venerdì 1 marzo 2013

R.P. M. Liberatore: Risposta ai sofismi d'un cattolico liberale...

R. P. Matteo Liberatore d.C.d.G.

Da: La Chiesa e lo Stato (2a ed.) Napoli 1872, cap. I, pag. 88-103.
 
 
 

CAPO I. — CONDIZIONE DELLA CHIESA RIMPETTO ALLO STATO.

ARTICOLO VII.

Risposta ai sofismi d'un cattolico liberale intorno alla subordinazione dello Stato alla Chiesa.

La dottrina, fin qui esposta da noi, potrebbe epilogarsi così: Lo Stato benchè distinto, è nondimeno subordinato alla Chiesa. Esso non può da lei separarsi colla pretesa libertà di coscienza e di culti. Esso è obbligato a proteggere colle sue leggi la Chiesa, e far servire la sua spada materiale a difesa del regno di Dio e dell'ordine spirituale. Karolus, Dei gratia rex, Ecclesiae defensor, et in omnibus Apostolicae Sedis adiutor fidelis. Era questa la formola, che quel verace tipo de' Principi cristiani, Carlomagno, soleva porre in fronte alle sue leggi.
Contro siffatta dottrina, comune a tutti i Padri e Dottori della Chiesa, insorgono audacemente coloro, i quali non si credono abbastanza onorati del nome di cattolici, se nol guastano colla giunta di liberali. Gli assalti adunque di costoro ci conviene ora ribattere. E poichè pubblico rappresentante di quel partito, la Dio mercè microscopico in Italia, si è costituita la Rivista universale di Genova; prenderemo a discutere sopra questo proposito ciò, che essa ne dice per bocca d'uno de' suoi più strenui campioni; il quale per essere ecclesiastico potrebbe più facilmente uccellare i meno accorti. Il signor Arciprete Tagliaferri all'articolo, già da noi confutato più sopra, intorno alla libertà religiosa, fe' seguirne un altro, qual compimento del primo, coll'intendimento di persuadere la totale autonomia dello Stato, e la sua piena indipendenza dall'autorità della Chiesa [1]. Il più curioso si è che egli sostiene una tale sentenza, non solo come più ragionevole, ma ancora come più consona agl'interessi del Cristianesimo. E benchè poscia, quasi accorgendosi dello scompiglio, in che così getterebbe l'umano consorzio, consigli amistà ed armonia tra i due poteri; tuttavia l'amistà e l'armonia, da lui proposta, riesce o ad una illusione puerile, o ad una manifesta contraddizione. Nè è da prenderne meraviglia; giacchè bisogna ricordarsi che prerogativa de' cattolici liberali è l'incoerenza. Ma esponiamo in breve la sua teorica.
Egli dice: «Circa la relazione del potere civile col potere religioso la ragione non ci mostra possibili, e la storia non ci rivela attuati nel corso dei secoli, che quattro sistemi diversi. 1.° La confusione dei due poteri. 2.° La subordinazione del primo al secondo. 3.° La subordinazione del secondo al primo. 4.° La separazione dell'uno dall'altro. Il qual ultimo sistema può essere diversamente inteso ed attuato, come vedremo [2].» Or egli stabilisce che nessuno dei tre primi sistemi può ammettersi. Non la confusione dei due poteri; giacchè la Chiesa è distinta dallo Stato per istituzione, per fine, per ministero. Non la subordinazione della Chiesa allo Stato, o viceversa dello Stato alla Chiesa; perchè tanto l'uno quanto l'altro di questi due sistemi equivale in sostanza all'immedesimazione dei due poteri, e all'annientamento d'ogni libertà, facendo o la Chiesa strumento dello Stato, o lo Stato strumento della Chiesa. Resta dunque la separazione. Ma essa può essere intesa e praticata in tre modi. Prima, per via di lotta scambievole; e questa, salvochè in alcune circostanze, non conviene regolarmente, perchè fonte di perturbazione e di mali. Secondo, per via di scambievole indifferenza; ed anche ciò è da rigettarsi, perchè contrario all'ordinamento divino, all'unità del soggetto, che è insieme cittadino e fedele, agl'interessi stessi di amendue le società, politica e religiosa. Infine per via, diciamo cosi, di scambievole rispetto; in quanto ambedue le società si mantengano nel proprio ordine con intera libertà e autonomia, svolgendo ciascuna entro i confini, che la circoscrivono, la sua vita, senza invasione dall'una parte o dall'altra. A questa specie di separazione egli si appiglia, come a quella che non può mancare di produrre il più sincero ed amichevole accordo [3].
Due cose vogliono qui brevemente esaminarsi: La confutazione che l'Autore fa dei tre primi sistemi; e la maniera, ond'egli propone di attuare il quarto, da lui prescelto. Cominciamo dalla prima.
Certamente è assurda la confusione del potere ecclesiastico col civile. A convincersene basta ricordare che l'uno è soprannaturale, l'altro naturale; l'uno divino, l'altro meramente umano; l'uno ordinato a produrre la santificazione delle anime e dirigere i fedeli al conseguimento della beatitudine eterna; l'altro inteso a mantenere la pace tra gli uomini e promuovere il benessere temporale dei cittadini. L'uno per conseguenza è distinto dall'altro, quanto il cielo dalla terra, la grazia dalla semplice natura, la relazione diretta con Dio dal reciproco rapporto tra gli uomini. Ciò è troppo chiaro per sè medesimo, nè ha bisogno di dilucidazione. Solo si desidererebbe sapere in qual epoca del mondo cotesto sistema della confusione venne attuato. L'Autore par che ricorra ai tempi pagani; giacchè dice: «Nel paganesimo i due poteri erano fusi insieme.» Ma, a voler dire il vero, l'errore del paganesimo non ci sembra che fosse propriamente la confusione dei due poteri, bensì la subordinazione del potere religioso al potere politico; e ciò perchè, quantunque anche allora i due ufficii si serbassero distinti, non solo quanto al concetto, ma bene spesso anche quanto alle persone, nondimeno volevasi far servire la religione a scopo di prosperità temporale. Posto il qual disordine nel fine, la conseguenza dedottane non era illogica. Sacerdotium Gentilium el totus Divinorum cultus erat propter temporalia bona, quae ordinantur ad multitudinis bonum commune temporale, cuius Regi cura iucumbit: unde convenienter Gentilium Sacerdotes regibus subdebantur [4]. Se non che una tal quistione poco monta al nostro proposito; e però volentieri ce ne passiamo. La sostanza è che la confusione dei due poteri, attuata o no che siasi in alcun tempo, è irragionevole ed assurda, massimamente a rispetto della Chiesa di Cristo, il fine della quale è di ordine soprannaturale.
E di qui si manifesta altresì l'assurdità del terzo sistema. Conciossiachè non potrebbe subordinarsi la Chiesa allo Stato, senza sottoporre il soprannaturale al naturale, contraddizione nei termini. Ma non così per ciò che riguarda il secondo sistema, quello cioè che subordina lo Stato alla Chiesa. Anzi lo stesso principio, che vieta la subordinazione della Chiesa allo Stato, prescrive la subordinazione dello Stato alla Chiesa. Le Società stanno tra loro, come stanno tra loro i fini, a cui esse mirano; giacchè il fine è l'elemento che specifica tutto l'essere delle medesime, ed è il principio che ne origina e determina tutti i diritti. Ora il fine della società civile, ossia dello Stato, qualunque sia la formola onde voglia esprimersi, riducesi sempre alla felicità temporale. Ne sia prova, se non fosse altro, la cerchia, in cui aggirasi la sua esistenza, che è la sola vita presente, e la qualità dei mezzi di cui può disporre, che non escono fuori del giro dell'ordine materiale. Or la felicità temporale nell'uomo, che ha anima immortale, è di sua natura subordinata alla felicità sempiterna; a cui guida la Chiesa, e non altri che la Chiesa: giacchè a lei sola Cristo ne conferì il potere, e le diè copia dei mezzi necessarii per conseguirla. Dunque la società civile, ossia lo Stato, è di natura sua subordinato alla Chiesa. Per negare cotesta illazione, bisognerebbe sostenere o che la vita presente sia scopo assoluto e fine ultimo dell'uomo, o che quantunque sia ordinata alla vita avvenire, nondimeno lo Stato può e deve prescindere da siffatta ordinazione. Ma la prima ipotesi tramuterebbe l'uomo in bestia, il cui termine è sulla terra; la seconda pervertirebbe il còmpito dello Stato, il quale dee procurare la temporale felicità secondochè ella è propria dell'uomo, ed essa non è propria dell'uomo, se non in quanto è ordinata alla felicità sempiterna.
La società civile tra' popoli cristiani è una società, la quale cerca bensì il benessere temporale, a cui sopraintende lo Stato; ma lo cerca in guisa, che non impedisca, anzi agevoli il benessere spirituale, a cui presiede la Chiesa. Se si facesse il contrario, la società cesserebbe, almeno praticamente, d'essere cristiana, e i fedeli si troverebbero in contraddizion collo Stato, di cui sono membri; essendo per essi non sol dettato di ragione, ma ancora articolo di fede che il temporale è ordinato all'eterno, la vita presente all'avvenire. Lo Stato adunque non può perdere mai di vista questo rispetto, se è vero che esso è istituito a bene non a danno de' suoi componenti. Ora avere in vista un tale rispetto vale altrettanto che considerare il proprio fine e la propria azione, come subordinati al fine e all'azione della Chiesa.
In maniera non meno evidente può dimostrarsi la medesima tesi, argomentando dalla parte de' sudditi sottomessi ad ambidue i poteri. Imperocchè i diversi diritti di comandare stanno tra loro in quello stesso rapporto, in che stanno tra loro i doveri che vi corrispondono da parte del soggetto che deve obbedire. Ora nell'uomo, cattolico insieme e cittadino, in che rapporto stanno il dovere di obbedienza allo Stato ed il dovere di obbedienza alla Chiesa? Non ci vuole gran forza d'ingegno per comprendere che il dovere di obbedire alla Chiesa è più alto; quella obbligazione essendo maggiore, che riguarda un bene maggiore. Ondechè nel conflitto, in cui per ventura un tal dovere venga a cozzare coll'altro, senza dubbio convien che prevalga. Obedire oportet magis Deo, quam hominibus: così risposero gli Apostoli, allorchè il Sinedrio dei maggiorenti del popolo ebreo volea che per motivo politico desistessero dalla predicazione del Vangelo [5]. Dunque i due doveri, di cui parliamo, stanno nel medesimo soggetto con questo ordine, che quello, il quale concerne la sudditanza allo Stato, è subordinato a quello, il quale concerne la sudditanza alla Chiesa. Dunque nello stesso ordine convien che sieno tra loro i due diritti che ad essi sono correlativi; e però il potere dello Stato è di per sè subordinato al poter della Chiesa.
Il Tagliaferri sostiene che una tale subordinazione distruggerebbe la libertà, per essere subordinazione di due poteri di diversa natura. Egli discorre così: «Che la subordinazione gerarchica de' poteri ad un potere supremo della medesima natura, nonchè violarne la libertà, anzi l'assicuri ed assodi col moderarla e renderla regolata, di leggieri s'intende. Così la libertà del Comune è raffermata, anzichè distrutta, dalla sua subordinazione alla Provincia, come la libertà di questa dalla sua subordinazione al potere supremo dello Stato; ed il medesimo è altresì vero della subordinazione gerarchica de' poteri ecclesiastici al potere delle somme chiavi. Ma quando la subordinazione esiste tra poteri di diversa natura, ella diventa infallibilmente una servitù. Subordinate voi la Chiesa allo Stato? Ebbene, voi fate della Chiesa uno strumento politico dello Stato, ed assoggettate al potere della spada la parte più inviolabile della persona umana, la coscienza. Lo Stato si servirà del potere ecclesiastico pe' suoi fini politici, farà serva alla politica la religione, e si renderà assoluto, onnipotente, a detrimento di tutte le libertà civili. Al contrario subordinate lo Stato alla Chiesa? Avete in senso inverso la medesima conseguenza. Lo Stato diverrà strumento della Chiesa, la quale se ne servirà per sanzionare colla forza il suo imperio sulle coscienze, e questo condurrà inevitabilmente al dispotismo e all'onnipotenza teocratica; il che sarà la morte d'ogni libertà [6].» Questa foggia di ragionare è veramente curiosa, e noi confessiamo di non giungere a capirla! Essa ci sembra contenere un guazzabuglio di proposizioni o false, o equivoche, o almeno gratuite. Studiamoci di rimuoverne la confusione e dissiparne le tenebre.
La subordinazione dei poteri dello stesso genere, come quella dei Municipii e delle Province dello Stato, non nuoce alle libertà. Adagio: se si contiene ne' giusti limiti, sarà vero; ma se trascorre ad abuso, ed assorbe nel proprio fine e nella propria attività, il fine e l'attività di quelle associazioni minori, sarà falso. Certamente se lo Stato converte i Municipii e le province in mero strumento del suo scopo politico, senza alcun riguardo al benessere individuale e domestico, ed annienta in quelli ogni azione spontanea convertendoli in mere macchine, esecutrici d'un moto impresso da fuori; ogni libertà nei cittadini è distrutta. Non si grida presentemente dappertutto contro l'accentramento governativo, come cagione di servaggio e di snervamento sociale? Che se lasciando ai Comuni e alle Province l'autonomia che loro compete nel proprio giro, subordina soltanto il bene privato o meno ampio al bene universale di tutto il corpo sociale; una tal dipendenza delle associazioni minori dalla maggiore non distrugge ma rassoda la libertà. Or noi chiediamo d'onde procede ciò? Per fermo dalla natura dell'ordine e dall'intrinseca subordinazione dei fini: giacchè il bene dei pochi convien che sottostia al bene di tutti, e il meno universale a quello che nell'universalità primeggia. Or non ha luogo il medesimo per ciò che riguarda lo Stato a fronte della Chiesa? Non è il fine della Chiesa più ampio e sublime, che il fine dello Stato; e non è secondo l'ordine che gl'interessi materiali sottostieno agl'interessi spirituali, e che il bene temporale miri all'eterno? Che l'azione della Chiesa si converta in mezzo del fine politico, ciò da sè si chiarisce perverso, senza mestieri di dimostrazione. Ma che l'azione dello Stato, conservando la propria autonomia in ciò che riguarda l'ordine puramente civile, non perda di mira i diritti della Chiesa, e nelle cose, che toccano la religione, si volga a tutelarne e promuoverne gl'incrementi; ciò non ha nulla d'inordinato. Anzi per contrario è appunto quello, che il Pontefice S. Leone il Grande, come notammo più sopra, insegnava, scrivendo a Leone Imperatore: «Devi incessantemente pensare, che la regia potestà ti è stata conferita non solo pel governo del mondo, ma principalmente per aiuto della Chiesa. Debes incunctanter advertere, regiam potestatem tibi non solum ad mundi regimen, sed maxime ad Ecclesiae praesidium esse collatam [7].» E S. Tommaso nel suo opuscolo de regimine principum dimostra essere ufficio del Governante politico, il far servire l'ordinamento civile al conseguimento della vita eterna dei sudditi. «Chiunque ha il carico, egli dice, di fare una cosa, la quale è ordinata ad un'altra come a fine, deve badare a farla in guisa, che essa venga a quel fine: come appunto il fabbro, a cagion d'esempio, fa la spada in maniera che sia acconcia alla pugna, e l'edificatore dispone la casa in modo, che sia atta ad essere abitata. Adunque essendo fine della vita presente la celeste beatitudine, appartiene all'ufficio del Principe ordinare la vita onesta del popolo, nel modo che è congruente all'acquisto di essa beatitudine celeste, sicchè comandi quelle cose che ad essa conducono, e proibisca le contrarie, per quanto è possibile [8].» Questa dottrina è l'eco di tutta la Scuola cattolica.
Ma in tal caso, dice il Tagliaferri, si adopererà la forza per sanzione delle leggi ecclesiastiche, e ciò mena al dispotismo e alla teocrazia.
Quanto alla teocrazia, essa è recata fuor di proposito; giacchè teocrazia, cioè governo divino, esprime una società retta immediatamente da Dio per mezzo di persone scelte da lui e con leggi da lui dettate, qual fu solamente la repubblica ebraica sotto i Giudici e in parte ancora sotto i Re. Quanto al dispotismo, noi vorremmo sapere dall'Autore, se sia dispotismo che venga adoperata la forza per sanzione delle leggi civili. Chi ciò dicesse, mostrerebbe di non capire che cosa significa libertà, cioè facoltà elettiva secondo l'ordine della ragione, e distruggerebbe perfino il concetto di umano consorzio, non essendo possibile il tranquillo godimento de' proprii diritti, senza la repressione de' malvagi, nè potendosi dare repressione senza l'uso della forza. Se dunque l'uso della forza contro i contumaci non si oppone alla libertà nell'ordine civile; perchè deve opporvisi nell'ordine religioso? Forse perchè la legge religiosa lega la coscienza? Ma ciò è proprio altresì della legge civile: insegnandoci S. Paolo che dobbiamo obbedire ai governanti politici non solum propter iram, sed etiam propter conscientiam [9]. Forse perchè la religione guarda l'interno? Ma essa guarda altresì l'esterno, giacchè è società d'uomini, composti d'anima e di corpo; e solamente riguardo agli atti esterni s'intende adoperata la pena materiale. La colpa in materia di religione è più grave della colpa in materia puramente civile; e sarebbe ridicolo, se la maggiore gravità del reato dovesse essere ragione per lasciarlo impunito! — Ma il delitto religioso può punirsi con pena spirituale. — Il malvagio non cura siffatta pena: ed oltre a ciò la pena nell'uomo deve rivolgersi alla parte sensitiva, giacchè essa si ribellò alla parte razionale ed essa deve ricostituirsi nella debita soggezione, per ciò che riguarda l'ordine sociale, perturbato mediante gli atti dell'organismo. Infine dirassi che il delitto religioso sarà punito da Dio. Rispondiamo che, senza dubbio, esso sarà punito da Dio; ma ciò non toglie che debba altresì esser punito dagli uomini: giacché Iddio quaggiù, come a rispetto del mondo fisico, così a rispetto del mondo morale, vuole il concorso delle cause seconde; e come pel mantenimento dell'ordine fisico ha costituito le influenze dei diversi agenti della natura, così pel mantenimento dell'ordine morale ha ordinata l'autorità de' legittimi governanti. Anche il delitto civile sarà punito da Dio: è questo forse un ragionevol motivo per escludere i tribunali ed il bargello? Concediamo adunque che la subordinazione dello Stato alla Chiesa meni a far sì che l'ordinamento civile non solo non debba nuocere, ma debba anzi giovare al bene religioso, e induca l'obbligo nel potere politico di far servire la forza materiale contro i perturbatori della religione; ma neghiamo che ciò sia difforme dalla ragione, a cui anzi è conformissimo; perchè è conformissimo all'ordine e all'intendimento divino. Nè vale la puerile obbiezione, presa dal pericolo dell'abuso; perocchè se dovessimo rigettare ciò di cui può abusarsi o si abusa talvolta, dovremmo atterrare tutte le istituzioni umane e divine, e l'uomo stesso sperdere dal mondo.
Che se la subordinazione dello Stato alla Chiesa è voluta dalla ragione, è voluta per conseguenza altresì dallo spirito cristiano; a cui è concorde tutto ciò che è vero ed è buono. È questa una illazione necessaria di quella premessa. E dove se ne bramasse una positiva conferma, avvertasi esser questa dottrina comune presso i Padri e Dottori della Chiesa. Noi già ne abbiam citati parecchi, e qui ne aggiungeremo alcuni altri. Il Crisostomo dice: «Ci ha presso noi ancora un'altra sorta d'impero, e veramente più sublime dell'impero civile. Qual è esso mai? Quello che vige nella Chiesa, e di cui anche Paolo fa menzione, là dove dice: Obbedite ai vostri Preposti, e sottomettetevi loro. Imperocchè questo impero è tanto più alto del civile, quanto il cielo sovrasta alla terra e l'anima al corpo [10].» S. Gregorio Nazianzeno apostrofa i Principi secolari in questa forma: «Ma voi ancora al mio impero e al mio trono assoggettò la legge cristiana. Imperocchè anche noi siam dotati d'impero; ed aggiungo, d'impero tanto più alto e più perfetto: se pur non si creda giusto che lo spirito alla carne, e alle terrene cose cedano le celesti [11].» S. Isidoro Pelusiota dice: «Dal Sacerdozio e dal Regno risulta l'amministrazione delle umane cose. Imperocchè quantunque grandissima sia la differenza dell'uno dall'altro (giacchè quello è come l'anima, questo come il corpo), nondimeno ambidue tendono ad uno e medesimo fine, cioè alla salute degli uomini [12].» Ivone Carnotense scrivendo ad Enrico re d'Inghilterra, lo esorta così: «Poichè tutte le cose non altrimenti possono essere belle amministrate, se non in quanto il sacerdozio e l'impero concordino in un medesimo studio; pregando ammoniamo l'Altezza vostra che nel regno, commesso alle vostre cure, lasciate propagare la parola di Dio, e sempre pensiate che il regno terreno deve esser soggetto al regno celeste, il quale è commesso alla Chiesa. Imperocchè come il senso animale deve esser soggetto alla ragione, così la potestà terrena deve esser soggetta alla potestà ecclesiastica. E quanto vale il corpo, se non viene retto dall'anima, altrettanto vale la potestà terrena, se non vien informata e retta dalla disciplina della Chiesa [13].» Lo stesso insegna S. Tommaso, là dove scrive: «È da dire che la potestà secolare è soggetta alla potestà spirituale, come il corpo all'anima; e però non è usurpazione di giudizio, se il Prelato spirituale s'intrometta di cose temporali [14].» Lo stesso insegna il Suarez, ragionando nel seguente modo: «L'una e l'altra potestà, la temporale e la spirituale, secondochè si trovano nella Chiesa, dovettero talmente conferirsi e possedersi, che entrambe profittassero al bene comune e alla salute del popolo cristiano. Dunque è necessario che abbiano ordine tra di loro; altrimenti non potrebbe conservarsi la pace e l'unità nella Chiesa; perocchè spesso i vantaggi temporali ripugnano ai vantaggi spirituali, e quindi o dovrebbe riputarsi giusta la guerra tra le due potestà, o fa d'uopo che l'una ceda all'altra, acciocchè le cose tutte sieno rettamente ordinate. Dunque o la potestà spirituale sottostarà alla potestà temporale o viceversa. La prima parte di tal disgiuntiva non può dirsi e neppure concepirsi, secondo la retta ragione; giacchè tutte le cose temporali debbono essere ordinate al fine spirituale. Dunque è da dire per contrario che la potestà temporale sia soggetta alla spirituale, per non deviare dal proprio fine. Conciossiachè come i fini, così le potestà sono subordinate [15]
Ma rechiamo qualche autorità anche più grave. Giovanni Papa, secondo che si legge nella prima parte del Decreto, distinzione novantesima sesta, capo undecimo, dopo avere ricordato che al Sacerdozio non alle potestà secolari Iddio commise di ordinare le cose ecclesiastiche; soggiunge che se coteste potestà sono cristiane, convien che per volontà del medesimo Iddio sottostieno al Sacerdozio: Ad Sacerdotes Deus voluit, quae Ecclesiae disponenda sunt, pertinere, non ad saeculi potestates; quas, si fideles sunt, Ecclesiae suae Sacerdotibus voluit esse subiectas. Di che inferisce dover i Principi non anteporre ma sottoporre le loro ordinazioni ai Prelati ecclesiastici. Imperatores christiani subdere debent executiones suas ecclesiasticis Praesulibus, non praeferre. E nel capo seguente è riportata altresì la sentenza di Papa Gelasio: Solere i Principi cristiani obbedire ai decreti della Chiesa, non già anteporle la propria autorità: Obsequi solere Principes christianos decretis Ecclesiae, non suam praeponere potestatem. Più vivamente Innocenzo III paragona l'autorità ecclesiastica al sole, e la civile alla luna, e soggiunge che la prima tanto sovrasta alla seconda, quanto l'uno all'altro di quei due astri: Ad firmamentum caeli, hoc est universalis Ecclesiae, fecit Deus duo magna luminaria, idest duas instituit dignitates, quae sunt Pontificalis auctoritas et Regalis potestas. Sed illa quae praeest diebus, idest spiritualibus, maior est; quae vero carnalibus, minor: ut quanta est inter solem et lunam, tanta inter Pontifices et Reges differentia dignoscatur [16].
Infine, per non esser troppi, Bonifazio VIII, nella sua bolla dommatica Unam Sanctam Ecclesiam (citiamo spesso questa, e coll'epiteto di dommatica, per bene imprimerla nella mente di coloro, che non la guardano di buon occhio) paragonando le due potestà alle due spade, di cui fa menzione l'Evangelio, espressamente insegna che la potestà temporale deve esser soggetta alla spirituale: Oportet gladium esse sub gladio, ed temporalem auctoritatem spirituali subiici potestati. E ne desume la ragione dall'ordine, onde le cose procedono da Dio ed a lui ritornano. Nam, cum dicat Apostolus: Non est potestas nisi a Deo; quae autem sunt, a Deo ordinatae sunt; non ordinatae essent, nisi gladius esset sub gladio, et tamquam inferior reduceretur per alium in suprema. Rimproverando poi di manicheismo l'opinione contraria, quasi non uno ma due fossero i principii delle cose, definisce e dichiara esser di necessità di salute ad ogni umana creatura l'esser soggetta al romano Pontefice. Porro subesse Romano Pontifici omni humanae creaturae (sia suddito, sia sovrano) declaramus, edicimus, definimus et pronuntiamus omnino esse de necessitate salutis.
Poste le quali cose, non possiamo non riprendere l'esorbitanza del sig. Tagliaferri, allorchè attribuisce la sentenza della subordinazione dello Stato alla Chiesa ad un partito che vuole la servitù de' popoli, e chiama sofisma la proposizione colla quale si afferma: La Chiesa sta allo Stato, come l'anima al corpo. Egli dice: «Io non mi maraviglio dei fautori di quello di questi due sistemi, che subordina lo Stato alla Chiesa. Il partito, che se ne fa elogiatore, mira proprio alla servitù dei popoli, e, conseguente a sè stesso, non s'inganna nella scelta del mezzo [17].» La subordinazione dello Stato alla Chiesa è dottrina di tutti i teologi, di tutti i Padri, di tutti i Pontefici, che han toccato cotesto punto. Non volendo dunque supporre che il sig. Tagliaferri chiami partito l'intera Chiesa insegnante, convien dire che quella sua proposizione procede da mancanza di erudizione ecclesiastica sopra tale materia; e però ci fa gran maraviglia che essendo egli Arciprete, non sappia ciò che anche un semplice chierico non dovrebbe ignorare. Lo stesso vale pel secondo capo, da noi notato. Il paragone tra l'anima e il corpo, per ciò che riguarda la relazione tra la Chiesa e lo Stato, lo vedemmo, nei testi sopra riferiti, usato con mirabile accordo da tutti i Padri e Teologi. Ed i Papi dedussero sempre la Superiorità della Chiesa a riguardo dello Stato da ciò, che questo provvede alle cose temporali e carnali, quella alle spirituali e celesti. Ora il sig. Arciprete Tagliaferri ci viene innanzi con questa singolare sentenza: «Quanto al sistema di subordinare lo Stato alla Chiesa non posso qui tralasciare di mettere in vista uno specioso sofisma, su cui lo puntellano i suoi fautori. La Chiesa, essi dicono, ha per fine gl'interessi spirituali dell'uomo, lo Stato gl'interessi materiali. Dunque la Chiesa sta allo Stato, come lo spirito sta alla materia, come l'anima sta al corpo. E poichè il corpo è per natura sottoposto all'anima, ne segue che lo Stato di sua natura è sottoposto alla Chiesa. Tutto il peso di questo argomento si appoggia ad una finzione, cioè al supposto (mera finzione) che subbietto della Chiesa sia la sola anima, come dello Stato il solo corpo dell'uomo. Ma la verità è che tutto l'uomo nella sua indivisibile personalità è il subbietto così della Chiesa come dello Stato, benchè sotto diverso rispetto. Lo Stato forse nel curare gl'interessi temporali dell'uomo non mira, che al solo corpo, dimenticando affatto lo spirito? [18]» Qui il Tagliaferri non solamente mostra difetto di erudizione ecclesiastica (giacchè non sappiamo indurci a pensare che abbia voluto tacciar di sofisma intorno al vero soggetto della Chiesa e dello Stato, il parlare concorde de' Pontefici, de' Padri, de' Dottori); ma mostra altresì di non capire la struttura e la forza dell'argomento, che impugna. Primieramente nessuno ha sognato mai di dire o di supporre che soggetto della Chiesa sia la sola anima e soggetto dello Stato il solo corpo dell'uomo. Per contrario tutti hanno sempre insegnato che lo stesso indivisibile uomo, in quanto composto di anima e di corpo, lo stesso indivisibile popolo, civile e cristiano ad un tempo, è soggetto ai due poteri. Anzi appunto da questa identità di soggetto, il quale dee esser governato, sotto diverso rispetto, da ambidue quei poteri, deducono la necessità della subordinazione dell'uno all'altro. E ciò, che han fatto quegli antichi, fanno ancora i moderni apologisti della Chiesa. Ecco infatti, per recarne un esempio, come comincia la sua dimostrazione uno dei più recenti scrittori, laddove prende a trattare del primato della Chiesa e della sua autorità sulle società civili dei cattolici [19]. «La società civile dei cattolici, egli dice, in questo si distingue dalle altre, che consta della stessa moltitudine di uomini, di cui è composta la Chiesa di Cristo, cioè la Chiesa cattolica: di che segue che una siffatta società non costituisce in nessun modo un corpo morale, realmente diverso e disgiunto dalla Chiesa, ma ambedue presentino il concetto di un duplice patto e di una duplice obbligazione, inerente alla stessa moltitudine, la quale in forza di essa, sotto il governo del magistrato civile, dà opera al conseguimento della felicità temporale, e sotto il governo della Chiesa dà opera al conseguimento della vita eterna, in modo peraltro che confessi cotesta vita eterna essere l'ultimo e supremo fine, a cui la felicità e vita temporale è subordinata; altrimenti, se ciò non credesse, non potrebbe appartenere alla Chiesa cattolica, nè fare uso del nome cattolico. Dunque la vera nozione di società civile tra' cattolici è quella, di un consorzio di uomini, i quali attendono talmente alla ricerca della felicità temporale, che al tempo stesso professino la subordinazione di essa alla cura di procacciarsi la felicità sempiterna, cui tengono per fede non potersi ottenere se non dal reggimento della Chiesa cattolica. Di qui è facile l'intendere se la Chiesa abbia o no il primato a rispetto della società civile cattolica [20].» Non dunque alla diversità del soggetto, ma per contrario alla sua identità, congiunta colla diversità del fine, si appoggiano i pubblicisti cattolici per dimostrare la subordinazione della Chiesa allo Stato. Di qui apparisce altresì lo sbaglio del Tagliaferri in ordine alla costruttura della dimostrazione, tessuta dagli anzidetti pubblicisti. Egli crede che il loro modo di argomentare si riduca a quest'altro: La Chiesa bada all'anima, lo Stato bada al corpo. Ma l'anima sovrasta al corpo. Dunque la Chiesa sovrasta allo Stato. Quindi si dà l'aria di trionfatore, facendo la peregrina scoperta che non il solo corpo o la sola anima; ma l'uomo, composto di anima e di corpo, è soggetto ad entrambe le potestà. Ma la forma di argomentazione dei cattolici è tutta diversa. Essa è concepita così: L'uomo (composto già s'intende di anima e di corpo) nella sua indivisibile personalità, è ordinato a un doppio fine. L'uno, che si compie su questa terra e riguarda il benessere temporale; l'altro, che iniziato quaggiù ha compimento nel cielo, e consiste nella santificazione delle anime, coronata dalla vita eterna: Habetis fructum vestrum in sanctificationem, finem vero vitam aeternam [21]. Il primo di questi fini è subordinato al secondo; giacchè è chiaro che la vita presente deve servire alla futura, e il temporale all'eterno. Ora in quell'ordine, in che stanno i fini tra loro, stanno altresì i poteri che ad essi corrispondono. Dunque il potere dello Stato, che dirige al primo degli anzidetti fini, è subordinato al potere della Chiesa, che dirige al secondo; e questa subordinazione non dev'essere solamente ideale ma effettiva, così richiedendo la identità del soggetto, che dev'esser mosso da ambidue i poteri. Dove è qui la finzione che subbietto della Chiesa sia la sola anima, e subbietto dello Stato il solo corpo? Qui si parla di felicità eterna e di felicità temporale. Ora alla felicità eterna l'uomo deve tendere coll'esercizio di atti non solo interni, ma anche esterni; e perciò gli apologisti cattolici insegnano che l'azione della Chiesa si stende anche all'esterno dell'uomo. Dall'altro lato i Dottori cattolici, quando parlano della felicità temporale, stabiliscono che essa principalmente e formalmente consiste nella vita onesta e virtuosa, e per conseguenza vogliono che a questa precipuamente miri il governante nell'ordinamento della società. In regimine legislator semper debet intendere ut cives dirigantur ad vivendum secundum virtutem: immo hic est finis Legislatoris [22]. Ma per questo appunto che scopo precipuo del governante civile dev'essere la vita onesta e virtuosa dei cittadini, convien che sia subordinato alla Chiesa, la quale avendo per fine la salute eterna delle anime, può sola porgere la norma di una tal vita, secondo i principii dell'Evangelio.
Egli è vero per altro che i Santi Padri e i Dottori si valgono spesso del paragone dell'anima e del corpo, a riguardo della Chiesa e dello Stato. Ma in prima questo stesso dovea servire al sig. Tagliaferri d'indizio che quel paragone non potea essere un sofisma, secondo che egli con temerità difficilmente scusabile afferma. In secondo luogo convien osservare che essi se ne valgono o come di similitudine: Potestas saecularis subditur spirituali, sicut corpus animae [23]; ovvero come di termine di proporzione: Sicut se habet spiritus ad corpus et regio spiritus ad regionem corporis, sic proportionaliter iudex eeclesiasticus ad iudicem terrenum et forum ecclesiasticum ad temporale [24]. E ciò a buon diritto; giacchè come cotesti due elementi, concorrono a formar l'uomo, ma con subordinazione del secondo al primo; così entrambi i poteri, la Chiesa e lo Stato, nel Cattolicismo, concorrono ad integrare un sol principio direttivo della società, ma con subordinazione del secondo alla prima. Il signor Tagliaferri confonde sbadatamente la similitudine e il termine di proporzione col mezzo di dimostrazione.
[CONTINUA]

NOTE:

[1] Rivista Universale di Genova, quaderno 60.
[2] Ivi, pag. 464.
[3] Ivi, pag. 472.
[4] S. Tommaso, De Regimine Principum, p. 1, c. 16.
[5] Actorum V, 29.
[6] Pag. 466.
[7] Epist. 125, alias 75.
[8] Cuicunque incumbit aliquid perficere, quod ordinatur in aliud, sicut in finem, hoc debet attendere, ut suum opus sit congruum fini; sicut faber sic facit gladium, ut pugnae conveniat, et aedificator sic debet disponere domum, ut ad habitandum sit apta. Quia igitur vitae, qua in praesenti bene vivimus, finis est beatitudo caelestis, ad Regis officium pertinet ea ratione vitam multitudinis bonam procurare, secundum quod congruit ad caelestem beatitudinem consequendam; ut scilicet ea praecipiat, quae ad caelestem beatitudinem ducunt, et eorum contraria secundum quod fuerit possibile interdicat. Lib. I. cap. 15.
[9] Ad Romanos, XIII, 5.
[10] At vero heic aliud quoque imperii genus est, ac civili quidem imperio sublimior. Ecquod illud est? Quod in Eeclesia viget, cuius etiam Paulus mentionem facit, cum ait: Obedite praepositis vestris et subiacete eis. Hoc enim imperium tanto civili excellentius est, quanto caelum terrae; et quantum inter corpus et animam discriminis est, tantum item ab illo hoc distat. In 2, ad Cor. Hom. XV.
[11] At vos quoque imperio meo ac throno lex cristiana subiecit. Imperium enim et nos gerimus; addo et praestantius et perfectius: nisi quidem aequum videatur spiritum carni, et caelestia terrenis cedere. Orazione XVII.
[12] Ex Sacerdotio et regno rerum administratio confecta est. Quamvis enim permagna differentia sit (illud enim velut anima est, hoc velut corpus), ad unum tamen et eumdem finem tendunt, hoc est ad hominum salutem. Lib. 3, Epist. 449.
[13] Quia res omnes non aliter bene administrantur, nisi cum regnum et sacerdotium in unum convenerint studium; Celsitudinem vestram obsecrando monemus, quatenus in regno, vobis commisso, verbum Dei currere permittatis, et regnum terrenum caelesti regno, quod Ecclesiae commissum est, subditum esse debere, semper cogitetis. Sicut enim sensus animalis subditus debet esse rationi, ita potestas terrena subdita debet esse ecclesiastico regimini. Et quantum valet corpus, nisi regatur ab anima, tantum valet terrena potestas, nisi informetur et regatur ecclesiastica disciplina. Epist. 51.
[14] Dicendum quod potestas saecularis subditur spirituali, sicut corpus animae; et ideo non est usurpatum iudicium si spiritualis Praelatus se intromittat de temporalibus. Summa th. 2.a 2.ae q. 60, a. 6, ad 3.m
[15] Utraque potestas, temporalis et spiritualis, prout in Ecclesia existunt ita conferri et possideri debuerunt, ut communi bono et saluti christiani populi proficiant. Ergo necessarium est ut hae potestates aliquem ordinem inter se observent, alias non posset pax et unitas in Ecclesia servari; nam saepe temporalia commoda repugnant spiritualibus, et ideo vel erit bellum iustum inter utramque potestatem, vel necesse est alterum alteri cedere, ut omnia recte ordinentur. Ergo vel potestas spiritualis erit sub temporali vel e contrario. Primum nec dici nec cogitari potest secundum rectam rationem; quia temporalia omnia ordinari debent ad spiritualem finem. Ergo dicendum e contrario est potestatem temporalem subiectam esse spirituali, ut a suo fine non deflectat. Nam ita subordinantur potestates, sicut et fines. Defensio fidei etc. I. 2, c. 22.
[16] Vedi Corpus Iuris canonici t. 2. Decretales Greg. l. 1, tit. 33, c. VI. Imperium non praeest Sacerdotio sed subest, et ei obedire tenetur.
[17] Rivista universale di Genova, fascicolo 60, pag. 466.
[18] Luogo citato, pag. 467.
[19] De Primatu Ecclesiae eiusque potestate quoad societates civiles catholicorum. Iuris Ecclesiastici publici Institutiones, auctore Camillo Tarquini e Societate Iesu, pag. 54.
[20] Civilis Catholicorum Societas ea re a ceteris distinguitur, quod eadem illa constet hominum multitudine, unde Ecclesia ipsa Christi, idest catholica, coalescit: quo fit ut eiusmodi Societas reale quoddam corpus ab Ecclesia diversum ac separatum nullo modo constituat, sed ambae simul rationem habeant duplicis foederis atque obligationis eidem multitudini inhaerentis, qua illa scilicet sub imperio magistratus civilis felicitati temporali quaerendae vires intendit, sub imperio autem Ecclesiae adeptioni vitae aeternae: atque ita quidem, ut fateatur hanc vitam aeternam ultimum ac supremum esse finem cui felicitas ac vita tota temporalis subsit; quandoquidem nisi haec fide teneat, neque ad catholicam Ecclesiam pertinere neque catholico uti nomine ullatenus posset. Civilis igitur Catholicorum societatis ea vera est notio, ut sit hominum coetus, qui temporali felicitati quaerendae ita student, ut profiteantur eam subesse debere studio felicitatis aeternae, quam sub Ecclesiae catholicae regimine obtineri tantum posse credunt. Hisce autem praenotatis, facile erit cognoscere utrum Ecclesiae prae civili Catholicorum societate primatu polleat. Luogo dianzi citato.
[21] S. Paolo ad Romanos, VI, 22.
[22] De Regimine Principum, I. 3 c. 3.
[23] S. Tommaso, 2.a 2.ae q. 60, a 6.
[24] I teologi del Concilio di Costanza, nella condannazione diffusa degli articoli di Vicleffo, edita nell'appendice al detto Concilio, n. XXIII all'articolo XII.