Per "Cinque giornate di Milano" si fa riferimento all'insurrezione avvenuta tra il 18 e il 22 marzo 1848 nell'omonima città, capitale del Regno Lombardo-Veneto, che portò all'instaurazione di un governo liberale filo-sabaudo in sostituzione al legittimo governo asburgico.
Fu uno dei moti liberal-settari nazionalisti europei del 1848-1849 nonché uno degli episodi della così detta "storia risorgimentale italiana" del XIX secolo, preludio all'inizio della prima guerra di espansionismo sabaudo (per la storiografia patriottarda "Prima guerra d'indipendenza): la rivolta infatti influenzò le decisioni del tentennante re di Sardegna Carlo Alberto che dopo aver a lungo esitato, approfittando della temporanea debolezza degli imperial-regi in ritirata, dichiarò guerra all'Impero d'Austria.
Antefatti
Regno Lombardo-Veneto
Nel 1848 Milano era capitale del Regno Lombardo-Veneto, la perla dell'Impero . La città, da quando nel 1815, in seguito alla Restaurazione ,divenne capitale del Regno, viveva un momento di prosperità economica e culturale che era già stata anticipata nel XVIII secolo quando l'allora Ducato di Milano passò sotto il governo degli Asburgo. Nonostante ciò vi era una parte della società milanese e lombarda, in specie l'alta borghesia e parte della nobiltà di tendenze nettamente liberali, che manifestava un mal celato malcontento diffuso da tempo, come dimostrarono nel 1846 le scene di gioia da parte di questi seguite all'elezione al soglio pontificio di Papa Pio IX, le cui prime decisioni politiche (come l'introduzione di una maggiore libertà di stampa) sembrarono mostrare una svolta politica e sociale liberale rispetto ai papi precedenti e ai criteri della Restaurazione.
La tensione tra l'alta società milanese e asburgica (i più di 8.000 soldati della guarnigione austriaca erano agli ordini dell'ottantaduenne generale Josef Radetzky, comandante anche tutte le truppe imperiali nel Lombardo-Veneto) crebbe col passare dei mesi: ogni gesto della parte avversaria veniva monitorato sia da una parte che dall'altra , e le provocazioni aggressive non mancarono da parte dei liberali ( molte azioni vennero ordinate dal poliziotto Luigi Bolza per tenere sotto controllo eventuali operazioni sovversive) . Tutto sommato, almeno all'inizio, vi furono anche gesti di indole moderata.
Nel settembre 1847 fece il suo ingresso in città il nuovo arcivescovo Carlo Bartolomeo Romilli, che sostituiva Karl Kajetan von Gaisruck, i festeggiamenti per la nomina di un arcivescovo lombardo, con un insistente canto dell'inno a Pio IX per rabbonirsi il popolo fedelmente cattolico, dettero la possibilità ad un gruppo di facinorosi di creare caos provocando la reazione della polizia che caricò la folla a piazza Fontana dove nella mischia perse la vita un milanese e ne rimasero feriti altri, nello stesso periodo gli animi dei sovversivi iniziarono ad infiammarsi dalle notizie dei moti liberali calabresi e divenne di moda tra di loro indossare i cappelli tronchi conici detti alla calabrese .
Carlo Bartolomeo Romilli
Karl Kajetan von Gaisruck
Nei primi giorni del gennaio 1848 per protestare contro l'amministrazione asburgica i liberali milanesi decisero di non fumare più, volendo in tal modo colpire le entrate erariali dovute alla tassa sul tabacco. Gli ideatori andavano in giro per la città e ogni qual volta vedevano un milanese fumare lo punivano severamente obbligandolo a sottostare allo "sciopero". In tutta risposta alla provocazione che minava l'ordine pubblico il comando asburgico ordinò ai soldati di andare per strada fumando ostentatamente sigari. I soldati furono anche provvisti di abbondanti razioni di acquavite e negli alterchi coi i rivoltosi che li attaccavano di frequente non esitarono come giusto ad usare le daghe, al termine di tre giorni di reazione allo sciopero si contarono 6 morti e oltre 80 feriti fra milanesi rivoluzionari, milanesi austriacanti e soldati imperial-regi. Nel gennaio 1848, quando a Milano lo ‘sciopero del tabacco’ stava raggiungendo il suo culmine, l’alto comando militare asburgico nel Regno Lombardo-Veneto non dubitava affatto della lealtà dei soldati italici, e nonostante giungessero avvisaglie, nei mesi precedenti, di una forte attività di propaganda per spingere alla disubbidienza e alla diserzione i reparti d’ogni nazionalità, ed in particolare i lombardo- veneti, Radetzky non credette di dover intervenire e li giudicò casi isolati. Il Generale imperiale von Schönhals anzi, nelle sue Memorie, ricorda con compiacimento come a Milano il 5 gennaio “…i soldati uscirono dalla caserma col cigarro in bocca, non però come l’altre volte isolatamente. I granatieri italiani in ispecie avevano un cigarro ai due lati della bocca, e se ne andarono allegramente, mandando fuori nugoli di fumo.”
Litografia di propaganda risorgimentalista che mostra dei soldati dell'imperial-regio esercito malmenare dei milanesi durante lo "sciopero del fumo".
La rivolta settaria di Palermo del 12 gennaio e la conseguente decisione del Re Ferdinando II di concedere la fiducia ai liberali concedendo una Costituzione, a cui seguì ai primi di febbraio la promulgazione dello Statuto Albertino e la concessione di costituzioni nel Granducato di Toscana e nello Stato Pontificio, oltre all'esperimento costituzionale nel Ducato di Parma, fecero salire a livelli ancora più alti la tensione a Milano. Proseguendo le manifestazioni sovversive dei liberali nel Regno, il 22 febbraio venne promulgata in tutto il Lombardo Veneto , in risposta alla situazione critica in cui le bande sovversive avevano gettato lo stato, la Legge Stataria, che rimuoveva le garanzie per gli imputati ai processi, e secondo l'articolo 10 "non ha luogo né ricorso né supplica di grazia" contro la sentenza del giudice. Tuttavia le manifestazioni sovversive proseguirono, e il Radetsky , anche per ordini superiori, non utilizzò le truppe per ripristinare l'ordine on d'evitare il caos causato dai fatti legati allo sciopero del fumo.
I moti del 1848 toccarono anche Vienna (il 15 marzo Ferdinando I, costretto da alcuni elementi corrotti del governo, firmò una costituzione) e Berlino, lasciando intravedere ai liberali milanesi, ma anche agli ingenui autonomisti e popolani che si erano aggregati, che era possibile un radicale cambiamento anche nel Regno Lombardo-Veneto. Mentre a Milano si diffondevano le notizie della concessione di alcune riforme nei diversi Stati della penisola, il governatore Spaur e il viceré Ranieri Giuseppe, che era milanese DOC avendo assorbito dalla città vizi e virtù, si spostarono nella più tranquilla Verona.
Ranieri Giuseppe d'Asburgo-Lorena (Vicerè del Regno Lombardo-Veneto dal 1818 al 1848)
Proclama del Viceré Ranieri (5 gennaio 1848)
Gruppi rivoluzionari-insurrezionali
I milanesi ostili al governo asburgico erano suddivisibili in tre gruppi, ideologicamente separati per ispirazione politica e obiettivi, spesso in disaccordo e fino a quel momento non coordinati fra loro:
- mazziniani repubblicani, di cui i più rappresentativi erano Attilio De Luigi, Pietro Maestri, Luciano Manara e Giovanni Cantoni
- democratici riformisti, ostili anche al Regno di Sardegna e a Carlo Alberto, più desiderosi di ampie e profonde riforme che di una rivoluzione, fra questi Carlo Cattaneo, Pompeo Litta e Giulio Terzaghi
- nobili e patrizi, aspiranti alla fusione col Piemonte, di cui la figura di maggio rilievo era il podestà Gabrio Casati
- (tutti i gruppi, in un modo o nell'altro e a diversi gradi , erano "pilotati" da membri della massoneria).
Gabrio Casati
La Storia degli eventi del 48' milanese
Venerdì 17 marzo si diffuse in città la notizia delle forzate dimissioni di Metternich a seguito della insurrezione liberal-settaria a Vienna. La notizia spinse a decidere di approfittare dell'occasione per organizzare il giorno successivo una grande manifestazione davanti il palazzo del governatore (nell'attuale Piazza Mercanti) per richiedere alcune concessioni tese a dare maggiore autonomia a Milano e alla Lombardia: abrogazione delle leggi più repressive, libertà di stampa senza limitazione, scioglimento dell'attuale polizia e trasferimento al comune di Milano della responsabilità dell'ordine pubblico e istituzione di una Guardia Civica agli ordini della municipalità (borghesia milanese).
I primi combattimenti :
Il 18 marzo 1848 la manifestazione ben presto si trasformò in un assalto: O'Donell , il rappresentante del governatore Spaur, venne costretto dagli sgherri rivoluzionari a firmare una serie di concessioni e in tutta Milano cominciarono i combattimenti in strada.
Colto alla sprovvista, Radetzky si rinchiuse con i suoi uomini nel Castello Sforzesco (allora poco più che un grande quadrato senza il perimetro esterno demolito da Napoleone e separato dalla città da uno spiazzo vuoto) e ordinò di riprendere il palazzo del governatore sperando di catturare anche i capi della rivolta, che invece si erano trasferiti in una casa di Via Monte Napoleone, motivo per cui fallì anche una retata nella sede dell'arcivescovo. Radetzky comunque non era assediato, poteva infatti muovere i suoi uomini (saliti col tempo a 18.000/20.000) isolando la città dall'esterno, inoltre era in possesso di quasi tutti gli edifici pubblici, delle caserme, degli uffici di polizia e del Duomo, dal cui tetto gli Jäger (soldati scelti arruolati prevalentemente in Trentino e Tirolo) sparavano ai rivoltosi che capitavano nella loro area di tiro.
La situazione degli imperiali non era comunque delle migliori. Già il 19 marzo i rivoltosi milanesi avevano allestito circa 1.700 barricate difese anche dalle finestre e dai tetti delle abitazioni, che a volte vennero private dei muri per creare vie di comunicazione più veloci. La scarsità di armi da fuoco portò i milanesi a usare i fucili esposti nei musei e ad assegnarli solo ai tiratori più esperti. Le strade vennero dissestate e cosparse di ferri e vetri per rendere impossibile l'azione della cavalleria che già si trovava in difficoltà per le anguste strade che per la maggior parte attraversavano la capitale lombarda. Il 20 marzo Radetzky diede ordine a tutti i distaccamenti sparsi per Milano di trincerarsi nel castello e di mantenere il controllo della cinta muraria permettendo così ai sovversivi e settari Luigi Torelli e Scipione Bagaggia di salire sul Duomo per porre simbolicamente la bandiera della Rivoluzione (tricolore) sulla guglia della Madonnina.
Il consiglio di guerra:
Il 20 marzo si fondò un consiglio di guerra per iniziativa di Enrico Cernuschi, Giulio Terzaghi, Giorgio Clerici e Carlo Cattaneo che prese il comando effettivo delle operazioni e, la notte tra il 21 e il 22 marzo, nacque il Governo provvisorio presieduto dal podestà Gabrio Casati (il segretario era Cesare Correnti). La guerriglia fu organizzata con intelligenza e decisione costruendo mongolfiere per portare in sicurezza messaggi fuori dalle mura, agli astronomi venne detto di sorvegliare gli avversari da torri e campanili, gli impiegati del catasto e gli ingegneri vennero consultati per sapere come meglio muoversi in città, e divennero famosi i Martinitt ("piccoli martini", dal nome dell'orfanotrofio in cui vivevano) che funsero da portaordini e da veri e propri "Kamikaze". Questi bambini venivano indottrinati e, armi in pugno, mandati contro i soldati Imperiali sapendo che questi non avrebbero mai fatto fuoco su di loro. Una volta vicini ai soldati i bambini , come da ordine, sparavano a bruciapelo!.
Tra la fine del terzo giorno di lotta e l'inizio del quarto la situazione era entrata in stallo: le truppe austriache salde sulle loro posizioni (ma senza edifici capaci di ospitare tutti i soldati e consci che la perdita di una sola porta avrebbe vanificato l'intera operazione) e i sovversivi milanesi relativamente sicuri per le strade, ma a corto di rifornimenti. Radetzky inviò quindi un'offerta di tregua che divise il Consiglio di guerra tra moderati e democratici. Casati e i nobili , desiderosi di un cambio di governo favorevole alla loro smania di potere e ricchezza , chiedevano ad alta voce l'accettazione dell'armistizio e la chiamata in causa del re di Sardegna Carlo Alberto (con cui già aveva parlamentato il conte Martini che riferì al Consiglio, il 21 marzo, di aver ricevuto una risposta interlocutoria) che aveva già radunato l'esercito a Novara, pronto a muoversi non appena le personalità liberali milanesi più influenti avessero firmato una petizione necessaria per coprirsi e giustificare, di fronte alle diplomazie internazionali, l'entrata delle sue truppe nel Lombardo-Veneto.
A detta dei moderati, l'intervento delle truppe sabaude era necessario per sconfiggere l'esercito imperiale in una vera e propria campagna militare (secondo loro impraticabile dagli inesperti sgherri rivoltosi) e per prevenire eventuali degenerazioni rivoluzionarie fuori controllo; alcuni proposero anche, se il futuro fosse stato lombardo-piemontese, che il baricentro ne sarebbe stato Milano, a scapito di Torino. Diversa era invece la posizione dei democratici, con in testa Cattaneo: contrari ad ogni petizione e ad ogni armistizio, erano convinti che la rivoluzione avrebbe trionfato anche senza ricevere aiuti dall'odiato Savoia .
Alla fine prevalse il punto di vista dei democratici, l'armistizio fu rifiutato e si tornò a combattere. Il 21 marzo il rivoluzionario calzolaio Pasquale Sottocorno riuscì ad incendiare la porta del palazzo del genio in via Monte di Pietà creando una manovra elusiva permettendo ai rivoltosi guidati da Luciano Manara, Enrico Dandolo ed Emilio Morosini di impossessarsi della struttura, durante l'attacco restò ucciso Augusto Anfossi, uno dei fanatici capi militari della rivolta.
La temporanea vittoria della Rivoluzione :
Il 22 marzo mattina le strade cittadine erano sotto il controllo degli insorti, mentre gli imperial-regi controllavano le mura spagnole ed il Castello Sforzesco chiudendo la città in una cerchia, tuttavia nella campagna circostante le strade erano bloccate da quella parte di popolazione che aveva seguito l'inganno della rivoluzione e delle promesse di autonomia e che ora era in rivolta e agli imperiali mancava la possibilità di ricevere rifornimenti e rinforzi, per cui Radetski , il quale aveva a disposizione pezzi d'artiglieria sufficienti da soli a mettere fine alla rivolta , decise di prepararsi alla ritirata piuttosto che cannoneggiare quella che era divenuta a tutti gli effetti la sua città, dove conviveva con una milanese dalla quale aveva avuto dei figli nati a Milano e dove il popolino lo amava in specie quando scendeva tra la gente comune nelle tante osterie milanesi. Egli abbandonando la città conservò le posizioni per garantirsi una ordinata ritirata delle sue truppe tra le quali era presente il 44° Reggimento Arciduca Alberto composto interamente da milanesi. Gli scontri proseguirono quindi con i rivoluzionari che attaccavano per forzare il blocco e unirsi con gli insorti della campagna, le armi ai rivoltosi ormai non mancavano, grazie a quelle catturate in combattimento e quelle rinvenute nelle caserme abbandonate.
Immaginetta risorgimentalista di propaganda raffigurante l'abbandono della città di Milano da parte delle truppe imperiali.
Un primo attacco venne tentato la mattina contro Porta Comasina, quindi Porta Ticinese, entrambi respinti, ebbe infine successo un terzo assalto alla sguarnita Porta Tosa (in seguito per questo motivo Porta Vittoria) guidato da Manara. La porta venne conquistata a notte fonda sotto la luce degli incendi che divampavano nelle case adiacenti, la bandiera della rivoluzione venne issata sulle rovine della porta da Francesco Pirovano, uno dei tanti illusi giovinetti, garzone di panetteria di diciassette anni. La conquista di Porta Tosa segnò la temporanea vittoria della rivoluzione milanese.
Porta Tosa comunque venne temporaneamente ripresa dagli imperial-regi in quanto da questa posizione iniziava la strada che forzatamente avrebbe dovuto percorrere in ritirata per raggiungere le fortezze del Quadrilatero, seguendo la via dell'Adda. Radetzky lasciò la città la notte tra il 22 e il 23 marzo 1848 diretto verso il "Quadrilatero". La storiografia così detta "ufficiale" parla di 19 ostaggi al seguito del Radetzky ma in realtà questa storia montata come tante altre del periodo in questione non ha basi logiche ne veritiere.
Le quattro fortezze del Quadrilatero
L'idea vincente per assaltare le posizioni forti imperiali arrivò da Antonio Carnevali, ex giacobino e bonapartista professore di scuola militare ed ex ufficiale della Guardia di Napoleone nella campagna di Russia, che propose di avvicinarsi usando delle barricate mobili costituite da fascine di tre metri di diametro, bagnate per prevenire incendi, che i rivoltosi avrebbero dovuto far rotolare davanti a sé riparandosi dai proiettili .
Nonostante l'ormai certa vittoria sul campo visto che il Radetzky aveva lasciato la città, sul piano della politica Cattaneo venne meschinamente sconfitto al consiglio di guerra, infatti fu spedito a Torino un messaggero che portava la petizione falsificata con cui i milanesi chiedevano a Carlo Alberto di entrare in Lombardia. La petizione era un falso creato dal partito filo sabaudo che non teneva in nessun modo conto del parere della stragrande maggioranza dei milanesi.
Terminata la rivolta nacque infine l'organo ufficiale del governo provvisorio milanese, composto da un élite liberale, che prese il nome di "Il 22 marzo". Il sovversivo giornale iniziò le sue pubblicazioni il 26 marzo 1848, dalla sede di Palazzo Marino, sotto la direzione di Carlo Tenca.
Nonostante l'ormai certa vittoria sul campo visto che il Radetzky aveva lasciato la città, sul piano della politica Cattaneo venne meschinamente sconfitto al consiglio di guerra, infatti fu spedito a Torino un messaggero che portava la petizione falsificata con cui i milanesi chiedevano a Carlo Alberto di entrare in Lombardia. La petizione era un falso creato dal partito filo sabaudo che non teneva in nessun modo conto del parere della stragrande maggioranza dei milanesi.
Terminata la rivolta nacque infine l'organo ufficiale del governo provvisorio milanese, composto da un élite liberale, che prese il nome di "Il 22 marzo". Il sovversivo giornale iniziò le sue pubblicazioni il 26 marzo 1848, dalla sede di Palazzo Marino, sotto la direzione di Carlo Tenca.
Il 23 marzo, il giorno successivo alla fine dei combattimenti a Milano, le truppe piemontesi passarono il Ticino dirigendosi verso Milano dando inizio la prima guerra di espansionismo sabaudo.
L'esercito piemontese si mosse con estrema lentezza dando modo agli imperial-regi di ritirarsi senza rilevanti perdite nel Quadrilatero, sconfitte solo in due piccole battaglie al ponte di Goito (9 aprile) e Pastrengo (30 aprile) dove l'esercito piemontese si scontrò con una piccola retroguardia.
Circa un mese dopo i sardo-piemontesi, sfruttando il periodo di caos che imperversava nell'Impero e appoggiati dalla fiducia degli altri stati d'Italia che avevano dato il loro appoggio militare in vista della creazione di una Confederazione Italiana, si impadronirono della fortezza di Peschiera del Garda, per cercare di liberare la quale Radetzky mise in fuga i volontari universitari toscani che fuggirono alle prime fucilate a Curtatone e Montanara dove i volontari napoletani tennero testa a un esercito molto più numeroso e armato così da permettere al Carlo Alberto di vincere a Goito.
L'incapacità di assumere l'iniziativa da parte piemontese dette in ogni caso modo agli Imperiali di ricevere rinforzi che gli permisero di riconquistare Vicenza, il 10 giugno, e di riprendere l'offensiva, battendo l'esercito sardo-piemontese in una serie di scontri passati alla storia come prima battaglia di Custoza (22-26 luglio). Intanto il governo sabaudo in Lombardia mostrò la sua vera faccia con nuove tasse , servizio militare obbligatorio anche per coloro che già lo avevano fatto nell'esercito asburgico, netta dimostrazione che il Savoia era li per sostituirsi al governo asburgico e non per aiutare i milanesi ed i lombardi ad ottenere maggiori autonomie. A questo punto il clima cambiò nettamente e il popolo che prima si era fatto irretire dagli inganni della rivoluzione passava dalla parte del governo legittimo.
Battaglia di Custoza
Il 10 giugno Carlo Alberto ricevette una delegazione guidata dal podestà di Milano Casati, che recava l'esito farsa del plebiscito che sanciva l'unione della Lombardia al Regno di Sardegna. Questo "plebiscito" era stato votato dai soli membri del partito filo-sabaudo e fatto passare come una "volontà popolare" che non c'era.
Anche il Garibaldi si recò a Milano in cerca di opportunità, dove, non senza difficoltà, venne nominato dal Governo provvisorio della città, Maggior Generale con l'incarico di organizzare un corpo di volontari.
Già il 18 luglio 1848, formerà, arruolando mercenari della peggior risma , il "Battaglione Italiano della Morte", ma era ormai troppo tardi per i suoi piani volti alle solite scorribande; gli avvenimenti infatti volgendo precipitosamente al peggio per l’Armata Sarda e quindi per la rivoluzione.
Garibaldi e i suoi mercenari così, non furono in grado di attuare razzie in Lombardia anche se a Milano non mancarono episodi di sciacallaggio garibaldino.
La situazione dell'esercito sardo-piemontese era compromessa e il re tentenna ordinò una ritirata verso l'Adda e Milano, dove i piemontesi vennero accolti da una città fredda e deserta, delusa e furiosa nei loro confronti per l'inganno subito. Carlo Alberto, sebbene inizialmente non abbandonò la città nonostante rischiasse un linciaggio, il 4 agosto assediato dai milanesi che si ammassarono attorno alla sua residenza abbandonò Milano fuggendo da Palazzo Greppi travestito da gendarme. Questo il resoconto del Cattaneo: " Dicesi che fosse uscito per una casuccia laterale, travestito da gendarme e menando a mano un cavallo". Nella sua fuga vergognosa il Carignano si imbatté nell'esterefatto Generale Bava , che di quella fuga evidentemente non sapeva nulla.
Il giorno dopo la capitolazione gli imperial-regi , con in testa il Radetzky, rientrarono trionfalmente a Milano, da dove nel frattempo la maggior parte dei promotori della rivoluzione era fuggita. Come nuovo governatore fu posto Felix Schwarzenberg.
Il Radetzky venne accolto nella città , che fino a pochi mesi prima li si presentava ostile, con un tripudio di sincera devozione da parte del popolo che al suo passaggio soleva ribadirgli : " Son sta' i sciori!". Non ci fu nessuna sanguinosa repressione , il Radetzky emanò un bando nel quale sottolineava che chiunque avesse voluto era libero di lasciare la città. Circa un centinaio furono i fuoriusciti lombardi che seguirono la ritirata piemontese oltre il Ticino e che vennero accolti malissimo dalle popolazioni delle campagne piemontesi ridotte in miseria dalla guerra del re tentenna.
Radetzky guida le sue truppe alla riconquista di Milano (5-6 agosto 1848)
Lo stesso Casati fuggì seguendo il Carlo Alberto in Piemonte e stabilendosi li divenendo in seguito Senatore, poi Ministro ed in fine , dopo la coatta unità d'Italia, Presidente del Senato fino al 1872, morì l'anno seguente.
Milano si presentava lieta del ritorno alla pace, specie quei molti che della passata insurrezione neanche avrebbero voluto intendere, e che al passaggio dei Dragoni di Radetzky , salutavano quel ritorno alla quiete come una benedizione.
A proposito della situazione del 48' milanese, Hubner scrive nelle sue memorie:
"Con la parola Patria, Italia! sono state elettrizzate le masse non del popolo , ma delle classi così dette colte. Pure , anche in mezzo a queste trovansi molte persone istruite , beneducate, in buona posizione, agiate se non ricche che, sebbene non si amassero, esitavano a separarsi da un governo al quale l'Italia doveva i benefici di una lunga epoca non interrotta di prosperità , di ordine, di pace. Esitavano a gettarsi nel movimento , a correre dietro all'ideale di uno stato di cose nuovo, ignoto, inaudito, senza precedenti nella storia moderna, propugnato da uomini non ispiranti fiducia , favorito dall'influenza occulta delle sette che inspiravano terrore".
Il Radetzky fece affiggere nelle mura della città un manifesto : "l'Imperatore" vi si leggeva "ha accordato a tutti gli abitanti del Regno Lombardo-Veneto indistintamente perdono pieno per la parte che potessero aver presa agli avvenimenti politici del corrente anno , ordinando che non possa farsi luogo contro di loro ad alcuna inquisizione o punizione."
Proclama di Radetzky, Milano 3 settembre 1848.
Il feldmaresciallo scriveva alla figlia il 7 agosto 1848:
"Tu vedi, adorata Friederike che con l'aiuto di Dio , quattordici giorni dopo aver preso l'offensiva sono giunto felicemente a Milano e ho stabilito il mio quartier generale alla Villa Reale , ho battuto Carlo Alberto in quattro accaniti combattimenti e da ultimo ancora una volta davanti alle porte di Milano, e così ho riconquistato la Lombardia... Io mi interesso ora della popolazione , che ci ha accolto a braccia aperte. I caporioni sono tutti in fuga e io faccio sequestrare i loro beni a nostro profitto."
E tre giorni più tardi scriveva di nuovo:
"Sono ora in trattative col Piemonte e spero di concluder la pace : la sottomissione del paese procede bene , la popolazione delle campagne è ottima e attaccata a noi: io cerco di alleviare le sorti del popolo dovunque posso , e metto sotto sequestro i beni dei compromessi politici fuggiaschi."
L'ordine era tornato nella città degli Sforza e di Sant'Ambrogio e con l'ordine tornò la pace e la prosperità.
I fatti successivi:
Il Radetzky , già dopo Custoza, venne insignito della Gran Croce dell'ordine di Maria Teresa. Il 27 febbraio 1849 anche i borghesi di Vienna desiderosi di rabbonire il fiero feldmaresciallo lo vollero fregiarlo del titolo di cittadino onorario. Gli onori raggiunsero il culmine dopo Novara: l'Imperatore d'Austria lo insignì dell'Ordine del Toson d'Oro, il 3 aprile 1849. Lo Zar Nicola I lo faceva maresciallo di tutte le armate russe e 'proprietario' di un suo reggimento di ussari.
Soprattutto Radetzky assunse il governo militare e civile delle province del Lombardo-Veneto, aggiungendo alla piena autorità militare anche la piena autorità civile.
Mantenne la nuova posizione per un lungo periodo: dal 1848 al 1857. Dal 16 ottobre 1849 esso venne formalizzato con l'instaurazione di una nuova impalcatura del Regno Lombardo-Veneto, il 25 ottobre. Radetzky si insediò come governatore generale, civile e militare e comandante supremo della 2ª Armata Austriaca, entrambe le cariche essendo basate in Verona.
Il passaggio fu tanto simbolico (in quanto si rinunciava alla figura del viceré e dal governatore venne a dipendere sia l'esercito sia la direzione civile e politica), quanto sostanziale ( il feldmaresciallo si arrogò molte competenze civili, oltre a quelle di polizia). Lo stesso giorno il feldmaresciallo stese un proclama significando che «All'imperatore … pose nelle mie mani questo duplice potere per congiungere alla forza ed alla santità della legge anche i mezzi onde farla valere: da quel giorno egli fu il protettore e il garante dell'ordine legittimo del regno dai cattivi sudditi».
Nel novembre 1856 l'imperatore Francesco Giuseppe I venne in visita a Venezia e Milano: a Verona incontrò il feldmaresciallo, ormai novantenne, lo giudicò "terribilmente cambiato " e decise di congedarlo.
Il Feldmaresciallo Radetzky nel 1856.
Il Radetzky non la prese bene: si fece radere i baffi e disse "mi si butta come un limone spremuto”. Il 28 febbraio 1857 si ritirò a riposo. Per speciale disposizione imperiale gli venne concesso l'uso della Villa Reale di Milano.
Il 10 marzo al Radetzky successe il fratello dell'imperatore, l'arciduca Ferdinando Massimiliano, giunto a Milano nel settembre 1857. Comandante generale del Regno fu nominato il Gyulai.
Ci volle poco tempo prima che la catastrofe si abbattesse nuovamente sul Lombardo-Veneto : nella primavera del 1859 la rivoluzione tornò nelle fila dell'esercito franco-piemontese che , osteggiata dal popolo fedele al governo legittimo, avvolse in una cappa oscura e perpetua la perla dell'asburgico Impero.
Fonte:
Wikipedia
Le cinque giornate di Radetzky ( Giorgio Ferrari)
I veronesi nell'esercito asburgico (di Nicola Cavedani)
Scritto da:
Redazione A.L.T.A.