Vaticanisti, opinionisti, aruspici intenti a
dedurre dai segni materiali o dai primi gesti di papa Francesco la sua “linea”
di pontificato, hanno in buona parte trascurato il portato storico della
Chiesa dell’America latina, le sue radici profonde, il suo
operante Dna.
Francescani e domenicani operarono subito non a
fianco dei “conquistadores”, ma a fianco degli “indios” contro
i “conquistadores”. Mentre le missioni francescane, stanziate nell’attuale
Messico, con la cultura della povertà evangelica sviluppavano l’immagine della
nuova Chiesa primitiva dove i fedeli del Nuovo Mondo potevano attendere la
Parusia (il ritorno del Cristo sulla terra), i domenicani battagliavano
dommaticamente in difesa dei diritti degli “indios” ridotti in
schiavitù dai “conquistadores”.
Immediate le denunce di Antonio de
Montesinos, Pietro de Cordoba, e dell’apostolo degli
“indios”, Bartolomé de La Casas, vescovo del Chiapas (1544),
che tornò dal Sud America per incontrare nel 1542, l’imperatore Carlo V e
ottenerne le Leyes Novas contro ogni forma di
schiavitù dei colonizzati. Dieci anni dopo Las Casa sarebbe tornato
ancora per difendere a Valladolid, contro i dotti della corte imperiale, la
dignità personale e i diritti fondamentali di ogni individuo
indipendentemente dalla sua adesione alla fede cristiana e
negando la liceità dell’uso della forza per la propagazione della fede
cristiana.
I gesuiti furono autorizzati dal competente
Consiglio imperiale delle Indie ad avviare la loro attività missionaria più
tardi: a Lima nel 1568, a Città del Messico nel ’72…, dopo che la struttura
diocesana della Chiesa d’America era stata completata. Ma la Compagnia vi
sviluppò nel tempo un sistema d’organizzazione che impaurì
l’ipocrita Europa illuminista che gridò alla scandalo, che fece finire nel
sangue (dei poveri “indios”) la vita in comune dello “Stato del Paraguay”. A
partire dal primo ’600, nella provincia gesuita del Paraguay (molto più estesa
dell’odierno Stato) erano state progressivamente organizzate
“riduzioni” (raggruppamenti territoriali di popolazioni
indigene presso “case” gesuite) che 150 anni dopo raccoglievano circa
100.000 indigeni ormai stanziali in un’organizzazione
politico-sociale “comunista”: vita in comune, istruzione comune, produzione in
comune dei beni poi ripartiti secondo i bisogni, amministrazione affidata a
“corregidores” indigeni elettivi…
Un modello straordinario di vita,
osteggiato dalla cultura illuminista europea, antireligiosa,
antigesuitica, dedita all’astrattezza del pensiero e al disprezzo del popolo.
Una cultura che (a seguito di definizioni territoriali tra Spagna e Portogallo
che assegnarono il territorio paraguayano alla sovranità portoghese) portò prima
alla chiusura di quel modello d’organizzazione, poi alla soppressione, nel 1773, della Compagnia di Gesù.
Una vittoria completa della cultura europea illuminista, elitaria, cortigiana.
Ecco, quei francescani, quei domenicani, quei gesuiti… in America latina
stavano, “dall’altra parte”; non solo geograficamente. Fermi
nel guardare in faccia i poteri regi, i politici di corte (vecchi e nuovi),
affrontarli sul piano etico-morale e giuridico, accusarli, chiederne leggi
giuste; sempre dalla parte degli “indios” (vecchi e nuovi).
Per un ulteriore approfondimento consultare
questo dossier (http://associazione-legittimista-italica.blogspot.it/2013/04/chiesa-e-colonialismo.html.)
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