sabato 3 novembre 2012
La Monarchia Sacra Parte quarta : La Monarchia Sacra e i Concili : Le lettere di convocazione dei Concili
Ecco che cosa scriveva Teodosio II nella lettera con cui convocava i Metropolitani al Concilio di Efeso (3° ecumenico) del 431, sotto il pontificato di Celestino I:
«Il bene del nostro Impero dipende dalla religione. V’è una stretta connessione tra queste due cose. Esse si compenetrano reciprocamente e l’una s’avvantaggia dall’accrescimento dell’altra. Così la vera religione è debitrice alla giustizia, e lo stato a sua volta alla religione ed alla giustizia insieme. Stabiliti da Dio a regnare, troviamo che via sia una stretta unione naturale tra la religione dei nostri sudditi e il loro benessere temporale. Noi guardiamo e manteniamo inviolabile l’armonia dei due ordini, compiendo tra la Provvidenza e l’umanità l’officio di mediatori. Noi serviamo la divina Provvidenza vegliando sugli affari dello stato, e sempre, prendendoci cura e pena perché i nostri sudditi vivano piamente e come si conviene a dei cristiani, stendiamo la nostra sollecitudine ad un duplice dominio. Non si può infatti interessarsi di uno, senza parimenti preoccuparsi dell’altro.
Ci sforziamo in primo luogo d’ottenere che l’ordine delle cose ecclesiastiche sia, al nostro tempo, rispettato come lo esige Dio, che la concordia e la pace vi regnino senza nessun
disordine, che la religione rimanga intatta, che la vita e l’opera dell’alto e del basso clero siano irreprensibili. Così, convinti che tali beni si realizzino e consolidino con l’amor di Dio e la mutua carità, noi abbiamo spesso sostenuto che le attuali circostanze richiedano e necessitino di una riunione del corpo episcopale. Abbiamo indugiato davanti a tale eventualità in ordine alle difficoltà che comportava per i vescovi. Ma la considerazione degli importanti interessi tanto ecclesiastici che civili la cui trattazione s’impone d’urgenza al momento presente, mi convince che tale riunione è ormai altamente opportuna, o meglio indispensabile. Temendo dunque che, a causa della negligenza nello studio di queste questioni importanti e attuali, la situazione non peggiori, Vostra Santità si degni, una volta terminate le solennità pasquali, di prendere il cammino di Efeso e di trovarvi per la Pentecoste accompagnato da qualcuno dei pii vescovi della sua provincia, in modo che, né la
diocesi rimanga priva di sacerdoti, né il concilio di membri capaci. Noi scriviamo nel medesimo
senso e in vista di ciò a tutti i metropoliti. Così, i disordini causati dalle controversie sorte di recente potranno essere sedati in base ai canoni ecclesiastici, le irregolarità e divergenze saranno raddrizzate, la religione e la pace dello Stato riaffermate. Nell’auspicio che il santissimo concilio da noi riunito con il presente decreto dovrà provvedere al bene della Chiesa e al bene comune, ciascuno dei pii prelati – noi ne siamo certi – si premurerà di venire, per contribuire con tutto l’impegno a deliberazioni tanto importanti e così gradite a Dio. Noi teniamo molto a tale affare e non tollereremo affatto che alcuno se ne astenga volontariamente. Né davanti a Dio, né a Noi, saranno scusati coloro che mancheranno di riunirsi con i loro confratelli nel luogo e nel giorno indicato».
Con maggior forza si rivolgeva poi l’Imperatore a Cirillo d’Alessandria, giudicato responsabile delle dissensioni dottrinali che rendevano necessario il Concilio:
«È per questo che occorre che Vostra Reverenza giunga nel tempo da noi fissato nell’altra missiva comunicata a tutti i metropoliti. Non sperate di recuperare il nostro affetto, se non mettete fine a tutte le tristezze e ai disordini e se non vi presentate ben disposto per l’esame delle questioni sul tappeto».
Convocando i metropoliti al Concilio di Efeso del 449, il sovrano ribadiva i medesimi concetti:
«Nessuno ignora che la religione assicura il mantenimento dell’ordine nel nostro impero ed il buon andamento di tutte cose umane […] Chiunque, incurante di un concilio tanto necessario e tanto a Dio accetto, non avrà fatto tutto il possibile per trovarsi al tempo e al luogo fissato, non avrà scuse, né davanti a Dio, né davanti alla nostra imperiale devozione».
L’Imperatore Marciano, scrivendo a Papa S. Leone I, in ordine alla riunione di un concilio a Calcedonia (451), non appare meno convinto del suo diritto d’indire una tale assemblea, anche se il tono appare più rispettoso. Dopo aver menzionato il proprio zelo per la religione, poiché «la tranquillità e la forza dell’impero riposano sulla vera religione», scrive:
«Se piace a Vostra Santità di venire in questo paese e di tenervi il concilio, si degni di farlo per amore della religione … Ma se è troppo arduo che Voi possiate giungere in questa contrada, che Vostra Santità ci informi per iscritto, in modo che, a nostra volta, noi ordineremo a tutti i vescovi d’Oriente, di Tracia ed Illiria, di riunirsi in un luogo stabilito, da noi indicato. Là si prenderanno in favore della religione cristiana e della fede cattolica, quelle misure che Vostra Santità avrà prescritte in conformità con le norme ecclesiastiche».
Qualche secolo dopo, l’Imperatrice Irene, rivolgendosi a Papa Adriano I, in ordine alla convocazione del VII Concilio Ecumenico di Nicea per il 787, ribadiva che «coloro a cui N.S. Gesù Cristo ha conferito la dignità imperiale o quella di Sommo sacerdote, sono tenuti a darsi cura e pensiero di ciò che gli è accetto e di governare secondo la sua volontà i popoli che sono stati loro affidati. È per questo che, obbedendo alle ispirazioni di un cuore puro e d’una vera pietà, di concerto con tutti i nostri sudditi e i dottissimi preti, abbiamo lungamente discusso sulla situazione e, dopo matura riflessione, abbiamo deciso di organizzare un concilio ecumenico».