mercoledì 6 marzo 2013

A proposito di suore…

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Lo scorso 27 febbraio, su Il Foglio di Giuliano Ferrara, è uscito un articolo a tutta pagina a firma di Ritanna Armeni, dal titolo: “L’altra metà della Chiesa – Troppi luoghi comuni accompagnano il modo di vedere le suore. Una scelta che è anche libertà”.
Il titolo mi sembra subito accattivante, ma il fatto che il pezzo si firmato dall’Armeni – che stimo sotto diversi aspetti, ma della quale conosco l’indirizzo ideologico – mi mette subito sull’attenti. E le mie perplessità iniziali diventano certezza man mano che mi addentro nella lettura: accanto a spunti di riflessione interessanti, emerge infatti il pensiero (sempre quello!) secondo cui la Chiesa è maschilista e relega le donne ad una condizione di inferiorità.
Partiamo dagli spunti a mio avviso interessanti, che sono due. La prima è una confessione personale dell’Armeni, che scrive: «È una bella scoperta per un laico, o meglio per una laica, il mondo delle monache. Perché viene fuori che è del tutto diverso da quello che possiamo supporre, che ci hanno fatto capire e che la nostra pigrizia intellettuale ha accettato».
Il secondo aspetto interessante emerge nel momento in cui la giornalista sostiene che l’aspetto spesso più difficile della vita consacrata è quello di accettare il vincolo dell’obbedienza, la quale diventa spontanea solo nel momento in cui diventa chiaro che essa coincide con «[…] il momento di uno “smontaggio interiore”, la costruzione della capacità di far posto nel proprio cuore all’Altro. Quando, insomma, comprende il valore dell’abbandono».
L’ortodossia dell’articolo, tuttavia, si ferma qui: tutto il resto di quanto scritto dall’Armeni non è in linea con il Magistero.
Secondo la giornalista, vi sono alcuni pregiudizi circa “l’altra metà della Chiesa” che occorre sfatare.
In primo luogo – scrive l’Armeni – la comunità monastica non va concepita come chiusa: le suore si distinguono per la capacità di ascoltare e comprendere. Va bene, questa componente può essere di certo importante, ma se si limita a questo lo scopo di vita delle suore, allora tanto vale andare da uno psicanalista, che con qualche farmaco riesce a mettere a tacere (non guarire!) la coscienza in maniera forse anche più celere. No, le suore hanno in più la preghiera; il che non è poco, anzi.
In seconda istanza, l’Armeni si scaglia contro il luogo comune di «una retorica immolazione della donna alla causa di Dio»: le monache non sono tutte “badesse mummificate” – scrive – molte conducono una vita molto più attiva di tanti laici. Anche in questo caso come comportamento ci può stare: ma se si riduce tutto ad un fare si scade nell’attivismo, il che è assai diverso da un’agire volto a fare la Gloria di Dio.
Un terzo errore da evitare è quello che la fede diventi violenza, sia usata per sottomettere e per uccidere, cosa che «non avviene solo nel mondo islamico». Perché i cristiani convertono gli altri a suon di fucilate?
Infine, l’Armeni dedica la chiusura dell’articolo al rapporto tra uomini e donne all’interno della Chiesa. E qui – ahinoi – viene fuori la veterofemminista che è in lei. La giornalista cita il film “Clarisse” di Liliana Cavani e scrive: «Le monache appaiono in gruppo di fronte alla cinepresa per rispondere alle domande della regista. La chiesa è misogina? Sì, dicono, la chiesa è misogina, ma Gesù non lo era e neanche san Francesco. […] Il punto è che “gli uomini della chiesa non comprendono quello che le donne possono dare, credono che possano solo ricevere”. Non hanno capito che le suore “non si limitano a pregare, ma pensano”». L’intento originario del cristianesimo, dunque, con il tempo è stato travisato – sostiene la giornalista – e le donne sono state relegate ad un ruolo secondario.
Tuttavia, esulta l’Armeni, alcuni segnali positivi circa un cambiamento in atto non mancano: «si pensi a come hanno preso la parola le suore americane» (sig!). E, conclude, «se si può comprendere […] che le donne non devono cercare l’uguaglianza con l’uomo, non devono aspirare a diventare preti e tanto meno pontefici […], abbiamo l’impressione che sarebbe utile, anzi indispensabile per la chiesa, che le monache dicessero a voce più alta quello che pensano e vogliono».
Insomma, Gesù era bravo, ma la Chiesa non ha seguito il Suo insegnamento. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Noi qualche serio dubbio lo abbiamo…
 
Giulia Tanel
 
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