I militanti ed i simpatizzanti del Fronte Nazionale Siciliano “Sicilia Indipendente” ricordano, con legittimo orgoglio e con grande emozione, che, il 15 settembre del 1866 (dopo appena cinque anni dalla proclamazione del Regno d’Italia), ebbe luogo la grande sommossa “indipendentista” che sarebbe stata denominata (per la sua durata) “Rivolta del Sette e Mezzo”.
La “rivolta”, bene organizzata ed, in qualche modo, anche “preannunziata”, fu largamente partecipata e coinvolse la Città e non pochi Comuni della Provincia di Palermo. In qualche caso coinvolse, per brevissimo tempo, alcuni Comuni di altre Province. Il vero epicentro rimase, però, la “Capitale” della Sicilia.
Molti furono i successi iniziali dei “ribelli”. Ed incalcolabile il numero dei “caduti” dell’una e dell’altra parte, sin dai primi scontri. La situazione appariva così grave che il Governo Britannico inviò una flotta di grandi navi da guerra, con a bordo truppe da sbarco, nella rada del porto di Palermo, per intervenire in aiuto delle truppe del Regno d’Italia, nel caso in cui, come sembrava che stesse per accadere, i ribelli siciliani avessero avuto definitivamente la meglio.
Il Governo italiano, che allora aveva sede a Firenze e che già aveva fatto affluire a Palermo le navi ed i contingenti militari disponibili in Sicilia e nel Meridione d’Italia, constatata la portata della rivolta, mandò su Palermo l’intera flotta militare (ancora in stato di “mobilitazione”, in quanto, pur essendo praticamente finita la Terza guerra d’indipendenza contro l’Austria, non era stato sottoscritto il Trattato definitivo di pace). L’ordine era uno solo: “BOMBARDARE” senza pietà la Città di Palermo, prima che la rivolta potesse estendersi a tutta la Sicilia.
Con gli stessi criteri e le stesse motivazioni, fu inviata su Palermo un’armata di 40.000 soldati. Erano le migliori forze dell’Esercito italiano e vantavano una fortissima dotazione di artiglieria. Il Comando supremo delle operazioni militari fu affidato al Generale Raffaele Cadorna, che fu nominato anche commissario regio con pieni poteri. Fu, quindi, proclamato lo stato d’assedio. La carta vincente, per l’Esercito di Vittorio Emanuele II, fu quella dei bombardamenti da terra e da mare. Le distruzioni furono immense; il numero delle vittime fu incalcolabile.Fu sostanzialmente una vittoria di stampo prettamente colonialista. Alla vittoria delle bombe fecero seguito rastrellamenti, esecuzioni sommarie e rappresaglie, dentro e fuori le mura della Città. Le violenze e le persecuzioni (che definire naziste ante litteram è riduttivo) si sarebbero protratte addirittura per qualche anno ancora. Il tutto, quasi sempre, senza processi e senza verbali di alcun tipo.
I veri e propri processi furono relativamente pochi e puramente simbolici. Al Governo italiano interessavano, infatti, il silenzio assoluto e la disinformazione su quella rivoluzione e, soprattutto, sulle stragi, sulle violenze e sulle palesi violazioni dei Diritti Umani che la Sicilia continuava a subire e delle quali esistono, tuttavia, documentazioni inoppugnabili.
I fatti dimostravano che i Siciliani erano rimasti sempre fedeli al loro ideale indipendentista. La rivolta del “Sette e mezzo” testimoniava anche che tutto ciò che era stato raccontato e scritto fino a quel momento, all’interno del mito e delle favole, sul Risorgimento, era stato falso e/o era stato manipolato sfacciatamente. Ad iniziare dalla storiella dello svolgimento e dei risultati del plebiscito del 21 ottobre 1860.
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Nella ricorrenza del 146° anniversario, l’FNS si farà carico di illustrare i contenuti ed i significati di questa grande rivolta (usare il termine “rivoluzione” non sarebbe sbagliato) con una serie di conferenze e con la pubblicazione di documenti e di informazioni. E, ciò, non già per finalità revansciste, ma per rivendicare, ancora una volta, il diritto alla verità ed il diritto al recupero della memoria storica come diritti fondamentali del Popolo Siciliano, della Nazione Siciliana.Il Presidente FNS - Corrado MIRTO
Il Segretario Politico Nazionale FNS - Giuseppe SCIANÒ