lunedì 25 marzo 2013

Cina: bambini sempre più intelligenti fabbricati grazie all’eugenetica

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La Cina sarà, è o sta già diventando il nuovo superpotere globale, si tratta di un mantra conosciuto da tutti coloro che leggono i giornali. Tutti sanno anche che il paese del dragone, con le sue immense riserve monetarie, si sta comprando il debito pubblico degli americani e che sta pure mettendo le mani su importanti risorse naturali, giacimenti petroliferi, di gas, etc. Pochi però immaginano che la Cina nutre anche il sogno di diventare, in breve, il paese più intelligente del mondo, la nazione che ospiterà i più belli ingegni del pianeta. Come fare? Semplice, con l’eugenetica.
Nel paese orientale, lo Stato supporta da anni un importante progetto di ingegneria genetica. Nell’istituto genomico di Pechino, gli scienziati hanno raccolto campioni di dna di duemila tra le persone più intelligenti della terra. L’ambizioso scopo è quello di «sequenziare» il Dna raccolto (determinare e descriverne la struttura) per riuscire ad individuare gli alleli responsabili dell’intelligenza.
Le coppie cinesi che procreano con la fecondazione in vitro saranno in misura di scegliere gli zigoti più intelligenti per ottenere la prole più brillante. In effetti, una volta che il gamete maschile ha fertilizzato diversi ovociti femminili, si potranno testare gli embrioni e capire quali sono quelli destinati ad diventare, una volta nati, i più intelligenti. L’embrione scelto con questa metodologia farà nascere il bambino più intelligente che la coppia avrebbe avuto se avesse fatto cento bambini.
Anche se non è previsto dal progetto, lo stesso principio può essere applicato ad altre caratteristiche, fisiche e spirituali. Mentre l’intelligenza dipende da un numero elevato di fattori, le radici genetiche di proprietà quali statura, forza muscolosità, etc. sono relativamente più facili da individuare. Secondo molti scienziati, perfino tratti caratteriali come l’impulsività, la religiosità e perfino le preferenze politiche possono essere rintracciati nel genoma ed essere quindi l’oggetto di questa selezione genetica.
Lo stato cinese vuole implementare il progetto perché vede gli effetti benefici per lo sviluppo economico del paese. L’eugenetica è entrata nelle preoccupazioni del partito comunista fin dagli anni settanta, sotto il regime di Deng Xiaoping. I dirigenti considerano che quante più persone intelligenti ci saranno in Cina, tanto più il paese aumenterà la sua produttività e la sua capacità di innovazione.
In Occidente le capacità per sviluppare tali tecniche esistono, sia da un punto di vista tecnico che scientifico. Qui, però, un alto numero di cittadini si oppongono a tali procedure che, infatti, non sono sviluppate dalla comunità scientifica. Se da noi, il «supermercato genetico» ci ricorda le ambizioni dei nazisti e l’infelice mito del Faust, così non è in Cina, dove molte coppie sono ben contente di poter fare in modo che, attraverso la scienza, i loro figli siano più belli, più sani, più intelligenti.
di Francesco Montorsi
NDRIl progetto di ingegneria genetica dell’Istituto del Genoma in Pechino sembra improntato a quegli ideali di progresso e sviluppo che, nel comprensibile plauso mondiale, blasonate istituzioni come L’ONU e l’Unione Europea portano avanti sotto più aspetti. Effettivamente, una ricerca condotta sequenziando il DNA di un discreto numero di “cervelloni”, per individuare gli alleli responsabili dell’intelligenza superiore o perlomeno correlati al Q.I. della persona, farebbe gola a biologi e genetisti e, in caso di esiti interessanti, potrebbe fornire spunti per l’implementazione di terapie geniche (http://it.wikipedia.org/wiki/Terapia_genica) e, credo, meriterebbe l’assegnazione del premio Nobel.
Ora, la scienza in sé non è mai “cattiva”, perché è uno strumento, ed è raro trovare strumenti intrinsecamente “cattivi”. Tuttavia un simile progetto, il cui fine esplicitamente dichiarato è pilotare la fecondazione in vitro portando alla selezione e all’impianto dei soli embrioni “ottimali”, cioè con determinate caratteristiche d’intelligenza potenziale, a mio avviso prospetta anche alla mente del più laico e scientista degli osservatori qualche giustificata perplessità.
Un primo dubbio sulla bontà dell’iniziativa è di natura strettamente scientifica: qual è l’attendibilità della tesi posta alla base di tale indagine? Già la consultazione di una fonte semplice, per non specialisti come me (http://www.treccani.it/enciclopedia/neuroscienze-basi-biologiche-dell-intelligenza_(Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica)/), suggerisce che un approccio al tema dell’intelligenza umana esclusivamente fondato su basi biologiche e biochimiche e su un patrimonio ereditario trasmissibile come “pacchetto” sia, nella migliore delle ipotesi, parziale e superato. L’intelligenza intesa non solo come capacità cognitiva e di astrazione, ma anche come adattamento, creatività e capacità di problem solving, dipende all’evidenza da una pluralità di fattori, e non si vede perché l’educazione e l’ambiente (c.d. nurture) debbano contar meno dei cromosomi (nature). Se infatti è incontestabile che buona parte dei ritardi mentali scaturisce da sindromi e malattie genetiche, non è certo incontestabile il reciproco, ossia che i livelli di Q.I. particolarmente alti dipendano in misura preponderante dal DNA e non da un ambiente, un’educazione e perché no, un clima umano particolarmente propizii.
Da ciò discende la semplice constatazione che dalla selezione e dall’impianto – poniamo – di 1 solo embrione su 20 prodotti, embrione corrispondente alle caratteristiche che la ricerca vorrebbe mappare, potrebbe non derivare affatto un bambino particolarmente dotato. Va dimostrato infatti (e l’onere della prova incombe sugli eugenisti) che l’intelligenza possa svilupparsi in modo armonico in un qualsivoglia contesto: per ottenere una percentuale di successo ragionevole, bisognerebbe dunque operare a monte una selezione propedeutica, la selezione dei genitori, per restringere l’accesso alla PMA eugenetica alle sole coppie in grado di fornire al nascituro quell’ambiente culturale e relazionale più idoneo a sviluppare i talenti in nuce contenuti nel dato genetico. Ma forse questa biopolitica è troppo “spinta” anche per il governo cinese, che certo non circonda le libertà individuali di grande rispetto.
Da chiarire, inoltre, come mai sia oggi estremamente difficile far comprendere la semplice realtà che un embrione è persona sin dal primo istante successivo alla fecondazione, perché portatore – e questo è un dato inoppugnabile – di un corredo genetico umano, individuato ed irripetibile, ma si accetti volentieri, a quanto pare,  la tesi scientifica (indimostrata) che attribuirebbe all’embrione un brillante futuro da beautiful mind in virtù del medesimo corredo. Qui, il DNA è sufficiente a effettuare proiezioni di come quell’embrione sarà tra 40 anni. Là, esso non basta a renderlo meritevole di tutela, perché si nega la continuità con ciò che quell’embrione sarà tra 9 mesi. Che cosa è dunque l’embrione? Se è persona potenziale, quindi ancora non-persona (questo il mantra del mondo prochoice), non è possibile attribuirgli qualità, come l’intelligenza, che sono proprie di una persona. Se è persona in atto, l’eventuale IVG motivata da sue malformazioni, e il procedimento stesso di PMA, assumono una fisionomia molto diversa, molto più inquietante di quella tracciata dal pensiero mainstream.
Un’altra fallacia logica si annida, infine, nell’utilitarismo candidamente propagandato dal governo della Repubblica Popolare Cinese, fondato sul nesso eziologico tra l’intelligenza dei consociati e i risultati conseguiti dal Paese in termini di competitività internazionale. Ammesso (e non concesso) infatti che compito di uno Stato sia conquistare i mercati, prima che tutelare i propri cittadini, risulta comunque indimostrato che la forza di una nazione risieda nella fitness cognitiva dei propri membri, accertata tramite parametri anelastici e convenzionali, quali possono essere i test e gli indici di Q.I. La visuale riduzionistica cui Pechino s’accoda non tiene infatti in debito conto quello che è un dato comune dell’esperienza (e il senso comune rivela una forte liaison con la vita prenatale: quanto meno si tutela questa, tanto più il primo sembra cadere in disuso, estinguersi per oblìo), ossia che una corretta organizzazione del lavoro ed un ambiente sereno e stimolante possono valorizzare al massimo grado anche talenti non eccezionali, mentre un contesto alienante e irrispettoso della dignità umana può viceversa deprimere anche i doni naturali più eccellenti. 
La strada eugenetica battuta dalla Cina non sembra, dunque, almeno ad una prima analisi fondata su premesse logiche e scientifiche particolarmente salde. Volutamente lascio al lettore ogni valutazione ulteriore, di natura antropologica e morale, su un’ingegneria sociale illusoria e disumanizzante, ideata in nome di un “darwinismo sociale”che ha l’odore stantìo dell’Aktion T4.
di Ilaria Pisa

tratto da prolifenews.it