martedì 20 novembre 2012

Il vero discorso di San Francesco al sultano


Riportiamo il racconto del dialogo tra San Francesco e il Sultano, tratto dalla Leggenda Maggiore di San Bonaventura da Bagnoregio, nell’edizione Fonti Francescane (Messaggero, Padova 1990). Probabilmente San Francesco arrivò dal Sultano Melek-el-Kamel durante la tregua d’armi tra la fine d’agosto e la fine di settembre del 1219. La figura di San Francesco viene spesso indicata da un certo pacifismo, anche cattolico, come il simbolo della pace. Ma è stato fatto in modo equivoco. La forza di Francesco, infatti, sarebbe il suo spogliarsi di tutto per predicare un generico vangelo dell’amore e della pace, che non avrebbe pretesa di portare l’annuncio della verità che salva e che proprio per questo sarebbe il modello per il dialogo tra popoli e religioni. Ben diverso è il San Francesco che emerge anche da questo racconto, un uomo che proprio la certezza della Fede ricevuta porta a sfidare il feroce Saladino, fino a ingiungergli di convertirsi al cristianesimo se vuole avere salva l’anima.

A tredici anni dalla sua conversione, Francesco partì verso le regioni della Siria, affrontando coraggiosamente molti pericoli, al fine di potersi presentare al cospetto del Sultano di Babilonia. Fra i cristiani e i saraceni era in corso una guerra implacabile: i due eserciti si trovavano accampati vicinissimi, l’uno di fronte all’altro, separati da una striscia di terra, che non si poteva attraversare senza pericolo di morte. Il Sultano aveva emanato un editto crudele: chiunque portasse la testa di un cristiano, avrebbe ricevuto il compenso di un bisante d’oro1.
Ma Francesco, l’intrepido soldato di Cristo, animato dalla speranza di poter realizzare presto il suo sogno, decise di tentare l’impresa, non atterrito dalla paura della morte, ma, anzi, desideroso di affrontarla. Confortandosi nel Signore (1^Sam. 30, 6), pregava fiducioso e ripeteva cantando quella parola del profeta: infatti anche se dovessi camminare in mezzo all’ombra di morte, non temerò alcun male, perché tu sei con me (Salmo 22, 4).
Partì, dunque, prendendo con sé un compagno, che si chiamava Illuminato ed era davvero illuminato e virtuoso. Appena si furono avviati, incontrarono due pecorelle. Il Santo si rallegrò e disse al compagno: «Abbi fiducia nel Signore, fratello, perché si sta realizzando in noi quella parola del Vangelo: “Ecco, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”». Avanzarono ancora e s’imbatterono nelle sentinelle saracene, che, lanciandosi come lupi contro le pecore, catturarono i servi di Dio e, minacciandoli di morte, crudelmente e sprezzantemente li maltrattarono, li coprirono d’ingiurie e di percosse e li incatenarono.
Finalmente, dopo averli malmenati in mille modi e calpestati, per disposizione della Divina Provvidenza, li portarono dal Sultano, come l’uomo di Dio voleva. Quel Prìncipe cominciò a indagare da chi e a quale scopo e a quale titolo erano stati inviati e in che modo erano giunti fin là. Francesco, il Servo di Dio, con cuore intrepido rispose ch’egli era stato inviato non da uomini, ma da Dio Altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo la via della salvezza e annunciare il Vangelo della Verità. E predicò al Sultano il Dio Uno e Trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo, con tanto coraggio, con tanta forza e tanto fervore di spirito, da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo: “Io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere” (Lc.21,15).
Anche il Sultano, infatti, vedendo l’ammirevole fervore di spirito e la virtù dell’uomo di Dio, lo ascoltò volentieri e lo pregava vivamente di restare presso di lui. Ma il Servo di Cristo, illuminato da un oracolo del cielo, gli disse: «Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa». Ma il Sultano, a lui: «Non credo che qualcuno dei miei sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua fede» (egli si era visto, infatti, scomparire immediatamente sotto gli occhi, uno dei suoi sacerdoti, famoso e d’età avanzata, appena udite le parole della sfida).
E il Santo a lui: «Se mi vuoi promettere, a nome tuo e a nome del tuo popolo, che passerete alla religione di Cristo, qualora io esca illeso dal fuoco, entrerò nel fuoco da solo. Se verrò bruciato, ciò venga imputato ai miei peccati; se, invece, la potenza divina mi farà uscire sano e salvo, riconoscerete Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio, come il vero Dio e Signore, Salvatore di tutti» (1^Cor.1, 24; Gv 17, 3 e 4, 42). Ma il Sultano gli rispose che non osava accettare questa sfida, per timore di una sedizione popolare. Tuttavia gli offrì molti doni preziosi; ma l’uomo di Dio, avido non di cose mondane, ma della salvezza delle anime, li disprezzò tutti come fango.
Vedendo quanto perfettamente il Santo disprezzasse le cose del mondo, il Sultano ne fu ammirato e concepì verso di lui devozione ancora maggiore. E, benché non volesse passare alla fede cristiana o forse non osasse, pure pregò devotamente il Servo di Cristo di accettare quei doni per distribuirli ai cristiani poveri e alle chiese, a salvezza dell’anima sua. Ma il Santo, poiché voleva restare libero dal peso del denaro e poiché non vedeva nell’animo del Sultano la radice della vera pietà, non volle assolutamente accondiscendere.
Vedendo, inoltre, che non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno, preammonito da una rivelazione divina, ritornò nei Paesi cristiani.