili che delineano un inizio ed una fine, attraverso cui si chiude un cerchio. Fatti che ci parlano di quello che avrebbe potuto essere il futuro. Anzi, a ben riflettere, di quello che potrebbe ancora essere il futuro.
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