venerdì 5 aprile 2013

Ingegno politico di Alfonso d'Aragona

Armi d'Aragonona conservate nel Museo di San Martino
 
 
Alfonso potenziò gli organi centrali creando un “centro burocratico” che eliminava la confusione delle attribuzioni proprie dello stato feudale, che riduceva “il gioco anarchico delle forze particolaristiche” “con il garantismo della legalità” e che introduceva un “fattore di mobilità e promozione sociale” che avrà conseguenze nella vita del Mezzogiorno. Poiché le Universitas, avendo raggiunto lo status di personalità giuridicoamministrativa, potevano tendere all’autonomia, Alfonso con la riforma della Sommaria, instaurò nei loro riguardi un sistema di controllo. Nello stesso tempo ne valorizzò il ruolo di sostegno alla sua politica accentratrice creando le Udienze provinciali - sostituirono i Giustizierati angioini - , tribunali amministrativi e giudiziari che divennero precisi punti di riferimento a sostegno della vita delle comunità e che avrebbero dovuto porle al riparo dagli arbitri della feudalità. 

Un’altra riforma, che riguardò le Universitas, fu quella tributaria in seguito alla quale furono abolite le “collette”, sostituite con una tassa su ogni effettiva unità lavorativa. Il nuovo sistema, che voleva eliminare le ingiustizie e le sperequazioni possibili a livello comunitario nella divisione del carico delle collette, poggiava il peso fiscale sul “fuoco”, che venne ad assumere il ruolo di unità fiscale, formato infatti dalle famiglie che producevano un reddito da lavoro. In cambio di tale tassa i “fuochi” ricevevano gratis un tomolo di sale all’anno, elemento di grande valore visto che serviva per conservare gli alimenti. Tale sistema, che comportava un continuo aggiornamento dei fuochi, non escludeva il ricorso ad altri tipi di tassazioni ordinarie e straordinarie, tra queste le imposte dirette gravanti sui consumi e sul movimento delle merci - dazi o gabelle - che favorivano i centri commerciali e che furono sostenuti da Ferrante.

Un atto importante verso le Universitas fu la regolamentazione (1477) della funzione del notaio, una figura pubblica che aveva assunto un grande significato nella vita delle comunità, perché oltre a presiedere alle attività mercantili era presente in tutti i rapporti che interessavano la vita comunitaria introducendo in esse la legalità e dando sicurezza. Il notaio, la cui presenza era obbligatoria in ogni luogo con una sede propria e l’assistenza di almeno due giudici, si configurava come il saggio, colui che dirimeva le questioni, la massima autorità, il custode delle tradizioni e, pur non risultando organizzato in alcuna corporazione o collegio, ebbe una notevole influenza nella vita, specie dei centri minori. 

Nei riguardi dei feudatari Alfonso impose precisi obblighi come la costituzione di un registro dei privilegi goduti e il pagamento del “relevio”. E poiché costoro si erano già avviati a diventare “grandi proprietari terrieri e percettori di redditi agrari o di censi sui redditi” ed apparivano sempre più chiaramente come “locali rappresentanti o detentori del potere pubblico”, i due aragonesi, in linea col carattere di “patrimonio familiare” che aveva acquisito la proprietà feudale, ne incrementarono la compra-vendita creando un’ampia trama di feudi che passavano di mano in mano. Dettero così una spinta alla trasformazione del feudo in “un’azienda economicamente redditizia, e socialmente prestigiosa e potente”, che fu grande fattore di sviluppo. 

I feudatari infatti diventarono sempre più “agenti economici” nei loro possedimenti, interessati a potenziarne lo sviluppo in senso produttivo, divenendo il nerbo della rinnovata economia del paese. 

Lo sforzo di razionalizzazione messo in atto fu però ostacolato dalla invadenza dei feudatari, vere forze particolaristiche locali, con cui Alfonso fu costretto a venire a patti facendo loro delle concessioni come l’abolizione dell’obbligo dell’adoha e il godimento senza riserva del “mero e misto imperio” e delle “lettere arbitrarie”, già date da Roberto d’Angiò, che ne rinforzarono l’indipenenza. L’esempio più chiaro fu proprio la piena giurisdizione che con gli Aragonese giunse al culmine di un processo che aveva visto i feudatari prendersi lentamente il potere nelle loro terre fino a gestirnea pieno la vita come dei piccoli re. Questo fatto però, per le ragioni dette, aprì prospettive di sviluppo dei feudi, che dipesero dalla liberalità e dalla capacità imprenditoriale dei loro feudatari. Comunque le trasformazioni introdotte sia dal Magnanimo che da Ferrante furono valide e soprattutto rispondenti ai bisogni del paese, che aveva forze sociali ormai mature per accoglierne le spinte innovative. Esse infatti innescarono processi etico-politici ed economico-sociali che ebbero i tempi lunghi di ogni processo sociale, ma avviarono il Mezzogiorno a diventare uno stato moderno.
 
 
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