Cos’è accaduto in quella data? Domenica 17 gennaio 2010 è avvenuta la visita di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma. Questo evento mi suggerisce alcune considerazioni storiche e teologiche al contempo. Ciò che è stato affermato in questa occasione ha un’importanza capitale per ogni cattolico: bisogna osservare se ci troviamo di fronte ad una conferma o ad una smentita dell’insegnamento perenne della Chiesa. Innanzitutto bisogna ricordare che da quando Gesù Cristo Nostro Signore morì sulla Croce (e il velo del tempio, che simboleggiava l’Alleanza tra Dio e il suo popolo, si squarciò in due) più nessun rappresentante del cattolicesimo ha messo piede ufficialmente in una sinagoga, fino alla visita di Giovanni Paolo II del 1986. Per quasi duemila anni, al contrario, la Chiesa ha sempre parlato, con caritatevole fermezza e usando dell’aspra medicina della Verità, di una radicale apostasia del giudaismo talmudico (oramai non più nemmeno mosaico) dopo i tragici fatti del Golgota. Non a caso veniva spesso ripresa nella omiletica cattolica (da San Giovanni Cristostomo a sant’Agobardo di Lione, da Pietro il Venerabile a San Bernardino da Siena) la figura della “Sinagoga satanae” contrapposta appunto alla Chiesa di Dio (“Novus Israel”), come scriveva anche San Giovanni Apostolo: ”quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di Satana” (Apocalisse 2:9). E la Sinagoga nelle grandi cattedrali medioevali era raffigurata come una giovane fanciulla bendata ovvero cieca e con un asta spezzata in mano, nel segno di generale indurimento del cuore dovuto al rifiuto del Messia, e con in mano le Sacre Scritture (ovvero l’Antico Testamento) di cui però non poteva e non voleva intendere più il senso. Si rimarrebbe quindi certamente perplessi nel vedere quindi dei successori di Pietro entrare in un tempio ebraico per non fare opera di conversione e di apostolato “opportune” ed “importune” ma per motivi altri.
Ma sentiamo dalla viva voce degli attori di questo incontro qual era lo spirito che lo pervadeva
Ecco cosa ha detto il rabbino capo di Roma, Di Segni: “Sono passati 24 anni dalla storica e indimenticabile visita di papa Giovanni Paolo II in questa Sinagoga. Allora fu forte la richiesta rivolta al Papa dai nostri dirigenti di riconoscere lo Stato d’Israele, cosa che effettivamente avvenne pochi anni dopo. Fu un ulteriore segno di tempi cambiati e più maturi” e ancora: “I tempi evidentemente sono cambiati e ringraziamo il Signore (non Papa, si badi bene; n.d.a.) Benedetto che ci ha portato ad un’epoca di libertà; e dopo la libertà conquistata nel 1870 (accusa non troppo velata allo Stato Pontificio, visto come oppressore degli ebrei, che fu occupato illegittimamente il 20 settembre 1870, giorno della breccia di Porta Pia; n.d.a.) , possiamo, dai tempi del Concilio Vaticano, rapportarci con la Chiesa Cattolica e il suo Papa in termini di pari dignità e rispetto reciproco. Sono le aperture del Concilio che rendono possibile questo rapporto; se venissero messe in discussione non ci sarebbe più possibilità di dialogo. (… ) Nella visita a questa Sinagoga, papa Giovanni Paolo II descrisse il rapporto tra ebrei e cristiani come quello tra fratelli”. Mentre il correligionario di Di Segni, Riccardo Pacifici, oltre ad attaccare e infangare nuovamente Papa Pio XII per i suoi presunti silenzi riguardanti la persecuzioni antiebraiche durante la seconda guerra mondiale, dimenticava le centinaia, se non migliaia, di ebrei salvati da Papa Pacelli nascondendoli in conventi cattolici, e così elogiava Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II: “Giovanni Paolo II, al quale va un commosso ricordo. (…) Numerosi sono stati i gesti e gli atti di riconciliazione compiuti dal pontificato di Giovanni XXIII a quello di Giovanni Paolo II …” e sulla stessa lunghezza d’onda proseguiva Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane “Questi principi sono stati solennemente affermati nella Dichiarazione Nostra Aetate che, concepita e voluta da Papa Giovanni XXIII, fu promulgata il 28 Ottobre del 1965 dal Concilio Vaticano II. Da quel momento iniziò a svilupparsi un dialogo tra ebrei e cristiani. (…) alla memoria di Papa Giovanni Paolo II rendo un commosso omaggio”.
In effetti queste parole mostrano ad abundantiam l’esito non missionario che ha caratterizzato questi incontri. A chi obiettasse che questo tipo di approccio ecumenico serva a far breccia, diciamo così, nei cuori degli ebrei e dei fedeli di altre religioni, per far loro comprendere quant’è buona e comprensiva la fede cattolica e così convincerli ad aderire ad essa, bisognerebbe invece ricordare quanti frutti, spirituali innanzitutto ma anche materiali, hanno portato nel corso dei secoli le Missioni cattoliche, che avevano come scopo principale e quasi esclusivo l’annuncio del Vangelo e la salvezza delle anime, attraverso la conversione ense et cruce di queste all’unica religione vera.
Come ulteriore conferma delle mie affermazioni suddette riporto uno stralcio del discorso di Benedetto XVI alla sinagoga: “(…) La dottrina del Concilio Vaticano II ha rappresentato per i Cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L’evento conciliare ha dato un decisivo impulso all’impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è approfondito e sviluppato in questi quarant’anni con passi e gesti importanti e significativi, tra i quali desidero menzionare nuovamente la storica visita in questo luogo del mio Venerabile Predecessore, il 13 aprile 1986, i numerosi incontri che egli ha avuto con Esponenti ebrei, anche durante i Viaggi Apostolici internazionali, il pellegrinaggio giubilare in Terra Santa nell’anno 2000, i documenti della Santa Sede che, dopo la Dichiarazione “Nostra Aetate”, hanno offerto preziosi orientamenti per un positivo sviluppo nei rapporti tra Cattolici ed Ebrei. Anche io, in questi anni di Pontificato, ho voluto mostrare la mia vicinanza e il mio affetto verso il popolo dell’Alleanza. Conservo ben vivo nel mio cuore tutti i momenti del pellegrinaggio che ho avuto la gioia di realizzare in Terra Santa, nel maggio dello scorso anno, come pure i tanti incontri con Comunità e Organizzazioni ebraiche, in particolare quelli nelle Sinagoghe a Colonia e a New York. Inoltre, la Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo (cfr Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, Noi Ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, 16 marzo 1998). Possano queste piaghe essere sanate per sempre! (…)”.
Parrebbe di ricordare che Cristo stesso avesse espressamente detto che solo chi crede e viene battezzato si salva, mentre chi non crede sarà condannato alla pena eterna. Come si può allora continuare a parlare di dialogo con il popolo giudaico e dell’antica Alleanza che ancora durerebbe tra Dio e loro (il sofisma di una “doppia alleanza” in atto), quando essi rigettano Cristo e per questo assumono una piena corresponsabilità morale nel Suo deicidio? Come si può lasciarli nell’errore, prendendosi così la gravissima responsabilità di contribuire alla loro dannazione eterna? Aggiungendo ulteriore sconcerto, in questo discorso si chiede scusa per le presunte colpe della Chiesa, che si sarebbe macchiata di antisemitismo e antigiudaismo teologico. Qui giova la chiarezza: la Chiesa non è mai stata antisemita, ma al contrario ha sempre condannato simili (e recenti) idee razziste. Riguardo all’antigiudaismo riporto il commento del Centro Studi Federici, un benemerito centro studi cattolico : “è particolarmente inquietante la condanna dell’antigiudaismo. Il giudaismo del Nuovo Testamento nega la Trinità di Dio e la Divinità di Nostro Signore. L’antigiudaismo è quindi la conseguenza della fede cattolica nella SS. Trinità e nel SS. Redentore”. Parole confermate anche dalla preghiera del Venerdì Santo del Missale Romanum (quello pre-conciliare per intenderci): “Preghiamo anche per i perfidi Giudei, affinché Dio Nostro Signore tolga il velo dai loro cuori ed anch’essi riconoscano Gesù Cristo, Signore nostro. Dio onnipotente ed eterno, che non ricusi dalla tua misericordia neppure ai perfidi Giudei, degnati esaudire le preghiere che ti presentiamo per questo popolo cieco, affinché riconoscendo la luce della tua verità, che è il Cristo, siano liberati dalle loro tenebre” (Messale romano, L.I.C.E., R. Berruti e C., Torino 1936.). Possibile che per tanti secoli si sia usata una preghiera teologicamente errata, nemica della Carità e fomentatrice di odi?
Sembrerebbe evidente che condannare questo tipo di antigiudaismo sia negare la sostanza stessa della fede cattolica. Da questo assunto, che chi scrive condivide, e alla luce di quanto ho sopra scritto, va inquadrata storicamente e sociologicamente anche la visita del 17 gennaio 2010.
Non un evento casuale ma un ulteriore ed epifanico “segno dei tempi” che si inserisce sulla scia di un cammino iniziato con il Concilio Vaticano II. Da un punto di visto ecclesiologico, è un evento che appartiene totalmente alla storia profana e non certo alla storia della Chiesa. Da un punto di vista morale, studiarlo ed analizzarne la profonda portata contro-testimoniale, è stato, da parte mia, doveroso.
Ma sentiamo dalla viva voce degli attori di questo incontro qual era lo spirito che lo pervadeva
Ecco cosa ha detto il rabbino capo di Roma, Di Segni: “Sono passati 24 anni dalla storica e indimenticabile visita di papa Giovanni Paolo II in questa Sinagoga. Allora fu forte la richiesta rivolta al Papa dai nostri dirigenti di riconoscere lo Stato d’Israele, cosa che effettivamente avvenne pochi anni dopo. Fu un ulteriore segno di tempi cambiati e più maturi” e ancora: “I tempi evidentemente sono cambiati e ringraziamo il Signore (non Papa, si badi bene; n.d.a.) Benedetto che ci ha portato ad un’epoca di libertà; e dopo la libertà conquistata nel 1870 (accusa non troppo velata allo Stato Pontificio, visto come oppressore degli ebrei, che fu occupato illegittimamente il 20 settembre 1870, giorno della breccia di Porta Pia; n.d.a.) , possiamo, dai tempi del Concilio Vaticano, rapportarci con la Chiesa Cattolica e il suo Papa in termini di pari dignità e rispetto reciproco. Sono le aperture del Concilio che rendono possibile questo rapporto; se venissero messe in discussione non ci sarebbe più possibilità di dialogo. (… ) Nella visita a questa Sinagoga, papa Giovanni Paolo II descrisse il rapporto tra ebrei e cristiani come quello tra fratelli”. Mentre il correligionario di Di Segni, Riccardo Pacifici, oltre ad attaccare e infangare nuovamente Papa Pio XII per i suoi presunti silenzi riguardanti la persecuzioni antiebraiche durante la seconda guerra mondiale, dimenticava le centinaia, se non migliaia, di ebrei salvati da Papa Pacelli nascondendoli in conventi cattolici, e così elogiava Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II: “Giovanni Paolo II, al quale va un commosso ricordo. (…) Numerosi sono stati i gesti e gli atti di riconciliazione compiuti dal pontificato di Giovanni XXIII a quello di Giovanni Paolo II …” e sulla stessa lunghezza d’onda proseguiva Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane “Questi principi sono stati solennemente affermati nella Dichiarazione Nostra Aetate che, concepita e voluta da Papa Giovanni XXIII, fu promulgata il 28 Ottobre del 1965 dal Concilio Vaticano II. Da quel momento iniziò a svilupparsi un dialogo tra ebrei e cristiani. (…) alla memoria di Papa Giovanni Paolo II rendo un commosso omaggio”.
In effetti queste parole mostrano ad abundantiam l’esito non missionario che ha caratterizzato questi incontri. A chi obiettasse che questo tipo di approccio ecumenico serva a far breccia, diciamo così, nei cuori degli ebrei e dei fedeli di altre religioni, per far loro comprendere quant’è buona e comprensiva la fede cattolica e così convincerli ad aderire ad essa, bisognerebbe invece ricordare quanti frutti, spirituali innanzitutto ma anche materiali, hanno portato nel corso dei secoli le Missioni cattoliche, che avevano come scopo principale e quasi esclusivo l’annuncio del Vangelo e la salvezza delle anime, attraverso la conversione ense et cruce di queste all’unica religione vera.
Come ulteriore conferma delle mie affermazioni suddette riporto uno stralcio del discorso di Benedetto XVI alla sinagoga: “(…) La dottrina del Concilio Vaticano II ha rappresentato per i Cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L’evento conciliare ha dato un decisivo impulso all’impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è approfondito e sviluppato in questi quarant’anni con passi e gesti importanti e significativi, tra i quali desidero menzionare nuovamente la storica visita in questo luogo del mio Venerabile Predecessore, il 13 aprile 1986, i numerosi incontri che egli ha avuto con Esponenti ebrei, anche durante i Viaggi Apostolici internazionali, il pellegrinaggio giubilare in Terra Santa nell’anno 2000, i documenti della Santa Sede che, dopo la Dichiarazione “Nostra Aetate”, hanno offerto preziosi orientamenti per un positivo sviluppo nei rapporti tra Cattolici ed Ebrei. Anche io, in questi anni di Pontificato, ho voluto mostrare la mia vicinanza e il mio affetto verso il popolo dell’Alleanza. Conservo ben vivo nel mio cuore tutti i momenti del pellegrinaggio che ho avuto la gioia di realizzare in Terra Santa, nel maggio dello scorso anno, come pure i tanti incontri con Comunità e Organizzazioni ebraiche, in particolare quelli nelle Sinagoghe a Colonia e a New York. Inoltre, la Chiesa non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo (cfr Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, Noi Ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, 16 marzo 1998). Possano queste piaghe essere sanate per sempre! (…)”.
Parrebbe di ricordare che Cristo stesso avesse espressamente detto che solo chi crede e viene battezzato si salva, mentre chi non crede sarà condannato alla pena eterna. Come si può allora continuare a parlare di dialogo con il popolo giudaico e dell’antica Alleanza che ancora durerebbe tra Dio e loro (il sofisma di una “doppia alleanza” in atto), quando essi rigettano Cristo e per questo assumono una piena corresponsabilità morale nel Suo deicidio? Come si può lasciarli nell’errore, prendendosi così la gravissima responsabilità di contribuire alla loro dannazione eterna? Aggiungendo ulteriore sconcerto, in questo discorso si chiede scusa per le presunte colpe della Chiesa, che si sarebbe macchiata di antisemitismo e antigiudaismo teologico. Qui giova la chiarezza: la Chiesa non è mai stata antisemita, ma al contrario ha sempre condannato simili (e recenti) idee razziste. Riguardo all’antigiudaismo riporto il commento del Centro Studi Federici, un benemerito centro studi cattolico : “è particolarmente inquietante la condanna dell’antigiudaismo. Il giudaismo del Nuovo Testamento nega la Trinità di Dio e la Divinità di Nostro Signore. L’antigiudaismo è quindi la conseguenza della fede cattolica nella SS. Trinità e nel SS. Redentore”. Parole confermate anche dalla preghiera del Venerdì Santo del Missale Romanum (quello pre-conciliare per intenderci): “Preghiamo anche per i perfidi Giudei, affinché Dio Nostro Signore tolga il velo dai loro cuori ed anch’essi riconoscano Gesù Cristo, Signore nostro. Dio onnipotente ed eterno, che non ricusi dalla tua misericordia neppure ai perfidi Giudei, degnati esaudire le preghiere che ti presentiamo per questo popolo cieco, affinché riconoscendo la luce della tua verità, che è il Cristo, siano liberati dalle loro tenebre” (Messale romano, L.I.C.E., R. Berruti e C., Torino 1936.). Possibile che per tanti secoli si sia usata una preghiera teologicamente errata, nemica della Carità e fomentatrice di odi?
Sembrerebbe evidente che condannare questo tipo di antigiudaismo sia negare la sostanza stessa della fede cattolica. Da questo assunto, che chi scrive condivide, e alla luce di quanto ho sopra scritto, va inquadrata storicamente e sociologicamente anche la visita del 17 gennaio 2010.
Non un evento casuale ma un ulteriore ed epifanico “segno dei tempi” che si inserisce sulla scia di un cammino iniziato con il Concilio Vaticano II. Da un punto di visto ecclesiologico, è un evento che appartiene totalmente alla storia profana e non certo alla storia della Chiesa. Da un punto di vista morale, studiarlo ed analizzarne la profonda portata contro-testimoniale, è stato, da parte mia, doveroso.
ROBERTO MARCANTE
Cenni bibliografici
Enrico Maria Redaelli “Il Mistero della sinagoga bendata”, Effedieffe, Milano, 2000
Gerardo de Proença Sigaud, Vescovo di Jacarénzinho in Acta et Documenta Concilio Œcumenico Vaticano II Apparando, Series I, Volumen II, Pars VII Pagg. 180-195
Henri Delassus “Il Problema dell’ora presente. Antagonismo tra due civiltà”, Descleè, Roma, (prima edizione italiana) 1907, 2 voll, (ristampa anastatica Piacenza, Cristianità, 1977)
Leon Meurin S.J, Arcivescovo di Port Louis. “La Franc-Maçonnerie. Synagogue de Satan”, Retaux, Parigi, 1893 (Prima e sinora unica edizione italiana, Siena, Tipografia San Bernardino, collana Biblioteca del Clero volume VII, 1895)
Julio Meinvielle S.J. “El judio en el mistero da la historia”, Buenos Aires, Asociation de los Jovenes de Acion Catolica, 1937 (sesta edizione postuma e arricchita, Buenos Aires, Cruz y Fierro, 1982)
Leon Dehon, “Oeuvres sociales”, tomo V/1 e V/2, passim, Dehoniane, Napoli, 1991-93
Gerardo de Proença Sigaud, Vescovo di Jacarénzinho in Acta et Documenta Concilio Œcumenico Vaticano II Apparando, Series I, Volumen II, Pars VII Pagg. 180-195
Henri Delassus “Il Problema dell’ora presente. Antagonismo tra due civiltà”, Descleè, Roma, (prima edizione italiana) 1907, 2 voll, (ristampa anastatica Piacenza, Cristianità, 1977)
Leon Meurin S.J, Arcivescovo di Port Louis. “La Franc-Maçonnerie. Synagogue de Satan”, Retaux, Parigi, 1893 (Prima e sinora unica edizione italiana, Siena, Tipografia San Bernardino, collana Biblioteca del Clero volume VII, 1895)
Julio Meinvielle S.J. “El judio en el mistero da la historia”, Buenos Aires, Asociation de los Jovenes de Acion Catolica, 1937 (sesta edizione postuma e arricchita, Buenos Aires, Cruz y Fierro, 1982)
Leon Dehon, “Oeuvres sociales”, tomo V/1 e V/2, passim, Dehoniane, Napoli, 1991-93
Fonte: