Papa Benedetto XV
Nonostante la “Leggenda del Piave” celebri l’entrata in guerra in relazione alla necessità di “far contro il nemico una barriera”, la verità dei fatti riguardo le vicende del maggio 1915 è ben diversa. L’entrata in guerra dell’ Italia sabaudizzata fu compiuta attraverso la palese violazione di accordi in politica estera e attraverso il disprezzo per la pubblicità delle decisioni governative e la sovranità del popolo. Con una spregiudicatezza utilitarista da far ombra ai totalitarismi novecenteschi, il governo Salandra prima si rifiutò di entrare in guerra con Austria e Prussia, adducendo alcuni pretesti che non cambiano la sostanza della questione, e poi intavolò segretamente accordi coll’ Inghilterra attraverso il tramite privilegiato del ministro degli esteri Giorgio Sidney Sonnino, che con molti diplomatici inglesi condivideva l’odio anticattolico protestante e massonico. Sonnino è l’esempio più fulgido dell’ indirizzo politico liberal-conservatore italiano, ostile all’allargamento del suffragio, che avrebbe spalancato le porte del Parlamento alla rappresentanza cattolica e socialista, incrinando così le posizioni di dominio della finanza e
dell’economia delle élites massoniche che fino ad allora avevano governato il paese. L’intervento in guerra era d’altronde visto con favore solo da una percentuale della popolazione assolutamente minoritaria: industriali riuniti attorno al “Corriere della Sera” di Luigi Albertini, massoni, indebitati poeti cicalanti e dalla posa estetizzante come D’Annunzio, vani esaltati come Marinetti e i futuristi, cattolici “aperturisti” e antesignani di futuri tradimenti come Filippo Meda, ecc. La maggioranza era sì neutrale ma ebbe il demerito di essere assolutamente silenziosa di fronte a ciò che stava
avvenendo. La partecipazione al conflitto fu comunque decisa coi segretissimi “Patti di Londra” del 26 aprile 1915 negoziati da Sonnino, accettati passivamente da Salandra e approvati con un decisivo telegramma dal re. I tre depositari del segreto avrebbero dovuto nel mese seguente ottenere l’approvazione per l’imprudente passo compiuto contro la maggioranza della Camera, indirizzata verso un accordo coll’Austria, che in quel momento sarebbe stata disposta a cedere a tutte le richieste “irredentiste”. Oramai per il re, impegnatosi direttamente con gli altri sovrani dell’Intesa, era però una questione di prestigio tanto che si vide costretto, con una sorta di colpo di stato contro la maggioranza neutralista del Parlamento, a respingere le dimissioni di Salandra e accomodare le cose in modo che i deputati non potessero far altro che votare a favore di un conflitto deciso sopra le loro spalle. Tutta la drammaticità e crudeltà del conflitto è specchio dell’ antidemocraticità e dell’andamento esoterico delle trattative. I soldati, privati nelle trincee di qualsiasi tipo di umanità, venivano trattati dal general Cadorna come carne da macello e costretti a combattere con i fucili puntati alla schiena. L’arcivescovo di Padova, Luigi Pelizzo, descrisse la tremenda situazione in una lettera a Papa Benedetto XV: “Ci sono reggimenti che rifiutano di andare avanti e che vengono disarmati. Ci sono altri, spinti avanti dalle armi impugnate, i quali, ad un certo punto, rivolgono le armi contro i carabinieri, mettendoli al suolo a decine, a centinaia!”. Non diverso fu anche il trattamento riservato alla popolazione civile che, nella più
completa ignoranza di ciò che avveniva al fronte, fu sottoposta ad un
inflessibile controllo atto a sondare atteggiamenti di “disfattismo”, termine onnicomprensivo equivalente all’odierna accusa di “antisemitismo”. All’indomani di Caporetto, in virtù dell’arbitrio offerto dal decreto Scotto vennero accusati di disfattismo tutti coloro che accennavano velatamente alla futura possibilità di una pace. L’accusa ideologica di disfattismo trascinò in carcere molti vescovi, preti, religiosi e anche semplici fedeli laici. Tra le vittime di questa repressione spietata troviamo persino un prete che consolava il genitore di un soldato caduto in mano agli austriaci e i genitori di una bambina che pregava in Chiesa perché Gesù regalasse pace alla sua terra. Le parole che più sembrano idonee a descrivere sommariamente quello che avvenne in quegli anni sono quelle di Papa Benedetto XV: “Inutile strage”. Ma la strage non per tutti fu inutile: lo scoppio della Prima Guerra Mondiale non fu solamente l’inizio di cinque anni di scontri bensì l’inizio di una Guerra Civile Europea che sarebbe durata un trentennio, insanguinando l’Europa e consegnando definitivamente le chiavi del Fortezza Europa agli Stati Uniti d’America a alla ben nota élite che li domina.
dell’economia delle élites massoniche che fino ad allora avevano governato il paese. L’intervento in guerra era d’altronde visto con favore solo da una percentuale della popolazione assolutamente minoritaria: industriali riuniti attorno al “Corriere della Sera” di Luigi Albertini, massoni, indebitati poeti cicalanti e dalla posa estetizzante come D’Annunzio, vani esaltati come Marinetti e i futuristi, cattolici “aperturisti” e antesignani di futuri tradimenti come Filippo Meda, ecc. La maggioranza era sì neutrale ma ebbe il demerito di essere assolutamente silenziosa di fronte a ciò che stava
avvenendo. La partecipazione al conflitto fu comunque decisa coi segretissimi “Patti di Londra” del 26 aprile 1915 negoziati da Sonnino, accettati passivamente da Salandra e approvati con un decisivo telegramma dal re. I tre depositari del segreto avrebbero dovuto nel mese seguente ottenere l’approvazione per l’imprudente passo compiuto contro la maggioranza della Camera, indirizzata verso un accordo coll’Austria, che in quel momento sarebbe stata disposta a cedere a tutte le richieste “irredentiste”. Oramai per il re, impegnatosi direttamente con gli altri sovrani dell’Intesa, era però una questione di prestigio tanto che si vide costretto, con una sorta di colpo di stato contro la maggioranza neutralista del Parlamento, a respingere le dimissioni di Salandra e accomodare le cose in modo che i deputati non potessero far altro che votare a favore di un conflitto deciso sopra le loro spalle. Tutta la drammaticità e crudeltà del conflitto è specchio dell’ antidemocraticità e dell’andamento esoterico delle trattative. I soldati, privati nelle trincee di qualsiasi tipo di umanità, venivano trattati dal general Cadorna come carne da macello e costretti a combattere con i fucili puntati alla schiena. L’arcivescovo di Padova, Luigi Pelizzo, descrisse la tremenda situazione in una lettera a Papa Benedetto XV: “Ci sono reggimenti che rifiutano di andare avanti e che vengono disarmati. Ci sono altri, spinti avanti dalle armi impugnate, i quali, ad un certo punto, rivolgono le armi contro i carabinieri, mettendoli al suolo a decine, a centinaia!”. Non diverso fu anche il trattamento riservato alla popolazione civile che, nella più
completa ignoranza di ciò che avveniva al fronte, fu sottoposta ad un
inflessibile controllo atto a sondare atteggiamenti di “disfattismo”, termine onnicomprensivo equivalente all’odierna accusa di “antisemitismo”. All’indomani di Caporetto, in virtù dell’arbitrio offerto dal decreto Scotto vennero accusati di disfattismo tutti coloro che accennavano velatamente alla futura possibilità di una pace. L’accusa ideologica di disfattismo trascinò in carcere molti vescovi, preti, religiosi e anche semplici fedeli laici. Tra le vittime di questa repressione spietata troviamo persino un prete che consolava il genitore di un soldato caduto in mano agli austriaci e i genitori di una bambina che pregava in Chiesa perché Gesù regalasse pace alla sua terra. Le parole che più sembrano idonee a descrivere sommariamente quello che avvenne in quegli anni sono quelle di Papa Benedetto XV: “Inutile strage”. Ma la strage non per tutti fu inutile: lo scoppio della Prima Guerra Mondiale non fu solamente l’inizio di cinque anni di scontri bensì l’inizio di una Guerra Civile Europea che sarebbe durata un trentennio, insanguinando l’Europa e consegnando definitivamente le chiavi del Fortezza Europa agli Stati Uniti d’America a alla ben nota élite che li domina.
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