Era un venerdì mattina di quasi duemila anni fa: si consumava un terribile delitto, un orrendo tradimento: il Deicidio. Era l’inizio della Redenzione cristiana ma per la Sinagoga cominciava un lungo periodo di “erranza” materiale e morale che continua ancora oggi.
E Pilato disse loro: “Ecco l’uomo!”. Al vederlo i sommi sacerdoti e le guardie gridarono: “Crocifiggilo, crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Prendetelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui nessuna colpa”. Gli risposero i Giudei: “Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio”.
All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura ed entrato di nuovo nel pretorio disse a Gesù: “Di dove sei?”. Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: “Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?”. Rispose Gesù: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande”.
Da quel momento Pilato cercava di liberarlo; ma i Giudei gridarono: “Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque infatti si fa re si mette contro Cesare”. Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette nel tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Preparazione della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: “Ecco il vostro re!”. Ma quelli gridarono: “Via, via, crocifiggilo!”. Disse loro Pilato: “Metterò in croce il vostro re?”. (Gv 19, 5-15)
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: “Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!”. E tutto il popolo rispose: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli”. Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso. (Mt 27, 24-26)
Il popolo ebraico era giunto ai tempi dell’Incarnazione a livelli di profondissima aberrazione religiosa e morale: il giudaismo stava toccando gli abissi di una apostasia diffusa, peggiorata se possibile dall’invasione romana. Proliferavano le sette, le fazioni politico-religiose: alla religione, in moltissimi casi, si era sostituito un ritualismo meramente formalistico e autarchico (prima radice di ogni ateismo). Vigeva (in larghi strati della popolazione) un materialismo grossolano, una concezione meramente edonistica dell’esistenza, il crimine politico o religioso come norma, un nazionalismo esasperato a forti tinture religiose: tutto questo non è frutto di un determinismo sociale o morale, ma di progressive libere scelte di singoli, di collettività e di capi di questa collettività. L’Incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità era reperibile dalle Sacre Scritture in modo oggettivo, inequivocabile (quantomeno per i Dottori della Legge): era attesa e temuta. Una piccola parte di Israele invece attendeva con fedeltà la venuta del Messia: primizia di questo “resto d’Israele” era la Santa Vergine.
La nascita di Gesù e la sua vita pubblica sono stati una costante proclamazione in gesti, parole, magistero e atti (miracoli e non solo) della propria regalità sul popolo ebraico e sull’universo tutto: Nostro Signore lo ripetè per tre anni incessantemente al suo popolo. Dio si incarnò per i malati, ma alcuni di questi malati si credevano sani, venne per liberare gli schiavi dal peccato ma alcuni schiavi si ritenevano già liberi: loro, “i figli di Abramo”, non avevano bisogno del Messia, loro bastavano a sé stessi.
La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. (Gv 3, 19-20)
Tutti i passi evangelici in questione mostrano incoercibile il senso di riprovazione e condanna per il popolo ebraico. Oggi gli esegeti neomodernisti storicizzano la Scrittura, ne annullano il carattere rivelato. Invece, dopo aver chiuso gli “occhi della mente”, il Sinedrio ha tentato veramente l’inosabile, l’insperabile: uccidere Dio! A volte, nell’orgoglio e nell’accecamento di una passione si fanno cose con la segreta certezza che falliranno; eppure le si fa lo stesso, si cerca di impugnare la realtà, di eliminarla con un atto disperato ma anche lucido della volontà. E’ una lucida, deliberata follia. Maggiore la consapevolezza nei capi, minore nel popolo, ma comune la colpa: perfidia, ovvero incredulità. Potevano scegliere di non fare il male: come Caino, come Giuda, erano liberi, ma hanno scelto per odio ed accecamento passionale di compiere un male imparagonabile a tutti gli altri mali.
“Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”; “non abbiamo altro re che Cesare” (pur di ottenere lo scopo si misero sotto i piedi anche il loro nazionalismo); “il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli”. Hanno peccato “a occhi aperti” ed hanno scelto Barabba: era l’ultima possibilità che Dio offriva loro, tramite un tremebondo governatore romano. L’hanno rifiutata per seguire sé stessi e la propria volontà autodeificata e sono diventati un popolo oggettivamente “maledetto da Dio”: ovviamente nei singoli questa maledizione è maggiore o minore, a seconda della complicità coeva o posteriore nel delitto, e sparisce con la conversione al Cattolicesimo. Eppure colui che assassinavano, il Messia, sulla croce del supplizio ha pregato per loro, ha pianto per loro e ha offerto loro un’ultima possibilità: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”.
Questa preghiera (come diceva San Tommaso d’Aquino) non toglie nulla alla colpa oggettivamente incommensurabile commessa dalla maggioranza morale del popolo ebraico, ma apre le porte alla conversione dei singoli, nell’arco della storia. Sui giudei che, da primi, sono diventati i peggiori di tutti, Dio riversa anche oggi copiose grazie. Nel corso della storia alcuni hanno aperto gli occhi e la Chiesa li ha accolti come figli amatissimi, ma la maggioranza ha continuato come prima e peggio di prima. Al peggio, infatti, non c’è mai fine. Sotto tutti i profili la colpa storica non può essere riconsiderata, se non impugnando praticamente tutti e quattro i santi Vangeli. Gesù si è incarnato, è morto per la redenzione del genere umano, ha compiuto ogni atto possibile per manifestare la sua messianicità, sapendo che il suo popolo (nella gran parte) l’avrebbe assassinato: il resto è stata la libera scelta di un popolo che si è creduto (e ancora si crede) dio in terra.
“E’ inevitabile che avvengano scandali [e il Deicidio è lo scandalo in assoluto], ma guai a colui per cui avvengono”. Sarebbe stato meglio per loro non essere mai nati. Ma torneranno un giorno, torneranno: saranno loro stessi a bruciare il Talmud, a gettare via i loro pani azzimi, a cessare la trapassata pratica della circoncisione, smetteranno di adorare pietre, come fanno ora. Bruceranno le cose che prima adoravano, adoreranno Colui che prima maledivano. Questo è il vero senso dell’antigiudaismo teologico, praticato da qualsiasi cattolico degno di questo nome.
Piergiorgio Seveso (con la collaborazione di Marco Massignan)
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