Carlo Edoardo Luigi Giovanni Casimiro Silvestro Maria
Stuart, detto anche Giovane Pretendente o Bonnie Prince
Charlie (Roma, 31 dicembre 1720 – Roma, 31 gennaio 1788), discendente del casato
degli Stuart, fu figlio di Giacomo Edoardo Stuart e
nipote di Giacomo II Stuart, ultimo re della dinastia, proclamata
decaduta in occasione della cosiddetta Gloriosa rivoluzione (che
in realtà di glorioso non ebbe nulla). Fu il legittimo re di Scozia come
Giacomo VIII dal 1745 al 1746 , e anche come
Carlo III d'Inghilterra e Scozia.
Giacomo II Stuart (Londra, 14 ottobre 1633 –
Saint-Germain-en-Laye, 16 settembre 1701)
Dopo
l’illegittima abdicazione cui fu costretto Re Giacomo II nel 1689, per nessun
altro motivo se non la sua fede religiosa cattolica e la nascita di un erede
maschio che ne avrebbe perpetuato la stirpe, i suoi discendenti Giacomo III e
Carlo III continuarono giustamente a reclamarne il trono, ben sapendo di essere
dalla parte della ragione contro il torto e l’usurpazione più spudorati. A
sostenerli nella loro lotta ci furono in prima linea i cugini di Francia, Luigi
XIV e Luigi XV, che non fecero mai mancare il loro appoggio alla causa giacobita
e la sostennero sempre lealmente con uomini e mezzi, e poi naturalmente i Papi,
dei quali Re Giacomo III e suo figlio Carlo furono sempre protetti e presso i
quali vissero (sia Giacomo che Carlo morirono infatti a Roma e sono sepolti
nelle Grotte Vaticane accanto ai Pontefici, privilegio unico per dei sovrani
temporali, per di più decaduti, anche se ingiustamente). Alla morte del padre,
che aveva tentato di riprendere il suo trono purtroppo infruttuosamente nel 1715
(la cosiddetta prima rivolta giacobita, che in realtà fu ben più di una rivolta
visto che vide numerosi scozzesi e anche
inglesi insorgere per la giusta causa). Dopo questi tristi eventi Re Giacomo III
trovò riparo presso i Papi come dicevamo, a Roma, dove ottenne una pensione per
poter mantenere il rango che gli spettava come legittimo sovrano. Va detto che
in tutti i suoi travagli terreni Giacomo fu sempre sostenuto dalla grande figura
della madre, Maria Beatrice d’Este, nota nel suo regno come Mary of Modena
(Maria di Modena, dalla città capitale della sua patria, il ducato estense di
Modena e Reggio appunto, e che rimarrà tra l’altro l’unica nostra compatriota
mai ascesa al trono britannico); fu una vera santa, perché nonostante le
traversie e i torti malvagi che dovette subire, fu sempre fermissima nella
difesa dei principi di legittimità dinastica, nel sostegno al marito esiliato,
cui fu sempre amorevolmente accanto, e del figlio che sostenne in ogni momento,
retta da un’incrollabile fede cattolica.
Giacomo III Stuart
(Londra,
10
giugno
1688 –
Roma,
1º
gennaio
1766) Giacomo
III d'Inghilterra e Giacomo VIII di Scozia. Padre di Carlo Edoardo
Stuart.
Il piccolo
Carlo, suo nipote, figlio di Re Giacomo e della Regina Clementina Sobieska
(figlia dell’Eroe di Vienna Giovanni III Sobieski, Re di Polonia), crebbe dunque
in Italia, in particolare tra Roma e Bologna; il padre si stabilì nella Città
Eterna insieme alla moglie sotto la protesione di Papa Clemente XI che gli
riconobbe giustamente il suo rango sovrano. I sovrani ebbero in totale due figli
maschi, che fecero sperare (purtroppo a torto) che la stirpe stuardiana avrebbe
vissuto ancora per reclamare il trono dei propri avi e cacciare gli impostori
che l’avevano usurpato: il primogenito Carlo appunto, legittimo Principe di
Galles e Duca di Rothesay, e il secondogenito Enrico Benedetto, legittimo Duca
di York e d’Albany. Quest’ultimo verrà poi ordinato cardinale da Papa Benedetto
XIV nel 1747, a riconferma dell’appoggio della Chiesa cattolica alla sacrosanta
causa giacobita (va inoltre sottolineato che in occasione dell’ordinazione di
Enrico il Papa diede ordine personale di sparare salve di cannone da Castel
Sant’Angelo, trattandosi di un figlio di Re).
Ritratto di Carlo Edoardo Stuart in giovanissima
età
L’avventura che farà di Carlo
Edoardo un vero eroe, l’ultimo eroe scozzese, con il nome di Bonnie Prince
Charlie, Bel Principe Carletto, è quella che si svolge tra il 1745-46,
un’avventura costellata di atti valorosi e di eroismo commovente, schiacciato da
una repressione brutale e disumana che ridurrà la Scozia nella schiavitù più
oltraggiosa per secoli e di cui ancora oggi purtroppo gli scozzesi non si sono
del tutto liberati (anche se il momento, a Dio piacendo, si sta forse
avvicinando, ma questa è un’altra storia). Carlo, dopo che la rivolta del 1715
era stata repressa, nonostante le meravigliose imprese dell’eroico Visconte
Dundee, che guidò i giacobiti a una grande vittoria a Killckrannie, e la lealtà
di Lord Erskine che preferì l’esilio accanto al suo unico e vero Re piuttosto
che sottomettersi agli usurpatori, memore della splendida fedeltà degli scozzesi
e dei giacobiti tutti (tra cui moltissimi inglesi e irlandesi), decise di
ritentare l’impresa nell’anno 1745, trent’anni esatti dopo il padre. Dopo essere
stato nominato Principe Reggente dal padre e averne così assunto la legittima
autorità, l’ardimentoso Carlo salpò a bordo di due navi, la Elisabeth e la Du
Tellay, con le quali sbarcò a Eriskay nelle Ebridi, il 23 luglio 1745; qui
radunò immediatamente i Clan, ovvero l’ancestrale struttura tribale su cui da
sempre si reggeva la società scozzese, e che verrà annientata dalla repressione
hannoveriana; tutti i più importanti Clan delle Highland risposero all’appello:
Maclean, Macleod, Murray, Macdonald, Cameron, Fraser.
Bonnie Prince Charlie, dipinto di John
Pettie
Molti
Clan delle Lowlands invece si lasciarono comprare dagli usurpatori e preferirono
tradire la propria Patria e il proprio Re: a riprova della grandezza dei
giacobiti va ricordato che anche i traditori più sfacciati, quando vennero
catturati, vennero sempre trattati con il massimo rispetto: in particolare
Donald Cameron di Lochiel, il cavalleresco e leale capo del Clan Cameron, impedì
sempre che su di loro venisse usata anche la minima violenza; tanta generosità,
come vedremo, non sarà ripagata dal nemico vittorioso. Inizialmente la
spedizione fu un successo, proprio come
Carlo aveva previsto: gli Scozzesi, avendo ormai ben compreso che gli
Inglesi volevano ottenere con un tratto di penna d’oca quello che non erano mai
riusciti ad ottenere in secoli di massacri e saccheggi, cioè la sottomissione
della Scozia, si unirono in massa a lui e lo acclamarono Re a Edimburgo, sotto
la bandiera sventolante al cielo che inalberava il Leone di Scozia, simbolo
della Casa di Davide da cui i Re di Alba (questo il nome gaelico della nazione)
si vantavano di discendere. Naturalmente, come abbiamo detto, non tutti
purtroppo sposarono la giusta causa: chi per vigliaccheria o spossatezza, chi
vendutosi all’usurpatore Giorgio di Hannover (mi rifiuterò sempre
categoricamente di chiamarlo Re), cercarono di ostacolare il giusto corso degli
eventi. Nonostante le trame dei traditori Carlo, sostenuto dal cuore e dal
coraggio suoi dei suoi compagni e fedeli, colse una grande vittoria a
Prestopans, il 21 settembre del ’45, contro le truppe di John Cope (il “Johnnie
Cope” della canzone giacobita), liberando così definitavamente la Scozia dagli
occupanti inglesi al soldo dell’impostore. A questo punto avviene la svolta
decisiva nella nostra storia: Carlo, che sacrosantemente si considerava il Re di
Inghilterra oltre che di Scozia, e fidando nell’appoggio dei giacobiti inglesi,
che non erano certo un pugno di mosche all’epoca, e per la verità non lo sono
nemmeno oggi, decise di muovere verso Sud, raggiungere Londra, cacciare
finalmente il ridicolo usurpatore straniero, pupazzo della rapace borghesia Whig
che teneva in ostaggio il Parlamento, farsi incoronare Re come gli spettava a
Westminster e sanare la Nazione Britannica dalla corruzione che la stava
consumando sempre di più: se questo sogno si fosse realizzato la storia
dell’Inghilterra, della Scozia, e di tutto il mondo sarebbe stata diversa e
probabilemnte migliore. Purtoppo tutto ciò rimase, appunto, un sogno: i 6.000
bravi scozzesi che mossero verso l’Inghilterra e gli inglesi che si unirono a
loro giunsero fino a Derby, giunsero a intravedere Londra, ma si dovettero
fermare: gli inglesi, assuefatti all’usurpazione e corrotti dalla brama di
ricchezze e potere, i nuovi “valori” o pseudo tali che borghesi e mercanti
avevano imposto alla “moderna” società per schiavizzare le masse, non reagirono,
non si unirono alla giusta causa; certo, come abbiamo detto, molti bravi
giacobiti inglesi sostennero Carlo, sopportarono la persecuzione e le patrie
galere, ma non ci fu una sollevazione di grande portata come in Scozia. Intanto
i servi dell’usurpatore, temendo come la peste il ritorno del legittimo Re che
avevano deposto con le più misere bassezze, terrorizzati dalle giuste punizioni
che ne sarebbero seguite, decisero che gli eventi dovevano essere risolti
imponendo la ragione del più feroce e del più sanguinario: così venne radunata
un’accozzaglia di sgherri, avanzi di galera e affini, sottoposti al comando di
un criminale senza scrupoli, tale Guglielmo (William) di Hannover, ridicolmente
appellato Duca di Cumberland (dato che tale titolo spettava unicamente a un
membro LEGITTIMO della Casa Reale Britannica); assai più appropriatamente sarà
chiamato in seguito dagli scozzesi “il macellaio” (The Butcher). Inferiori di
numero, pur sostenuti dalla consapevolezza di essere dalla parte della più
luminosa ragione e dal grande cuore, Carlo e suoi uomini dovettero ripiegare in
Scozia; il miglior generale del Re, Lord George Murray, discendente di una
valorosa razza di guerrieri e patrioti scozzesi, aveva consigliato a Carlo di
non proseguire per l’Inghilterra, di proclamare l’indipendenza della Scozia e
fermarsi: questo fu certamente un errore, visto con il senno di poi; non certo
però dovuto, come talvolta la propaganda dei vincitori ha ridicolmente
sbandierato, all’arroganza del Re, ma alle sue legittime pretese sul Trono
inglese che egli sacrosantemente rivendicava (ma bisogna ricordare che per i
servi sciocchi dell’impostura il rivendicare i propri diritti è sempre
arroganza).
Carlo Edoardo Stuart (1745-46
ca)
Dipinto della battaglia di Culloden (1746),
durante la seconda insurrezione
giacobita, nella quale il
pretendente Carlo
Edoardo fu sconfitto dal
duca di
Cumberland(The Butcher/ Il
Macellaio). dopo un tentativo di invasione dell'Inghilterra.
Tornato
dunque in Scozia, la sua Patria, tradito degli inglesi infedeli, Carlo decise di
dar battaglia alla marmaglia di Cumberland; ancora una volta il saggio e fedele
Murray consigliò al Re di non cercare lo scontro in campo aperto, dove
l’inferiorità numerica avrebbe giocato a favore del nemico: il Re però ribattè
che mai avrebbe fatto la figura del topo che scappa, ma avrebbe affrontato i
suoi nemici sul campo, da uomo e da Re: parole nobilissime, ma che purtroppo non
basteranno. Lo scontro finale ebbe luogo a Culloden, il 16 aprile 1746: per
Carlo combatterono gli scozzesi, qualche sparuto gruppo di giacobiti inglesi e
alleati francesi e irlandesi, per il macellaio Cumberland la marmaglia e i rinnegati scozzesi comprati
con denaro e ignobili titoli nobiliari. L’artiglieria inglese cominciò un
bambardamento a tappeto delle linee scozzesi, prima che il Re, posizionato
dietro un’altura, potesse dare l’ordine di attacco: quando lo diede, al grido
unanime “Alba!” i clansmen in kilt e sciabola alla mano, caricarono, in un
ultimo, disperato assalto, le linee nemiche, per il Re e per la Libertà; sul
momento, la forza dell’impatto ruppe le prime linee, ma alla fine la superiorità
numerica degli inglesi prevalse. Gli scozzesi e lo stesso Carlo si batterono con
il medesimo eroismo, ma dovettero soccombere: i principali Capi dei Clan
decisero di proteggere la fuga del Re, per salvare l’ultima speranza della loro
Patria; se fosse caduto nelle mani del nemico e dell’infame Parlamento sarebbe
senz’altro stato assassinato come il suo avo Carlo I. Aiutato dai suoi fedeli,
in particolare da Cameron di Lochiel e da Lady Fiona Macdonald, Carlo riuscì a
scappare, a lasciare la Scozia, braccato come un deliquente comune, lui, il Re
d’Inghilterra e Scozia!, peregrinando in seguito per l’Europa. Per un certo
tempo visse presso i fedeli alleati francesi, poi a Roma, la terra della sua
infanzia, accolto come un Re, né più né meno di quello che era, dal Papa.
Un dipinto raffigurante Carlo Edoardo in compagnia di Lady
Fiona Macdonald
Così
giungiamo alla parte più penosa della nostra storia: dopo la sconfitta e la
fuga, come abbiamo visto, Carlo si salvò, almeno lui. Sì, perché i suoi uomini
ebbero una sorte decisamente meno fortunata; caduti nelle grinfie del criminale
Cumberland, per loro cominciò l’inferno: il macellaio, per prima cosa, fece
massacrare tutti i feriti che ancora giacevano sul campo, primo atto disumano.
Per amore della verità va detto che non tutti i suoi soldati accettarono di
obbedire a quell’ordine infame: ci fu anche chi, come James Wolfe, futuro eroe
della Guerra dei Sette Anni in Canada, si rifiutò di sparare sui feriti
agonizzanti, ma fu purtroppo un eccezione. Poi, tutti i fuggiaschi furono
inseguiti e ricercati: quelli che furono trovati furono uccisi subito, strappati
alle case e alle famiglie, intere fattorie incendiate, con il consueto
corollario di stupri e rapine; i meno fortunati invece vennero catturati,
portati in Inghilterra e per la maggior parte stipati in prigioni disumane,
torturati, affamati, umiliati, lasciati morire. Ma non era finita: quello che
gli scozzesi più temevano e avevano cercato di evitare, fu realizzato poco dopo
dall’ineffabile Parlamento di “Sua Maestà” (l’impostore naturalmente): con pochi
atti venne abolita ogni autonomia della Scozia, si volle cancellarne la cultura,
la storia, la memoria stessa di popolo: il gaelico venne proibito, venne
proibito l’uso del tartan (kilt) come abbigliamento tradizionale, le terre che
da sempre costituivano patrimonio comune dei clan vennero distribuite a invasori
inglesi o agli scozzesi venduti, gettando così migliaia di persone nella
fame e nella disperazione, senza più
casa o mezzi di sostentamento; molti furono costretti a emigrare in America,
bollati come ribelli e traditori (un destino che ricorda da vicino quello del
nostro Meridione dopo la scellerata occupazione sabauda), la Scozia si spopolò,
venne sottomessa e schiavizzata per secoli. Solo nell’Ottocento verrà
riscoperta, grazie ai romanzi di Walter Scott e alla predilezione della Regina
Vittoria (paradosslamente di quella stessa stirpe di impostori che l’avevano
così ridotta), che decise di trascorrere le proprie vacanze estive nella tenuta
di Balmoral, nell’Aberdeenshire. Oggi il Partito Nazionalista Scozzese al
governo ha indetto un referendum per dichiarare la secessione del Paese
dall’illegittimo Regno Unito: ovviamente ci auguriamo che ciò riesca e che gli
scozzesi recuperino la libertà che meritano e che per secoli è stata loro
negata. Carlo, dopo aver a lungo peregrinato per l’Europa patrocinando,
purtroppo inutilmente, la sua buona causa giunse, come abbiamo detto, a Roma. Il
padre morì nel 1766 e Carlo da Reggente divenne Re Carlo III d’Inghilterra,
Scozia, Irlanda e Francia; e qui bisogna parlare di un’altra pagina miserevole,
quella dell’ignobile campagna di denigrazione messa in atto dai circoli
pseudo-intellettuali liberali, istigati ovviamente dall’Inghilterra, per
screditare la sua figura. Posto sotto la sorveglianza continua di agenti
britannici, spiato, lo si accusò dapprima di essere ridicolo nel voler
rispettare un’etichetta regale nella sua vita privata (ci domandiamo cosa ci
fosse di sbagliato, dal momento che era Re), poi di essere un alcolizzato
(quando in realtà la sua cattiva salute era solo dovuta alla depressione non
curata che lo aveva afferrato, alcolizzato lo diventerà purtroppo solo alla fine
della sua esistenza) e mille altre miserabili calunnie, tanto più infami in
quanto non andavano a colpire su fatti di qualche rilevanza, dato che su quel
punto Carlo era inattacabile, ma solo su pettegolezzi ridicoli. Nel 1753 aveva
avuto una figlia naturale, Carlotta, poi legittimata come duchessa d’Albany, da
una emigrata scozzese come lui, Clementina Walkinshaw; va detto che in gioventù
Carlo era stato un vero donnaiolo, aiutato certamente dalla sua bellezza e
dall’aura di eroe che lo circondava: prima aveva intrecciato una relazione con
la cugina, la principessa di Montbazon, sposata a un membro della prestigiosa e
potentissima famiglia bretone dei Rohan, dalla quale aveva avuto un figlio,
riconosciuto dal marito dell’amante, ma notoriamente suo. Poi divenne l’amante
della principessa de Talmont, già sui quarant’anni; ma il vero amore della sua
vita fu Clementina, dalla quale ebbe la sua unica figlia legittimata. Questo
personaggio sarà molto importante alla fine della nostra storia, cui ci
accingiamo ad arrivare: quando era ormai
l’ombra di se stesso, ignobilmente denigrato, i suoi sostenitori, sebbene fosse
ormai avanti negli anni, decisero di trovargli una sposa perché un erede
legittimo portasse avanti la dinastia e non facesse morire la stirpe degli
Stuart: la moglie prescelta era una principessa austriaca, Louise zu
Stolberg-Gedern, figlia di un generale di Maria Teresa, assai più giovane di
lui; personaggio totalmente inadatto al ruolo che doveva ricoprire, piuttosto
frivola, si stancò ben presto del marito e cercò compagnie altrove, tra gli
stessi “letterati” che schernivano il Re alle sue spalle. Come si sa incontrò
poi Vittorio Alfieri, che da bravo rivale in amore cercò di buttare quanto più
fango possibile addosso al rivale, e di fatto abbandonò il suo legittimo sposo
per l’Alfieri, anche se la separazione divenne ufficiale solo dopo la morte di
Carlo. Nei suoi ultimi anni, adduggiato e adombrato dall’amarezza di chi,
consapevolmente dalla parte della ragione, si vede denigrato e umiliato per aver
avuto il coraggio di difendere il proprio buon diritto e la propria ragione,
trovò conforto nell’affetto e nelle cure della figlia, che l’aveva raggiunto a
Roma; la breve convivenza tra Carlo e Clementina, i suoi genitori, era stata
disastrosa: dopo la sconfitta Carlo era disperato ed era piombato in una crisi
depressiva molto forte che lo portava a frequenti crisi nelle quali diventava
violento. Clementina si era allora ritirata in un convento e Carlotta era
cresciuta insieme alla madre in Francia senza aver praticamente conosciuto il
padre, intanto stabilitosi a Roma. Una volta adulta intrecciò una relazione con
un lontano parente, il cardinale di Rohan, Arcivescovo di Cambrai, dal quale
ebbe tre figli, legittimati col nome dei Rohan, ai quali dedicherò un breve
accenno in conclusione; quando però seppe della malattia del padre, che in breve
lo avrebbe condotto alla morte, accorse subito da lui e Carlo, immensamente
rinfrancato e orgoglioso della figlia, la ricompensò riconoscendola
ufficilamente come erede con il titolo di Duchessa d’Albany; ormai ridotto a un
relitto, piegato dall’alcool, Re Carlo III morì a Roma il 31 gennaio 1788.
Sicuramente gli immondi gufi che lo spiavano saranno stati immensamente
sollevati da questa notizia: l’ultimo discendente maschio legittimo della
dinastia infatti, quel Cardinale Enrico di York di cui abbiamo detto all’inizio,
sebbene riconosciuto Re Enrico IX, quale era di diritto, era ormai un anziano
prelato senza alcuna possibilità di generare eredi legittimi: quando morì, nel
1807, in piena epoca giacobina (della quale la deposizione della sua Casa aveva
segnato uno degli antecedenti principali), lasciò suo erede il parente maschio
cattolico più prossimo, Carlo Emanuele IV di Savoia; fu sepolto insieme ai
genitori e al fratello nelle Grotte Vaticane, mentre uno stupendo monumento
funebre del Canova nella Basilica di San Pietro commemora la memoria dei
legittimi Re ignobilmente spodestati.
Carlo Edoardo Stuart (1775)
Sicuramente gli immondi gufi che lo spiavano saranno stati immensamente sollevati da questa notizia: l’ultimo discendente maschio legittimo della dinastia infatti, quel Cardinale Enrico di York di cui abbiamo detto all’inizio, sebbene riconosciuto Re Enrico IX, quale era di diritto, era ormai un anziano prelato senza alcuna possibilità di generare eredi legittimi: quando morì, nel 1807, in piena epoca giacobina (della quale la deposizione della sua Casa aveva segnato uno degli antecedenti principali), lasciò suo erede il parente maschio cattolico più prossimo, Carlo Emanuele IV di Savoia; fu sepolto insieme ai genitori e al fratello nelle Grotte Vaticane, mentre uno stupendo monumento funebre del Canova nella Basilica di San Pietro commemora la memoria dei legittimi Re ignobilmente spodestati.
Enrico Benedetto Maria Clemente Stuart
(Roma,
6
marzo
1725 –
Roma,
13
luglio
1807).Successore, e fratello, di Carlo III Stuart.
Tomba di Giacomo
III Stuart, Carlo III Stuart e Enrico IX Stuart, "grotte vaticane", Basilica di San Pietro.
Fonte:
Wikipedia
Scritto da:
Redazione A.L.T.A.