In passato, ma ancora oggi, la
Chiesa cattolica riceve accuse e critiche per non essersi opposta energicamente
al movimento colonizzatore europeo e alle brutalità commesse dai colonialisti,
in particolare da quelli spagnoli e portoghesi nelle Americhe. Ma, mentre alcuni
storici avanzano questa invettiva, molti altri sottolineano come in realtà la
Chiesa sia stata l’unica istituzione ad aver alzato la voce in difesa
degli indigeni. Parlando del colonialismo, ad esempio, il sociologo e
storico Rodney Stark ha affermato: «lo spirito dei tempi
era -con l’eccezione della Chiesa cattolica- favorevole alla tratta degli
schiavi» (R. Stark, For the Glory of God, Princeton University
Press 2003, pag. 359). Purtroppo la Riforma protestante (1517) indebolì
fortemente la Chiesa, la quale non era più riconosciuta autorevole dagli Stati,
dai re e dai poteri politici ed economici, così la sua condanna dello schiavismo
fu ignoranta ed esso dilagò divenendo un pilastro dell’economia mondiale (nella
parte orientale del globo il commercio di schiavi era gestito dagli
arabi-musulmani)
Il grande storico americano, Eugene D.
Genovese, fra i massimi esperti di schiavismo americano, ha
scritto: «Il cattolicesimo ha impresso una profonda
differenza nella vita degli schiavi. E’ riuscito a creare un’etica nuova ed
autentica nella società schiavista americana, brasiliana e spagnola»[1]. Tuttavia le accuse sono queste:
1) La avrebbe spinto le potenze coloniali nel movimento di scoperta di nuovi
popoli, è riconosciuto che non rifiutasse lo sfruttamento della popolazione ma
il suo obiettivo era l’evangelizzazione. 2) La diffusione del credo cattolico
con ogni metodo fu a volte utilizzato come giustificazione per eccidi di
indigeni inermi da parte dei colonialisti, alcune volte anche esponenti della
chiesa stessa[2]
INDICE
1. Due premesse importanti
2. Pre-colonialismo: la Chiesa abolì la schiavitù in Europa
3. 1430: immediate opposizioni al colonialismo: Eugenio IV e Pio II
4. 1500-1900: la Chiesa in difesa degli indigeni
5. Illuministi e anticlericali unici favorevoli alla schiavitù
6. Conclusione
1. DUE PREMESSE
IMPORTANTI
1) Evangelizzazione Nuovo Mondo. E’ sicuramente vero che la Chiesa tentò di condizionare il
colonialismo per creare un’etica di aiuto e sostegno, invece che di
depauperamento dei territori e delle popolazioni colonizzate. Però, troppo
spesso purtroppo, è anche corretto ricordare che il messaggio cristiano venne
imposto e non proposto, e questa fu senz’altro la colpa maggiore. Un torto,
comunque, in parte giustificato dal fatto che i colonizzatori europei trovarono
popolazioni totalmente sottomesse al capriccio dei loro pretenziosi e crudeli
dei. E’ stato dimostrato, ad esempio, che il popolo Azteco smise di
praticare sacrifici umani o altre forme autoctone di culto proprio grazie alla
conversione cristiana di molti dei suoi membri (inizialmente, forzata o meno che
fosse)[3], mentre in Paraguay,
l’arrivo dei missionari permise ai Guarani, di progredire civilmente e
abbandonare l’Età della Pietra, le carestie e le guerre pressoché ininterrotte
con conseguente sterminio degli abitanti del villaggio sconfitto: si praticava
infatti il cannibalismo rituale. In meno di tre generazioni gli indigeni, grazie
al cristianesimo, passarono da un livello di vita estremamente primitivo ad uno
stadio di civiltà piuttosto elevato[4]. Anche in Messico i missionari fornirono benessere alle
popolazioni mediante l’istituzione di scuole e ospedali ed insegnarono agli
indiani metodi di allevamento migliori, aumentando l’aspettativa di vita[5]. In California diffusero la
dottrina cristiana tra gli indigeni locali ed introdussero il bestiame europeo,
frutta, verdura e l’industria. Migliorarono anche la modalità di trasporto e
crearono reti sociali decisamente civilizzate[6]. La
conversione cristiana, anche forzata, era dunque vista -e infatti si rivelò
tale- come la condizione essenziale per abbandonare comportamenti disumani e
raggiungere un più alto livello di civiltà.
2) Paesi “cattolici”. Molto spesso, il fatto che
paesi colonizzatori come Spagna, Francia, Portogallo ecc.. fossero ritenuti
“cattolici”, ha portato molti a rivolgere le accuse alla religione piuttosto che
verso la politica dei sovrani laici. Eppure molti storici, come ad esempio
Rodney
Stark della Baylor University o lo studioso britannico Owen
Chadwick, hanno spiegato che dipingere i poteri politici sottomessi al
volere dei vescovi è una classica falsità storica nata in ambito protestante
(come tante altre). Anche negli stati non riformati, la Chiesa aveva poca voce
in capitolo e i sovrani aderivano formalmente al cattolicesimo perchè avevano
già imposto al papa delle condizioni a loro molto favorevoli. Ad esempio il
Concordato di Bologna (1516) concedeva al re francese Francesco
I il diritto di designare tutte le alte cariche della Chiesa, ottenendo
così il completo controllo delle propietà e delle rendite della Chiesa. In
Spagna, Ferdinando e Isabella ottennero lo stesso privilegio e
riuscirono a far concordare il papa sull’illegalità della pubblicazione delle
sue bolle e dei suoi decreti senza il previo consenso reale o dei possedimenti
del regno. Sotto Carlo V la subordinazione della Chiesa crebbe ancora
di più e il re ottenne anche un terzo delle decime pagate alla Chiesa.
«Questi accordi -scrive Stark- svolsero un ruolo fondamentale nel
far rimanere cattoliche Spagna e Francia, ma resero la Chiesa dipendente dallo
Stato. Ciò ebbe disastrose consegueze quando il papa cercò di prevenire
l’introduzione della schiavitù nel Nuovo Mondo»[7].
2. PRE-COLONIALISMO: LA CHIESA ABOLI’
LA SCHAVITU’ IN EUROPA
Già nel VI secolo la Chiesa e numerosi suoi membri
cominciarono ad opporsi alla schiavitù. Nel VII ricordiamo San Batilde (626-680), prima moglie del re Clodoveo II e
poi religiosa e fondatrice di diversi conventi, nota per la sua campagna contro
il commercio degli schiavi e per la loro liberazione. Grazie a lei scomparse la
schiavitù nei regni dei Franchi e venne abolita la tassa personale sugli
abitanti di origine gallica[8].
Nell’ 851 d.C., San Oscar di Brema (801–865), monaco benedettino, si
battè nei paesi scandinavi per fermare la tratta degli schiavi perpretata dalle
popolazioni vichinghe[9]. Per la
fine del X secolo la Chiesa riuscì comuque ad eliminare la schiavitù in gran
parte d’Europa: estese a tutti gli schiavi i sacramenti e fece in modo di far
proibire la schiavitù per cristiani ed ebrei, tanto da ottenerne un’abolizione
totale nelle terre dei re cristiani[10]. Altrove invece continuò a permanere. Nel 1235, con la
bolla Devotionis Vestrae, il papa Gregorio IX
(1170-1241) approvò l’Ordine di Santa Maria della Mercede, i cui obiettivi
principali erano la liberazione degli schiavi prigionieri dei musulmani: circa
52.000 uomini vennero riscattati attraverso l’esborso di enormi somme di
denaro[11].
3. 1430, IMMEDIATE OPPOSIZIONI AL
COLONIALISMO: EUGENIO IV E PIO II
Successivamente però, intorno al 1430, la schiavitù
ritornò anche in Europa: gli spagnoli colonizzarono le isole Canarie e
cominciarono ad asservire la popolazione locale. Informato di questi fatti, papa
Eugenio IV (1383-1487) indirizzò subito alle autorità
religiose locali la bolla “Sicut Dudum”(1435) con la quale, in modo netto e
senza ambiguità, condannò la schiavitù delle popolazioni indigene e, sotto pena
di scomunica, concesse a chi era coinvolto nello schiavismo, 15 giorni dalla
ricezione della bolla, per «riportare alla precedente condizione di libertà
tutte le persone di entrambi i sessi una volta residenti delle dette Isole
Canarie, queste persone dovranno essere considerate totalmente e per sempre
libere («ac totaliter liberos perpetuo esse») e dovranno essere lasciate andare
senza estorsione o ricezione di denaro»[12].
Nel 1462, anche papa Pio II
(1405-1464), riferendosi al governatore locale delle Isole Canarie,
condannò il commercio degli schiavi considerandolo «un grande crimine»
(«magnum scelus»)[13].
4. 1500-1900: LA CHIESA IN DIFESA
DEGLI INDIGENI
Dal 1500 in poi la storia è costellata di uomini, pontefici, vescovi e
sacerdoti cattolici che usarono la loro vita per difendere le popolazioni
indigene e creare un’etica morale nei colonizzatori. Ne elenchiamo solo
alcuni:De Montesinos. Nel 1510, il frate domenicano Antonio de Montesinos (1475-1540), fu assieme a frate Pedro de Córdoba (1482-1521) uno dei primi religiosi ad essere spedito nel Nuovo Mondo, approdando sull’isola di Hispaniola. Ben presto venne a conoscenza della condizione degli indiani e del trattamento disumano ricevuto da parte dei coloni e decise così di denunciare immediatamente e pubblicamente tutte le forme di riduzione in schiavitù e l’oppressione dei popoli indigeni delle Americhe[14]. Sono rimasti famosi i suoi sermoni del 21 e 28 dicembre 1511: «Allo scopo di farvi conoscere i vostri peccati contro gli Indiani sono venuto su questo pulpito, io che sono la voce di Cristo che grida nel deserto di quest’isola e perciò dovete ascoltarla. Questa voce dice che voi siete in peccato mortale, che voi vivete e morite nel peccato mortale, a causa della crudeltà e della tirannia che voi usate nel trattare con queste genti innocenti. Ditemi, per quale diritto o giustizia tenete questi Indiani in tale crudeltà e orribile schiavitù? Sulla base di quale autorità avete dichiarato una guerra detestabile a questa gente, che viveva tranquillamente e pacificamente nella propria terra? Quanta conoscenza avete voi conquistatori sulla dottrina e sul Dio creatore? Sul battesimo, sul partecipare alla messa e santificare le feste e la domenica? Non sono uomini questi? Non hanno anime razionali? Non siete tenuti ad amarli come amate voi stessi?”State certi che in questo stato non potete salvare nessuno e nemmeno mantenere la fede in Gesù Cristo»[15]. Le forti accuse, il rimprovero verso un comportamento anti-cristiano e la rivendicazione della responsabilità cristiana causarono forte disagio nei conquistatori e nei funzionari che erano presenti, tra cui il governatore Diego Colombo. In molti reagirono contro i monaci, impedendo loro di pronunciarsi nuovamente su questi temi e chiedendo di ritrattare pubblicamente le dichiarazioni. Accadde anche, però, che uno dei più arrabbiati amministratori presenti, Bartolomé de Las Casas, venne così profondamente colpito da questi sermoni che optò per una vera conversione e divenne il primo ecclesiastico a prendere gli ordini sacri nel Nuovo Mondo. Las Casas diventò nel tempo uno dei più attivi difensori dei diritti dei popoli indigeni d’America[16], ma ne parleremo più sotto.
Il re Ferdinando II d’Aragona, invece, scoperto l’accaduto si lamentò duramente con la congregazione dei domenicani in Spagna e chiese sanzioni per i religiosi sull’isola, minacciando perfino di espellerli. Nel frattempo ai frati vennero negati i mezzi di sussistenza. Nonostante le intimidazioni i Domenicani non si fermarono, sostenendo che la loro dottrina era il risultato dello studio della verità e della lettura del Vangelo. Il re arrivò così ad annunciare che nessun religioso avrebbe più messo piede sull’Isola[17]. De Montesinos decise di tornare nuovamente in Spagna col proposito di informare le autorità reali sulla vera situazione dei popoli indigeni e sui motivi che lo avevano spinto a predicare così duramente. Re Ferdinando ordinò al suo Consiglio di esaminare approfonditamente le questione e convocò una comissione di teologi e giuristi (il “Consiglio di Burgos”). I frutti di questo studio furono la promulgazione della Leggi di Burgos (1512), primo codice di ordinanze per la protezione delle popolazioni indigene (verrà rispettato molto poco), nel quale si prevedeva che il re di Spagna aveva titoli di padronanza del Nuovo Mondo, ma senza il diritto di sfruttare l’indiano, il quale era un uomo libero e poteva possedere sue proprietà. Si limitarono inoltre le richieste lavorative che i coloni spagnoli potevano avanzare, le donne in gravidanza furono esentate dal lavoro, fu proibita ogni tipo di punizione, si obbligò al rispetto delle autorità locali, aumentarono le condizioni igieniche ecc. Si ordinò anche l’obbligo di catechizzare gli indios e venne condannata la bigamia. Come già detto, quest’obbligo era dovuto sopratutto a causa dei cruenti riti sacrificali che gli indigeni praticavano continuamente a causa della loro religione, con tanto di cannibalismo e incisione delle vertebre dei bambini[18]. Per perpetuare la memoria di frate De Montesinos e ricordare la sua lotta per la giustizia per gli indigeni del Nuovo Mondo, venne creata una grande statua in suo onore nella città di Santo Domingo (Repubblica Dominicana)[19]
Paolo III. Il 2 giugno 1537, papa Paolo III (1468-1549), scontrandosi con le autorità laiche, emanò la memorabile bolla Veritas Ipsa, con la quale spazzò via tutti gli appetiti schiavistici sulle popolazioni del Nuovo Mondo, proclamando che “Indios veros nomine esse” e scomunicando tutti coloro che ridurranno in schiavitù gli indios o li spoglieranno dei loro beni (in realtà lo fece già nella lettera al Cardinale di Toledo del 29 maggio 1537). Condannò le tesi razziste, riconobbe agli indiani, cristiani o no, la dignità di persona umana, e avanzò il divieto di ridurli in schiavitù. Il papa definì i coloni dei “violenti” e i portatori di potenti interessi coloniali addirittura «manutengoli di Satana, desiderosi di soddisfare la loro avidità, e costringere gli Indios occidentali e meridionali e altri popoli, che ci sono venuti a conoscenza in questi ultimi tempi, a servirli come fossero animali bruti, sotto il pretesto che non hanno la fede. Con l’autorità apostolica e attraverso questo documento stabiliamo e dichiariamo che i predetti Indios, e tutti gli altri popoli, anche se non appartenenti alla nostra religione, non si possono privare della libertà e del dominio della loro proprietà, e che è lecito ad essi godere della loro libertà e dei loro beni e acquisirne, né che si debbono ridurre in schiavitù. Se qualche cosa sarà fatta in contrario dichiariamo nulla e invalida alla detta fede in Cristo»[20]. Gli storici ritengono che la bolla abbia avuto un forte impatto sul “dibattito di Valladolid” e che questi principi divennero la posizione ufficiale di Carlo V del Sacro Romano Impero e re di Spagna[21]. Secondo molti studiosi la bolla di Paolo III servì ed ebbe l’effetto di annullare tre bolle precedenti, quelle di papa Niccolò V, la “Dum Diversas” (1453) e la “Romanus Pontifex (1455) e quella di papa Alessandro VI, la “Inter Caetera” (1493), attraverso le quali si autorizzavano formalmente le conquiste coloniali e la schiavitù[22]. Questi pontefici, comunque, fecero vergognare la Chiesa anche per molte altre azioni immorali, contro la tradizione cristiana, il celibato sacerdotale e la dottrina della Chiesa stessa. Vennero presto dimenticati e le loro tombe praticamente ignorate.
Francesco da Vitoria. Frate Francesco da Vitoria (1492-1546) si preoccupò subito di elaborare le basi teologiche e filosofiche in difesa dei diritti umani delle popolazioni indigene colonizzate, divenendo così uno dei fondatori del “diritto internazionale” che regola i rapporti tra le nazioni[23] e fondatore della filosofia politica globale[24]. Vennero così consolidati i diritti degli indios, tra i quali la nativa libertà, la loro dignità umana, la capacità giuridica e il diritto di rifiutare la conversione. Le sue opinioni (e quelle del vescovo Las Casas) vennero ascoltate da un tribunale spagnolo nel 1542 e vennero così promosse le Leyes Nuevas (1542), che misero gli indiani sotto la diretta protezione della Corona (ne parleremo più sotto).
Bartolomé de Las Casas. Il vescovo cattolico spagnolo Bartolomé de Las Casas (1484–1566) è stato ufficialmente nominato “Protettore degli Indios”[25]. Tascorse infatti 50 anni della sua vita a combattere attivamente la schiavitù e l’abuso violento dei colonizzatori verso le popolazioni indigene. In particolare cercò di convincere le autorità spagnole ad adottare una politica più umana di colonizzazione. I suoi sforzi hanno portato diversi miglioramenti dello status giuridico degli indigeni e una maggiore attenzione sull’etica del colonialismo. Las Casas è spesso visto come uno dei primi sostenitori dei diritti universali dell’uomo[26]. Subito dopo la conversione, avvenuta -come già accennato- ascoltanto i sermoni di frate Antonio di Montesinos a favore della libertà e dignità degli Indios nel Nuovo Mondo, entrò nel 1515 nell’ordine domenicano ed iniziò immediatamente la sua instancabile battaglia a favore degli indigeni: condannò senza eccezioni il colonialismo, il sistema dell’encomienda e l’espansionismo degli europei, viaggiò nelle terre americane e attraversò molte volte l’oceano per portare in Spagna le sue proteste. Nei suoi testi, Las Casas offre una puntuale descrizione delle qualità fisiche, morali e intellettuali degli indios, finalizzata alla difesa dell’umanità degli abitanti del Nuovo Mondo, contro la tesi della loro irrazionalità e bestialità avanzata da altri suoi contemporanei, soprattutto di cultura umanista[27]. Condannò la violenza e l’imposizione, ma non la proposta, del cristianesimo. Anzi, proprio dal cristianesimo Las Casas trasse quella spinta universalistica e quell’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini che ne animano l’opera e che lo spingeranno a denunciare anche le violenze dei portoghesi in terra d’Africa[28]. Il religioso riuscì ad influenzare l’imperatore Carlo V, il quale -lo abbiamo già detto- promulgò le Leyes Nuevas (1542): divieto di schiavizzare gli indiani e abolire l’encomienda, buon trattamento degli indiani, divieto di lavorare senza la propria volontà e senza il risarcimento dovuto ecc. Quando poi sostanziosi numeri di schiavi africani vennero introdotti nelle regioni spagnole del Nuovo Mondo -ha spiegato lo storico Anthony Gill dell’Università di Washington-, vescovi locali riuscirono a far accettare alla corte spagnola il Còdigo Negro Espanol (Codice Nero Spagnolo, o anche The Black Code), che mitigò in gran parte le effettive condizioni di schiavitù[29]. Entrambe queste azioni crearono comunque forti conflitti tra autorità civili e religiose. I successori di Las Casas, nominati “Protettori degli Indios”, furono: il frate domenicano Julián Garcés (1452-1542), il vescovo Francisco Marroquín (1499-1563), Hernando de Luque (1483-1532) ecc[30]. L’opposizione della Chiesa e dei suoi vescovi riuscì a porre fine all’impudente schiavitù dei nativi, anche se sopravvissero molte pratiche di sfruttamento.
Gregorio XIVI. In un decreto datato 18 aprile 1591, papa Gregorio XIV (1535-1591) ordinò che i nativi delle Filippine, costretti in schiavitù dagli europei, fossero lasciati liberi e, sotto pena di scomunica, comandò che si interrompesse la tratta degli schiavi[31].
Ordine della Santissima Trinità. Nel 1599, papa Clemente VIII (1536-1605) approvò la Congregazione dei fratelli riformati e scalzi dell’Ordine della Santissima Trinità, istituita per osservare la Regola di San Giovanni di Matha in tutto il suo rigore. Giovanni di Matha (1150-1213) fondò infatti nel XII° secolo un nuovo progetto di vita religiosa nella Chiesa, concentrandosi sull’opera di liberazione dalla schiavitù, in particolare il riscatto dei cristiani caduti prigionieri dei mori (il nome per intero è Ordine della Santissima Trinità e redenzione degli schiavi). L’ordine esiste ancora oggi e da quando è stato fondato ha riscattato circa 900.000 schiavi. I trinitari nel XVI e XVII secolo riuscirono anche a costruire degli ospedali per gli schiavi a Tunisi e ad Algeri[32].
Battaglia di Mbororè: Gesuiti e Nativi contro i colonialisti europei. Dopo la fondazione del Collegio di San Paolo di Piratininga nell’attuale Brasile (1554), che originò il nucleo attorno al quale sarebbe sorta la città di San Paolo, arrivarono dall’Europa avventurieri, disertori e naufraghi per sfruttare a fondo il nuovo territorio. Il bisogno di manodopera a basso costo crebbe notevolmente e i coloni cominciarono ad organizzare delle bandeiras, cioè vere e proprie spedizioni per catturare schiavi indigeni. Si spinsero fino nell’attuale Paraguay, proprio mentre i padri Gesuiti iniziavano la loro opera di evangelizzazione degli indios guaraní. Lo scopo delle missioni, chiamate “riduzioni”, era quello di creare una società con i benefici e le caratteristiche della società cristiana europea, però priva dei vizi e degli aspetti negativi. In meno di tre generazioni gli indigeni delle “Riduzioni” si svilupparono enormemente (come abbiamo già detto all’inizio). I nativi erano liberi da ogni servitù, vennero create chiese, case per le vedove e gli orfani e scuole. Il governo civile era gestito dagli indigeni stessi, mentre l’amministrazione della giustizia restava a carico dei gesuiti. I reati erano rari e di conseguenza le pene minime. Non si ricorreva quasi mai alla prigionia o a condanne all’esilio, ritenuta la somma disgrazia. Ogni famiglia riceveva un terreno, ereditario, che forniva il sostegno principale, le altre aree erano “proprietà di Dio” i cui frutti spettavano alla comunità. Nei villaggi i missionari introdussero nuove tecniche di agricoltura e di allevamento del bestiame, insegnarono elementi di architettura, scultura, pittura, incisione, poesia, musica, teatro, oratoria e scienze. L’educazione laica e religiosa era considerata indispensabile. I Gesuiti migliorarono la lingua guaranì creando una scrittura con caratteri latini e produssero opere letterarie. Una buona parte degli indigeni fu alfabetizzata in guaranì, castellano e latino. Vennero stampati calendari, tavole astronomiche e spartiti[33].
Tra il 1628 e il 1631 i capi bandeirantes ordinarono diverse incursioni nelle missioni del Guayrá catturando migliaia di schiavi (vennero uccisi o schiavizzati almeno 60.000 indios battezzati). Le incursioni lasciarono una scia di esodi di intere città, migliaia di morti, famiglie distrutte, orfani, vedove e carestie e per i padri gesuiti e i principali cacique (capi tribù dei nativi) non poteva esistere altra soluzione che quella di organizzare una resistenza armata[34]. Nel 1638 i padri Antonio Ruiz de Montoya e Francisco Díaz Taño partirono per la Spagna con l’obbiettivo di informare re Filippo IV dei drammatici eventi accaduti nelle missioni. Il sovrano rispose inviando una Cedola Reale (21 maggio 1640) con la quale permise ai guaraní di usare armi da fuoco per la propria difesa. I Gesuiti fornirono anche istruzione militare agli indigeni, grazie a religiosi ex militari (Juan Cárdenas, Antonio Bernal e Domingo Torres), formando così un vero e proprio esercito “missionario” di 4.000 elementi armati ed addestrati. Le truppe guaraní attaccarono i bandeirantes a Caazapaguazú, facendoli fuggire precipitosamente[35]. Intanto padre Francisco Díaz Taño, reduce dalle sue ambasciate a Madrid e a Roma, tornò con la bolla pontificia Commissum Nobis (1639) di Urbano VIII, che condannava duramente le bandeiras e il traffico di indigeni (ne parleremo sotto). Ciò comportò la reazione della Camera Municipale di San Paolo, che espulse tutti i gesuiti della città ed organizzò un’ulteriore spedizione contro gli Indios. I missionari crearono un esercito ancora più numeroso, attrezzato ed organizzato. Le forze bandeirantes attaccarono l’11 marzo 1641, nella cosiddetta battaglia di Mbororé, ma si trovarono di fronte un esercito enorme. Si ritirarono definitivamente e la vittoria consolidò le riduzioni gesuite e frenò l’avanzata colonialista portoghese[36].
Urbano VIII. Nel 1639, come abbiamo già detto, papa Urbano VIII (1568-1644), su richiesta dei gesuiti del Paraguay, emise la bolla Commissum Nobis (1639), riaffermando la scomunica che Paolo III aveva imposto a coloro che erano coinvolti nella tratta degli schiavi e proibendo di «di ridurre in schiavitù gl’Indiani occidentali o meridionali; venderli, comprarli, scambiarli o donarli: separarli dalle mogli e dai figli; spogliarli dei loro beni; trasportarli da un luogo ad un altro; privarli in qualsiasi modo della loro libertà; tenerli in schiavitù; favorire coloro che compiono le cose suddette con il consiglio, l’aiuto e l’opera prestati sotto qualsiasi pretesto e nome, o anche affermare e predicare che tutto questo è lecito, o cooperare in qualsiasi altro modo a quanto premesso»[37]. La bolla suscitò nei governanti e negli schiavisti una tale reazione da spingere all’espulsione dei Gesuiti dal Paese. Nel Nuovo Mondo, i vescovi locali tutti designati dal re di Spagna (come si è detto all’inizio) non appoggiavano la posizione di Roma ed inoltre era diventato illegale pubblicare bolle antischiaviste, come qualsiasi altra dichiarazione papale, senza il consenso del re (che non arrivò mai). Quando i gesuiti lessero illegalmente in pubblico la bolla di Urbano VIII, a Rio de Janeiro si scatenò una rivolta che provocò il saccheggio del loro collegio locale e il ferimento di diversi sacerdoti. A Santos, la folla travolse il vicario generale gesuita quando tentò di pubblicare la bolla. Nel 1767 i gesuiti vennero brutalmente espulsi dal Nuovo Mondo per aver continuato a opporsi alla schiavitù e aver dato vita, con successo, a comunità di nativi notevolmente avanzate[38].
Benedetto XIV. Nel 1741, papa Benedetto XIV (1675-1758) emanò la bolla Immensa Pastorum, contro l’asservimento dei popoli indigeni delle Americhe e di altri paesi[39].
Gregorio XVI. Nel 1839, papa Gregorio XVI (1765-1846) emanò la bolla In Supremo Apostolatus, ricollegandosi ai suoi predecessori nella condanna verso la schiavitù e la tratta degli schiavi. Affermò che sia gli Indiani sia i Negri erano creature umane, e che presso Dio non esiste discriminazione: «Con la Nostra Apostolica autorità ammoniamo e scongiuriamo energicamente nel Signore tutti i fedeli cristiani di ogni condizione a che nessuno, d’ora innanzi, ardisca usar violenza o spogliare dei suoi beni o ridurre chicchessia in schiavitù, o prestare aiuto o favore a coloro che commettono tali delitti o vogliono esercitare quell’indegno commercio con il quale i Negri vengono ridotti in schiavitù, quasi non fossero esseri umani, ma puri e semplici animali, senza alcuna distinzione, contro tutti i diritti di giustizia e di umanità, destinandoli talora a lavori durissimi. Noi, ritenendo indegne del nome cristiano queste atrocità, le condanniamo con la Nostra Apostolica autorità: proibiamo e vietiamo con la stessa autorità a qualsiasi ecclesiastico o laico di difendere come lecita la tratta dei Negri, per qualsiasi scopo o pretesto camuffato, e di presumere d’insegnare altrimenti in qualsiasi modo, pubblicamente o privatamente, contro ciò che con questa Nostra lettera apostolica abbiamo dichiarato»[40].
Charles Lavigerie e Leone XII. Nel 1888 il cardinale Charles Lavigerie (1825-1892) fondò a Bruxelles, con l’appoggio di papa Leone XII, l’associazione Anti-Slavery Society per fornire un sostegno economico agli antischiavisti e in particolare finanziare quattro spedizioni militari per combattere i commercianti di schiavi arabi che operavano nel territorio orientale del Congo[41]. Sempre nel 1988, Papa Leone XII (1760-1829) scrisse inoltre a tutti i vescovi del Brasile affinché eliminassero completamente la schiavitù dal loro paese.
Giovanni XXIII. Una
chiara e definitiva posizione contro il neocolonialismo venne infine offerta
anche da Giovanni XXIII (1881-1963) attraverso l’enciclica Mater et
Magistra (1961), diventata poi un pilastro della Dottrina sociale della
Chiesa cattolica.
5. ILLUMINISTI E ANTICLERICALI UNICI
FAVOREVOLI AL COLONIALISMO E ALLA SCHIAVITU’
Mentre la Chiesa era così impegnata contro il neocolonialismo e la schiavitù,
dal 1600 in poi il popolo illuminista, ateo e anticlericale (qui vedremo
l’opinione di alcuni principali esponenti) si distinse particolarmente nella
promozione della cultura razzista. Ovviamente trovarono linfa vitale
nella strumentalizzazione riduzionista e anti-cristiana del pensiero darwinista
(darwinismo sociale), creando la gerarchia delle «razze» (razzismo,
eugenetica, nazionalsocialismo, antisemitismo) e delle «classi» (marxismo,
comunismo). Alcuni di questi argomenti sono stati affrontati più
approfonditamente in: “Razzismo ed eugenetica nascono nell’ateismo
materialista“.Voltaire. Il paladino della “tolleranza” Voltaire (1694-1778), profondo anticlericale e illuminista, ebbe a scrivere: «Sbarco nel paese della Cafraria, e comincio a ricercare un uomo. Vedo macachi, elefanti e neri. Tutti sembrano avere un baleno di una ragione imperfetta. Tutti hanno un linguaggio che non capisco e tutte le loro azioni sembrano ugualmente essere relazionate con qualche causa. Se dovessi giudicare le cose per il primo effetto che mi causano, crederei, inizialmente, che tra tutti questi enti l’elefante è l’animale ragionevole. Però, per non scegliere futilmente, prendo i piccoli di queste vari bestie. Esamino un piccolo di nero di sei mesi, un piccolo di elefante, un macachetto, un leonetto, un canetto. Vedo, senza dubbio, che questi giovani animali hanno incomparabilmente più forza e destrezza, più idee, più passioni, più memoria del negretto ed esprimono molto più sensibilmente tutti i loro desideri che quell’altro. Però, dopo un tempo, il negretto ha tante idee quante tutti loro. Mi dò questa definizione: l’uomo nero è un animale che ha lana sulla testa, cammina su due zampe, è quasi tanto pratico quanto una scimmia, è meno forte che gli altri animali della sua taglia, possiede un poco più di idee ed è dotato di maggior facilità di espressione. [...] Vado alle regioni marittime dell”India Orientale. Adesso sono uomini d’un bel tono giallastro, non hanno lana, ma hanno la testa coperta da grande criniere nere. [...] Incontro una specie ancora più singolare che tutte queste. È un uomo vestito bene con un lungo abito nero, che si dice fatto per istruire agli altri [un prete, N.d.A.] Tutti questi uomini che vedi, mi dice lui, sono nati da uno stesso padre. E, allora, mi racconta una lunga storia. Però, quello che questo animale dice mi pare molto sospetto. Mi informo se un nero e una nera, di lana nera e naso piatto, gerano qualche volte bambini bianchi, di capelli biondi, naso adunco ed occhi blu. Mi hanno risposto di no, che i neri trapiantati, per esempio, alla Germania sono rimasti a generare neri»[42].
David Hume e John Locke. Il filosofo illuminista, precursore dell’ateismo scientista, David Hume (1711-1776), scriveva nel 1754: «Non è mai esistita una nazione civilizzata che non fosse bianca: sono portato a sospettare che i negri, e in generale tutte le altre specie umane, siano per natura inferiori ai bianchi». Decise poi di investire i suoi risparmi, come l’ateo John Locke (1632-1704), nel commercio degli schiavi[43].
Arthur de Gobineau e Napoleone. L’illuminista Arthur de Gobineau (1816–1882) è l’autore del «Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane» (1853-1855), nel quale interpreta la storia umana affermando che la purezza della razza determina la capacità di sopravvivenza e di dominio sulle popolazioni inferiori. Concetto poi ripreso dall’ideologo del nazismo Rosemberg e dagli assertori dell’eugenetica. E mentre i re cristiani del Medioevo riuscirono ad eliminare la schiavitù, fu Napoleone Bonaparte (1769-1821), ateo, anticlericale e materialista, a ristabilirla nelle colonie francesi (1802)[44].
Karl Marx. L’ateo materialista Karl Marx (1818-1883) aveva anch’egli le idee chiare sulla schiavitù: «La libertà e la schiavitù costituiscono un’antagonismo. Mi riferisco alla schiavitù diretta, alla schiavitù dei neri in Suriname, in Brasile, nelle regione del Sud dell’Ameria del Nord. La schiavitù diretta è il pivot sopra il quale il nostro industrialismo quotidiano fa girare il macchinaio, il credito, ecc. Senza la schiavitù non ci sarebbe nessuno cotone, senza cotone non ci sarebbe nessuna industria moderna. È la schiavitù che dà valore alle colonie, furono le colonie ad aver creato il commercio mondiale, e il commercio mondiale è la condizione necessaria per l’industria di macchina in grande scala. Senza schiavitù, l’America del Nord, la nazione più progressista, si sarebbe trasformata in un paese patriarcale. Abolire la schiavitù sarebbe spazzare l’America del Nord fuori dalla carta»[45].
Friederich Nietzsche, Il capostipite dell’ateismo moderno, Friedrich Nietzsche (1844-1900) non esitava a rivendicare la permanente validità dell’istituto della schiavitù quale fondamento della civiltà. I suoi testi contengono riferimenti sprezzanti a Beecher-Stowe, l’autrice della “Capanna dello zio Tom”, il celebre romanzo abolizionista che tanto eco suscitò in Europa e nella stessa Germania. In “Umano troppo umano” (1878) il filosofo scrisse: «Tutti desiderano l’abolizione della schiavitù, eppure bisogna ammettere che gli schiavi sotto ogni riguardo vivono più sicuri e più felici del moderno operaio e il lavoro degli schiavi è ben poca cosa rispetto a quello dell’operaio». Nietzsche risentì molto chiaramente dell’influenza della nuova “scienza”, l’eugenetica, inventata in Inghilterra dall’antropologo ateo Francis Galton, cugino di Darwin. Così scrisse: «La vita stessa non riconosce nessuna solidarietà, nessuna “uguaglianza di diritti” fra le parti sane di un organismo e quelle degenerate: queste ultime devono essere amputate. Avere compassione dei decadentés, concedere uguaglianza di diritti anche ai falliti, sarebbe la più profonda immoralità, sarebbe l’antinatura posta come morale»[46].
6. CONCLUSIONE
Abbiamo contribuito a dimostrare che i paladini nella difesa dei colonizzati
furono quasi esclusivamente uomini di Chiesa, religiosi e veri cristiani, al
contrario di quel che sostengono i teorici della cospirazione. Le accuse
comunque hanno una base di verità, poiché è vero che i sovrani, spagnoli,
inglesi, portoghesi ecc.., usurparono fortemente il potere religioso per
sottometterlo al potere politico, incoraggiando lo schiavismo e la
colonizzazione, anche tramite interpretazioni personalistiche e forzate
dell’Antico Testamento (in particolare rispetto alle teorie secondo cui gli
indigeni non avevano l’anima, passaggi comunque che non andrebbero mai
interpretati letteralmente). Per amore alla verità occorre anche dire che nel
corso dei secoli purtroppo le turpitudini coloniali furono perpetrate anche da
alcuni uomini di Chiesa, che assumeranno sempre (distaccandosi dalla stessa
istituzione che avrebbero dovuto rappresentare) atteggiamenti e posizioni
opposti ai pronunciamenti solenni dei Pontefici e dei numerosi religiosi che
abbiamo elencato. Inoltre, questo sarà fatto in netta contrapposizione
all’insegnamento del Vangelo («Non c’é più giudeo né greco, non c’é più
schiavo né libero, non c’é più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in
Cristo Gesù» (Gal, 3, 28) e dell’autorità ecclesiale. Il cardinal
Ratzinger scrisse correttamente: «Tutti i peccati dei cristiani
nella storia non derivano dalla loro fede nel Cielo, ma dal fatto che non
credono abbastanza nel Cielo».——————–
Note
1^ E. Genovese, “Roll, Jordan, Roll: The World the Slaves Made”, 1974, pag. 179
2^ Wikipedia/Colonialismo/NelCattolicesimo
3^ Koschorke, A History of Christianity in Asia, Africa, and Latin America 2007, pag. 31–32; McManners, Oxford Illustrated History of Christianity 1990, pag 318
4^ Wikipedia/RiduzioniGesuite/Sviluppo
5^ Samora, A History of the Mexican-American People, 1993, pag. 20
6^ Wikipedia/RomanCatholicChurchAndColonialism, Wikipedia/SpanishMissionInBajaCalifornia
7^ R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pag. 296-298; O. Chadwick, The reformation, Penguin 1972, pag. 26
8^ Wikipedia/Bathilde/Règence
9^ Wikipedia/Ansgar/Leben
10^ Wikipedia/SchiavismoNelMedioevo
11^ Wikipedia/OrdineDiSantaMariaDellaMercede
12^ R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau 2006, pag. 299,300, Wikipedia/SicutDudum e Wikipedia/PapaEugenioIV/Biografia
13^ J.M.d. Serna, The Historical encyclopedia of world slavery, pag. 153 e Wikipedia/PioII/Papa
14^ H. Lewis, The Hispanic American Historical Review, 1946, pag 142; Warner Carl, “All Mankind Is One”: The Libertarian Tradition In Sixteenth Century Spain, The Journal of Libertarian Studies 1987, pag. 295, Wikipedia/CatholicChurchAndTheAgeOfDiscovery e Wikipedia/PedroDeCordoba
15^ B.D. Las Casas, Historia de las Indias, en Obras Completas e Wikipedia/AntonioDeMontesinos/PrimeroSermon
16^ W. Carl, “All Mankind Is One”: The Libertarian Tradition In Sixteenth Century Spain, The Journal of Libertarian Studies 1987, pag. 299; Wikipedia/AntonioDeMontesinos/SeguendoSermones e Wikipedia/AntonioDeMontesinos/Life
17^ Wikipedia/AntonioDeMontesinos/DefensaDelIndio
18^ Wikipedia/SacrificiUmaniNellaCulturaAzteca e alcune immagini del film “Apocalipto” di Mel Gibson
19^ Wikipedia/AntonioDeMontesinos/Biografia e Wikipedia/AntonioDeMontesinos/Life
20^ Papa Paolo II, Sublimis Deus, 1537; Panzer, The popes and slavery, Alba House 1997, pag. 8
21^ J. F. Maxwell, “Slavery and the Catholic Church,The history of Catholic teaching concerning the moral legitimacy of the institution of slavery”, Chichester Barry-Rose 1975, pag. 68-70
22^ P. Thornberry, “Indigenous peoples and human rights”, Manchester University Press 2002, pag. 65
23^ T. Woods, Come la Chiesa cattolica costruito la civiltà occidentale, Regenery 2005, pag. 5-6; Wikipedia/FranciscoDeVitoria e Wikipedia/CatholicChurchAndTheAgeOfDiscovery
24^ Johannes Thumfart, Die Begründung der globalpolitischen Philosophie. Zu Francisco de Vitorias “relectio de indis recenter inventis”, Von 1539 2009, pag. 256 e Wikipedia/FranciscoDeVitoria
25^ Wikipedia/BartolomèDeLaCasas e Wikipedia/NewLaws/Origins
26^ M. Beuchot, Los fundamentos de los derechos humanos en Bartolomé de las Casas, Anthropos Editoria 1994 e Wikipedia/BartolomèDeLaCasas
27^ B.D. Las Casas, Brevissima relazione della distruzione delle Indie, Mondadori, 1997 e Wikipedia/BartolomeoDeLasCasas/Biografia
28^ Wikipedia/BartolomeoDeLasCasas/Opere
29^ A. Gill, Rendering unto Caesar: the catholic church and the state in Latin America, University of Chicago Press 1998, pag. 22 e R. Stark, For the glory of God: how monothesim led to reformations, science, witch-hunts, and the end of slavery, Princeton University Press 2003, cap.1
30^ Wikipedia/ProtectoríaDeIndios
31^ Wikipedia/PopoGregoryXIV/Papacy
32^ Wikipedia/OrdineDellaSantissimaTrinità
33^ Wikipedia/RiduzioniGesuite
34^ Wikipedia/BattagliaDiMbororè/PrimiAttacchiAlleMissioniGesuite
35^ Wikipedia/BattagliaDiMbororè/LoScontroDiApóstolesDeCaazapaguazú
36^ Wikipedia/BattagliaDiMbororè/Conseguenze
37^ Wikipedia/CommissumNobis
38^ R. Stark, For the glory of God: how monothesim led to reformations, science, witch-hunts, and the end of slavery, Princeton University Press 2003, cap.1
39^ Wikipedia/PopeBenedictXIV/Life
40^ Wikipedia/InSupremoApostolatus
41^ Wikipedia/SociétéAntiesclavagisteBelge
42^ Voltaire, Trattato di Metafisica, 1978, pag. 62-63
43^ Wikipedia/Schiavismo/Abolizionismo
44^ Wikipedia/Abolizionismo/Francia e Wikipedia/NapoleoneBonaparte/GuerraInEuropaEAscesaAll’Impero
45^ Lettera di Karl Marx a Pavel Vasilyevich Annenkov, Parigi 28 dicembre 1846, citata in Marx Engels Collected Works, International Publishers (1975), vol. 38, pag. 95
46^ F. Nietzsche, La volontà di potenza, af. 734
Fonte: