La ciarlataneria di certi pensatori alla moda non ha limiti. Leggo da un articolo di Slavoj Zizek
uscito su “La Repubblica” ed intitolato “L’Europa perduta”:
“Nel loro fervore di proteggere l´eredità giudaico-cristiana, i nuovi zeloti che hanno aderito alla recente crociata europea contro la minaccia dell’immigrazione sono pronti a sacrificare il vero nucleo di questa eredità: ogni individuo ha un accesso immediato all´universalità (dello Spirito Santo o, oggi, dei diritti umani e della libertà); e io posso prendere direttamente parte a questa dimensione universale, indipendentemente dalla mia particolare posizione all´interno dell´ordine sociale globale. Le “scandalose” parole di Cristo nel Vangelo di Luca non puntano forse nella direzione di una tale universalità che ignora ogni gerarchia sociale? «Se uno viene a me e non odia suo padre, e sua madre, e la moglie, e i fratelli, e le sorelle, e finanche la sua propria vita, non può esser mio discepolo» (Luca 14:26)”.
Dopo aver preso atto che per Zizek lo Spirito Santo e i diritti umani sono più o meno la stessa cosa, mi sorge un dubbio: che quello che ho appena letto sia il frutto di un giornalista di Famiglia Cristiana, di un esponente di Sant’Egidio, del solito gesuita impazzito, del priore di Bose Enzo Bianchi o dell’indimenticabile arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi? E invece no. Queste perle di saggezza non appartengono al più becero catto-mondialismo di stampo modernista, bensì ad una vera e propria star della filosofia internazionale: Slavoj Zizek, appunto.
Per cotanto cervellone Gesù Cristo non si riferiva a sé stesso in quanto Verità incarnata, che cometale divide gli uomini tra chi l’accetta e chi no, ma a qualsiasi pseudo-verità universalistica (i diritti umani, la libertà, ecc.). Dovremmo quindi, noi tutti – mi sembra di capire – sacrificare completamente la dimensione comunitaria e familiare alle superstizioni dell’individualismo egualitario e del cosmopolitismo senza radici?
E Zizek incalza: “…è l´amore stesso che ci impone di “slegarci” dalla comunità organica nella quale siamo nati; o, come disse San Paolo, per un cristiano non ci sono né uomini né donne, né ebrei né greci. Non sorprende affatto che l´apparizione di Cristo fosse considerata ridicola o scandalosa da coloro che si identificavano pienamente con un particolare modo di vivere.”
Insomma: per questo falsario di concetti (perché di falsificazione vera e propria si tratta) non solo lo Spirito Santo e i diritti umani sono più o meno la stessa cosa, ma Cristo e Paolo sarebbero stati i profeti della cosmopolis egualitaria (e magari, di idiozia in idiozia, anche della fine della famiglia in nome delle coppie di fatto). Mi viene da ridere, ma vorrei piangere.
Tra l’altro, quella di Zizek per San Paolo è davvero una fissazione. Tanto è vero che in un altro suo scritto, un commento al “Cristo sulla Croce” di Michelangelo, ci ha degnato di quest’altra perla: “Il legame con la comunità cristiana e il movimento progressista è cruciale…una comunità che segua il modello della comunità cristiana originaria:una comunità di emarginati…Ecco perchè io e molti altri filosofi di sinistra… siamo così interessati a rileggere, riabilitare e riappropriarci dell’eredità di Paolo”.
Non ci sarebbe bisogno di confutare simili stupidaggini, degne di un organo di stampa come
“Famiglia (pseudo) Cristiana”, se queste tesi non fossero sostenute con maggiore sofisticatezza e segno di valore opposto anche da certi “neopagani”, che accusano il cristianesimo di essere stato, più o meno, il “bolscevismo dell’antichità”.
Tutti costoro dimenticano tre cose. La prima è che la verità del Dio cristiano non è una verità di significato politico, ma trascendente. La seconda è che l’individualismo, l’egualitarismo e il
cosmopolitismo senza radici della modernità sono anzitutto antropocentrismo e rifiuto della
trascendenza, e in quanto tali sono antitetici al messaggio cristiano.
La terza è che non soltanto Cristo ha voluto fondare l’Ecclesia (che è una comunità anch’essa), ma che non ha nemmeno dimenticato le distinzioni tra i popoli. Le ha soltanto subordinate,
umanizzandole, ad una verità più grande, come dimostra anche l’episodio della donna Cananea
( Marco 7, 24-30 e Matteo 15, 21-28).
Quando San Paolo sosteneva che “Non cè più né giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo nè donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati, 3, 27-28), non stava ovviamente sostenendo lo Stato mondiale, la cosmopolis egualitaria, il femminismo o la nuova e assurda “teoria del gender” (le frasi di Paolo sulla sodomia come peccato mortale e “abominio” sono semmai le più ignorate dai catto-modernisti), ma la dignità di ogni soggetto umano davanti al Salvatore nell’unità della fede, in un mondo che non riconosceva affatto la giusta dignità a tutti gli esseri umani (basti pensare all’onnipresenza della schiavitù nel mondo pagano, o all’impurità della donna e dello straniero nel mondo ebraico). La fede in Cristo va oltre le differenze, che però non cessano di esistere, ma sono da interpretare alla luce di un’unità spirituale.
Infatti i pensatori cristiani della tarda età antica e del Medioevo hanno confermato l’antropologia politica del pensiero classico (l’uomo come “animale sociale e politico”, cioè comunitario, appartenente ad una specifica comunità), guardandosi bene da ritenerla superata. Il cristianesimo non ha mai negato la particolarità, ma l’ha conciliata con quella universalità veritativa di natura trascendente che l’ha resa più umana e quindi autentica.
Tornando a Zizek, egli continua con le sue assurdità: “Il solo modo di uscire da questo stallo è
proporre e lottare per un progetto universalista positivo che possa essere condiviso da tutti i
partecipanti. Gli ambiti di lotta in cui «non ci sono né uomini né donne, né ebrei né greci » sono molti, dall´ecologia all´economia..Il solo modo di uscire da questa impasse è che l’Europa rianimi la sua tradizione di emancipazione radicale e universale. Il nostro compito è quello di andare oltre la mera tolleranza verso altri, conquistare una positiva Leitkultur emancipativa che sola può sostenere un´autentica coesistenza e mescolanza di diverse culture, e impegnarci nell’imminente battaglia per questa Leitkultur”.
Insomma: come un Andrea Riccardi qualsiasi, questo acclamato filosofo da rotocalco ci ripropone la solita solfa mondialista, etnocida, immigrazionista, femminista (e magari omosessualista) spacciandola per vero cristianesimo. Un incubo!
Occorre lasciare la parola a due cattolici veri, che, pur non assolutizzandole, vogliono difendere le differenze tra i popoli e la loro particolarità. Il primo è Thomas Molnar, filosofo senza dubbio più interessante di Zizek: “L’elite propone la distinzione politically correct tra ‘nazione civica’ e ‘nazione etnica’. Ma il civismo può fondarsi solo su un’etnicità preliminare, che soltanto dopo diviene generosa e assimilatrice”. E ancora: “Cosa più grottesca di tutte, in Europa si vuole assolutamente divenire un ‘crogiolo’, sogno americano che già agonizza laggiù”. Il secondo è l’illustre storico Massimo Viglione, che nel commentare la nuova Costituzione ungherese si è così espresso: “Al di là delle immani tragedie del XX secolo, che una delle componenti essenziali per l’esistenza di una nazione sia il ceppo etnico, è una realtà tanto basilare da essere banale”. Viglione, favorevole a ripensare l’unità italiana su basi federali o confederali, ha così continuato: “Ciò che fa una nazione non è l’ideologia politica dominante…bensì l’identità comune di etnia, di lingua, di religione, di cultura, di tradizioni. Naturalmente, occorre vigilare che da questi elementari principi non si precipiti in pericolose derive razziste, ma, come noto, l’abuso non toglie l’uso.” Non si potrebbe dir meglio.
uscito su “La Repubblica” ed intitolato “L’Europa perduta”:
“Nel loro fervore di proteggere l´eredità giudaico-cristiana, i nuovi zeloti che hanno aderito alla recente crociata europea contro la minaccia dell’immigrazione sono pronti a sacrificare il vero nucleo di questa eredità: ogni individuo ha un accesso immediato all´universalità (dello Spirito Santo o, oggi, dei diritti umani e della libertà); e io posso prendere direttamente parte a questa dimensione universale, indipendentemente dalla mia particolare posizione all´interno dell´ordine sociale globale. Le “scandalose” parole di Cristo nel Vangelo di Luca non puntano forse nella direzione di una tale universalità che ignora ogni gerarchia sociale? «Se uno viene a me e non odia suo padre, e sua madre, e la moglie, e i fratelli, e le sorelle, e finanche la sua propria vita, non può esser mio discepolo» (Luca 14:26)”.
Dopo aver preso atto che per Zizek lo Spirito Santo e i diritti umani sono più o meno la stessa cosa, mi sorge un dubbio: che quello che ho appena letto sia il frutto di un giornalista di Famiglia Cristiana, di un esponente di Sant’Egidio, del solito gesuita impazzito, del priore di Bose Enzo Bianchi o dell’indimenticabile arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi? E invece no. Queste perle di saggezza non appartengono al più becero catto-mondialismo di stampo modernista, bensì ad una vera e propria star della filosofia internazionale: Slavoj Zizek, appunto.
Per cotanto cervellone Gesù Cristo non si riferiva a sé stesso in quanto Verità incarnata, che cometale divide gli uomini tra chi l’accetta e chi no, ma a qualsiasi pseudo-verità universalistica (i diritti umani, la libertà, ecc.). Dovremmo quindi, noi tutti – mi sembra di capire – sacrificare completamente la dimensione comunitaria e familiare alle superstizioni dell’individualismo egualitario e del cosmopolitismo senza radici?
E Zizek incalza: “…è l´amore stesso che ci impone di “slegarci” dalla comunità organica nella quale siamo nati; o, come disse San Paolo, per un cristiano non ci sono né uomini né donne, né ebrei né greci. Non sorprende affatto che l´apparizione di Cristo fosse considerata ridicola o scandalosa da coloro che si identificavano pienamente con un particolare modo di vivere.”
Insomma: per questo falsario di concetti (perché di falsificazione vera e propria si tratta) non solo lo Spirito Santo e i diritti umani sono più o meno la stessa cosa, ma Cristo e Paolo sarebbero stati i profeti della cosmopolis egualitaria (e magari, di idiozia in idiozia, anche della fine della famiglia in nome delle coppie di fatto). Mi viene da ridere, ma vorrei piangere.
Tra l’altro, quella di Zizek per San Paolo è davvero una fissazione. Tanto è vero che in un altro suo scritto, un commento al “Cristo sulla Croce” di Michelangelo, ci ha degnato di quest’altra perla: “Il legame con la comunità cristiana e il movimento progressista è cruciale…una comunità che segua il modello della comunità cristiana originaria:una comunità di emarginati…Ecco perchè io e molti altri filosofi di sinistra… siamo così interessati a rileggere, riabilitare e riappropriarci dell’eredità di Paolo”.
Non ci sarebbe bisogno di confutare simili stupidaggini, degne di un organo di stampa come
“Famiglia (pseudo) Cristiana”, se queste tesi non fossero sostenute con maggiore sofisticatezza e segno di valore opposto anche da certi “neopagani”, che accusano il cristianesimo di essere stato, più o meno, il “bolscevismo dell’antichità”.
Tutti costoro dimenticano tre cose. La prima è che la verità del Dio cristiano non è una verità di significato politico, ma trascendente. La seconda è che l’individualismo, l’egualitarismo e il
cosmopolitismo senza radici della modernità sono anzitutto antropocentrismo e rifiuto della
trascendenza, e in quanto tali sono antitetici al messaggio cristiano.
La terza è che non soltanto Cristo ha voluto fondare l’Ecclesia (che è una comunità anch’essa), ma che non ha nemmeno dimenticato le distinzioni tra i popoli. Le ha soltanto subordinate,
umanizzandole, ad una verità più grande, come dimostra anche l’episodio della donna Cananea
( Marco 7, 24-30 e Matteo 15, 21-28).
Quando San Paolo sosteneva che “Non cè più né giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo nè donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Galati, 3, 27-28), non stava ovviamente sostenendo lo Stato mondiale, la cosmopolis egualitaria, il femminismo o la nuova e assurda “teoria del gender” (le frasi di Paolo sulla sodomia come peccato mortale e “abominio” sono semmai le più ignorate dai catto-modernisti), ma la dignità di ogni soggetto umano davanti al Salvatore nell’unità della fede, in un mondo che non riconosceva affatto la giusta dignità a tutti gli esseri umani (basti pensare all’onnipresenza della schiavitù nel mondo pagano, o all’impurità della donna e dello straniero nel mondo ebraico). La fede in Cristo va oltre le differenze, che però non cessano di esistere, ma sono da interpretare alla luce di un’unità spirituale.
Infatti i pensatori cristiani della tarda età antica e del Medioevo hanno confermato l’antropologia politica del pensiero classico (l’uomo come “animale sociale e politico”, cioè comunitario, appartenente ad una specifica comunità), guardandosi bene da ritenerla superata. Il cristianesimo non ha mai negato la particolarità, ma l’ha conciliata con quella universalità veritativa di natura trascendente che l’ha resa più umana e quindi autentica.
Tornando a Zizek, egli continua con le sue assurdità: “Il solo modo di uscire da questo stallo è
proporre e lottare per un progetto universalista positivo che possa essere condiviso da tutti i
partecipanti. Gli ambiti di lotta in cui «non ci sono né uomini né donne, né ebrei né greci » sono molti, dall´ecologia all´economia..Il solo modo di uscire da questa impasse è che l’Europa rianimi la sua tradizione di emancipazione radicale e universale. Il nostro compito è quello di andare oltre la mera tolleranza verso altri, conquistare una positiva Leitkultur emancipativa che sola può sostenere un´autentica coesistenza e mescolanza di diverse culture, e impegnarci nell’imminente battaglia per questa Leitkultur”.
Insomma: come un Andrea Riccardi qualsiasi, questo acclamato filosofo da rotocalco ci ripropone la solita solfa mondialista, etnocida, immigrazionista, femminista (e magari omosessualista) spacciandola per vero cristianesimo. Un incubo!
Occorre lasciare la parola a due cattolici veri, che, pur non assolutizzandole, vogliono difendere le differenze tra i popoli e la loro particolarità. Il primo è Thomas Molnar, filosofo senza dubbio più interessante di Zizek: “L’elite propone la distinzione politically correct tra ‘nazione civica’ e ‘nazione etnica’. Ma il civismo può fondarsi solo su un’etnicità preliminare, che soltanto dopo diviene generosa e assimilatrice”. E ancora: “Cosa più grottesca di tutte, in Europa si vuole assolutamente divenire un ‘crogiolo’, sogno americano che già agonizza laggiù”. Il secondo è l’illustre storico Massimo Viglione, che nel commentare la nuova Costituzione ungherese si è così espresso: “Al di là delle immani tragedie del XX secolo, che una delle componenti essenziali per l’esistenza di una nazione sia il ceppo etnico, è una realtà tanto basilare da essere banale”. Viglione, favorevole a ripensare l’unità italiana su basi federali o confederali, ha così continuato: “Ciò che fa una nazione non è l’ideologia politica dominante…bensì l’identità comune di etnia, di lingua, di religione, di cultura, di tradizioni. Naturalmente, occorre vigilare che da questi elementari principi non si precipiti in pericolose derive razziste, ma, come noto, l’abuso non toglie l’uso.” Non si potrebbe dir meglio.
Martino Mora
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