martedì 30 aprile 2013

Camicie rosse, ammiragli, massoni e affaristi: la partenza dell’ “avventura” dei Mille

 
 
 
FARE CONTROSTORIA PER FARE CONTROPOLITICA
 
Vorremmo parlare di un funesto 5 maggio: il 5 maggio del 1860 allo scoglio di Quarto, sempre che l’ormai onnipresente Napolitano (una sorta di Felice Tecoppa del XXI secolo) ci consenta di “dir male” di Garibaldi.
Dopo le delusioni amorose del “matrimonio” con la contessina Raimondi, un affranto Garibaldi si gettò con il suo solito burbero ma generoso attivismo in un frenetico impegno politico. Allettato dalle offerte di Cavour e Vittorio Emanuele, che facevano a gara nel mostrarsi più amici del generale, Garibaldi pensava di poter dare libera attuazione ai propri progetti tramite le associazioni di cui era stato fatto nominalmente presidente: la Società Nazionale, la Nazione armata e il progetto Fondo per un milione di fucili. In realtà queste associazioni non rispondevano assolutamente a Garibaldi, bensì a Cavour o a qualche suo “fratello” manutengolo. Garibaldi nel frattempo era sempre più incalzato dai patrioti siciliani guidati da Crispi, che all’inizio di aprile erano insorti in varie zone della Sicilia. La sua avventura da deputato invece finì ben presto: eletto nelle consultazioni del 25 e 27 marzo, neanche un mese dopo si dimise, in aperta rottura con Cavour che aveva dovuto regalare Nizza alla Francia in seguito al trattato di Villafranca. A Nizza infatti il solito plebiscito truccato (anche se sembra che i nizzardi fossero ben poco soddisfatti del governo sabaudo che nel XIX secolo le aveva volto le spalle per guardare a Genova) consentì il passaggio della città sabauda a Napoleone III, nonostante Garibaldi avesse provato a forzare la situazione con un maldestro tentativo d’insurrezione. Sarebbe arduo comunque cercare di delineare in poche righe i convulsi preparativi della spedizione in Sicilia, basta sottolineare come Garibaldi rimanesse interdetto e irresoluto in mezzo alle sollecitazioni degli uni e alle brusche frenate degli altri: se i mazziniani lo accusarono di codardia per non aver ancora prestato appoggio agli insorti siciliani, il re fece in modo di rimandare il più possibile la partenza. Lo stesso Rodomonte nizzardo, non ben addotto in tutti i particolari, comunque temeva che l’esito della spedizione si rivelasse alla prova dei fatti fallimentare (come già era successo ai Bandiera e a Pisacane) e, da abile manager della sua immagine, tentennava e fu addirittura tentato di tornarsene nell’eremo di Caprera. A spronare definitivamente il nizzardo fu però la minaccia di Cavour di sostituirlo con un altro avventuriero della sua terra: Ignazio Ribotti. Cavour aveva ormai predisposto la macchina e pertanto l’ “impresa” si sarebbe fatta con o senza Garibaldi. Pungolato sull’orgoglio, il generale risvegliò la sua tempra e attorniato dai fidi collaboratori chiamò a raccolta le sue schiere di volontari per dare avvio alla missione.
La spedizione era in realtà più che altro una passeggiata e di questo solo Garibaldi e i suoi volontari non ne erano consapevoli, meritando pertanto un certo umano apprezzamento per il coraggio dimostrato, mentre anche i suoi più stretti collaboratori (Bertani, Bixio, Medici), di appartenenza massonica, conoscevano molti retroscena degli eventi. Innanzitutto è da segnalare come la spedizione di Garibaldi e Bixio, volutamente resa avventurosa da una serie di montaggi scenografici volti a darle una patina da romanzo salgariano, fosse in realtà ben protetta dalla flotta britannica dal contrammiraglio Roger Mundy, vicecomandante della Mediterranean Fleet, che da tempo pattugliava le acque del Tirreno e del Canale di Sicilia, probabilmente alla ricerca di un casus belli da poter sventolare al momento adatto contro il regno duosiciliano. Allo stesso modo Vittorio Emanuele e Cavour avevano disposto che la spedizione fosse accompagnata, per tutelare gli interessi della corona sabauda, dalle navi della flotta sarda al comando di un raccomandato dal D’Azeglio, l’ammiraglio Carlo Pellion di Persano che qualche anno più tardi si sarebbe meritato il titolo di “uomo di legno” per la disastrosa sconfitta di Lissa. Persano aveva il compito d’impedire che Garibaldi esagerasse e indirizzasse i suoi uomini verso fini estranei agli interessi governativi, fornendo nel frattempo un indispensabile sostegno economico e logistico alla spedizione, seguita passo passo via mare.
Un aspetto che ci permette però d’intravedere il ruolo giocato dalla massoneria nella “passeggiata” dei Mille è comunque quello dei finanziamenti. II soldi che servirono per organizzazione della spedizione, armamento e approvvigionamento delle truppe, ma soprattutto per la corruzione in massa degli ufficiali dell’esercito borbonico vennero rispettivamente messi a disposizione dai seguenti finanziatori:
- 2.000.000 di franchi oro raccolti dal massone Cavour e affidati alla Società Nazionale;
- 3.000.000 di franchi francesi raccolti dalle logge di rito scozzese della massoneria in Inghilterra, nel Canada e negli Stati Uniti;
- 90.000 lire provenienti dal fondo del milione di fucili, raccolti in Piemonte, Lombardia e Veneto da privati ma soprattutto da comuni, che applicarono con il benestare del governo una tassa sui fondi rustici;
- 25.000 lire di provenienza ignota;
Probabilmente i fondi ufficiali impiegati furono ancora maggiori dato che nel 1864 il ministro delle Finanze Quintino Sella avrebbe registrato nel bilancio del Regno d’Italia un’uscita di 7.900.000 sotto la voce “spese per la spedizione di Garibaldi”.
Un altro aspetto che mette in luce la preparazione “massonica” dell’avventura dei Mille è legato alla vicenda delle due navi sulle quali i garibaldini compirono la traversata del Tirreno. I due navigli, che ebbero il significativo nome di Lombardo e Piemonte, provenivano dalla flotta dell’armatore genovese Raffaele Rubattino. Tanto per chiarire i termini della questione Rubattino era massone e il direttore generale della sua società di navigazione, Giovanni Battista Fauché, era altrettanto massone e in buoni rapporti con Giuseppe Garibaldi. Rubattino non era d’altronde del tutto estraneo al movimento risorgimentale dato che di sua proprietà era anche la nave Cagliari, che nel 1857 era stata rubata sulla rotta Genova-Tunisi da Carlo Pisacane per il tentativo di sbarco a Sapri, dove avrebbe voluto far insorgere i contadini campani contro i Borboni. In realtà però il furto era stato simulato e Rubattino era stato regolarmente remunerato per il servizio prestato (e l’annessa sceneggiata) e, dopo il fallimento della spedizione, riuscì ad ottenere indietro la sua proprietà dal governo borbonico grazie a pressioni diplomatiche inglesi, in quanto i due macchinisti erano cittadini britannici. L’accordo per il nuovo “furto” da compiere da parte di Garibaldi venne sancito a Modena, dove Vittorio Emanuele e Cavour si accollarono di fronte al Rubattino le spese per il nolo di due navigli adatti per il trasporto dei Mille. Il 4 maggio Garibaldi e Rubattino, in presenza di commissari regi, firmarono presso il notaio il contratto delle due barche, con la condizione del finto furto (che come tale ci viene raccontato anche da Giulio Cesare Abba). Rubattino, certamente convinto massone, era però con ancor più convinzione uomo d’affari: in cambio delle due sgangherate navi (una delle quali in partenza dovette addirittura essere rimorchiata) riuscì ad ottenere, oltre al regolare nolo, anche l’esclusiva per il servizio a vapore verso la Sardegna nel futuro Regno d’Italia e altre concessioni. Negli anni successivi non si sarebbe accontentato degli ampi guadagni già avuti in cambio della sua “militanza patriottica”, anzi avrebbe avuto a più riprese modo di lamentarsi con Bixio di non essere stato ripagato degli sforzi fatti. In realtà già nell’ottobre del 1860 a Rubattino era stato accordato dal Cavour un sostanzioso rimborso per le tre navi “risorgimentali” e negli anni successivi gli vennero fatte ulteriori concessioni che l’imprenditore genovese seppe sfruttare investendo nel commercio col Medio Oriente. Un altro importante evento storico italiano ebbe a che fare con il Rubattino: nel 1869 arrivò ad acquistare la baia di Assab in Eritrea che qualche anno più tardi sarebbe stata ceduta alla monarchia sabauda, in vena di espansione coloniale. A onor del vero vi è da dire che Rubattino seppe comunque dimostrare gratitudine per i suoi benefattori, Garibaldi per primo: a questi venne concesso quasi sempre di viaggiare gratuitamente nei suoi frequenti spostamenti e verso il termine della sua vita il nizzardo riuscì a far assumere nell’azienda del Rubattino, divenuta Società Generale di Navigazione Italiana, il genero Stefano Canzio.
 
a cura dell’ufficio politico Fronte Indipendentista Lombardia
8 maggio 2010