Opzione preferenziale per i nobili: quest'espressione può
forse sorprendere a prima vista quelli che hanno familiarità con la formula
cara a Giovanni Paolo II: "opzione preferenziale per i poveri".
Nondimeno, è appunto un'opzione preferenziale per i nobili ad animare questo
libro.
La principale obiezione che questa affermazione può
suscitare sta nel fatto che, ex natura rerum, un nobile è quantomeno bene
inserito, importante e ricco; egli ha quindi molti mezzi per uscire da una
situazione di indigenza in cui accidentalmente si trovi. L'opzione
preferenziale in suo favore è già stata fatta dalla Provvidenza, nel dargli
tutto quanto è necessario perché si rimetta in piedi.
Il caso del povero è esattamente contrario. Egli non è
illustre, non dispone di relazioni utili, spesso manca di risorse per rimediare
alle proprie carenze. Di conseguenza, un'opzione preferenziale che lo aiuti a
soddisfare le sue necessità - almeno quelle essenziali - può essere di stretta
giustizia. Quindi, un'opzione preferenziale per i nobili sembra quasi un
sarcasmo rivolto contro i poveri.
In realtà, quest'antitesi tra nobili e poveri ha sempre meno
ragione di essere, se consideriamo che la povertà va colpendo un numero sempre
maggiore di nobili, come ricordato da Pio XII nelle sue allocuzioni al
Patriziato e alla Nobiltà romana. E il nobile povero viene a trovarsi in una
situazione più avvilente di quella del povero non nobile. Quest'ultimo infatti,
per la stessa modestia delle sue condizioni, può e deve suscitare e porre in
atto un senso di giustizia come pure la generosità del prossimo.
Al contrario, il nobile, proprio nel fatto di essere nobile,
trova motivo per non chiedere aiuto, e preferisce nascondere il suo nome e la
sua origine, quando non può evitare di far apparire la sua povertà. Si tratta
di quello che, con espressivo linguaggio, veniva chiamata una volta
"povertà vereconda".
La soddisfazione dei bisogni di questo tipo di nobili - come
d'altronde dei decaduti, di qualsiasi livello sociale - era oggetto di speciali
elogi da parte degli antichi, e la carità cristiana escogitava mille maniere
per alleviare la situazione dei poveri vergognosi, affinché ricevessero l'aiuto
necessario senza offendere il sentimento della loro dignità.
Non è solo il povero di risorse materiali a meritare
un'opzione preferenziale; ma anche quelli che, per le circostanze della loro
vita, hanno doveri particolarmente ardui da compiere, e ai quali incombe
maggior responsabilità, a motivo del buon esempio che può risultarne a
vantaggio del corpo sociale, come pure, all'opposto, a motivo dello scandalo
che può derivarne, se questi doveri vengono trasgrediti.
In queste condizioni si trovano spesso membri della nobiltà
contemporanea, come vedremo.
L'opzione preferenziale per i nobili e quella per i poveri
non si escludono fra loro, e meno ancora si contrappongono, come insegna
Giovanni Paolo II: "Sì, la Chiesa fa sua l'opzione preferenziale per i
poveri. Una opzione preferenziale, si badi, non dunque un'opzione esclusiva o
escludente, perché il messaggio della salvezza è destinato a tutti".
Queste diverse opzioni sono modi di manifestare il senso di
giustizia o di carità cristiana che sole possono affratellarsi nel servizio
dell'unico Signore, Gesù Cristo, che fu modello dei nobili e dei poveri, come
ci insegnano con insistenza i Romani Pontefici.
Queste parole servano da chiarificazione per coloro che,
animati dallo spirito della lotta di classe - per il momento in evidente
declino - ritengono che esista una relazione inevitabilmente conflittuale tra
il nobile e il povero. Questo equivoco ha condotto molti a interpretare le
parole "opzione preferenziale", usate da S.S. Giovanni Paolo II, come
se significassero preferenza esclusiva. Tale interpretazione, passionale e
faziosa, manca totalmente di obiettività. Le preferenze di una persona possono
rivolgersi simultaneamente, e con diversi gradi d'intensità, a diversi oggetti.
Per sua natura, la preferenza per uno di essi non indica in alcun modo la
obbligatoria esclusione di altri.
Scritto da:
Redazione A.L.T.A.