Pietro Fernandez di Castro, figlio di don
Fernando e fratello di don Francesco, giunse a Procida nel giugno 1610. Questi
era nato a Monforte di Lemos nel 1576. Non era nuovo ad importanti cariche
amministrative, perchè nel 1603 era stato designato a presiedere il Consiglio
delle Indie. Giunse con la moglie la contessa Caterina Gomez de Sandoval y
Rojas. Erano quasi coetanei ed erano stati allevati insieme alla corte di
Filippo III. La potenza del suocero di lui, Juan Alonso Pimentel de Herrera
conte di Benavente, gli valsero una brillante carriera; infatti, allo scadere
del mandato di Benavente nel 1606, Pedro lo sostituì nella carica di Vicerè di
Napoli.
Il nome di Don Pedro Fernandez de Castro conte
di Lemos ricorre frequentemente nelle opere di Lope de Vega, suo segretario, di
D. Luis de Gongora, di Cristobal de Mesa, di D. Esteban Manuel de Villegas, di
Alonso de Salas Barbadillo. Egli fu gran mecenate e letterato lui stesso si che
il Lope de Vega poteva così lodare l’eleganza dei suoi versi:
Esilo superior, divina mano,
pluma sutil de peregrino corte,
arte divino, contrapunto en llano.
Il Cervantes il 19 aprile 1616 in punto di
morte gli dedicò la novella di Persiles y Sigismunda. Giulio Cesare Cortese
vedeva in lui “Quillo conte che fa guerra A la nmidia e a lo tiempo” e Tommaso
Costo scriveva che il Lemos era venuto “con fama d’esser signore intendente,
letterato ed amato di persone simili, e d’esser di buona e retta
intenzione”.
Il conte fu fine letterato e grande mecenate.
Il 3 maggio del 1611 fondò l'Accademia degli Oziosi che adottò il motto "Non
pigra quies" e prese a riunirsi nel chiostro della chiesa di Santa Maria delle
Grazie a Caponapoli. Il suo emblema fu l'aquila sormontata da una corona e da un
angelo. Ne fu presidente Giovan Battista Manso e ne facevano parte Gianbattista
Marino, Ginabattista della Porta, Giovanni Andrea Di Paolo, Giulio Cesare
Capaccio, Francesco de' Pietri, il cardinale Gaetani, Ascanio Filomarino, futuro
cardinali arcivescovo di Napoli, Tommaso Campanella, Giambattista Basile,
l'abate di Montecassino Vittorino di Maio, il poeta madrileno Francisco de
Quevedo. Più tardi l'accademia iniziò a riunirsi nel chiostro di San Domenico
Maggiore; ebbe vita fragile, decadde quando il Lemos lasciò Napoli.
Don Pedo Fernandez de Castro si interessò
dell’Università degli Studi Regi di Napoli, le cui lezioni dall'inizio del
dominio spagnolo erano state ricoverate nei vari chiostri cittadini, finanziando
un nuovo edificio e rimodernando il sistema dell'insegnamento e delle cattedre.
Per la nuova sede dell’Ateneo il Vicerè si affidò al noto architetto Giulio
Cesare Fontana che avviò la ristrutturazione della vecchia cavallerizza situata
fuori la porta di S. Maria di Costantinopoli. Insieme al Palazzo degli Studi nel
giugno del 1615 un corteo variopinto di dignitari ed accademici inaugurò anche
la prima biblioteca del Regno di Napoli, che fu anche la prima nella penisola
italiana, sul modello di quella di Salamanca.
Senza dubbio l’opera che maggiormente gli dà
lustro è la costruzione dei Regi Lagni, fondamentale opera di bonifica della
pianura campana condotta nei secoli XVI e XVII. I lavori interessarono i
territori paludosi attraversati dall’antico Clanis. I lavori iniziarono nella
prima metà del 1500, ma furono portati a termine con maggiore efficacia solo nel
1610 sotto la direzione di Domenico e Giulio Fontana. Con circa 300 operai
impiegati per uno stipendio di 28 mila ducati, i lavori terminarono nel 1616
sotto il governo del Vicerè Pedro Fernandez de Castro, conte di Lemos. I Regi
Lagni toccano il basso Volturno, Nola e il Vesuviano fino ai Campi Flegrei,
l’antica zona indicata dai romani come Campania Felix. Prima dell’opera una
immensa palude si estendeva da Nola ad Afragola, passando per Acerra dove le
acque del Clanio incontravano quelle del Lago Gorgone, fino al mare. Regnavano
in questi territori pestilenze e malaria. Il lavoro di bonifica costruì canali e
collettori per le acque, rettificando il corso del Clanio, alimentato oltre che
dalle acque pluviali, anche dalle acque di Mefito, Calabricito e del
Somma.
Angelo D'Ambra
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