R. P. Matteo Liberatore d.C.d.G.
Da: La Chiesa e lo Stato (2a ed.) Napoli 1872, cap. II, pag. 114-126.
CAPO II. — DEL NATURALISMO POLITICO.
ARTICOLO I.
In che sia posto il naturalismo politico, e sua intrinseca pravità.
Fondamento e principio di tutti gli errori, che infettano la società odierna, è la scissura più o meno radicale, che si vorrebbe tra la natura e la grazia, la ragione e la fede. Ciò fu di già solennemente annunziato dal regnante Pontefice nella solenne allocuzione tenuta all'Episcopato cattolico, raccolto intorno a lui nella canonizzazione de' Martiri giapponesi. Epilogando egli i principali errori della nostra epoca e tutto l'empio sistema dei presenti banderai della setta anticristiana, questi uomini, disse, distruggono del tutto la necessaria coesione che, per volontà di Dio, unisce l'ordine naturale al soprannaturale: Ab huiusmodi hominibus plane destrui necessariam illam cohaerentiam, quae, Dei voluntate, intercedit inter utrumque ordinem, qui tum in natura tum supra naturam est.L'illustre Mgr. Pie, commentando le allegate parole osserva che il Capo della Chiesa con questa breve formola ha posto veramente la mano sopra l'ulcera più cancrenosa e purulenta del nostro secolo. Se si cerca, egli dice, la prima e l'ultima parola dell'errore contemporaneo, si riconosce con evidenza che ciò, che si chiama spirito moderno, è a senno suo la rivendicazione del diritto, acquisito o innato, di vivere nel puro giro dell'ordine naturale: diritto morale talmente assoluto, talmente inerente alle viscere dell'umanità, che essa non può, senza segnare la sua propria decadenza, senza sottoscrivere al suo disonore e alla sua rovina, farlo cedere dinanzi a qualsiasi intervento d'una ragione e d'una volontà superiore alla ragione e volontà umana, dinanzi a qualsiasi rivelazione o autorità procedente direttamente da Dio. Questo contegno indipendente e ripulsivo della natura a riguardo dell'ordine soprannaturale e rivelato, costituisce propriamente l'eresia del naturalismo: parola consecrata dal linguaggio oggimai secolare sì della setta che professa questo sistema empio, e sì dell'autorità della Chiesa che lo condanna [1].»
Cercando poscia l'origine prima di questo naturalismo, egli la scorge nel peccato stesso di Lucifero, il quale fu veramente un atto di ribellione all'ordine soprannaturale, da Dio stabilito. Il Verbo eterno non assunse la natura angelica, ma l'umana; e in essa sussistente fu proposto all'adorazione non solo degli uomini, ma ancora degli angeli: Cum iterum introducit primogenitum suum in orbem terrae, dicit: et adorent eum omnes angeli eius [2]. Collocato così nel mezzo tra il mondo visibile ed invisibile, Cristo fu costituito fonte di vita e di grazia nell'intero universo, e Mediatore e Sublimatore e Illuminatore di tutto ciò che era per natura al di sopra o al di sotto della sua umanità sacrosanta. Satana fremè all'idea di doversi prostrare dinanzi a una natura inferiore alla sua e riconoscere da un Dio fatto uomo ogni dono di grazia e di gloria. «Giudicandosi ferito nella dignità della sua condizione nativa, egli si chiuse, quasi in trincea, nei diritti e nella esigenza dell'ordine naturale. Non volle nè adorare in un uomo la maestà divina, nè accogliere in sè stesso alcun aumento di splendore e di felicità derivante da questa umanità deificata. Al mistero della Incarnazione egli obbiettò la creazione; all'atto libero di Dio egli oppose il suo diritto personale; contro lo stendardo della grazia egli levò il vessillo della natura.» Così molti tra i più insigni Dottori spiegano il peccato di Satana, ma, anche astrazion fatta da tale sentenza, egli è certo per insegnamento di S. Tommaso, che il delitto di quello spirito malvagio si fu di porre il suo ultimo fine in ciò che potea conseguire colle sole forze della natura, ovvero di voler pervenire alla beatitudine soprannaturale in virtù delle sue facoltà naturali, senza il soccorso della grazia [3].
Ecco donde si deriva questo preteso spirito moderno, che in verità è antico quanto il diavolo, e che sotto fallaci apparenze trae in perdizione gli uomini stoltamente superbi, e si studia di affascinare, se fia possibile, ancora gli eletti. L'illustre Prelato ne distingue quattro gradi diversi, secondo che si sostiene in una maniera più o meno assoluta, e si ferma alle sole conseguenze o rimonta infino ai principii. Il primo grado, più mite, è di quelli che accettano la presenza e l'autorità di Cristo nel solo ordine delle cose private e spirituali, la rimuovono dalle cose pubbliche e temporali. «Il Verbo di cui san Giovanni ci dice enfaticamente che si è fatto carne, essi vogliono in certa guisa che non abbia preso dell'umanità che la sola parte spirituale; e, mentre il simbolo c'insegna che Egli è disceso dal cielo e si è incarnato per gli uomini, cioè a dire per esseri essenzialmente composti di corpo e d'anima, e chiamati alla vita sociale, essi inculcano che le conseguenze dell'Incarnazione non si stendono che alle sole anime, separate dalla loro invoglia corporea, o almeno alle sole persone individue, prese fuori della vita civile e pubblica. Quinci una separazione formale tra i doveri del cristiano e quelli del cittadino; quinci le rimostranze, più o meno rispettose alla Chiesa di Cristo, di teoriche che le assegnano le parti e determinano la sua competenza o la sua incompetenza; quinci in fine questa scuola novella, che con gradazioni diverse si arroga di educare ed ammaestrare la Chiesa sopra un certo numero di quistioni pratiche, e s'intitola più o meno apertamente la scuola dei cattolici sinceri e indipendenti [4].»
Il secondo grado è il naturalismo di quelli «che pongono per principio che l'ordine soprannaturale, essendo di supererogazione e come di lusso, resta necessariamente facoltativo; sicchè ciascuno può lecitamente ricusare di entrarvi, o, dopo esservi entrato, uscirne a grado; mentre che per contrario l'ordine di natura sussiste nella sua interezza o perfezione propria, colle sue verità, i suoi precetti, la sua sanzione, ed offre sempre alla creatura ragionevole un fine appropriato alla pura natura e mezzi sufficienti per conseguirlo. Per cotesti uomini la quistione di religione positiva non essendo che un affare di scelta o di gusto, lo Stato, tanto solo che assicuri ai cittadini, appartenenti a un dato culto, la libertà di seguirlo, dee per parte sua esercitare il sacerdozio dell'ordine naturale e stabilire l'educazione nazionale, l'insegnamento delle lettere, dell'istoria, della filosofia, della morale, in breve tutta la legislazione sociale, sopra un fondamento neutro, o piuttosto sopra un fondamento comune, e risolvere cosi fuori d'ogni elemento rivelato il problema della vita umana e del governo pubblico. È questo ciò che il gergo odierno chiama Stato laico, società secolarizzata, riservando la qualificazione di clericale per qualsiasi laico e secolare che non abbia così rinnegato il suo battesimo ed apostatato dalla Chiesa.»
Questi due gradi costituiscono, per così dire, il naturalismo moderato, che rigetta le sole conseguenze dell'ordine soprannaturale, ma non lo assalta nella sua propria esistenza. Se non che l'errore non può fermarsi a mezza strada, senza distruggere colla sua contraddizione sè stesso. Forza è che esso percorra tutto il cammino. «Se l'intervento soprannaturale di Dio, prosegue il dotto Prelato, nel dominio della natura e della ragione è possibile e reale, come immaginare che le sue conseguenze non abbiano niente d'obbligatorio non solamente per le persone individue, ma ancora per le società? In una simile quistione ammettere o supporre il fatto è rassegnarsi alla legge. Ora questa legge soprannaturale e positiva viene rigettata inesorabilmente dal deismo razionalistico. Per lui le condizioni essenziali, nelle quali Iddio creatore ha dovuto collocare la sua creatura ragionevole, sono condizioni immutabili, definitive, incapaci di modificazione qualsiasi, anche sotto aspetto di perfezionamento. Che vogliasi riconoscere in Dio un'azione conservatrice e una provvidenza generale, pur pure; ma a condizione che la supremazia inalienabile della ragione e l'autonomia rigorosa della natura umana non sia menomata da alcuna rivelazione preternaturale o soprannaturale, nè da alcuna intromissione personale della divinità nel mondo terrestre. Quindi ogni incarnazione, ogni mescolamento del mondo angelico o degli spiriti cattivi, ogni miracolo, ogni profezia, ogni missione celeste, ogni autorità spirituale, ogni rito sacramentale debbono essere rilegati o tra le frodi, o tra le superstizioni, o tra le invenzioni poetiche e leggendarie, o tra le figure simboliche, o infine, se alcuna di tali cose può essere ammessa, ciò è a solo titolo di fenomeno non ispiegato pei semplici, non ispiegabile forse ancora pei dotti, ma che una scienza più progredita, una critica più perfezionata spiegherà tosto o tardi.»
Benchè molto avanzato, non è questo tuttavia l'estremo termine del naturalismo. Un tal termine non si trova che nel colmo dell'empietà, vale a dire nel panteismo. «Se esiste un Dio distinto dalla natura, la sentenza, per la quale la filosofia gli interdice ogni ingerimento personale nell'ordine della natura e nella direzione della società umana, non sarà che una sentenza arbitraria e disputabile. Se la divinità e l'umanità sono due esseri differenti, in virtù di quale autorità la seconda segnerà alla prima il cerchio, oltre i limiti del quale non debba ella spaziare? La base del naturalismo sarà dunque vacillante, finchè si riconosceranno questi due termini rispettivi: la realità divina e la realità creata. Per contrario l'ordine soprannaturale sarà divelto dalle ime radici, se si stabilisce che Dio e le creature sono un solo e medesimo essere, e che la divinità comprende nel suo seno l'umanità, la natura, il mondo. È questo il tema, di già invecchiato, del naturalismo alemanno, naturalismo radicale in quanto proclama la Natura Dio [5].»
Di cotesti quattro gradi di naturalismo ognun vede che i due primi possono raccogliersi sotto la comune denominazione di naturalismo politico; i due ultimi sotto la denominazione di naturalismo filosofico. Quelli sottraggono dalla rivelazione la società e si riducono alla separazione dello Stato dalla Chiesa, iniziata col primo grado, e compiuta col secondo; gli altri sottraggono dalla rivelazione la scienza, l'uno col negare a Dio la facoltà di dominarla, l'altro col togliere di mezzo Dio stesso. Il deismo e il panteismo riguardano direttamente l'intelletto, e infettando la conoscenza si stendono poscia alla volontà; la secolarizzazione dello Stato ha di mira propriamente la pratica e corrompe poscia la mente per virtù retroattiva di logica, la quale non può a lungo soffrire che il fatto discordi dall'idea, e l'operazione dalla teorica.
Ora per quanto il rigor della logica sospinga a passare dal naturalismo politico al filosofico; l'assurdità manifesta di questo secondo è di valido schermo alla mente, almeno delle moltitudini; nelle quali più che il discorso, ha forza il buon senso. L'evidente contraddizione che si scorge a confondere in un medesimo essere, l'infinito e il finito, l'immutabile e il mutabile, il necessario e il contingente, impedirà sempremai che la follia panteistica s'insignorisca dell'intelligenza comune. Essa in qualsiasi tempo e per qualsivoglia sforzo non potrà mai essere, se non il tristo privilegio di alcune menti eteroclite, indomabili nell'errore, le quali sviatesi per avventura nell'accettazione d'un principio, non rifuggono all'aspetto di ogni più stravagante conseguenza, che ne derivi. Il deismo poi si trova anche in peggiori condizioni, in quanto ha contro di sè il buon senso insieme e la logica. Il buon senso fa leggermente intendere che l'onnipotenza divina non può essere esaurita da verun ordine di cose create: nè la ragione infinita di Dio aver per misura il corto intendere della mente limitata dell'uomo. Ogni persona di senno capirà di leggieri che Iddio può, sempre che il voglia, operare altri effetti, a cui non si stendono le forze da lui comunicate alla natura, e manifestare altre verità, a scoprire le quali non è bastevole il fioco lume dell'intelletto creato. O ci sarà chi osi dar legge a Dio, intorno al disporre delle sue creature? Che se, non ostante un sì evidente discorso, altri si ostina a negare la possibilità dell'una cosa e dell'altra; allora la severità della logica lo costringerà ad identificare la natura con Dio e la mente umana colla divina. Laonde il deismo non trova ricetto, se non in alcuni spiriti mediocri; i quali nel loro traviamento si fermano a mezzo il corso, e non sanno nè tornare addietro alla rettitudine del buon senso naturale, nè procedere innanzi infino alle ultime inferenze della loro sconvolta ragione.
Non così il naturalismo politico. Esso nella distinzione della volontà dall'intelletto, dell'ordine pratico dallo specolativo, trova un sufficiente punto di dimora per gli animi più interessati della pratica che della specolazione; e nell'atto stesso che non sente sì da presso gli stimoli della logica, trova un possente aiuto nella ostinata ripugnanza della natura corrotta a sottostare a un'autorità superiore. Anche qui sono bellissime le osservazioni di Monsignor Pie, di cui l'intero scritto meriterebbe d'essere riportato: «Il gran numero si getta volentieri nelle braccia di questo naturalismo più o meno specioso, più o meno addolcito, di cui noi abbiamo parlato dianzi. L'orgoglio umano vi trova una soddisfazione sufficiente, e le altre passioni non vi rinvengono contraddizione molesta. Mediante la parte lasciata a Dio e alle idee morali, vi resta una guarentigia d'ordine e di tranquillità, il che non è indifferente per gli spiriti positivi e conservatori; e si schiva nondimeno in tutto o in parte la tutela umiliante ed incomoda della rivelazione e dell'autorità, incaricata d'interpretarla ed applicarla; ciò che è il punto capitale [6].»
Da sapiente medico adunque il romano Pontefice nella sua enciclica dell'8 dicembre 1864 volse la cura al morbo più pericoloso e più universalmente nocivo, movendo dal proscrivere appunto cotesto naturalismo politico, vale a dire la separazione dello Stato dalla Chiesa, e ciò che n'è immediata conseguenza, l'assoluta libertà di coscienza, e la pubblica manifestazione dell'errore. «Assai ben sapete, o Venerabili Fratelli, che in questo tempo non pochi si trovano, i quali applicando al civile consorzio l'empio ed assurdo sistema del naturalismo, come lo chiamano, osano insegnare, che l'ottima ragione della pubblica società e il civile progresso richiedono che l'umana società si costituisca e governi senza avere alcun riguardo alla religione, come se ella non esistesse, o almeno senza fare alcun divario tra la vera e le false religioni [7].» Così il nostro Santo Padre, Papa Pio IX.
Dove, a scanso di equivoco, vuolsi diligentemente distinguere tra il principio, considerato in sè stesso, e la pratica applicazione, relativa alle circostanze particolari, o, come suoi dirsi, tra la tesi e l'ipotesi. Il Santo Padre qui non condanna la dura necessità in cui per avventura può trovarsi uno Stato di tollerare e lasciar liberi culti eziandio eterodossi, dando a tutti indistintamente, cattolici ed acattolici, eguaglianza di diritti e facoltà di pubblica profession religiosa, attesa l'inveterata scissura nel fatto della fede, che renda discordi tra loro gli animi de' cittadini. Siffatta società, non trovandosi in condizione di esistenza normale per rispetto alla rivelazione, esige che il governante e le leggi si attemperino in guisa confacente allo stato d'infermità del soggetto, evitando maggiori mali e assicurando almeno la pacifica convivenza degli associati. Ma il Santo Padre proscrive la massima, cioè che tal foggia di reggimento sia l'ottima e la più conforme al verace progresso; il che se fosse, non solo alle società predette, ma a tutte universalmente, eziandio composte di soli o quasi soli cattolici, quella maniera di governo dovrebbe applicarsi. Ciò è riprovato nella Enciclica Papale come pestifero frutto dell'empio ed assurdo principio del naturalismo politico. E con quanta ragione passiamo a vederlo.
Per intendere la malizia del naturalismo politico basterebbe considerare che esso separando lo Stato dalla Chiesa, viene a privare la società umana del benefizio della redenzione. Cristo, riparato l'uomo, spedì i suoi Apostoli a ristorare i popoli e le nazioni congiungendole nella unità della Chiesa e collocandole sotto le sue soprannaturali influenze. Ogni parte dell'umana società venne in tal guisa assicurata e condotta a più sublime grandezza. Il matrimonio elevato a sacramento, l'amor coniugale ad immagine di quello che passa tra Cristo e la Chiesa, la paternità a ministero sacro di cooperatore con Dio, per la propagazione ed educazione degli eletti alla gloria celestiale. Le leggi vennero impedite dal degenerare in ingiusta oppressione mercè il fondamento de' principii evangelici, e la loro esecuzione fu resa più comportevole mercè il precetto e la sanzione divina. I governanti apparvero non più come uomini sovrastanti ad uomini, ma come vicegerenti di Dio per ciò che spetta la vita terrena e transitoria, e l'obbedienza de' sudditi non fu più una umiliante sottomissione al suo simile, ma una decorosa riverenza prestata a Dio stesso ne' suoi rappresentanti terreni. Ora, sciolto il legame che unisce lo Stato alla Chiesa, e tornata ogni cosa alla pura natura, tutti questi inestimabili vantaggi sono perduti; l'uomo individuo, la famiglia, lo Stato non operano più che colle sole forze che trovano in loro stessi: e che cosa possano queste forze, l'orribile guasto della società pagana ne fa bastevole testimonianza. «Privato del lume e della grazia, di cui Gesù Cristo è l'autore e il dispensatore, l'uomo individuo non possiede nè pratica le virtù soprannaturali, senza cui l'uomo non è nella grazia di Dio, nè acquista più i meriti che soli potrebbero assicurargli la felicità e la gloria dell'altra vita. Il naturalismo è pei privati la via certa dell'inferno. E quanto alle società, esse rigettando il giogo legittimo e glorioso di colui, al quale il Padre celeste ha dato tutte le nazioni in eredità, divengono preda di tutte le ambizioni, di tutte le cupidigie, di tutti i capricci dei loro padroni d'un giorno, e passando senza posa dalla ribellione alla servitù, dalla licenza alla tirannide, esse non tardano guari a perdere con l'onore e la libertà cristiana ogni onore ed ogni libertà». Così il più volte da noi lodato Vescovo di Poitiers.
Ma non solo è perniciosa questa pretesa separazione, essa è illogica. Se il corpo è ordinato all'anima, la vita presente alla futura, come volete disgiungere e privare d'ogni scambievole rispetto le autorità che all'uno o all'altro presiedono di questi due elementi umani? Il mezzo può restar tale, senza ordine e legame col fine? Or la felicità terrena, a cui veglia lo Stato, non è che mezzo per rispetto alla felicità celeste, a cui dirige la Chiesa. Come dunque separerete voi ciò che la natura e Dio han congiunto? Vi appiglierete forse al partito di convertire in fine il mezzo, non cercando se non la sola felicità terrena? Ma allora che sarà della vita umana? Qual disordine introdurrete nell'uomo? La transitoria esistenza, disgiunta da' suoi eterni destini, non ha più valore per l'uomo. Ella più non si distingue da quella del cane e del bue; se non forse le è inferiore, in quanto ciò che in quella è mera negazione, in questa diviene privazione d'un ordinamento dovuto. Bel vantaggio adunque, che coglieremmo dallo stato sociale! Non varrebbe meglio in tal caso la vita solitaria e la selvaggia?
Allorchè Iddio gettò le prime basi dell'umana società col primo germe della famiglia, proferì quella sublime sentenza: Non est bonum esse hominem solum, faciamus ei adiutorium simile sibi. Ecco l'idea e lo scopo di ogni società umana, sia domestica, sia civile: un adiutorio per l'uomo, conforme alla natura di uomo. Or potrà darsi adiutorio per un essere quale che siasi, se non sia per lui un conforto al conseguimento del proprio fine? E qual è il fine dell'uomo, avente un'anima immortale, se non il conseguimento della salute eterna? La società dunque, acciocchè non cada dal proprio concetto, non può separarsi dall'ordine alla salute eterna de' suoi associati, alla quale indirizza e provvede la Chiesa. La società dunque, a rigore di logica, non può separarsi dalla Chiesa. Nè vale il dire che tal separazione non impedisce che i singoli privati si lascino a loro posta reggere dalla Chiesa. Imperocchè primieramente ciò non toglie la forza del nostro argomento, del cessare cioè, che farebbe la società, di essere adiutorio per l'uomo, non confortandolo al conseguimento del suo ultimo fine. In secondo luogo quella separazione scinde il vincolo che naturalmente lega la vita presente all'avvenire, e introduce un irragionevole dualismo tra ciò che dee rendere beato l'uomo, e ciò che dee rendere beata la società; quasichè la società sia altro, che concorde aggregazione di uomini. Non aliunde beata civitas, aliunde homo; cum aliud civitas non sit, quam concors hominum multitudo [8]. Finalmente la predetta separazione scioglie l'unità della persona umana, e pone l'uomo a cimento di trovarsi in contraddizione tra i doveri di cattolico e i doveri di cittadino; niente essendo più facile, che in uno Stato separato dalla Chiesa le leggi civili discordino più o meno frequentemente dalle leggi ecclesiastiche e talvolta anche dalle divine. E dove ciò avvenga, che cosa faranno i privati? Disprezzeranno le prime incorrendo l'ira e la punizione del governante terreno; o trasgrediranno le seconde, incorrendo l'ira e la punizione del Governante celeste? Nulla di più evidente, che la massima, messa innanzi la prima volta da S. Pietro: Obedire oportet magis Deo, quam hominibus. Ma è ottima foggia di governo e conforme al civile progresso, quella di mettere i cittadini a sì dure strette, che debbano sacrificare i loro posti, i loro stipendii, la loro libertà e forse anche la vita, per non tradire la propria coscienza? E i fautori di tale assurdo sistema osano poi di chiamarsi difensori della libertà di coscienza e promotori della felicità cittadina!
Ma prescindendo anche da tutte queste considerazioni, un solo argomento basterebbe a chiarire l'assurdità di cotesto sistema di separazione, ed è che per esso il genere umano si costituisce fuori l'ordine della divina provvidenza. Dio nella creazione dell'Universo non ha stabilito due ordini tra loro paralleli, l'uno naturale l'altro soprannaturale; ma ha stabilito un ordine solo, composto di due: la natura esaltata dalla grazia, ossia la grazia vivificante la natura. Egli non ha confusi questi due ordini, ma li ha coordinati. Uno è stato il tipo, uno il principio motore e fine ultimo della creazione divina: Cristo. Ego sum Alpha et Omega, principium et finis. Tutto il resto è ordinato a lui. Lo scopo della esistenza umana è di formare il corpo mistico di esso Cristo, di questo capo degli eletti, di questo eterno Sacerdote, di questo Re del regno immortale e della Società degli eterni glorificatori di Dio. Ciò posto, come potete voi sottrarre dall'ordine soprannaturale il civile consorzio, l'uomo ingrandito per la scambievole unione con gli altri? Non è questo un collocarlo fuori del sistema divino, fuori del disegno inteso dal Supremo architetto della natura? E così costituito l'uomo, sia individuale sia collettivo, non sarà egli un fuor d'opera, un ente innaturale, e somigliante ad un pianeta uscito fuori della sua orbita e dell'azione attrattiva del sole? E distratto l'uomo da questa azione attrattiva dell'eterno Sole, potrà incontrare altro che perdizione e sterminio?
Conchiuderemo colle eloquenti parole del Vescovo di Poitiers: giacchè le nostre non potrebbero essere più espressive, nè fregiate di eguale autorità: «Separata e spogliata di Cristo, la natura umana costituisce pienamente ciò che le sante Scritture appellano mondo; questo mondo, a cui Cristo non appartiene, pel quale egli non prega, al quale egli ha detto sventura; questo mondo, di cui il diavolo è principe e capo, e la cui saggezza è nemica di Dio sì fattamente, che volere essere amico di questo secolo è costituirsi avversario di Dio; questo mondo, il quale, perchè sconosce Cristo salvatore, sarà sconosciuto da Cristo rimuneratore: Qui ignorat ignorabitur, e raccoglierà la terribile sentenza: Io non vi conosco; questo mondo infine, le cui vie han per termine l'inferno. Finchè dura la vita presente, l'opera della grazia, e per conseguente della Chiesa, è di ritirare le creature da questo stato di mondanità, restituendole a Cristo, e per Cristo ai loro destini beati. Per fermo ambedue vi s'impiegano internamente ed esternamente, con una persistenza che niente arresta, con un amore che niente sconcerta. Ma se la natura si mantiene ribelle contro a tutti gli sforzi della grazia e della Chiesa, se ella non si lascia rischiarare, affrancare, redimere, restaurare dalla loro soprannaturale azione, se ella resta mondana, profana, terrestre; per questo solo, e indipendentemente da ogni altro delitto, ella è sotto il colpo della disgrazia e della dannazione divina. A considerare il suo stato presente e reale, e non ostante la bontà permanente dei suoi elementi essenziali, la natura è peccato. Si parli quanto si vuole dei diritti dell'uomo; ve ne ha due che non conviene mai obliare. L'uomo porta seco nascendo il diritto alla morte, e il diritto all'inferno. Solamente per Gesù Cristo egli può conquistare il diritto alla risurrezione e alla vita beata. Quanto a ricollocare l'uomo fuori di Gesù Cristo, per rifargli un ordine di pura natura, con un fine puramente naturale ed un diritto alla felicità naturale; tutti gli sforzi del naturalismo non vi perverranno giammai. Non si cangerà punto il disegno primitivo dell'Onnipotente. Bensì più veramente, al peccato della sua origine l'uomo della pura natura aggiungerà il peccato attuale e personale; poichè chiudendo gli occhi alla rivelazione e il cuore alla grazia divina, egli si renderà colpevole del più grave di tutti i misfatti, che è il peccato d'infedeltà. E allora, per un giusto giudizio di Dio, non avendo voluto comprendere il grado d'onore, al quale era chiamato, egli si abbasserà alla condizione degli esseri irragionevoli, e per più di un capo egli diverrà loro simile. Son di questa fatta gli uomini, di cui l'Apostolo S. Giuda ha parlato: Bestemmiatori delle cose soprannaturali, che essi ignorano e vogliono deliberatamente ignorare, essi si corrompono nelle cose naturali che conoscono per istinto animale, piuttosto che per lume di ragione..... Nuvole senz'acqua, che sono sbattute a balìa dei venti, de' venti delle opinioni e de' venti delle passioni; alberi autunnali, che mettono fiori incapaci di dare frutti; alberi doppiamente morti, cioè quanto alla vita della fede e quanto alla vita della ragione; alberi sradicati e destinati al fuoco; stelle erranti, alle quali una nera tempesta e tenebrosa è riservata in eterno. Questo dunque rimane stabilito: non vi ha rifugio per la natura al di fuori di Gesù Cristo. È forza scegliere tra due l'una, dice il martire S. Ignazio: o l'ira eterna di Dio nella vita avvenire, o la sua grazia nella vita presente: Unum igitur e duobus: aut futura timenda est ira, aut praesens diligenda est gratia [9].
La setta che professa l'empio sistema del naturalismo è ovviamente la Massoneria. Si veda e. g. l'Enciclica Humanum genus di Papa Leone XIII (20 aprile 1884):
«Ora della massonica setta esiziali ed acerbissimi sono i frutti. Imperocchè dalle non dubbie prove che abbiamo testè ricordate apparisce, supremo intendimento dei frammassoni esser questo: distruggere da capo a fondo tutto l'ordine religioso e sociale qual fu creato dal cristianesimo, e pigliando fondamenti e norme dal Naturalismo, rifarlo a loro senno di pianta.»
«Fructus autem secta Massonum perniciosos gignit maximaque acerbitate permixtos. Nam ex certissimis indiciis, quae supra commemoravimus, erumpit illud, quod est consiliorum suorum ultimum, scilicet evertere funditus omnem eam, quam instituta christiana pepererunt, disciplinam religionis reique publicae, novamque ad ingenium suum extruere, ductis e medio Naturalismo fundamentis et legibus.»
NOTE:
[1] Troisième instruction synodale etc. sur les principales erreurs du temps présent, pag. 10.[2] Ad Hebraeos, I, 6.
[3] In hoc appetiit esse similis Deo, quia appetiit ut finem ultimum beatitudinis id, ad quod virtute suae naturae poterat pervenire; avertens suum appetitum a beatitudine supernaturali, quae est ex gratia Dei. Vel si appetiit ut ultimum finem illam Dei similitudinem, quae datur ex gratia, voluit hoc habere per virtutem suae naturae, non ex divino auxilio secundum Dei dispositionem. Et hoc consonat dictis Anselmi, qui dicit quod appetiit illud ad quod pervenisset, si stetisset. Et haec duo quodammodo in idem redeunt; quia secundum utrumque appetiit finalem beatitudinem per suam virtutem habere, quod est proprium Dei. Summa Theol. p. I. q. 63, art. 3.°
[4] Pag. 14.
[5] Pag. 16.
[6] Luogo citato, pag. 18.
[7] Probe noscitis, Venerabiles Fratres, hoc tempore non paucos reperiri, qui civili consortio impium absurdumque naturalismi, uti vocant, principium applicantes audent docere, «optimam societatis publicae rationem civilemque progressum omnino requirere, ut humana societas constituatur et gubernetur, nullo habito ad religionem respectu, ac si ea non existeret, vel saltem nullo facto veram inter falsasque religiones discrimine.»
[8] S. Agostino, Epist. CLV.
[9] S. Agostino, Epist. CLV.