domenica 17 marzo 2013

Filippo II di Spagna Re di Napoli (F.E. Tejada - Napoli spagnola tomo IV)


Filippo II è stato il migliore re della millenaria storia di Napoli, paradigma di rettitudine e di amore per il suo Regno, custode della fede del suo popolo, potente al punto da distruggere a colpi di grandezza il mitico ricordo della Roma imperiale, monarca capace di gesta che, come ha scritto per tutti Scipione Ammirato, risulterebbe «incredibile che egli in esse non sia specialmente stato aiutato e guidato dalla mano di Dio». Con plauso unanime dei sudditi napoletani, egli ha posto le radici della autonomia del Regno all’interno della monarchia federativa delle Spagne e le ha difese dalle pretese di Roma e contro i Turchi, ha interpretato le esigenze del popolo ed ha, in altro campo, affrontato eroicamente la grande crociata antieuropea. 
La sua morte apre un periodo di fiducia a Napoli, dato che i sudditi erano persuasi che il figlio Filippo III avrebbe seguito le auree orme del padre: non esiste scrittore che abbia formulato voti dissimili, come più avanti potremo rilevare. 
In effetti, re Filippo III esprimeva la continuazione di una politica su doppio binario, tesa a rafforzare la autonomia del Regno di Napoli e a lanciarsi nella lizza antieuropea. Tuttavia, dopo la disfatta dell’Invincibile Armata, le forze dell’immensa monarchia accusano qualche segnale di cedimento, che si accentueranno quando il funesto Enrico IV di Borbone assunse la guida della politica francese nel secondo lustro del XVII secolo. Più il potere continuava ad essere incontrastato, i sintomi contrari apparivano presagi passeggeri ed i sogni eroici continuavano durante il regno, anche se le ali dell’immaginazione grandiosa si andavano accorciandosi. Al posto di una monarchia universale, si parla di primato delle Spagne, che nella penisola comportava la sostituzione dell’impegno per l’unità italiana intorno a Napoli con un più modesto di far primeggiare il Regno nella penisola. 
I tumulti interni, provocati sempre da scarsità economiche, non miravano mai alla rottura del Regno con le Spagne. Con la minuziosità che ne contraddistingue l’opera, Michelangelo Schipa ha sviscerato questo tema dimostrando che fino al 1647 non si era mai verificato il benché minimo moto politico, mettendo così in dubbio l’esistenza di un volantino che sarebbe circolato nel 1617, a detta di Alessandro d’Ancona, viste la nota parzialità garibaldina di questo autore.
Allora, se i Savoia giungevano a Napoli, non era per comprarne il trono grazie ad una congiura massonica, ma in qualità di ospiti benvoluti in quanto parenti del Re di Napoli, come quando il 19 agosto 1614 giunseFiliberto di Savoia, il «nipote del nostro Re», nelle parole di Antonio Bulifon.
I Napoletani servivano il loro Re sia con le armi, sia con le lettere, sia con il governo, di modo che la letteratura dell’epoca sfocia in generoso sostegno della causa delle Spagne contro l’Europa. Uno scrittore dell’epoca come Francesco Marcali, per esempio, sottolineava al volger del secolo nella sua Lettera della estensione: entrate, spese e forze della Monarchia spagnola il validissimo apporto dei soldati e dei marinai provenienti dalla Puglia e dalla Calabria.
Le truppe comandate dal principe di Avellino Camillo Caracciolo e dal duca di Maddaloni Marzio Carafa si coprono di gloria combattendo contro il Piemonte; i marinai del Regno agli ordini di Francesco Rivera intimoriscono i Veneziani; il principe di Scalea Francesco Spinelli muore battendosi con i Turchi; Carlo Spinelli si era coperto di gloria nel 1620 sotto le mura di Praga; Domizio Caracciolo guerreggiava nelle Fiandre agli ordini del marchese di Spinola e Lelio Brancaccio si dimostrò guerriero impareggiabile sulle rive del Reno. A quel tempo bellicoso ed agguerrito, il popolo di Napoli serviva magnificamente le bandiere spiegate del suo re Filippo III. 
Nell’amministrazione del governo accadeva lo stesso. Francesco Lanario fu un ottimo governatore della Sicilia, mentre il duca di Monteleone Ettore Pignatelli reggeva la Catalogna come Viceré e Francesco Maria Carafa, principe di Scilla e duca di Nocera, era Viceré d’Aragona . Tutti i documenti dell’epoca palesano senza eccezione la viva partecipazione dell’intero Regno alle imprese del monarca. 
Sotto il regno di Filippo III Napoli costituiva fino al midollo elemento integrante della monarchia spagnola. 

F.E. Tejada - Napoli spagnola tomo IV
Filippo II di Spagna



Filippo II è stato il migliore re della millenaria storia di Napoli, paradigma di rettitudine e di amore per il suo Regno, custode della fede del suo popolo, potente al punto da distruggere a colpi di grandezza il mitico ricordo della Roma imperiale, monarca capace di gesta che, come ha scritto per tutti Scipione Ammirato, risulterebbe «incredibile che egli in esse non sia specialmente stato aiutato e guidato dalla mano di Dio». Con plauso unanime dei sudditi napoletani, egli ha posto le radici della autonomia del Regno all’interno della monarchia federativa delle Spagne e le ha difese dalle pretese di Roma e contro i Turchi, ha interpretato le esigenze del popolo ed ha, in altro campo, affrontato eroicamente la grande crociata antieuropea.
La sua morte apre un periodo di fiducia a Napoli, dato che i sudditi erano persuasi che il figlio Filippo III avrebbe seguito le auree orme del padre: non esiste scrittore che abbia formulato voti dissimili, come più avanti potremo rilevare.
In effetti, re Filippo III esprimeva la continuazione di una politica su doppio binario, tesa a rafforzare la autonomia del Regno di Napoli e a lanciarsi nella lizza antieuropea. Tuttavia, dopo la disfatta dell’Invincibile Armata, le forze dell’immensa monarchia accusano qualche segnale di cedimento, che si accentueranno quando il funesto Enrico IV di Borbone assunse la guida della politica francese nel secondo lustro del XVII secolo. Più il potere continuava ad essere incontrastato, i sintomi contrari apparivano presagi passeggeri ed i sogni eroici continuavano durante il regno, anche se le ali dell’immaginazione grandiosa si andavano accorciandosi. Al posto di una monarchia universale, si parla di primato delle Spagne, che nella penisola comportava la sostituzione dell’impegno per l’unità italiana intorno a Napoli con un più modesto di far primeggiare il Regno nella penisola.
I tumulti interni, provocati sempre da scarsità economiche, non miravano mai alla rottura del Regno con le Spagne. Con la minuziosità che ne contraddistingue l’opera, Michelangelo Schipa ha sviscerato questo tema dimostrando che fino al 1647 non si era mai verificato il benché minimo moto politico, mettendo così in dubbio l’esistenza di un volantino che sarebbe circolato nel 1617, a detta di Alessandro d’Ancona, viste la nota parzialità garibaldina di questo autore.
Allora, se i Savoia giungevano a Napoli, non era per comprarne il trono grazie ad una congiura massonica, ma in qualità di ospiti benvoluti in quanto parenti del Re di Napoli, come quando il 19 agosto 1614 giunseFiliberto di Savoia, il «nipote del nostro Re», nelle parole di Antonio Bulifon.
I Napoletani servivano il loro Re sia con le armi, sia con le lettere, sia con il governo, di modo che la letteratura dell’epoca sfocia in generoso sostegno della causa delle Spagne contro l’Europa. Uno scrittore dell’epoca come Francesco Marcali, per esempio, sottolineava al volger del secolo nella sua Lettera della estensione: entrate, spese e forze della Monarchia spagnola il validissimo apporto dei soldati e dei marinai provenienti dalla Puglia e dalla Calabria.
Le truppe comandate dal principe di Avellino Camillo Caracciolo e dal duca di Maddaloni Marzio Carafa si coprono di gloria combattendo contro il Piemonte; i marinai del Regno agli ordini di Francesco Rivera intimoriscono i Veneziani; il principe di Scalea Francesco Spinelli muore battendosi con i Turchi; Carlo Spinelli si era coperto di gloria nel 1620 sotto le mura di Praga; Domizio Caracciolo guerreggiava nelle Fiandre agli ordini del marchese di Spinola e Lelio Brancaccio si dimostrò guerriero impareggiabile sulle rive del Reno. A quel tempo bellicoso ed agguerrito, il popolo di Napoli serviva magnificamente le bandiere spiegate del suo re Filippo III.
Nell’amministrazione del governo accadeva lo stesso. Francesco Lanario fu un ottimo governatore della Sicilia, mentre il duca di Monteleone Ettore Pignatelli reggeva la Catalogna come Viceré e Francesco Maria Carafa, principe di Scilla e duca di Nocera, era Viceré d’Aragona . Tutti i documenti dell’epoca palesano senza eccezione la viva partecipazione dell’intero Regno alle imprese del monarca.
Sotto il regno di Filippo III Napoli costituiva fino al midollo elemento integrante della monarchia spagnola.