lunedì 26 novembre 2012

La così detta strage di Perugia , scritti a confronto.

Tempo fa abbiamo già trattato le vicende accadute realmente intorno alla così detta "strage di Perugia" del 21 Giugno 1859 che la storiografia ufficiale  ha falsamente fatto passare come un massacro perpetrato dai Soldati Svizzeri al "soldo del Papa".
Ora, desideriamo  mettere a confronto di voi tutti le due versioni, la prima, risorgimentalista , la seconda , papalina:


 










Fonte risorgimentalista:

I soldati passarono sopra queste barricate, presero d'assalto tutte le case ed il convento ove uccisero e ferirono quanti poterono, non eccettuate alcune donne, e procedendo innanzi fecero lo stesso nella Locanda a S. Ercolano, uccisero il proprietario e due addetti, ed erano per fare altrettanto ad una famiglia americana, se un volteggiatore non vi si fosse opposto, ma vi diedero il sacco, lasciando nel lutto e nella miseria la moglie del proprietario e arrecando un danno di circa 2.000 dollari alla famiglia americana.
Fatti simili sono accaduti in tre case, dappoiché il saccheggio ha durato qualche tempo durante il quale tre case sono state incendiate. I soldati vincitori hanno fatto man bassa su tutto quanto loro capitava innanzi.
(da Le stragi di Perugia - L'insulto a Dio, in «La Propaganda» n.461 del 2 luglio 1903.
 
Fonte papalina:
 
La campagna contro l’Austria e i conseguenti moti nelle Legazioni e nell’Italia centrale, portarono il 14 giugno 1859 a costituire anche in Perugia un governo provvisorio.
Ispiratore ne era stato il dittatore sardo a Firenze Carlo Boncompagni su istigazione del marchese Filippo Gualtiero, conviventi un centinaio di novatori locali e l’aiuto di circa 8000 volontari toscani ben armati. La grande maggioranza della popolazione urbana e rurale rimase al solito affatto estranea, ma per la scarsità delle forze dell’ordine l’energico delegato pontificio apostolico mons. Luigi Giordani fu costretto a ritirarsi a Foligno.
Rimase, invece, al suo posto il card. Arcivescovo Gioacchino Pecci, poi papa Leone XIII, che aveva sin dall’aprile precedente ripetutamente avvertito la Segreteria di Stato di quanto s’andava preparando.
Da Foligno, per tempestive istruzioni del card. Antonelli, il Giordani diresse l’opera di sottomissione della città, avvalendosi di 1700 svizzeri comandati dal colonnello Antonio Schmidt, di mezza batteria d’artiglieria, di circa 60 gendarmi e 30 guardie di finanza.
Il consigliere di Stato Luigi Lattanzi, altro prezioso testimonio, persona ben nota in Perugia per la sua dirittura e grata agli stesi novatori, fu invano inviato per impedire, il 20 e 21 giugno, una resistenza inutile. Sicchè, poco dopo le 3 pomeridiane del 21, la città venne presa d’assalto e gli Svizzeri riuscirono a superare le difese esterne del Frontone e del monastero di San Pietro.
Proprio allora il comandante degli insorti, Carlo Bruschi, fuggendo con i colleghi della Giunta provvisoria verso il confine toscano, entrò nell’abitato gridando ad alta voce a coloro che erano appostati sui tetti ed alle finestre delle case di continuare la resistenza sino all’ultimo sangue, sparando e gettando sulla truppa quanto venisse loro alle mani, e ciò proprio mentre sul municipio si alzava bandiera bianca.
Ne nacque una mischia sanguinosa per le vie e nelle case, e ne furono vittime occasionali anche alcuni innocenti. I pontifici in tre ore di lotta ebbero, in gran parte per colpi proditori, circa 90 uomini fuori combattimento; i novatori circa 70 morti, un centinaio di feriti e 120 prigionieri.
Il fatale equivoco del proseguire il fuoco anche dopo il segno di resa, equivoco imputabile esclusivamente ai capi rivoluzionari, cui si aggiunsero i danni materiali subiti, per sua imprudenza, dalla famiglia americana Perkins alloggiata nella locanda Storti dal cui tetto si sparavano sui soldati, venne largamente e tendenziosamente sfruttato dalla diplomazia e dalla stampa liberale italiana ed estera, e le pretese “stragi” di Perugia costituirono per lunghi anni uno dei “pezzi forti” della polemica anticlericale.
(Fonte: Enciclopedia Cattolica, vol. IX, voce Perugia, col. 1256-1257, di Paolo Dalla Torre)
 
Conclusione:



Si evince  la sincerità del documento pontificio  anche dal grande dettaglio che offre delle vicende accadute in quei giorni. Il documento risorgimentalista , invece, è stato steso palesemente per creare danno morale alla controparte  e all'esercito del Governo legittimo ricercando una legittimazione all'atto  Rivoluzionario.
 

Scritto da:

Redazione A.L.T.A.